È dal suo primo romanzo, Il lungo ritorno (e/o, 2001) che Tiziana Rinaldi Castro esplora lo spazio interiore che separa un migrante sud-europeo negli Stati Uniti degli anni Ottanta dalla terra delle origini. Lì erano il Cilento e Creta, omaggio palese ai luoghi paterni e all’amore viscerale per la Grecia classica, contrapposti alla metropoli newyorchese.

Ora, in Come della rosa (Effigie, pp. 292, euro 21), lo scandaglio va ancora più in profondità: la protagonista del romanzo è una fotografa atterrata da un paese del sud Italia nella Grande Mela sfavillante dagli anni Ottanta, la stessa delle «mille luci» di Jay McInerney. Ma il mondo che Tiziana Rinaldi Castro racconta è un altro. Non è quello degli yuppie cocainomani di downtown Manhattan e neppure degli italoamericani che non hanno mai reciso i legami con i paesi d’origine, bensì la cultura afroamericana legata alla religione yoruba, in una New York fuori dalle mappe canoniche che la scrittrice ha conosciuto e nella quale è tuttora immersa.

Ad accumunare questi due mondi quanto mai lontani è l’universo magico legato al sacro. Tra un rito yoruba e la processione di san Michele al paese natio, con lo stesso volo dell’Angelo descritto da Philip Roth nella Newark in Ho sposato un comunista, ci sono più affinità di quanto possa apparire a un’osservazione superficiale. Tiziana Rinaldi Castro lo lascia intendere già nell’incipit, quando la sacerdotessa vudù Adebambo chiede alla protagonista, che le si affida per uscire dall’alcolismo e recuperare il rapporto con la sua bambina, di raccontargli il mito dell’arcangelo con la spada. «No, Mama, la storia la conosci già», è la risposta che annulla immediatamente le distanze tra un sud magico e la memoria profonda dell’Africa nera, che si può cogliere solo rileggendo alla rovescia il sogno americano.

Se nello spazio interiore della scrittrice i due mondi si toccano in maniera sorprendente, a separarli è invece il tempo storico. Il Mezzogiorno di Tiziana Rinaldi Castro è quello idealizzato dell’infanzia o della prima gioventù, circoscritto alla dimensione familiare, popolato di figure femminili che avranno un ruolo centrale nella biografia della protagonista e nelle sue scelte future.

La scoperta dell’America rappresenta invece l’incontro con il mondo, ricco di colpi di scena, a cominciare dalla relazione con un narcotrafficante cubano in cerca di redenzione come lei attraverso la religione yoruba ma inseguito da Cia e Fbi, al quale toccherà una sorte simile a quella di Che Guevara. «Amavo quest’uomo, le sue passioni limpide e serene, senza dipendenza: i ponti, le dighe, la poesia, Miles Davis, la chitarra, la filosofia yoruba, la rumba, il cibo, e persino le donne», arriva a dire la protagonista, senza tacere nulla dei tanti lati oscuri della vita di quest’ultimo: il furto di un carico di cocaina, un duplice omicidio, un trasporto di armi in Salvador quanto mai spericolato. Insieme a lui la protagonista visita la terra dei Tarahumara, omaggio esplicito ad Antonin Artaud, e il deserto di Sonora in Arizona, attraversando gli States in un on the road amoroso e avventuroso, alla ricerca di se stessa. Ma sarà nella New York della cultura yoruba che l’alter ego della scrittrice recupererà la serenità necessaria per fare i conti con i motivi che l’avevano spinta a partire.

Quello di Tiziana Rinaldi Castro non è l’ennesimo racconto di una expat dei nostri giorni, colta e alla ricerca di un luogo che le calzi a pennello come un vestito nuovo, e che a un giro di boa della vita riscopre le origini dalle quali era fuggita. Piuttosto, è il romanzo di una trasformazione individuale che permette alla protagonista di tornare senza rimpianti a fare i conti con i fantasmi del suo passato e riconciliarsi con esso.

Da «italiana d’America», come l’ha definita Domenico Starnone su Internazionale, Rinaldi Castro racconta una New York inusuale e sconosciuta ai più, nell’Harlem degli anni Ottanta che era tutt’altro da quella ipergentrificata di oggi e per la quale pure mostra di nutrire un pizzico di nostalgia. È difficile trovare nel panorama letterario italiano odierno scrittori che sappiano andare così lontano.