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lunedì, Aprile 29, 2024
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Boss della camorra uccide nella faida, annullata la condanna per omicidio

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Cancellata a sorpresa la sentenza di condanna di anni 20 per l’omicidio di
Polese Carlo avvenuto ad Ercolano il 19.08.2003. La Suprema Corte di Cassazione, I sezione penale, in totale accoglimento del ricorso proposto dall’avvocato Dario Vannetiello, ha cassato in toto la sentenza di condanna emessa in data 23.02.18 dalla Corte di Assise di Appello – seconda sezione penale – relativa ad omicidio di camorra, avvenuto nel pieno della annosa faida tra il clan Ascione- Papale ed il clan Birra – Iacomino, scontri violenti avvenuti ad
Ercolano, cittadina famosa per gli scavi archeologici di epoca romana, insanguinata
dalla faida tra i clan che si contendono il controllo del ridente territorio.

Gli elementi di prova a carico dell’accusato Giorgio Di Bartolomeo – genero
dello storico capoclan Ascione ed in passato già condannato per essere stato il
reggente della consorteria camorristica – sembravano di notevole spessore ed
insuperabili, atteso che vi erano un numero impressionante di collaboratori di
giustizia, ben tredici, tutti convergenti nell’ accusarlo di essere stato l’ esecutore
materiale del delitto.

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A fronte di prove schiaccianti, l’avv. Dario Vannetiello del Foro di Napoli si è
rifugiato in cavilli procedurali, nonché ha sostenuto la invocabilità della legittima
difesa domiciliare, trovandosi il boss, al momento dell’omicidio, presso la privata
abitazione familiare in compagnia della giovane moglie.
Va rilevato che la reazione a cui seguì l’ omicidio, però, non fu commessa per
scongiurare una rapina o un furto, ma per far fuoco contro elementi del clan avverso
prossimi ad entrare in casa con l’intento di eliminare il boss.

Seppur ancora non sono note le motivazioni, la decisione assunta dalla
Suprema Corte potrà essere un faro nella giurisprudenza, essendo il tema della
legittima difesa attualissimo, anche alla luce della riforma tanto agognata dalla Lega.
È la prima decisione adottata dalla Suprema Corte sul tema della legittima
difesa all’indomani della intervenuta riforma, decisione indubbiamente destinata ad
alimentare ulteriori e caldi dibattiti.
Una delle questioni di diritto tra le più interessanti affrontate nel ricorso di cui
si discorre è il seguente: per invocare la legittima difesa è necessario essere titolari
del porto d’armi ?
Sul punto il penalista Dario Vannetiello ha sostenuto che la causa di
giustificazione della legittima difesa è applicabile anche nell’ipotesi di detenzione
abusiva di armi. Ragionando diversamente, si verrebbe a sostenere che hanno diritto a
cautelare la propria incolumità personale con un’arma solo gli incensurati e le
persone dabbene.
Mentre tale possibilità verrebbe preclusa a chi si trovasse in condizioni di
marginalità sociale, come nel caso di specie, nonostante nell’ambiente al margine
della legalità in cui il ricorrente viveva l’omicidio con armi da fuoco costituisse
regola sociale di costante applicazione.
La linea difensiva ha comunque finito per convincere i Giudici capitolini,
nonostante il Procuratore Generale avesse chiesto il rigetto del ricorso alla luce della
sussistenza di un quadro accusatorio che sembrava solidissimo, sorretto dalle
dichiarazioni di tredici collaboratori di giustizia che pero alla fine sono stati
disintegrati dalle penetranti deduzioni difensive.
Dovrà ora attendersi il deposito delle motivazioni da parte della Suprema Corte
al fine di comprendere quali tra le tante critiche sollevate dalla difesa alla sentenza di condanna ha fatto breccia, incrinato il castello accusatorio e portato al clamoroso
annullamento. Un dato è certo: è una sentenza che farà discutere a lungo, dentro e fuori i
Palazzi di Giustizia.

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