«L’assassinio di Khashoggi è un tassello nella politica saudita di repressione ed emarginazione preventiva dei Fratelli Musulmani, il movimento di cui era membro pur non essendo ai vertici». A commentare l’omicidio è Massimo Campanini, docente di Islamistica allo Iuss di Pavia e al San Raffaele di Milano. Autore del saggio I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo (con Karim Mezran, Utet 2010), Campanini aggiunge: «In questi anni, siamo testimoni di come le autorità di Riyadh abbiano eliminato gli esponenti più in vista della Fratellanza, con l’obiettivo di proteggere il regno da pericolose contestazioni». Nel mirino dei sauditi è finito il Qatar, di questa messa al bando si è scritto molto anche per la rottura che ha provocato all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Meno nota è la campagna di assassini portata avanti dai sauditi utilizzando mercenari americani con esperienza pluriennale nei Navy Seals. A farne le spese sono stati i leader del partito al-Islah, emanazione yemenita dei Fratelli Musulmani che per gli Emirati è un’organizzazione terroristica ma ha tra i suoi membri la giornalista e attivista Tawakkol Karman insignita del Nobel per la Pace 2011. Tra gli altri, a finire ammazzato dai mercenari di Spear Operation Group guidati dall’israeliano Abraham Golan è stato il religioso Anssaf Ali Mayo.

L’ideologia dei Fratelli Musulmani non è di ispirazione wahhabita, ma questo non giustifica la violenza: di che cosa hanno paura i sauditi?
I Fratelli Musulmani non sono ben visti oggi in Arabia Saudita. La loro presenza massiccia in Arabia Saudita risale agli anni Settanta quando parecchi loro esponenti, anche di spicco, si trasferirono nel regno sfuggendo alle persecuzioni di Nasser e poi di Sadat e andando a occupare anche posti di insegnamento nelle università saudite, per esempio in quella di Jedda. Essendo islamisti «politicizzati» (non tutti gli islamisti lo sono, anzi molti sono a-politici), i Fratelli Musulmani hanno rappresentato una élite colta potenzialmente contestatrice della politica dei Saud. Negli anni Novanta, per esempio, furono implicati nella sahwa, cioè in quel movimento di protesta e di opposizione ai Saud condotto dal punto di vista islamico che fece tremare il trono: i Saud erano accusati dagli esponenti della sahwa di non essere abbastanza musulmani. I sauditi hanno iniziato dunque a far terra bruciata e molti hanno dovuto andarsene. Ciò spiega come mai, quando nel 2013 al-Sisi in Egitto represse sanguinosamente i Fratelli Musulmani, ottenne l’appoggio e persino sovvenzioni in denaro dai Saud.

I Fratelli Musulmani sono nati come movimento in Egitto nel 1928. In questi novant’anni hanno passato varie vicissitudini, non ultima la repressione del presidente egiziano al-Sisi che lei ha citato. Qual è la situazione?
Dal 2013 stanno cercando di ricostruirsi in clandestinità o comunque evitando, per il momento, di esporsi troppo.

Sul delitto Khashoggi si sono espressi in tanti, ma neanche un tweet dal premier israeliano Netanyahu…. e le dichiarazioni del presidente Trump non sono convincenti…
Le affermazioni di Trump – sanzioni sì, sanzioni no, ma l’Arabia Saudita è nostro prezioso alleato – non sono altro che un teatrino per gettar fumo negli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Il principe ereditario Muhammad bin Salman sta cercando di detronizzare la gerontocrazia che ha finora retto il regno dell’Arabia Saudita, ma di fatto conserva legami privilegiati con gli Stati Uniti e Israele: i rapporti con quest’ultimo sono buoni anche se non sbandierati, e sia Washington sia Tel Aviv hanno sempre accusato ( falsamente e per trovare un comodo capro espiatorio) i Fratelli Musulmani di essere una delle «menti» del terrorismo internazionale.

Lo zio della fidanzata di Khashoggi è uno dei fondatori dell’Akp di Erdogan. Che legami ci sono tra AkP e Fratelli Musulmani?
L’Akp di Erdogan rientra in qualche misura nell’orizzonte teorico dei Fratelli Musulmani. Oltre ad essere ai ferri corti per l’egemonia regionale, Turchia e Arabia Saudita sono molto distanti perché promuovono due diverse idee di Islam.

Le autorità saudite controllano il loro paese con il pugno di ferro: condannano blogger come Raif Badawi a mille frustate, decapitano e crocifiggono l’ayatollah Nimr al-Nimr, fanno a pezzi un noto giornalista con la sega elettrica. Per quanto riusciranno a stare in sella incutendo terrore?
L’Arabia Saudita è meno salda di quanto appaia a prima vista. La spietatezza della guerra contro gli Huthi in Yemen, il potenziale pericolo degli sciiti che sono circa il 19% della popolazione saudita, la necessità di mantenere il prestigio auto-attribuitosi dai Saud di leader dell’Islam mondiale, hanno indotto i dirigenti sauditi a portare avanti una politica del genere. Ma nel lungo periodo, risulterà destabilizzante.