Liberi e uguali è andata male al voto, «un risultato al di sotto delle aspettative e delle necessità», ma per salvarsi Sinistra italiana non si aggrapperà alla zattera del centrosinistra: perché quella zattera a sua volta sta affondando. Ora i «compagni» di Mdp sono ufficialmente avvertiti.

Ieri a Roma la prima giornata dell’assemblea nazionale di Sinistra italiana. Oltre cinquanta interventi, un dibattito schietto e aperto e senza innocenti su tutto quello che non ha funzionato, che è tanto, nella lista e a casa propria. Un confronto che è merce rara dopo il 4 marzo: a sinistra non se n’è visto uno così, dal Pd procedendo verso sinistra. Ieri, alla fine, anche Mdp ha convocato la sua assemblea per il 12 maggio. Il segretario Nicola Fratoianni, che in qualche modo rimette il mandato («decideremo insieme», dice) premette una proposta di iniziativa contro le bombe in Siria. Ma il cuore del discorso è sbrogliare la matassa del futuro della sinistra svuotata di voti da M5S. Mdp predica che Leu si trasformi in partito unitario, e i suoi parlamentari riallacciano i fili con gli ex del Pd. Fratoianni dice sì a Leu perché è la strada «della costruzione di una sinistra politica adeguata alla contemporaneità, che abbia come suo tema fondativo la lotta alle diseguaglianze». Ma per Si, e non da oggi, non è la strada che porta al centrosinistra: formula «identificata con le politiche dell’ “establishment” corresponsabile della condizione sociale dei molti». È l’opposto dell’analisi di Massimo D’Alema e di Mdp. La conseguenza non è sulle imminenti amministrative, dove si procede in ordine sparso, ma sulle europee del 2019: «La strada del rapporto privilegiato con il socialismo europeo per noi è senza uscita e del tutto improponibile», dice Fratoianni. Altro macigno sulla via unitaria di Leu.

C’è chi non la pensa così, nel senso che porta a conseguenza il ragionamento. Claudio Riccio, che all’ultimo congresso ha guidato la confluenza dell’associazione Act nel partito, ha raccolto trecento firme su una «verifica» dell’accordo con Leu che nei fatti è una ritirata dal soggetto unitario. Nessuno crede sul serio a questa confluenza, spiega Riccio, «con Mdp non c’è accordo sulle prossime amministrative, sull’analisi dei 5 stelle, sul Pd, sul reddito di cittadinanza, e infatti siamo afoni», «inutile un altro processo costituente che non costituisce nulla, o arrivare agonizzanti all’ennesimo cartello per le europee».

Il voto europeo sarà uno spartiacque: la famiglia socialista a Bruxelles è alla vigilia di un terremoto (se non della sua sparizione), Mdp ha tutti i suoi eletti nel gruppo Socialisti&Democratici e fin qui non sembra dell’avviso di far loro cambiare casa. In Sinistra italiana la ’questione europea’ è dalla nascita un dibattito mai affrontato davvero. In famiglia, accanto all’europeismo spinelliano ci sono posizioni più radicali: «La parabola della sinistra segue quella dello stato nazionale», dice dal palco Stefano Fassina, «dobbiamo decidere se stare con il ’movimento comune’ di Libona fra France Insoumise, Podemos e la portoghese Bloco de Izquerda, oppure con Varoufakis e De Magistris»; ma poi in Italia invita a «costruire Liberi e uguali come spazio politico plurale». Riccio per le Europee guarda a sinistra, anche a Potere al popolo, per una lista costruita per tempo che non rompa il fronte antiliberista. Ma quanto al fronte italiano, propone di non andare all’assemblea de Leu (era stata pensata il 27 maggio, potrebbe slittare). Buona parte degli interventi spinge per non «innestare la marcia indietro» verso un ritorno a Sinistra italiana (Tino Magni), d’altro canto uno dei bersagli della discussione, soprattutto dei toscani, è il presidente Enrico Rossi, il più sbilanciato su posizioni coalizioniste con il Pd: «non ha senso riappiccicare i cocci del centrosinistra ormai morto e sepolto» (Daniela Lastri), «noi facciamo la battaglia contro l’aeroporto e ce lo troviamo a favore» (Alessia Petraglia). Insomma «è chiaro che non possiamo tornare indietro ma dobbiamo capire come andare avanti» (Angelo Fredda), «se dobbiamo chiudere Leu o chiuderci in Leu» (Peppino Buondonno). «Non possiamo raccontarci la favola di una ripartenza egemonizzando Leu» (Paola Natalicchio) , eppure «se in Leu c’era un problema di crediubilità non possiamo cavarcela con l’ipocrisia di dire che è solo colpa degli altri» (Peppe De Cristofaro), «anziché non andare all’assemblea di Leu andiamoci e apriamo una contraddizione pubblica, imponiamo un’agenda, rovesciamola. Senza di noi Leu non esiste (Luca Casarini), «Bisogna andare oltre nella costruzione di un polo più ampio, progressista, che ricostruisce a partire dai territori una nostra utilità sociale e politica» (Paolo Cento).

Oggi si continua (all’Hotel Radisson, via Turati). Parleranno i ’padri nobili’ Vendola e Mussi. Il documento dei 300 potrebbe non diventare il testo su cui contarsi. A patto che nelle conclusioni Fratoianni trovi la strada, difficile, per convincere anche chi vuole rompere con Leu.