È un’ipnotica magia quella creata da Grazia Toderi in Red Map, prima mostra personale da lei tenuta (fino al 17 maggio) alla Braverman Gallery di Tel Aviv, in Israele. L’intero suo percorso artistico deriva da uno stupore infantile: nel 1969, all’età di sei anni, assiste alla diretta dello sbarco dell’uomo sulla Luna. Se fare parte della prima generazione cresciuta con la televisione la induce a scegliere il video come medium, lo stupore di fronte all’allunaggio la rende consapevole dell’esistenza di un mondo diverso dalla Terra, privo di forza di gravità. È la comune assenza di gravità tra il cosmo e l’acqua a spiegare il ricorrere di quest’ultima nei primi video, tra cui Zuppa dell’eternità e luce improvvisa (1994) dove l’artista, vestita di impermeabile e immersa in un ambiente subacqueo, tenta di compiere le azioni quotidiane del camminare o dell’aprire un ombrello.
Da allora il suo lavoro è una ricerca della leggerezza data dall’assenza di gravità, ottenibile distaccandosi dalla contingenza del mondo per proiettarsi nella dimensione infinita del cosmo. «L’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo»: così il celebre passo di Italo Calvino descrive la leggerezza» nell’omonimo saggio, riferendosi a Calvalcanti nelle cui poesie i personaggi «sono sospiri, raggi luminosi, immagini ottiche».
Possono definirsi sospiri, raggi luminosi e immagini ottiche anche le opere in mostra in Israele, dove Toderi espose per la prima volta nel 1996 nella collettiva al Teddy Kollek Stadium di Gerusalemme, da cui nacque l’idea di riprendere uno stadio dall’alto in Il decollo (1998). Non è dunque un caso che, di nuovo in Israele, proponga la medesima direzione dello sguardo dall’alto verso il basso – ricorrente dal 1998 nelle vedute costituenti i suoi video – anche come modalità percettiva con cui il visitatore può osservare Red Map.
In Red Map infatti, due proiezioni sono irradiate per la prima volta dall’alto, l’una sul pavimento e l’altra divisa tra il muro e il suolo. Entrambe si compongono di cinque vedute ovoidali che, muovendosi circolarmente, si sovrappongono l’una sull’altra. Corrispondono a stratificazioni di immagini notturne di città e di luci tese a creare nuove geografie in continua trasformazione, luminose e rossastre in quanto rossa è la tonalità dell’aria illuminata artificialmente. La loro forma ovoidale rinvia al planisfero, nonché al concetto di orbita condiviso dalla Terra, dalle stelle e dai nostri occhi. È sempre Calvino, ne Le città invisibili, a postulare tale legame tra città terrestri, volta celeste e vita dell’uomo: «il calendario della città è regolato in modo che lavori e uffici e cerimonie si dispongono in una mappa che corrisponde al firmamento in quella data».
Se è vero che Red Map fa parte di una serie di video costituiti da visioni aeree urbane notturne, la possibilità di esporre in Israele ha indotto l’artista a riflettere ancor più sugli strati delle città costruiti dal tempo e dalle nostre esperienze. Israele è infatti terra dai continui mutamenti urbanistici, sociali, culturali e dai confini in perpetua ridefinizione; è per questo terra stratificata e costellata nei secoli da mura che si innalzano e da mura che crollano. Da qui la scelta di irradiare una delle due proiezioni a terra e l’altra divisa tra il muro e il suolo. Sulla parete, la cascata di segni luminosi che circolarmente scendono e risalgono assume peraltro un valore simbolico, quasi sacrale, così come la notte evocata in Red Map e ricorrente nella produzione dell’artista.
La notte è il tempo del sogno e della concentrazione: mostra l’infinità dell’Universo mappato da punti-luce (le stelle) che giungono a noi dopo migliaia di anni. Ma le luci stesse delle città, se viste di notte, da lontano e dall’alto producono una visione analoga. Per questa ragione Toderi ha raccolto negli anni un archivio di immagini con cui crea stratificazioni fotografiche di città che si trasformano in altre città e di luci che appaiono e scompaiono.
Da tale fascinazione per la luce, capace di percorrere tempo e spazi infiniti, deriva anche l’utilizzo del proiettore. Come l’artista spiega, il proiettore è una piccola stella, è un fascio di luce che se incontra una superficie si fa immagine, ma se rivolto in alto trasmette quell’immagine nell’Universo, a qualcuno che forse, in un altro pianeta e anni luce dopo, potrà vederla.
A Tel Aviv sono esposti anche nuovi disegni, Disappearing map (2018), raffiguranti mappe di città che sovrapponendosi appaiono o scompaiono, e il video Scala Nera (2006) sul teatro dell’opera inteso quale piccola città dove l’immaginario è in continua trasformazione.
Oltre a essere magico, il lavoro di Grazia Toderi è sempre democratico perché concepito come dono a libera disposizione del demos, dell’intero pubblico senza distinzioni di età, di sesso, di lingua, di status sociale o culturale. La città proiettata non esiste; appartiene perciò a tutti e induce a cercare di riconoscervi luoghi a noi familiari. Lo stesso fa il suono di sottofondo che non include la parola e dunque una lingua specifica, ma nasce dalla fusione di rumori diversi, universalmente comprensibili ed evocanti il suono interno alla nostra testa. Inoltre l’artista non pone mai fine all’inizio: già le sue prime riprese su nastro anticipavano il successivo utilizzo del loop per evocare un tempo infinito dove l’immagine rimane sempre la stessa, non essendoci montaggio. I suoi video non sconfinano pertanto nel cinema, ma nella pittura: come dipinti, attendono il nostro sguardo offrendoci un’immagine che potremo osservare in ogni momento e per quanto tempo desideriamo. In aggiunta, in Red Map, la proiezione al suolo ci permette per la prima volta di esperirla a 360°, girandole attorno, mentre la proiezione divisa tra suolo e parete evoca un prospetto 3D di città, e, rendendo visibili con la sua luce i dettagli del muro, rende inscindibili l’immagine, l’architettura e il nostro sguardo.