«I siciliani silenziosi non cambiano mai parere». Romano Prodi rinnova la sua previsione su Sergio Mattarella: il presidente non si renderà disponibile per un nuovo mandato al Quirinale. Il professore aggiunge una considerazione per allontanare la tentazione da se stesso, «ho 82 anni, per un incarico settennale sarebbe un’incoscienza», che pesa però sul destino anche dell’altro, che di anni ne ha solo due in meno. Prodi lascia appena un piccolo spiraglio: «Se succedesse una circostanza straordinaria Mattarella potrebbe anche cambiare parere, ma non lo penso».

Eppure questa «circostanza straordinaria» è precisamente quella alla quale pensano i tanti parlamentari che, sopratutto nel Pd, non vedono un’alternativa al reincarico a Mattarella. Malgrado la sua nota contrarietà da «siciliano silenzioso», immaginano che di fronte a una situazione di stallo il presidente possa ripensarci e tirare i grandi elettori fuori dal pantano. Sarebbe in pratica la replica di quello che accadde nell’aprile del 2013, quando l’impasse fu assai enfatizzata e il soccorso del Napolitano bis invocato dopo appena cinque scrutini a vuoto.

Tra le carte di chi spera in un ripensamento di Mattarella c’è anche una vecchia intervista dell’attuale presidente, risale all’agosto del 1998. Capogruppo dei deputati del partito popolare, Mattarella era all’epoca la principale mente degli ex Dc sul fronte delle riforme istituzionali. Componente della bicamerale D’Alema, aveva firmato cinque anni prima la legge elettorale in vigore e ne stava progettando la modifica (mai realizzata, ma passata alla storia come Mattarellum 2) funzionale a quel «patto della crostata» che avrebbe dovuto blindare la riforma costituzionale (non andò così).

Nell’agosto del ’98 al Quirinale sedeva Oscar Luigi Scalfaro, mancavano ancora nove mesi alla scadenza del mandato ma già i partiti ne ragionavano. E fu Mattarella a proporre, con un’intervista al Corriere della Sera, di non cambiare inquilino al Colle. «Perché non rieleggiamo Scalfaro?» il titolo dell’intervista. Conseguente lo svolgimento: «Il futuro capo dello stato deve avere equilibrio, gran senso delle istituzioni e svolgere un ruolo di garanzia attiva. Proprio quello che Scalfaro ha realizzato in questo settennato». Domanda: Insomma, lei pensa a una personalità simile a Scalfaro? «No, io penso a Scalfaro».

Tanto tempo è passato da quella intervista, molto e cambiato e non c’è convinzione che non possa essere messa in crisi dall’esperienza. È infatti con il peso del lungo mandato sulle spalle che Mattarella è arrivato qualche mese fa a richiamare un pensiero di Antonio Segni, per sostenere l’opportunità della «non immediata rieleggibilità» del capo dello stato.

Oggi chi spera che il presidente possa rivolgere a se stesso l’invito che oltre vent’anni fa indirizzò a Scalfaro insiste sul particolare passaggio istituzionale che ci aspetta. Un anno dopo l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, infatti, il collegio elettorale del capo dello stato cambierà profondamente per effetto del taglio dei parlamentari e di una modifica (prevista) del numero dei delegati regionali. Una riforma fatta, si ragiona, giustificherebbe oggi un mandato «ponte» al Quirinale assai più di una riforma solo tentata, quella elettorale del ’98.
Ma le speranze, vecchie e nuove, a volte sfioriscono. Ed è interessante ricordare come andò a finire quella volta al Quirinale. Scalfaro non fu confermato e fu eletto al primo turno un ex governatore della Banca d’Italia.