Al ministero della difesa israeliano a Tel Aviv sarebbero rimasti di sasso apprendendo che jet militari siriani Mig-23 e Mig-29 e russi Su-34 e Su-35 decollati dalla base di Hmeimim sulla costa mediterranea, hanno pattugliato insieme lo spazio aereo lungo i confini della Siria. E con preoccupazione i comandi militari israeliani hanno poi letto sui lanci dell’agenzia di stampa Interfax che le aviazioni dei due paesi hanno in programma di rendere regolari tali voli. Durante le esercitazioni, i piloti russi hanno effettuato attacchi simulati contro obiettivi a terra, mentre le loro controparti siriane hanno lavorato per monitorare lo spazio aereo e fornire la necessaria copertura aerea. E si sono spinti fino al Golan occupato e nel sud della Siria che rappresenta uno dei bersagli principali dei raid aerei israeliani contro presunte posizioni iraniane e di Hezbollah. In Israele, scriveva ieri il sito Ynet si interrogano sul significato del passo. Mosca, alleata della Siria, intende porre dei paletti alle incursioni aeree israeliane? Più di tutto, perché proprio ora? Il sospetto è che l’ipotetico irrigidimento russo sia in qualche modo legato alla crisi tra Russia e Ucraina e alla posizione che sceglierà Israele dove sono immigrati negli ultimi tre decenni centinaia di migliaia di ebrei di origine russa e ucraina. In sostanza Putin e i suoi comandi militari avrebbero segnalato che, dovesse scegliere la barricata ucraina, Israele ne pagherà le conseguenze in Siria dove per anni le batterie antiaeree e i Mig russi sono rimasti inattivi durante centinaia di attacchi israeliani.

Lo scorso ottobre tornando dall’incontro avuto con Vladimir Putin a Sochi, il premier israeliano Naftali Bennett con tono soddisfatto lasciò intendere che il presidente russo aveva dato luce verde alla continuazione dei raid israeliani in Siria. Non solo. In considerazione dei buoni rapporti che Tel Aviv mantiene con Mosca e Kiev, Bennett a Sochi si offrì di ospitare un vertice   tra il presidente russo e il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelenskyy. Pochi mesi prima, l’ex primo ministro Netanyahu aveva fatto un’offerta simile a Putin. In entrambi i casi la risposta del Cremlino fu negativa. Comunque sia, rimarcava ieri Anshel Pfeffer su Haaretz, Israele farebbe il possibile per ridurre le tensioni tali da sfociare in una guerra, per il semplice motivo che ha molto da perdere se ciò accadesse. Sul palcoscenico della crisi però ci sono gli Stati uniti, principale alleato e protettore di Israele.

In via ufficiale Washington non ha fatto pressioni sul governo Bennett affinché prenda posizione a sostegno di Zelenskyy. Però gli Usa un segnale da Bennett probabilmente lo aspettano dopo aver lasciato negli ultimi anni che Israele coltivasse indisturbato le relazioni con il Cremlino mentre i rapporti tra Russia e Usa peggioravano mese dopo mese. Inoltre, se da un lato Israele non è parte della Nato dall’altro negli ultimi anni ha stretto i legami con l’alleanza occidentale svolgendo esercitazioni militari con alcuni dei suoi membri dove il nemico immaginario era sempre in possesso di armi e tecnologie russe. «Il rapporto con la Nato è una risorsa per Israele ma il coordinamento con la Russia sulla Siria è una necessità strategica» notava Anshel Pfeffer. Il dilemma è ancora più lacerante se si tiene conto che Putin è sempre stato vicino a personalità ebraiche e che Zelenskyy è ebreo e un amico stretto dello Stato ebraico. Israele avrà bisogno di entrambi se, in caso di guerra, penserà di organizzare un ponte aereo per sottrare ai combattimenti i 73mila ebrei che vivono in Ucraina (che in maggioranza sarebbero filorussi).

Il peso della potenza russa, anche sul piano diplomatico, però è un dato di fatto e pur desiderando di mantenere una posizione neutrale, Israele difficilmente si priverà delle simpatie di Putin. Non c’è sul tavolo solo la Siria. A Vienna vanno avanti le trattative sul programma nucleare iraniano – che Israele vuole fermare ad ogni costo – e se le conseguenze della frattura tra Mosca e Washington raggiungeranno la capitale austriaca, la Russia forse adotterà una linea più favorevole alle richieste di Tehran.