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Nella Russia del 1917 i dieci giorni che sconvolsero il mondo

Al Teatro Verdi di Trieste terzo incontro targato Laterza dedicato alle “Rivoluzioni!” con lo storico Angelo D’Orsi

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Domenica 13 gennaio, al Verdi di Trieste, si è tenuto il terzo incontro delle Lezioni di Storia, promosse dal Comune di Trieste, ideate dagli Editori Laterza con il contributo della Fondazione CRTrieste e la media partnership de “Il Piccolo”. Titolo dei sei incontri: “Rivoluzione!”.

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ANGELO D'ORSI

TRIESTE A distanza di oltre un secolo, il 1917, “l’anno della rivoluzione” è ancora presente nella coscienza e nella discussione pubblica in Russia, tra reiterate condanne e ritrovati entusiasmi in una fase storica in cui lo scontento dei popoli sembra montare come un’onda che rischia di diventare un travolgente tsunami. Proprio sullo scontento popolare, nell’anno più difficile della Grande Guerra, si innesta l’azione dei rivoluzionari russi, che, sulla base dell’esperienza tragica del 1905, provocano il crollo del pluricentenario impero dei Romanov, nel marzo 1917.

[[(MediaPublishingQueue2014v1) Platea piena per l'illustre Angelo D’Orsi FOTO]]

Si tratta soltanto di una fase che, come intuì un giovane Antonio Gramsci, è una tappa che non avrebbe potuto che condurre a una seconda rivoluzione, non più soltanto politico-istituzionale, ma economica e sociale: un cambiamento delle classi al potere.

I mesi da marzo a novembre sono drammatici, in Russia, percorsa da centinaia di migliaia di disertori, di soldati sbandati, di mendicanti, un Paese in preda alla carestia, con il forte esercito germanico che preme alle frontiere. I cosiddetti governi provvisori, sorti dopo l’abdicazione dello zar Nicola II, sono costretti a dividere il potere con i Soviet, partoriti dalla fallita rivoluzione del 1905: queste assemblee di soldati, marinai, contadini e operai si diffondono a macchia d’olio, diventando un autentico contropotere. E nel loro seno in quei pochi mesi cresce la forza dei bolscevichi, frazione del Partito operaio socialdemocratico russo, con un salto di qualità prodotto dal ritorno in Russia di Lenin, dopo oltre un quindicennio di esilio in Svizzera.

Le sue "Tesi d’aprile", abbozzate nel famoso treno che attraverso la Germania e la Scandinavia lo ricondurrà in patria, sono l’inizio di un’accelerazione del tempo storico, una formidabile spinta alla seconda rivoluzione, quella che dovrà ribaltare i rapporti sociali: gli stessi compagni di partito, compresi i bolscevichi, esitano, ma la caparbietà di Vladimir Ilic vince ogni resistenza. Lenin conferma nel vivo della lotta, in situazioni estreme, le proprie capacità, frutto anche di una eccezionale preparazione teorica. La principale sua virtù è sapere analizzare concretamente le situazioni concrete, secondo la sua ben nota formula, ma altresì la duttilità pragmatica, che respinge ogni forma di dogmatismo, che induce non pochi ad accusarlo di “leso marxismo”. Le basi teoriche, la sagacia politica, la duttilità tattica di Lenin, lo identificano come l’autentico demiurgo della rivoluzione. Come riconoscerà Trockij, “tutti noi abbiamo fatto qualcosa, ma senza Lenin la rivoluzione non ci sarebbe stata”.

In vero, fin dal suo ritorno in Russia egli appare un politico pratico, dotato di bagaglio teorico, capace di adunare intorno alla frazione bolscevica un gruppo coeso di uomini e donne in grado di insinuarsi in tutti i gangli della società e delle istituzioni, e condurli alla presa del potere.

Nell’estate scrive "Stato e rivoluzione", che affronta il tema del “che fare” dopo la conquista del potere: in fondo la rivoluzione è facile, può andare bene o male, ma è rapida; il compito improbo è la gestione del potere, la costruzione di uno Stato che dovrà essere nuovo, non il vecchio Stato borghese a cui semplicemente si cambia guidatore e direzione. L’opera rimarrà incompiuta per il sopraggiungere di “altri impegni” come scrive sornione l’autore. Rientrato clandestinamente a Pietrogrado, dopo essere stato bandito dal Governo Kerenskij, che ha spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti, nascosto in un appartamento di periferia, Lenin lancia, prima dell’alba del 7 novembre, l’assalto finale. È l’avvio dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, per riprendere il titolo del celebre resoconto del giornalista statunitense John Reed.

Per la prima volta nella storia dell’umanità, usciranno dall’ombra milioni di esseri umani che sembravano condannati in eterno alla sottomissione e al silenzio. La Rivoluzione del 1917 li pone alla luce del mondo, e dà loro la parola. E, contrariamente a un diffuso luogo comune, il 7 novembre non è un “colpo di Stato”, ma l’esito di un processo lungo, difficoltoso, in cui lo studio e la lotta, le persecuzioni, il sacrificio hanno formato una leadership di rivoluzionari di professione, che resistendo alle forze interne della controrivoluzione e a quelle esterne delle potenze imperialistiche, innalzeranno la rossa bandiera sul Palazzo d’Inverno. –


 

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