L’onda Sì Tav che si allargò su Torino gremendo per due volte la centrale piazza Castello si è trasformata in un rigagnolo, disseccata da una sovraesposizione politica che ha stancato la città, alle prese con altri guai. La terza grande manifestazione di massa convocata dalle autoproclamate «madamin», che nel tempo sono passate da sette a cinque, non ha superato le 5mila presenze, lontano quindi dalle folle di novembre e dicembre.

APPUNTAMENTO IERI mattina in piazza Vittorio, semi vuota e sotto un cielo minaccioso, e corteo lungo la stretta via Po alla volta di piazza Castello, punto d’arrivo: un chilometro di sfilata nell’indifferenza dello shopping del sabato, qualche comizio all’arrivo e poi tutti a casa. Molte foto, molti striscioni colorati: alcuni ancora inneggianti a referendum sul Tav, ormai nel cassetto dei ricordi, altri al futuro e al lavoro.

«Sì Tav subito», dietro queste parole e sulle note dell’Inno alla gioia di Beethoven – per sottolineare il carattere filo europeo della manifestazione – in un tripudio di palloncini e bandiere blu e gialle dell’Unione europea, i manifestanti hanno chiesto che la maxi opera non si faccia in versione «mini», che il governo non inventi nuove mosse per rallentare i lavori, e infine che si completi l’autostrada Asti-Cuneo. Quest’ultima richiesta aggiunta evidentemente per fare numero e recuperare partecipanti, dato che nei giorni passati lo spettro della piazza vuota si aggirava per la città. Stratagemma di successo perché dal sud del Piemonte sono giunti in molti.

PRESENTE LO STATO maggiore del Pd, con il presidente della regione Sergio Chiamparino in testa, accompagnato da Maria Elena Boschi, Mercedes Bresso e Andrea Giorgis. Così il governatore spiegava la sua presenza a una manifestazione cucita su misura per la sua rincorsa alla destra, in testa nei sondaggi sulle elezioni regionali del 26 maggio: «Il problema della Tav, come altri problemi dello sviluppo, va oltre la campagna elettorale, essere qui in piazza non è fare campagna elettorale, è pensare al futuro e allo sviluppo del Piemonte, bisogna continuare a mantenere alta l’attenzione politica e democratica perché i nodi sono stati solo sono rinviati, non risolti».

ASSENTI I LEGHISTI, offesi per il mancato riconoscimento della vittoria di Matteo Salvini nella trattativa di governo, erano invece presenti esponenti di Forza Italia e Fratelli d’Italia, mentre le uniche bandiere di partito erano quelle dei dem che del Tav hanno fatto il centro della campagna elettorale.

Pochi gli spunti polemici, prettamente contro il M5S che starebbe «bloccando l’Italia con la sua politica», anche se i più ammettevano che il Tav è una battaglia vinta.

IN VIA PO’ UNA SECCHIATA d’acqua centrava un pezzo del corteo, subito seguita da una bandiera rossa con il volto di Che Guevara esposta da un finestra: unico momento di tensione un po’ goliardica. «La Tav, un’opera imprescindibile per il Piemonte e l’Italia», queste le parole utilizzate dai rappresentanti dell’Associazione commercianti e dai piccoli industriali (Api), per spiegare la nutrita presenza in piazza. Decisamente sottodimensionata rispetto alle manifestazioni di novembre e dicembre la presenza sindacale, limitata agli edili di Cisl e Uil. Assente la borghesia torinese, che con la partenza dei bandi lo scorso mese ha decretato la fine della diatriba trentennale.

Soddisfatte le «madamine», che dopo aver rimandato l’appuntamento di un mese temevano il fiasco: «La manifestazione è un successo, siamo contente perché dimostra che Torino e il Piemonte sono compatte per dire Sì Tav subito».