Sono dieci persone, dieci donne e bambini, dieci vite sulle quali si giocano partite politiche nazionali ed europee, posizionamenti in vista delle prossime elezioni, giochi di potere tra i soci del governo italiano. Ad aprire i porti per tutti i 49 migranti della Sea Watch e della Sea Eye non ci pensa nessuno: troppo rischioso in termini di consensi elettorali. Molto più sicuro cercare di salvare l’immagine agli occhi di una parte della propria base, come fa Luigi Di Maio, insistendo perché vengano accolti quelle donne e quei bambini che in realtà non vogliono affatto essere separati dal resto delle loro famiglie. Molto più comodo trincerarsi, come fa la Germania, dietro l’attesa di «una ampia soluzione di suddivisione europea», per accogliere i profughi delle due navi. Finché non la si trova, i 49 migranti possono continuare a ondeggiare di fronte a Malta.

M5S, CON TUTTI E DUE gli occhi spalancati sugli equilibri di maggioranza travestiti da posizione umanitaria, insiste. Di Maio ieri è tornato alla carica: «Non arretriamo sulla politica migratoria ma quando si tratta di donne e bambini siamo pronti a dare una lezione a tutta l’Europa e ad accoglierli. Ma se Malta non li fa sbarcare noi non possiamo prendere neppure quelli, quindi chiedo alla Ue di dare l’input a Malta». Il problema è che alla Valletta stanno probabilmente aspettando che il governo gialloverde si metta d’accordo e che Salvini smetta di puntare i piedi,

Roberto Fico, il rivale per modo di dire di Di Maio, stavolta lo appoggia: «La sua iniziativa è un segnale importante. Non possiamo permettere che vengano lasciati in condizioni inaccettabili esseri umani che fuggono da dolore, morte e sofferenza». Furbetto, il presidente della Camera glissa su quegli «esseri umani», i maschi adulti, che Di Maio intende invece lasciare in dette inaccettabili condizioni.

DONNE, UOMINI e bambini contano in realtà ben poco. Di Maio, in vista di elezioni europee che potrebbero certificare l’arretramento secco del suo Movimento, ha bisogno di smarcarsi un po’ da Salvini, di scrollarsi di dosso l’immagine del sodale obbediente, di piantare una bandierina per riconquistare la parte meno xenofoba dell’elettorato. Roberto Fico deve dimostrare di avere qualche voce in capitolo, e sinora non gli è mai riuscito. Quelle dieci vite tornano utilissime.

Anche Matteo Salvini fa i suoi conti, con la stessa logica. E’ o non è l’«uomo forte» d’Italia? Dunque punta i piedi: «Non cediamo ai ricatti». E a monsignor Di Tora, presidente della Commissione episcopale Cei per le migrazioni che aveva puntato il dito affermando che «chi si tira indietro non ha la coscienza a posto», replica con il solito slogan: «Abbiamo già dato. Prima gli italiani».

MA IL CAPO LEGHISTA, per ora, non ha alcuna intenzione di rompere con un alleato che si è rivelato il migliore che potesse immaginare. «Devo riconoscere ai miei compagni di viaggio a livello nazionale – concede – serietà e coerenza. Da solo non sarei riuscito a fare sull’immigrazione quel che stiamo facendo insieme.

A livello regionale è un’altra roba». L’allusione velenosa è anche alla crescente solidarietà che arriva proprio dall’interno dei 5S alla rivolta dei sindaci e dei governatori contro il decreto sicurezza. In questo caso la faccenda è più seria del cinico gioco delle parti che i vertici stanno giocando sulla testa dei passeggeri delle due navi. Qui a muoversi è l’ossatura del Movimento, i quadri intermedi, e il disagio a cui danno voce è reale. Quella tensione, sommata a molte altre, allo scontro sui vertici dell’Inps, alla introduzione dei referendum propositivi, che i 5S vorrebbero senza quorum e i leghisti con almeno il 33% di quorum, e presto, prevedibilmente, a quella su quota 100 e soprattutto reddito di cittadinanza, fa scricchiolare la maggioranza ancora prima che l’anno politico sia davvero iniziato.

IL MASTICE PER TENERE insieme una coalizione già scollata è naturalmente la critica contro l’Europa. «L’Italia c’è e tende una mano a chi ha bisogno», tuona Luigi Di Maio a cui la faccia tosta non difetta. «Ma l’Italia non deve più essere lasciata sola da qualche euroburocrate», aggiunge. L’Europa, peraltro, rende ai due soci il gioco facile. Lo spiraglio aperto ieri dalla Germania è un passetto avanti, ma condizionato com’è a una «soluzione europea» che non figura a portata di mano, è tardivo e insufficiente. Se l’Europa non è peggiore del governo italiano, in questo frangente certo non è migliore.