Nei giorni scorsi, indiscrezioni pubblicate da Bloomberg e New York Times, avrebbero rivelato l’intenzione di Donald Trump di colpire – come è già accaduto con la Huawei –  anche le aziende cinesi impegnate nel mercato della videosorveglianza.

In pratica, Washington potrebbe negare ad altre aziende la fornitura di “componenti” in arrivo dagli Usa. In questo caso, così come per la Huawei, le ragioni sarebbero varie. Non da ultima, ci sarebbe anche l’improvviso afflato umanitario di Trump che dopo aver ignorato le denunce sull’utilizzo di videocamere nello Xinjiang, potrebbe colpire società cinesi proprio perché impegnate a fornire al governo cinese gli strumenti per la violazione dei diritti umani in corso in Cina nella regione nord occidentale a maggioranza uigura, un’etnia turcofona e musulmana.

Ovviamente l’intento di Trump, come al solito, è molto pratico: il tentativo è quello di colpire un altro ambito fondamentale nel piano Made in China 2025 di Pechino. L’amministrazione Usa ha compreso che la Cina è più avanti degli Stati Uniti e sta provando in ogni modo a rallentare la corsa di Pechino.

Trump – inoltre – non fa i conti con il dinamismo e la straordinaria difficoltà del mercato cinese, capace di portare le aziende a un livello altissimo di “tenuta” rispetto a minacce e problematiche.

L’ultima minaccia di Trump, in ogni caso, è collegata con un mercato in continua espansione. E che ci riguarda.

Nel giugno del 2017, il Corriere della Sera scriveva che “La Consip, la centrale per gli acquisti dello Stato, ha bandito una gara per la videosorveglianza nelle sedi della pubblica amministrazione. Due lotti, per un valore complessivo di 42,4 milioni di euro, sono stati vinti da una ditta che utilizza telecamere del produttore cinese Hikvision. E il Movimento 5 stelle, in un’interrogazione presentata alla Camera, chiede al governo di valutare se questo possa «rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale».

Il 15 maggio scorso la città di San Francisco si è segnalata nelle cronache internazionali, perché è diventata la prima città degli Stati Uniti a vietare l’uso della tecnologia di riconoscimento facciale da parte della polizia o di altre agenzie governative.

Di fronte a questa decisione, è arrivata una reazione dalla Cina: “I governi dovrebbero emanare norme, invece di limitare l’uso dei sistemi di riconoscimento facciale. Ci dovrebbero essere linee guida standard per determinare in quali condizioni possono essere utilizzate determinate tecnologie emergenti”. Parole di Xu Li, co-fondatore e amministratore delegato di SenseTime, una delle aziende cinesi leader del mercato della videosorveglianza.

Questi due eventi, a distanza di due anni, tornano particolarmente di attualità per due motivi: la Consip di recente, ad aprile, ha lanciato un altro bando di gara; e Donald Trump la settimana scorsa ha preso di mira il settore della videosorveglianza cinese, tanto che si parla in modo insistente di un nuovo caso Huawei: a breve alcune aziende cinesi – leader mondiali del settore – potrebbero non poter acquistare più componentistica americana.

L’azienda che l’amministrazione Usa ha preso di mira – in particolare – è l’Hikvision (si tratta della società al centro dell’interrogazione parlamentare del 2017 da parte dei Cinque stelle che nel frattempo sembra abbiano totalmente cambiato idea sulla Cina. E a proposito, che fine ha fatto la Cina nei piani dell’attuale governo?).

Il mercato della videosorveglianza è in grande spolvero in Cina. Basta camminare per una qualsiasi città cinese, per scovare telecamere ovunque. Di recente una pubblicità di China Mobile è diventata virale su WeChat (e anche sui social occidentali): per mostrare le straordinarie capacità de 5G nel video vengono mostrati tutti gli utilizzi securitari di questa straordinaria rapidità di calcolo degli algoritmi.

Secondo una ricerca di IHS Markit del 2018, “Il mercato globale delle telecamere di sicurezza è cresciuto del 10%, fino a 18,5 miliardi di dollari, spinto dall’aumento della spesa pubblica per le attrezzature per combattere la criminalità e il terrorismo”. Quello cinese è uno dei mercati più in espansione, anche a causa delle richieste, come vedremo, che arrivano direttamente dallo Stato.

Il mercato cinese delle apparecchiature di videosorveglianza professionale sarebbe cresciuto – secondo IHS – del 14,7%, più veloce della crescita del 5,5% nel resto del mondo. “La Cina aveva circa 176 milioni di telecamere di sorveglianza in funzione nel 2016. Entro il 2022, il numero dovrebbe raggiungere 2,76 miliardi, in un paese con una popolazione di 1,4 miliardi di persone”.

Questa impennata, secondo il South China Morning Post, dipende in gran parte dalle decisioni della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma, “il principale pianificatore economico cinese”. Secondo un report della commissione la Cina mirerebbe a creare “onnipresente, pienamente collegato, sempre funzionante e pienamente controllabile sistema di videosorveglianza nazionale a tutti i livelli entro il 2020”.

Una delle aziende più rappresentative di questa espansione della videosorveglianza in Cina è sicuramente Hikvision. Si tratta, intanto, di un’azienda di stato, che lavora prevalentemente per l’apparato securitario statale della Cina.

Secondo il report IHS Markit, nel 2017 Hikvision ha una quota di mercato del 21,4% per quanto riguarda la videosorveglianza a circuito chiuso. “La rapida ascesa di Hikvision – ha scritto il South China Morning Post – arriva grazie al boom della domanda di sorveglianza pubblica da parte del governo cinese. Il progetto cinese Skynet, un sistema di sorveglianza nazionale volto a “combattere la criminalità e prevenire possibili catastrofi”, secondo le autorità, ha prodotto oltre 20 milioni di telecamere installate negli spazi pubblici nelle città cinesi nel 2017, mentre il Progetto Sharp Eye ha esteso la videosorveglianza anche nelle zone rurali aree della Cina, secondo quanto riportato dai media di stato”.

Hikvision nasce nel 2001. Oggi il 42 per cento della società è controllato da imprese statali: la Cina Electronics Technology HIK Group che detiene il 39,6 per cento della società e ne è il maggiore azionista.

Il presidente è Chen Zongnian, 54 anni; ha fondato Hikvision con due ex allievi dell’Università di Scienze e Tecnologia di Huazhong, “quando lavorava in una divisione di ricerca della China Electronics Technology Group Corporation”.

Hikvision vende in tutto il mondo e ora la domanda da porsi è la seguente: può essere messa in difficoltà dall’eventuale ban di Trump? Quanto la sua componentistica dipende dalle forniture di aziende americane? Se per quanto riguarda i dati dobbiamo gioco-forza fidarci dei numeri forniti dalle aziende, ben poco possiamo sapere dei progetti portati avanti all’interno dei centri di ricerca cinesi, che possono diventare – così come in altre parti del mondo – segreti industriali.

Quello che oggi, però, appare chiaro – in attesa di sapere la black list dei prodotti americani annunciata proprio oggi da Pechino – che lo scontro tra Cina e Usa è sempre più hi-tech. E la foga dell’amministrazione Usa ci dice anche che in questo momento il mercato interno cinese e il sostegno statale ad alcune aziende di punta, ha reso la Cina avvantaggiata rispetto agli Stati Uniti.

Infine, questa guerra ci dirà qualcosa di più anche della Cina: i manager delle principali aziende cinesi, oltre a Hikvision, impegnate nella videosorveglianza, sono tutti giovani e a proprio agio nel gestire anche mediaticamente questo improvviso attacco americano.