Probabilmente questi cinquanta giorni di consultazioni qualche effetto positivo lo hanno già prodotto. Due di sicuro. Il primo potrebbe offrirlo la prossima direzione del Pd se servirà ad aprire una riflessione politica sul disastro elettorale, e prima ancora sociale, che lo riguarda. Di fronte alla situazione in cui si trova il paese, e dopo la pesante sconfitta del partito di Renzi, decidere a chi affidare il governo è un banco di prova e una responsabilità primaria, per l’oggi e altrettanto per il prossimo futuro.

Un partito che ha conosciuto la stagione dei centrosinistra larghi e vincenti sulla destra, oggi si presenta ridotto ai minimi termini (ma si potrebbe ancora peggiorare alle prossime elezioni), con una piccola traccia alla sua sinistra. Le correnti, le lotte di potere a questo giro sono carta straccia. Come quella del ministro Calenda che prima si iscrive e poi straccia la tessera in caso di accordo con i 5Stelle. Non interessa nessuno. Interessano invece la visione e le scelte che bisogna mettere in campo.

Vorremmo veder emergere qualche segno di cambiamento, a cominciare dalla politica economica e sociale, un fronte sul quale il Pd ha molto da farsi perdonare. A seguire, subito dopo, viene la grande questione, italiana e europea, dell’immigrazione, dove si è prodotta l’altra pesante sterzata a destra del Nazareno, con l’applauso di Salvini a Minniti. Si o no al confronto programmatico con i 5Stelle, può essere motivo, serio e necessario, per definire uno spartiacque. Mettendo nel conto spaccature, divisioni, separazioni.

Diversamente, se alla fine il potere di Renzi determinerà una scelta negativa, non sarà difficile interpretare questo «no» come una forte accelerazione verso le elezioni anticipate. Quel salto nel buio che il presidente Mattarella teme e non vuole, ma che non potrebbe a lungo escludere dalle sue future determinazioni se messo con le spalle al muro dalle forze politiche.

L’altro effetto positivo di questa fase di confronti politici si dovrebbe manifestare sul fronte del M5Stelle. Per la prima volta, una forza nata sull’onda della “vaffa”, cresciuta con l’alta marea del «sono tutti uguali», deve smentire quell’idea eccentrica della democrazia secondo la quale non ci si allea con nessuno, si rappresenta tutta la società con il 51 per cento, e non si costruisce cultura politica raccontando la favola che tra destra e sinistra non fa differenza.
La base pentastellata è in subbuglio, perché mentre i dirigenti chiedono a Renzi di essere della partita altrimenti addio maggioranza parlamentare, la base sociale e social della rete grillina considera il renzismo una sottospecie del berlusconismo. Considerazione tutt’altro che peregrina.

Ma finché si tratta di marketing politico per prendere voti da qualunque parte provengano, si capisce. Quando però si raccoglie il 32 per cento in rappresentanza di una fortissima domanda sociale, bisognerebbe essere coerenti con il largo voto ricevuto da sinistra (compreso il consenso di uno su tre degli iscritti alla Cgil) per cambiare le cose assicurando un buon governo al paese.

Altrettanto in fermento sono gli elettori del Pd, come è emerso nella giornata di ieri, 25 Aprile, a Roma e a Firenze. Qui, nella capitale, il reggente Martina, avvicinato dai militanti nel corteo dedicato alla Resistenza e alla Liberazione, era incoraggiato a proseguire nel dialogo con i pentastellati. Là, a Firenze, la passeggiata dell’ex segretario era accompagnata da esortazioni a non accettare alcun confronto con i grillini. E’ probabilmente la rappresentazione del canovaccio che andrà in scena alla prossima direzione. Se il reggente Martina porterà avanti il confronto con Fico e Di Maio, potrebbe anche accadergli poi di vedersi riconoscere il ruolo e le stellette di segretario. E forse è contro questa possibilità che Renzi schiera le truppe e affila le armi.

Nulla è dato per scontato, già oggi ci sarà il secondo giro di consultazioni di Fico con Pd e 5Stelle. E non ci vorrà ancora molto per capire dove ci sta portando il voto del 4 marzo.