Il Mar Mediterraneo è al buio, svuotato dagli occhi che raccontano le migrazioni. Da giugno le navi delle ong attive in questi anni nel Mediterraneo centrale sono ferme, tra confische, processi e una dura campagna politica e mediatica che prova a nascondere flussi mai terminati.

È in questo contesto che mercoledì il parlamento europeo ha assegnato il premio Sakharov per la libertà di espressione: il vincitore è Oleg Sentsov, regista ucraino condannato a 20 anni da una corte russa a 20 anni di prigione per il suo racconto dalla Crimea.

Ma sono i due finalisti, presenti alla premiazione all’Europarlamento, a portare in aula la contraddizione: le 11 ong operative nel Mediterraneo in operazioni di ricerca e soccorso e in attività di monitoraggio e l’attivista del Rif Nasser Zefzafi, imprigionato dal Marocco a maggio 2017 perché a capo del movimento popolare Hirak.

Mentre i rappresentanti dei premiati parlavano, mercoledì, è stato un altro attivista marocchino a tessere un filo rosso tra le due candidature al Sakharov: mentre Rabat reprime la regione da cui i migranti subsahariani partono per la Spagna, dice, l’Europa gli mette sul tavolo i fondi necessari all’ennesima esternalizzazione delle frontiere.

«La situazione è la più drammatica di sempre – spiega Laura Garel, Sos Méditerranée e rappresentante mercoledì delle 11 ong finaliste – I morti aumentano (2.160 al 13 dicembre, a fronte di 116mila arrivi) mentre diminuiscono le operazioni di ricerca e soccorso e si amplia il raggio d’azione della guardia costiera libica con il sostegno europeo. Oltre ad aver privato il Mediterraneo di attività di salvataggio, lo si è privato anche di testimoni».

Libertà d’espressione, appunto, frustrata insieme alla solidarietà di base, popolare, com’è stato in questi anni il lavoro di navi, partite su spinta della società civile europea. Le ong si sono organizzate da sé, con navi proprie, per supplire alle mancanze europee.

«Non solo si reprime, ma non si attivano gli strumenti per un ingresso legale – aggiunge l’ong Moas – Corridoi umanitari, ricollocazione dei richiedenti asilo, sponsorship». E si dipinge una crisi che non c’è: la campagna di criminalizzazione delle ong, politica, mediatica e giudiziaria (ultimo caso, Aquarius accusata di erroneo smaltimento dei rifiuti) ha svuotato il Mediterraneo.

«La nostra nave è sotto confisca a Malta da giugno 2018 – racconta al manifesto Mechtild Stierthe, dell’ong tedesca Mission Lifeline – Il capitano è sotto processo con l’accusa di registrazione scorretta della nave. Il 18 dicembre ci sarà una nuova udienza. Speriamo che la situazione si sblocchi». «Non ci fermeremo – aggiunge – Le persone continuano ad arrivare via mare scegliendo tratte più pericolose. Stiamo lavorando per il prossimo anno: navi più piccole per documentare la situazione, piccole imbarcazioni che possono portare 5-10 persone. Ne abbiamo già una, donata da un privato».

Le ong, mercoledì, non nascondevano l’importanza di un simile riconoscimento, finaliste di un premio storico come il Sakharov. Perché il messaggio inviato dall’Europarlamento è politico: non si possono zittire le voci per uccidere la solidarietà e imporre una narrativa errata del fenomeno migratorio.

«Il premio potrebbe sembrare un paradosso perché ad essere arrivati in finale non sono soggetti non europei, provenienti da paesi considerati non democratici. Svela l’ipocrisia e offre un’opportunità: la Ue deve oggi affrontare le nuove questioni, dalle migrazioni ai cambiamenti climatici. Ci si deve focalizzare su questo, sulle ragioni che portano le persone a fuggire. Una responsabilità mutuale».