Il Tirreno

Pontedera

festa al villaggio per don angelo cuter 

Cinquant’anni di servizio per il prete che costruì la parrocchia del Sacro Cuore

Pietro Mattonai
Cinquant’anni di servizio per il prete che costruì la parrocchia del Sacro Cuore

Il sacerdote: «Soddisfatto della mia comunità, che s’impegna ogni giorno senza aver paura dell’extracomunitario». Il sindaco: «Con lui dialogo e armonia»

26 marzo 2019
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pontedera. «Ho sempre tanto entusiasmo dentro di me: è stata una giornata bellissima». Sorride don Angelo Cuter, che sabato ha festeggiato i suoi cinquant’anni di servizio a Pontedera. E raccogliere cinquant’anni di vita in qualche riga non è certo semplice. Ancor di più se sono 50 anni di storia di un quartiere, di una parrocchia e di una città intera. Una storia, appunto, che è quella della parrocchia del Sacro Cuore e di don Angelo, il sacerdote che quella parrocchia l’ha costruita giorno dopo giorno.

DAL BERGAMASCO ALLA VALDERA

La storia è cominciata il 23 marzo 1969, quando don Angelo è arrivato a Pontedera. Di famiglia bergamasca, don Angelo ha studiato nel seminario di Pisa e, poco più che trentenne, sostituì don Marcello Rovini nella cappellina della Piaggio. Sì, perché la chiesa del Sacro Cuore ancora non c’era. Fu proprio don Angelo a promuoverne la costruzione, che portò poi alla nascita della parrocchia. La stessa che ha voluto festeggiarlo. «È stato un grande segno di affetto – commenta –. Certo, dire che non me lo aspettavo forse è esagerato, ma non pensavo così tanto». Nonostante la comunità di riferimento, per don Angelo, sia profondamente cambiata. «È normale – continua –. Purtroppo, tanti amici con cui ho condiviso il cammino non ci sono più, ma il Villaggio è un quartiere vivo».

I COLORI DELLA CITTÀ

E non solo le persone sono cambiate. Pontedera, dagli anni Sessanta ad oggi, ha perso la sua impronta prettamente industriale. «Erano tempi diversi – ricorda – tante di quelle caratteristiche ora sono cambiate o si sono perse». Sono cambiati i colori della città, come ha detto anche il sindaco Simone Millozzi. «Al colore blu delle tute dei piaggisti – dice Millozzi – si è sostituito in parte l’arcobaleno dei nuovi cittadini del Villaggio». Ma nonostante tutto, don Angelo è riuscito a non farsi superare dal tempo, sapendo rivolgersi tanto agli operai quanto alle comunità straniere. «Ha sempre portato avanti il dialogo e l’armonia», commenta il primo cittadino.

UN’ALTRA COMUNITÀ

«Sono cambiate tante cose – continua don Angelo – ma ciò non significa che non ci sia un tessuto sociale e culturale vivo». E sulla sua parrocchia, don Angelo è ottimista. «C’è una grande vita di comunità – spiega – ci sono tante persone capaci che si impegnano ogni giorno, senza aver paura dell’extracomunitario». Un tema che, al Villaggio, è sentito, per la presenza di molti stranieri. «Forse si esagera su questa sensazione di paura – prosegue – le differenze ci sono, ma è impensabile che scompaiano in pochi giorni». Per don Angelo, però, l’integrazione è possibile. «Sono sicuro – conclude – che ci sia la capacità di accettazione gli uni degli altri». —

Pietro Mattonai

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