Rogo rifiuti a Pascarola, il grande business degli incendi in serie

Rogo rifiuti a Pascarola, il grande business degli incendi in serie
di Daniela De Crescenzo
Venerdì 27 Luglio 2018, 07:00
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Quattro incendi nei capannoni che accumulano rifiuti in meno di due mesi sono troppi per non domandarsi cosa stia succedendo in Campania, visto che il fuoco è sempre stato il mezzo più rapido ed economico per sottrarre prove, liberare spazi in discarica, attivare il business della rimozione dei rifiuti speciali. La camorra lo ha usato senza risparmio anche se nelle inchieste giudiziarie ne sono rimaste poche tracce perché si tratta spesso di procedimenti contro ignoti destinati a chiudersi con un nulla di fatto.
 
Le ipotesi su mandati ed esecutori sono tante, la prima l'ha avanzata proprio Giuseppe Di Gennaro, presidente della società che gestisce il sito andato alle fiamme mercoledì che in un'intervista al Mattino ha detto: «È come se dietro questi episodi agisse una regia accorta di natura criminale, che forse ha lo scopo di far saltare il già delicato e precario equilibrio sul quale si regge l'intero sistema della raccolta differenziata». La seconda ipotesi viene però suggerita dai comitati Stopbiocidio: «La politica non sa cosa farsene della munnezza. Non esiste un ciclo di smaltimento rifiuti chiuso e allora via libera e spazio agli speculatori. A Pascarola bruciano ancora tonnellate di rifiuti differenziati che adesso diventano speciali e andranno rimossi a cifre esorbitanti». Ed è certamente vero che smaltire i combusti costa molto di più che non liberarsi di plastica e cartone. La terza ipotesi è quella classica del facite ammuina: se si brucia, se si creano problemi, si può sperare in una nuova emergenza che giustifiche appalti di urgenza e scarse verifiche. La quarta ipotesi, ed è la più inquietante, è che il fuoco potrebbe essere l'arma di chi spera di creare spazio per i rifiuti che si continuano a produrre e non si sa dove sistemare. E, naturalmente, non si può escludere che il fuoco sia stato appiccato per una combinazione di tanti e diversi motivi.

Basta però guardare la relazione della commissione ecomafie approvata il 17 gennaio del 2018 per rendersi conto che, nelle vicende delle ultime settimane, qualcosa non quadra. Fino al 2014, alle Procure italiane era stata segnalata la combustione di undici impianti e di nessuna discarica. Tra il 2014 e il 2017 sono andati alle fiamme 218 impianti e 32 discariche con un'impennata proprio nell'ultimo anno. Ma la Campania fino ai primi di giugno non era una delle Regioni a maggior rischio, tanto che nella sua relazione finale la commissione scriveva: «La distribuzione territoriale vede una prevalenza di eventi al Nord».

In tre anni, tra il 2014 e il 2017, nei depositi e nelle discariche campane (ovviamente diverso è il discorso degli incendi dei cumuli provocati dagli abbandoni incontrollati) si sono registrati 22 roghi, spesso in zone sensibili, soprattutto sversatoi e aree adiacenti ai campi rom. In due mesi, dai primi di giugno ad oggi, ce ne sono stati quattro: sono andati alle fiamme i rifiuti accumulati nello stir di Battipaglia, quelli dell'azienda salernitana Nappi, quelli dei Bruscino a San Vitaliano e quelli della De Gennaro a Caivano. Un record sul quale si interrogano, evidentemente, gli inquirenti che in questi mesi hanno chiesto all'Arpac numerosi controlli, uno di questi qualche settimana fa proprio nel sito bruciato mercoledì, i cui risultati sono ovviamente top secret.

Poi ci sono i controlli per così dire ordinari. «Gli impianti sottoposti ad Aia vengono controllati continuamente spiega il commissario straordinario dell'Arpac, Luigi Stefano Sorvino e se si rilevano irregolarità partono le segnalazioni». Ma nonostante l'attenzione di tecnici e forze dell'ordine i capannoni, lo raccontano tutti quelli che li hanno visitati, restano ingombri. Negli impianti di tritovagliatura, secondo il responsabile ambiente di Forza Italia della Campania, Giovanni Romano, si sarebbero accumulati nell'ultimo anno 70 mila tonnellate che, aggiunte a quelle che c'erano già prima, avrebbero fatto segnare il record delle 130 mila tonnellate. E poi ci sono i depositi gestiti dai privati dove si lavorano i rifiuti separati o derivati dalla raccolta differenziata. «Spesso i privati aiutano i Comuni trattando i rifiuti che possono essere ricevuti dagli stir», spiega Romano. E quindi nei capannoni si accumula di tutto un po'. Come se non bastasse la situazione è aggravata dallo stop della Cina che ha fermato il mercato di carta, cartone e plastica e ora anche questi materiali ingombrano perfino i piazzali.
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