«Urna fatale del mio destino / va’ t’allontana, mi tenti invano» recita nel terzo atto una delle arie più note della Forza del destino di Verdi. Difficile ascoltare a Londra un titolo operistico più evocativo di questo a una settimana dal 29 marzo, data ufficiale per la Brexit posticipata poi in extremis di pochi mesi. Nonostante la serata di gala, giovedì sera alla Royal Opera House serpeggiava una tensione inconsueta, che si raccoglieva nei discorsi del pubblico, finendo per sommarsi all’elettricità delle questioni artistico-musicali, risolte  in un caloroso successo, un vero e proprio trionfo per Antonio Pappano, narratore verdiano come pochi altri, assecondato da un coro in gran forma.

L’ATTESA era in primo luogo per Anna Netrebko, che debuttava nella parte di Leonora, aggiungendo un’altra eroina verdiana alla galleria di parti di soprano lirico spinto e drammatico interpretate nell’ultimo lustro. Qualche nota grave gonfiata e una minore dovizia dei pianissimi non hanno intaccato una prestazione complessivamente sicura, appassionata, anche rigogliosa. Nonostante l’accresciuto volume della voce i momenti migliori restano quelli del raccoglimento lirico, in cui il timbro della cantante russa ritrova la morbidezza dorata degli inizi: basti pensare che il suo debutto londinese risale al 2002, come Servilia nella Clemenza di Tito di Mozart. Molto Verdi e Puccini è passato sotto i ponti da allora.

ALTRETTANTO atteso Jonas Kaufmann, che ha fatto del personaggio di Alvaro uno dei successi nel suo regno monacense. Attore e fraseggiatore più raffinato della sua partner, Kaufmann ha dissipato i dubbi sulle sue condizioni circolati a pochi giorni dalla prima, sfoderando un canto d’intensità bruciante, persino sorprendente, anche se oggi è avvertibile la necessità di negoziare qualche passaggio acuto con un personale falsettone, assai efficace quando non se ne abusi, o ingarbugliando qui e là nella brunitura del timbro la dizione. Molto solido ma meno a fuoco Ludovic Tezier come Carlo di Vargas mentre un terzetto tutto italiano completava il cast: Veronica Simeoni, Preziosilla dalle strabilianti doti sceniche, il padre guardiano di Ferruccio Furlanetto, la cui voce resta un miracolo di longevità, dato condiviso anche per il trascinante Melitone di Alessandro Corbelli.

CREATO nel 2017 a Amsterdam, l’allestimento di Christof Loy e del suo team ambienta il complicato e inverosimile intreccio del libretto di Piave in anni di conflitto sospesi fra la guerra civile spagnola e la fine della seconda guerra mondiale in Italia: interni borghesi più vetusti che tradizionali (ma i valletti neri dell’inizio – fra cui la gloriosa Roberta Alexander – fanno pensare alla Cuba coloniale e perfino a Tarantino ) che si trasformano anche a vista in ambienti aperti: al paesaggio spoglio fa eco la miseria del popolo, fra fame e prostituzione. Le grandi scene di massa nel secondo e nel terzo atto in cui gli elementi buffi, con Preziosilla e Melitone, impongono un forte scarto di registro drammaturgico-musicale sono gestite con gusto e ritmo efficace, giocato fra indiavolati richiami a Offenbach e a rimandi al cinema e alla rivista italiana del dopoguerra, pervasi da un retrogusto acre e dolente. Un tocco fra Buñuel e Patroni Griffi – quanto consapevole? – nella scena della «Vergine degli angeli», con Anna Netrebko trasformata in statua della Madonna da rione popolare. Pleonastiche le occasionali proiezioni dei volti dei protagonisti. La recita 2 aprile sarà diffusa nel circuito cinematografico internazionale, Italia compresa, da una Londra ancora ufficialmente europea.