Alla fine è bastato sostituire qualche paroletta nella bozza del documento finale del consiglio Ue per permettere a Giorgia Meloni di cantare vittoria. Nel testo, che verrà presentato a chiusura del vertice, i 27 leader ricordano le conclusioni raggiunte nel precedente summit di febbraio, sottolineano come «la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea» e chiedono una «rapida attuazione» di tutti i punti concordati a febbraio.

«Rapida attuazione» invece di «rapidi progressi» come era invece scritto nella prima versione della bozza. E’ tutto lì il grande risultato ottenuto dalla premier italiana. La sostanza non cambia, anche perché i capi di Stato e di governo decidono di rinviare ancora una volta tutto al prossimo vertice di giugno. Così come non cambia il fatto che, nonostante i proclami battaglieri della vigilia, Meloni torna a casa a mani vuote.

Eppure, la presidente del consiglio si dice soddisfatta, al punto da non insistere più sull’argomento durante la cena di lavoro: «Direi che possiamo confermare il fatto che il tema dell’immigrazione è considerato oggi centrale, una cosa se vogliamo impensabile fino a qualche mese fa» dice duplicando le stesse dichiarazioni di un mese fa. Circostanza che permette alla segretaria del Pd Elly Schlein, anche lei a Bruxelles ma per una serie di incontri istituzionali – di commentare: «Rivendicano una centralità del problema migratorio per tre righe che non dicono niente di concreto. Duole dirlo ma è così».

Inutile sottolineare che le aspettative, così come le promesse fatte in parlamento prima della partenza per Bruxelles, erano ben altre. «Faremo sentire la nostra voce» aveva assicurato la premier. Nelle intenzioni c’era la volontà di ottenere più soldi per l’accoglienza dei migranti in aggiunta ai 200 milioni di euro promessi dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, maggiori controlli alle frontiere da attuarsi anche con una missione navale mista Ue-Libia (cosa che secondo Meloni permetterebbe di intervenire sui movimenti primari e secondari) e un meccanismo di redistribuzione dei migranti che non sia più su base volontaria come accade oggi.

Ma, soprattutto, interventi a favore della Tunisia per scongiurare il rischio che dal Paese nordafricano in piena crisi economica possa partire con la bella stagione una nuova ondata di sbarchi. «Se la Tunisia crolla del tutto si rischia una catastrofe umanitaria, con 900 mila rifugiati», avrebbe spiegato.

Di tutto questo, però, non c’è traccia nel vertice di ieri, impegnato a discutere più di Ucraina e di energia che di migranti. Con la sola eccezione di Ursula von der Leyen che ha sollecitato un maggior numero di ingressi regolari dai paesi terzi.
Tutto fermo dunque, E così resterà probabilmente anche nel vertice di giugno, quando avrà termine la presidenza di turno svedese, e nei mesi successivi, quando le elezioni europee si saranno fatte ormai troppo vicine.