16.9 C
Napoli
venerdì, Aprile 19, 2024
PUBBLICITÀ

«Il prete di Caivano ha preso 200mila euro dalla Camorra»: le indagini

PUBBLICITÀ

È durato tre ore l’interrogatorio al cospetto di due pm del pool anticamorra di Napoli. Ha provato ad allontanare da sé un’accusa capace di togliere il sonno a qualsiasi cittadino, figuriamoci per chi ha il compito di guidare una comunità di fedeli. Eccolo Salvatore Barricelli, parroco a Caivano, indagato dalla Dda di Napoli per concorso esterno in associazione camorristica, nell’ambito di uno dei filoni che riguardano il presunto clan Moccia. Un caso delicato, che tiene in allerta i vertici della Curia e che ha comprensibilmente scosso una parte di comunità cattolica abituata a ritrovarsi nella parrocchia di don Salvatore.

Tutto nasce da una intercettazione telefonica ricavata nel corso del filone principale delle indagini sui Moccia, nel corso della quale uno dei due interlocutori fa riferimento al prete come a quello che «si è messo 200mila euro sotto l’abito talare, soldi da portare all’estero, in particolare a San Marino». Possibile? Un parroco che fa da spallone per la presunta potente consorteria criminale che da anni viene indicata come l’antistato per eccellenza? Circostanze sinistre, specie se si pensa che – nei codici linguistici usati da boss e affiliati – i Moccia vengono indicati come «la chiesa» e l’espressione ricorrente «andare in chiesa» o andare dal «papa», ha un solo significato: «Incontrare Luigi Moccia a Roma, il presunto boss della famiglia arrestato nella sua villa ai Parioli.

PUBBLICITÀ

Ma torniamo all’interrogatorio di padre Salvatore. Difeso dal penalista Alfonso Quarto, al cospetto di pm ed esponenti della guardia di finanza, il parroco ha chiarito di non essere mai stato in vita sua in quel di San Marino e di non aver avuto mai richieste da parte di qualcuno di spostare somme di denaro all’estero, tanto da spingere il suo difensore a confidare in una celere archiviazione del caso. Una vicenda che va ricondotta alla retata messa a segno dalla Procura di Gianni Melillo a carico proprio della piramide dei Moccia, un blitz che è stato confermato dal Tribunale del Riesame, che ha rigettato quasi integralmente le richieste di scarcerazione. Decisive le indagini dei pm Ida Teresi e dei colleghi Ivana Fulco e Gianfranco Scarfò, sotto il coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Borrelli, che escono rafforzate dalla valutazione dei giudici, proprio sui punti più controversi del braccio di ferro tra accusa e difesa.

Decima sezione del Tribunale del Riesame (presidente Tommaso Miranda, a latere Caramiello e Faillace), ecco il ragionamento del collegio: «Il complesso degli elementi fattuali è valido a ritenere dimostrata l’esistenza e la perduranza nell’attualità del clan Moccia, attivo nell’area nord orientale della provincia di Napoli». E, alla luce dell’informativa del Ros dello scorso 25 gennaio del 2018, sono sempre i giudici del Riesame ad evidenziare le tecniche usate dai Moccia per sfuggire alla morsa investigativa: come «l’inabissamento», che sarebbe stato attuato mediante «la pubblicizzazione del falso messaggio della dissociazione dei capi, comprovato dal trasferimento a Roma di Luigi Moccia e dalla “morte” del clan».

E non è tutto. È sempre il Riesame a replicare alle istanze difensive dei penalisti Gennaro Lepre e Saverio Senese, a proposito della presunta strategia adottata in questi anni dal clan. Evidente anche la «compartimentazione dell’associazione» – insistono i giudici – ovvero la creazione al suo interno di «plurimi livelli operativi e l’utilizzo di intermediari, i “senatori”, ciascuno dei quali preposto al controllo di un’area geografica subordinata al coordinatore, referente diretto dei Moccia, per schermare l’azione di comando dei capi». Più sottili, secondo il Riesame, le altre tecniche di sopravvivenza e rafforzamento pluridecennale della presunta dinasty, come la «delegittimazione» o il «condizionamento e subornazione». Vediamo di cosa si tratta.

Capitolo «delegittimazione»: riguarda i collaboratori di giustizia e gli inquirenti, ed è una strategia «attuata ricorrendo a tecniche calunniatrici e diffamatorie finalizzate a neutralizzarne l’attività di disvelamento degli assetti del clan, delle sue mutazioni genetiche e dei nuovi settori di interesse criminale». Poi il Riesame non ha avuto dubbi nel definire la strategia fatta di «atti intimidatori nei confronti dei congiunti dei pentiti», oppure il tentativo di offrire «ingenti somme di denaro per indurli a ritrattare». Due sarebbero i pentiti colpiti da questa tecnica finalizzata al condizionamento o alla subornazione dei pentiti, vale a dire i collaboratori di giustizia Salvatore Scafuto e Marcello Di Domenico.
Ma la questione decisiva riguarda anche un altro punto, vale a dire la dissociazione che, dall’inizio degli anni Novanta ha dato una connotazione di diversità ai Moccia rispetto al panorama criminale della Nuova famiglia uscito vincente dalla guerra alla Nco di Raffaele Cutolo – scrive Leandro Del Gaudio su Il Mattino – Seguiamo il ragionamento del Riesame: «C’è una simulazione del percorso di dissociazione della camorra mentre invece veniva sempre più rinsaldato il radicamento con il contesto associativo di provenienza attraverso i legami con i sodali presenti sul territorio». E si tratta di fatti recenti – insistono i giudici – che forniscono «una ulteriore prova tangibile del notevole allarme sociale e della perdurante operatività sul territorio del sodalizio».

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

Acerra, no alla quarta linea del termovalorizzatore e costituita l’Unità d’Intelligenza Ambientale

Il comitato Unitario No 4a linea dell'inceneritore di Acerra, si legge nel comunicato diramato, in questi ultimi tempi ha...

Nella stessa categoria