«Sono stato molestato sessualmente per tanto tempo, e oltre cento volte, e queste molestie sessuali mi hanno provocato traumi e flashback per tutta la vita. Fa fatica vivere la vita, fa fatica stare insieme alla gente, avere rapporti con le persone, anche con la mia famiglia e i miei amici».

Sono le parole di uomo, asiatico, vittima, da quando era bambino, di un prete pedofilo, che irrompono di prima mattina nell’aula nuova del Sinodo, dove sono riuniti i 190 cardinali, vescovi, presidenti delle conferenze episcopali e superiori generali di tutto il mondo partecipanti all’incontro sulla «Protezione dei minori nella Chiesa». «Ogni volta che ho parlato con i provinciali e con i superiori maggiori, questi hanno regolarmente coperto il problema, coperto gli abusatori, e questo a volte mi uccide», prosegue l’uomo, che ora chiede «di produrre azioni severe che realmente rimettano in riga gli abusatori», che li «indichino con nome e cognome», che «li puniscano».

È una delle cinque testimonianze video delle vittime di abusi sessuali – le identità non sono state divulgate all’esterno dell’aula – con cui papa Francesco ha voluto che fosse aperto il summit sulla pedofilia nella Chiesa, immediatamente prima del suo intervento. Parla un altro uomo, dal Cile, dove è esploso l’ultimo scandalo in ordine di tempo, attorno al pedofilo seriale don Fernando Karadima, per anni parroco a Santiago, nel 2011 condannato dalla Santa sede per abusi su minori (ma sono oltre ottanta i preti cileni coinvolti in abusi sessuali su minori dal 2000 ad oggi), e ai vescovi a lui più vicini (ne sono stati rimossi nove): «È difficile parlare dell’abuso sessuale subìto», racconta, ma mi decido e «vado a raccontare tutto a santa madre Chiesa, dove penso che mi ascolteranno e mi rispetteranno. Ma la prima cosa che hanno fatto è stata di trattarmi da bugiardo, voltarmi le spalle e dirmi che io, e altri, eravamo nemici della Chiesa.

Questo è uno schema che non esiste soltanto in Cile: esiste in tutto il mondo, e questo deve finire». E rivolgendosi direttamente ai partecipanti all’incontro: «Voi siete i medici dell’anima e tuttavia, salvo rare eccezioni, vi siete trasformati, in alcuni casi, in assassini dell’anima, in assassini della fede. Vediamo solo la punta dell’iceberg. Nonostante la Chiesa affermi che è tutto finito, continuano a emergere casi: perché? Perché si procede come quando ci si trova di fronte a un tumore: si deve trattare tutto il tumore, non limitarsi a rimuoverlo; quindi serve la chemioterapia, la radioterapia, bisogna fare dei trattamenti. Non serve estirpare il tumore e basta».

Una prassi, quella di ignorare e anzi di aggredire le vittime, confermata anche da un prete abusato quando era adolescente, oggi 53enne, dell’Europa dell’est: «Andavo dal prete perché mi insegnasse come leggere la Scrittura durante la messa, e lui toccava le mie parti intime – racconta –. Ho passato una notte nel suo letto. Dopo molti anni, da adulto, ho parlato dell’accaduto al vescovo, gli ho scritto, ma non mi ha mai risposto», anzi quando «l’ho incontrato, mi ha attaccato senza tentare di comprendermi».

«Dall’età di quindici anni ho avuto relazioni sessuali con un prete, questo è durato tredici anni. Sono rimasta incinta tre volte e tre volte mi ha fatto abortire, molto semplicemente perché egli non voleva usare profilattici o metodi contraccettivi», racconta una donna africana. «Avevo paura di lui – continua – e ogni volta che mi rifiutavo di avere rapporti sessuali con lui, mi picchiava. E siccome ero completamente dipendente da lui economicamente, ho subito tutte le umiliazioni che mi infliggeva. Avevamo questi rapporti sia a casa sua nel villaggio che nel centro di accoglienza diocesano. In questa relazione non avevo il diritto di avere dei ragazzi; ogni volta che ne avevo uno e lui veniva a saperlo, mi picchiava. Era la condizione perché mi aiutasse economicamente… Mi dava tutto quello che volevo, quando accettavo di avere rapporti sessuali; altrimenti mi picchiava. Sento di avere una vita distrutta. Ho subito così tante umiliazioni in questa relazione che non so che cosa mi riservi il futuro».