Cina e inquinamento: una sorta di refrain, di ritornello che ha accompagnato per molti anni le cronache giornalistiche sul gigante asiatico. Non solo articoli, ricerche e studi, perché la maggioranza delle persone straniere che hanno deciso di abbandonare la Cina negli ultimi anni, ha sempre messo ai primi posti tra le cause dell’addio proprio la pessima qualità dell’aria delle città cinesi. Analogamente i cinesi, anno dopo anno, specie gli abitanti di zone fortemente inquinate, hanno alzato la voce, portando la questione al primo posto dell’ agenda politica.

È INNEGABILE – infatti – che la Cina dei primi anni Duemila abbia visto un intensificarsi dei problemi ambientali: a fronte di questo peggioramento della qualità della vita sono sorte proteste – talvolta uscite vincitrici – contro fabbriche e aziende inquinanti; se fino a qualche anno fa le motivazioni delle proteste in Cina avevano per lo più a che fare con il mondo del lavoro (salari o straordinari non pagati, pessime qualità di vita all’interno delle fabbriche, infortuni) ormai l’ambiente è diventata la ragione principale delle manifestazioni di rabbia contro il governo centrale. Con una differenza importante rispetto al passato: quando si parla di ambiente gli stessi organi ufficiali dello stato – dopo aver negato o fatto finta di negare il fenomeno – sono passati alle contromisure.

LA CRESCITA di una classe media urbana a cui è richiesto uno sforzo nell’azionare i meccanismi del mercato interno, ha fatto sì che anche la qualità della vita cominciasse a diventare un obiettivo reale e non solo sbandierato. L’inquinamento atmosferico, quello di fiumi, di laghi, di interi territori, hanno causato problemi e secondo alcuni studi un numero di morti altissimo. Il mese scorso – ad esempio – l’autorevole rivista scientifica The Lancet ha effettuato un primo tentativo di mettere insieme i dati, relativi al 2015, sulle diverse patologie da inquinamento; la ricerca ha permesso di concludere che il fenomeno uccide ogni anno nel mondo più persone perfino di guerre, più del fumo, della fame e dei disastri naturali.

Una morte prematura su sei – circa nove milioni in totale – è da considerarsi attribuibile all’esposizione a sostanze tossiche contenute nell’aria o nell’acqua. Dalla ricerca è emerso che l’India e la Cina, con 2,5 milioni e 1,8 milioni di decessi rispettivamente, sono i paesi in cui si muore di più.

SI TRATTA DI DATI che il governo cinese conosce bene e con il quale lotta da tempo. Solo che fino ad oggi i rimedi sono apparsi dei palliativi. Contro auto, fabbriche, fumi cittadini (anche quelli dovuti ad abitudini alimentari), il governo cinese ha provato ad agire, tentando anche di convertire il problema dei problemi, ovvero la quasi completa dipendenza del paese dal carbone.

Dal 2018, però, la Cina ritiene di passare a una fase successiva. I media nazionali hanno usato tutta la loro capacità retorica e di diffusione per fare emergere i nuovi provvedimenti, in una fase politica particolarmente calda, a causa del recente annuncio dell’eliminazione del limite al doppio mandato per la carica di Presidente della Repubblica.

RIMANE IL FATTO che da quest’anno – per la precisione da aprile – oltre 260 mila imprese ed enti cinesi dovranno iniziare a pagare una tassa ambientale. La legge sulla protezione ambientale è entrata in vigore il primo gennaio e prevede che ogni contribuente dovrà presentare una richiesta di tassazione ogni trimestre e la prima dichiarazione fiscale è attesa proprio per aprile, stabilendo un sistema finanziario e fiscale «verde» per la promozione «dell’abbattimento delle sostanze inquinanti».

Secondo quanto riferito dal governo di Pechino, la densità media delle polveri sottili pm2.5 a Pechino è stata di 58 microgrammi per metro cubo nel 2017, raggiungendo così l’obiettivo fissato dall’esecutivo. La densità è infatti scesa del 20,5 per cento rispetto al 2016 e un po’ tutti se ne sono accorti. In alcuni giorni la popolazione di Pechino ha intasato i social con foto e scatti sul cielo blu e hanno sorpreso non poco i dati delle applicazioni che stabiliscono il livello di inquinamento. La densità dei principali inquinanti (anidride solforosa, biossido di azoto) di pm10 sono scesi rispettivamente del 20, del 4,2 e dell’8,7 per cento su base annua.

LA CAPITALE HA ASSISTITO così a 226 giorni con una buona qualità dell’aria, 28 giorni in più rispetto al 2016 mentre i giorni con un inquinamento pesante sono scesi da 23 a 16. Molte le misure adottate per il miglioramento della qualità dell’aria tra cui l’eliminazione delle caldaie a carbone, la progressiva scomparsa dei veicoli con emissioni elevate e l’ammodernamento del settore industriale e la chiusura di molte aziende inquinanti. Secondo il ministero della Protezione ambientale, la Cina ha investito 4,17 miliardi di yuan (circa 500 milioni di euro) nella protezione ambientale dal 2011 al 2015, in crescita del 92,8 per cento rispetto al periodo tra il 2006 e il 2010. Il governo continuerà a investire sul controllo dell’inquinamento «per migliorare l’ambiente e costruire una bella Cina».

SECONDO L’ULTIMO RAPPORTO Carbon Action Tracker (Cat), un’analisi scientifica indipendente condotta da tre organizzazioni di ricerca europee, il maggiore impegno della Cina e dell’India per ridurre le emissioni inquinanti potrebbe compensare il passo indietro degli Usa. Non solo, perché la capitale è da tempo impegnata in una lotta contro l’emissione dei veicoli a motore. «Prendere di mira queste emissioni è un intervento preciso per lo smog, poiché studi hanno rivelato che sono la fonte principale dei più importanti inquinanti atmosferici della città», ha spiegato Liu Bingjiang, funzionario del ministero della Protezione ambientale, sottolineando che i fattori che hanno portato all’inquinamento di Pechino sono cambiati, perché ora il consumo di carbone rappresenta meno del 10 per cento del mix energetico della città e che oltre l’80 per cento delle industrie di Pechino appartiene al settore terziario.