C’è una seconda guerra mondiale che non è mai finita del tutto. È quella combattuta per soli 22 giorni tra l’esercito sovietico e quello giapponese nell’agosto del 1945, quando Stalin decise di rompere il patto di non aggressione tra i due paesi firmato nel 1941.

IL 2 SETTEMBRE poi l’esercito di Hirohito si arrese ma non prima che la Russia conquistasse un piccolo gruppo di isole dette Curili. Da allora il Giappone non ha mai smesso di rivendicare la sovranità su quei territori e ciò ha sempre impedito la sottoscrizione di un formale trattato di pace tra i due paesi.

Questo fino a settembre scorso quando Putin a Vladivostok, dopo una serie di abboccamenti con Shinzo Abe, aveva proposto di voler giungere a breve a un accordo sull’annosa questione. L’obiettivo russo era quello di spuntare un successo diplomatico ma soprattutto garantirsi una serie di investimenti del Sol Levante in progetti comuni su infrastrutture, trasporti, turismo e petrolio.

UNA PALLA PRESA AL BALZO subito dal Giappone, che chiedeva di chiudere la controversia entro il 2018. Tuttavia l’ipotesi d’accordo ha incontrato sin da subito l’ostilità dell’opinione pubblica russa. Secondo un sondaggio commissionato dalla Levada-Zentr nel novembre scorso il 74% dei russi era contraria alla loro restituzione e il 9% nutriva forti dubbi su tale soluzione.

UNA NETTA CONTRARIETÀ che ha fatto innalzare le antenne ai parlamentari della Duma. Ieri al parlamento russo è stato presentato un progetto di legge da parte del deputato Sergey Ivanov, sostenuto da molti deputati del partito di Putin Russia Unita, che pone un veto di fatto al trasferimento delle isole contese al Giappone. Secondo la proposta legislativa «le Curili appartengono in maniera definitiva alla Federazione Russa» e le isole «sono parte integrante della Federazione Russa e della regione di Sakhalin».

Un progetto di legge paradossalmente ben visto dal Cremlino. Il veto parlamentare infatti impedirebbe al governo di proseguire nella trattativa, dopo che il presidente russo si sarebbe reso conto di essersi spinto troppo in là. Non a caso un mese fa Putin tornando sulla questione ha ricordato che il «grande nodo da sciogliere» è quello della possibile installazione nel futuro di basi militari americane nelle isole.

GLI ACCORDI TRA USA E GIAPPONE prevedono il diritto dei primi a poter creare propri avamposti militari su tutto il territorio del paese asiatico. «Abe ci ha promesso che non lo permetterà ma anche Gorbaciov ebbe le stesse rassicurazioni ai tempi della caduta del Muro a proposito dei paesi dell’Europa orientale» ha chiosato Putin.

La restituzione delle isole sarebbe del resto una sorta di suicidio anche dal punto di vista strategico. Lo afferma il politologo russo Yakov Kedmi che ammonisce: «Fino a quando tutte le Curili saranno sotto il controllo russo non c’è una sola nave americana che possa entrare nel Mare di Ochotsk senza il permesso della Federazione: è la linea di difesa orientale della Russia contro la flotta americana». Kedmi scommette inoltre che se accordo sarà, sarà al ribasso e non prevederà alcuna restituzione.

Sulla stampa moscovita si sussurra da qualche giorno di un possibile incontro Putin-Abe alla fine del mese, ma lo «zar» sembra sempre più incerto. Per ora fioccano le precisazioni e i distinguo di parte russa per rimandare sine die l’accordo. In un comunicato del ministero degli esteri diffuso ieri si afferma che «il Giappone vuole far fallire l’ipotesi di accordo sostenendo la pretesa assurda per cui la Russia dovrebbe pagare agli ex residenti giapponesi delle compensazioni per l’occupazione post-bellica».

Qualcosa di cui gli abitanti russi delle isole non vogliono neppur sentire parlare. Già da tre mesi sulle Curili si tengono pressoché ogni giorno manifestazioni contro l’accordo che «ci renderebbe servi in una colonia giapponese», affermano i residenti. E su questo terreno inizia a muoversi anche la sinistra russa. Il 20 gennaio a Mosca sulla Prospekt Sacharov si terra una manifestazione del Fronte di Sinistra il quale chiede che a gran voce «un referendum perché la popolazione delle Curili possa decidere da sé del proprio futuro».