Mentre in parlamento si continua a discutere per apportare piccole modifiche all’Ape social, le pensioni sono già il tema più caldo della campagna elettorale. E se il governo dopo mesi di trattative con i sindacati ha stanziato se va bene qualche centinaio di milioni per scontare 5 mesi di età pensionabile a 10mila persone, il M5s promette di risparmiare miliardi per abolire tutta la riforma Fornero.

La bomba l’ha sganciata Luigi Di Maio venerdì mattina a Radio Anch’io: «Si possono risparmiare 12 miliardi tagliando le pensioni d’oro e cancellare la Fornero». Il Pd ha impiegato una giornata buona per reagire. E ieri mattina Matteo Renzi ha contrattaccato, calcolatrice alla mano. Per risparmiare 12 miliardi servirebbe un contributo di solidarietà sulle pensioni fino a 2.300 euro al mese, un tetto troppo basso: «Ci rendiamo conto? Qualcuno può legittimamente dire che duemila euro di pensione sono una pensione d’oro? A noi sembra folle», scrive su facebook il segretario Pd. La controrisposta del M5s è stato specificare che il risparmio era su base triennale e non in un solo anno, riducendo così l’entità del taglio alle pensioni sopra i 5mila euro. Accusando il Pd di voler distogliere l’attenzione dall’affaire Boschi: «Per noi le pensioni d’oro sono quelle che vanno da 5mila euro in su. Al Pd invece non interessa nulla di tagliare le pensioni d’oro, ma solo di utilizzare questo argomento per coprire lo scandalo sulle banche che coinvolge Maria Elena Boschi», ha detto Di Maio visitando una azienda del Padovano.

La querelle contabile però mette in secondo piano un tema politico cruciale. Pd e centristi a parte, tutte le altre forze politiche – da sinistra a destra – propongono di “abolire” la riforma Fornero. Una posizione che il Pd definisce “demagogica” – allo stesso modo della promessa di Berlusconi di aumentare le pensioni minime a mille euro al mese – ma che lo mette oggettivamente in difficoltà visto che solo un mese fa il ministro Pier Carlo Padoan ha confermato il principio dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, un meccanismo cardine della Fornero che fatalmente in prospettiva manderà i lavoratori in pensione oltre i 70 anni.

La riforma Fornero è il caposaldo dell’austerity: con il decreto SalvaItalia imposto dalla famosa lettera della Bce del 2011 i risparmi sul bilancio pensionistico dello Stato – circa 80 miliardi in soli 10 anni – sono già stati messi a riduzione del debito pubblico. E quindi per i dettami dell’Europa sono intoccabili. E allora per rimediare ai danni sociali di quella riforma – l’innalzamento immediato di 6-7 anni dell’età pensionabile con il dramma delle centinaia di migliaia di esodati – sono stati spesi almeno 11 miliardi con provvedimenti spot, come le otto Salvaguardie.

La fine – da tutti auspicata, perfino da Renzi – dell’austerity potrebbe però rimettere in discussione questo dogma. Aprendo la strada a tornare a fare della previdenza pubblica un sistema redistributivo invece che il bancomat a cui si è attinto negli anni della crisi.

L’aspetto su cui molti partiti spingono è quello dell’equità generazionale ma al momento l’unica certezza è che i pensionati hanno visto ridurre i propri assegni e i lavoratori – anziani e giovani – vedono il traguardo della pensione come una chimera. Mentre la proposta di una pensione di garanzia attorno ai mille euro per i giovani che hanno carriere lavorative precarie e contributive discontinue non è stata nemmeno inserita in legge di bilancio dal Pd, nonostante non costi niente visto che prevedrebbe contributi aggiuntivi pagati dallo Stato solo quando i precari cominceranno ad andare in pensione e quindi dopo il 2040.