Guida valli Occitane in provincia di Cuneo

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INFO

A.T.L. Azienda Turistica Locale del Cuneese Via Vittorio Amedeo II, 8 A - 12100 Cuneo Tel. +39.0171.690217 - fax +39.0171.602773 199.116633 N. UNICO INFO TURISMO info@cuneoholiday.com - www.cuneoholiday.com - www.autunnocongusto.com INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI ALBERGHIERE CONITOURS - CUNEO TEL. +39.0171.698749 - FAX +39.0171.435728 - info@cuneohotel.it CONSORZIO ALTA VAL TANARO TURISMO - GARESSIO TEL. +39.347.9156791 - FAX +39.0174.81981 - info@altavaltanaroturismo.it CONSORZIO TURISTICO ALPI DEL MARE - VICOFORTE M.VÌ TEL. +39.0174.569016 - FAX +39.0174.565928 - info@mongioie-leader.it IN TERRE DI GRANDA - CUNEO TEL. +39.0171.67575 - FAX +39.0171.649728 - staff@interredigranda.com TERRE DI EMOZIONI - MONDOVÍ / FRABOSA SOTTANA TEL./FAX +39.0174.44343 - info@terrediemozioni.com TURGRANDA / BLUPIEMONTE - CUNEO TEL. +39.0171.697668 - FAX +39.0171.699224 - info@turgranda.com V.A.L. BED & BREAKFAST - CUNEO TEL. +39.0171.437220 - +39.347.7730489 - info@val-bb.it

guida delle

valli occitane della provincia di Cuneo

NUOVO, DA SEMPRE.


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La linea verde delimita la parte del territorio che è di competenza dell’A.T.L. del Cuneese.

Per informazioni sulla cultura occitana, lingua e letteratura, tradizioni popolari, cinema, libri e riviste: Espaci Occitan - Via Val Maira, 19 - 12025 Dronero - tel. 0171.904075/904158 www.espaci-occitan.org - segreteria@espaci-occitan.org Chambra d’òc - Strada Arnaud Daniel, 18 - 12020 Roccabruna - tel. 0171.918971 - 328.3129801 www.chambradoc.it - chambradoc@chambradoc.it Coumboscuro Centre Prouvençal Sancto Lucìo de Coumboscuro - 12020 Monterosso Grana - tel. e fax 0171.98707 www.coumboscuro.org - info@coumboscuro.org Associazione Lou Soulestrelh - Via Roma, 27 - 12020 Sampeyre Associazione Culturale La Cevitou - Frazione San Pietro, 89 - 12020 Monterosso Grana tel. e fax 0171.988102 - www.lacevitou.it Sito internet delle Valli occitane del Piemonte www.ghironda.com

Per informazioni su siti e luoghi della cultura occitana, musei, esposizioni d’arte, manifestazioni culturali, feste: Associazione Marcovaldo - Via Cappuccini, 29 - 12023 Caraglio - tel. 0171.618260 - fax 0171.610735 www.marcovaldo.it - info@marcovaldo.it Provincia di Cuneo - Sito tematico dedicato ai musei: http://musei.provincia.cuneo.it Laboratorio Ecomusei - Via Nizza, 18 - 10125 Torino - tel. 011.4323845 www.ecomusei.net - ecomusei.piemonte@regione.piemonte.it Atlante delle feste del Piemonte: www.atlantefestepiemonte.it

Per informazioni su parchi e riserve naturali: Parco Naturale Alpi Marittime - Piazza Regina Elena, 30 – 12010 Valdieri - tel. 0171.97397 www.parcoalpimarittime.it - info@parcoalpimarittime.it Ente di Gestione dei Parchi e delle Riserve Naturali Cuneesi Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio - tel. 0171.734021 www.parks.it/parchi.cuneesi - parcopesio@ruparpiemonte.it Parco del Po Cuneese - Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo - tel. 0175.46505 www.parcodelpocn.it - info@parcodelpocn.it Parco Fluviale Gesso e Stura - Piazza Torino, 1 - 12100 Cuneo - tel. 0171.444501 www.parcofluviale.cuneo.it - parcofluviale@comune.cuneo.it Sito dei parchi, riserve ed aree protette italiane: www.parks.it Siti della Regione Piemonte su parchi, aree protette e rivista Piemonte Parchi www.regione.piemonte.it/parchi - www.piemonteparchiweb.it Gran parte dei Comuni citati nella guida dispongono di un sito internet con percorsi tematici.


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SOMMARIO L’Occitania Benvenuti nelle Valli Occitane della Provincia di Cuneo! L’Occitania a piedi

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VALLI PO, BRONDA, INFERNOTTO I nomi del Monviso Dal Mombracco al Buco di Viso Alla scoperta dell’alta valle Pittori in cammino Fede religiosa e leggende

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VAL VARAITA Artigianato “solare” Sotto il Colle dell’Agnello Casteldelfino e il bosco dell’Alevé Poesia e nastri colorati Gigli e delfini Mistà e danza I suoni della valle

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VAL MAIRA Un’inglese a Dronero Grandi maestri I ciciu del Santo Musei di valle Nel paese di Matteo Olivero Mangiar d’oc Uno “spazio” tutto occitano

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VALLE GRANA Formaggio Castelmagno Santuario di Castelmagno Novè Feste in Coumboscuro Sulle tracce di Pietro Caraglio: seta, musica e arte

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VALLE STURA Musei in quota Vinadio in movimento Frontiere di burro Memoria delle Alpi in guerra Le meraviglie di Pedona Percorsi letterari e leggende

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VALLE GESSO L’orso e la segale Memorie reali a Valdieri ed Entracque Sulle tracce di lupi e gipeti Le Parlate, teatro d’oc Gastronomia di valle Storie di pastori e migranti

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VAL VERMENAGNA I Forti di Tenda Ubi stabant cahtari Pinocchio a Vernante Il genio di Nòto e Jòrs Paglia poesia parole

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VALLI AI PIEDI DELLA BISALTA Stazioni botaniche La certosa nei boschi Collezione fotografica al Parco Uomini illustri di Peveragno Musica nuova con i Gai Saber

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VALLI DEL KYÉ Itinerario partigiano Montagne bucate e mestieri d’un tempo L’arte di Giovanni Mazzucco Civiltà e gusti dell’alpe

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BRIGASCO Un santuario del neolitico Foreste e villaggi arcaici Paradiso di speleologi e botanici

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Indirizzi Utili

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Redazione dei testi: introduzione e Valli Po, Bronda, Infernotto, Valle Varaita, Valle Maira, Valle Gesso a cura di Leda Zocchi (Ass. Arealpina); Valle Stura, Valle Grana, Valle Vermenagna, Valli della Bisalta, Valli del Kyè, Valli del Brigasco a cura di Fredo Valla (Ass. Arealpina) Materiale fotografico: A.T.L. del Cuneese, C.M. Valli Po, Bronda, Infernotto, C.M. Valle Varaita, C.M. Valle Maira, C.M. Valle Stura, C.M. Valli Monregalesi, C.M. Alta Val Tanaro, Ass. Culturale Marcovaldo, Chambra d’Oc, Coumboscuro Centre Prouvençal, Espaci Occitan, Parco Naturale Alpi Marittime, Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro, Terme di Vinadio, Tiziana Aimar, Elisa Bono, Massimiliano Fantino, Roberto Gaborin, Laura Martinelli, Daniela Salvestrin, Marco Toniolo Progetto grafico: Madisonadv - Cuneo - www.madisonadv.it Stampa: TEC Arti Grafiche - Fossano - www.tec-artigrafiche.it

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L’Occitania L’Occitania è uno dei più vasti spazi linguistici europei. Si estende su tre stati, Francia, Spagna, Italia, con una superficie di circa 200.000 kmq e una popolazione che supera i 10 milioni di abitanti. In Italia, oltre che nelle Valli occitane piemontesi delle province di Cuneo e Torino, comunità occitane si trovano in Liguria, a Triora e Olivetta San Michele. Un’isola linguistica occitana di antichissima emigrazione è in Calabria, a Guardia Piemontese. Il nome Occitania è molto antico: risale per lo meno al XIV secolo, citato in vari documenti.Nel medievo la poesia dei trovatori diede lustro alla lingua d’oc, che ebbe prestigio anche fuori dal suo territorio: in Galizia, Catalunya, Italia, Germania, Ungheria. Dante Alighieri, ad esempio, l’ebbe in grandissima stima: nel Convivio (I, 13) disquisisce sul “prezioso parlare di Provenza”e nella Divina Commedia (Purgatorio, Canto XXVI) usa l’occitano per far parlare il trovatore Arnaud Daniel, definito “il miglior fabbro del parlar materno”. Nei tempi moderni, Frederi Mistral (1830 -1914), poeta provenzale, ottenne per la sua opera in occitano il Premio Nobel per la letteratura (1904).


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Benvenuti nelle Valli Occitane della Provincia di Cuneo! Ci troviamo nell’estremo lembo orientale dell’Occitania, territorio linguistico che si colloca per la maggior parte nel sud della Francia e si estende fino alla piccola valle d’Aran in Catalunya (Spagna). Qui da noi l’Occitania, con le sue tredici valli in territorio piemontese, con il suo paesaggio aspro e montuoso, si differenzia dal resto del territorio occitano. Arrivando dalla pianura padana, le valli si aprono a ventaglio verso ovest: la corona di cime chiude l’orizzonte tingendosi di un tenue rosa nelle prime luci del mattino e scomparendo in controluce nel cielo della sera. Rimaste poco accessibili per lungo tempo, le valli hanno sviluppato peculiarità proprie, tanto nella lingua quanto nelle tradizioni. Ma chi pensasse a questi luoghi come a dei mondi isolati sbaglia: sentieri e strade sono state percorse incessantemente, fin dal Medioevo, da un versante all’altro, sia in quello che oggi è territorio italiano, sia verso il territorio francese.Prova ne sono la lingua d’oc che accomuna queste genti, il lascito artistico dei pittori che vi hanno operato, i mestieri itineranti che portavano le genti dal mare Mediterraneo alla montagna, da una valle all’altra, dalle montagne alla pianura padana e oltre. Le montagne richiedono un passo lento e costante nel risalire verso la cima. Così ci vuole pazienza per scoprire, nei villaggi, nelle frazioni, nelle vallette laterali, le bellezze di questo territorio che domanda di essere percorso senza fretta, con occhio attento e passo silenzioso per cogliere la natura del luogo e i segni dell’uomo che ha cercato di viverci. Le tredici valli conservano un patrimonio di bellezze naturali, geologiche, di carsismi, di flora, di fauna, di cultura architettonica, musicale, letteraria, 4 5


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di tradizioni culinarie.Purtroppo, a causa dello spopolamento vissuto dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, il mantenimento di queste ricchezze è affidato a un numero fin troppo esiguo di persone. Spesso i prati lasciano il posto alla macchia, i caprioli e i cinghiali si riprendono il terreno destinato agli orti. Una nuova consapevolezza del rispetto e della tutela sia dell’ambiente sia delle tradizioni ha fatto sì che venissero costituiti parchi naturali e che sorgessero musei del territorio per conservare la memoria di ciò che è stato e ribadire che la montagna è una ricchezza che non dobbiamo lasciarci sfuggire di mano. (Info: www.chambradoc.it/cmgv/progettocmgv.page)

L’Occitania a piedi Nel settembre 2008 è stato inaugurato un percorso in 60 tappe, denominato Occitania a pè. La partenza è da Vinadio in Valle Stura e l’arrivo è alla Vielha in Val d’Aran. L’itinerario supera le Alpi e i Pirenei, si snoda per colline e valli, attraversa località storiche e trasmette l’emozione della poesia dei trovatori e di una lingua che è patrimonio dell’umanità (Info: www.chambradoc.it/LeAdesioni.page).

La bandiera dell’Occitania


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Valli Po, Bronda, Infernotto La Valle Po è una delle più corte valli occitane. Collocata al centro del ventaglio che idealmente formano queste vallate, in poche decine di chilometri raggiunge i 3841 m.s.l.m. con la cima del Monviso che domina l’orizzonte verso occidente. Si trova qui la parte più alta del Parco del Po Cuneese, posto a tutela delle sorgenti del Po e della flora e fauna caratteristiche dell’ambiente montano, ma anche di quello umido, che con le torbiere caratterizza alcuni di questi alti pianori. Già in epoche remote la valle conobbe insediamenti, di cui rimangono ancora le incisioni rupestri che ci parlano di uomini e di donne in preghiera verso il sole, la luna, le stelle. Alcune delle più significative si trovano sul Mombracco, montagna dalla caratteristica forma arrotondata che chiude la vallata nella parte più bassa. Altre testimonianze (coppelle) si possono vedere sul versante opposto della valle a Bric Lombatera. Numerosi siti ci parlano della civiltà contadina e pastorale, delle lotte di religione che non risparmiarono neppure la valle Po, della devozione religiosa che ha lasciato piloni, cappelle e luoghi di culto nei punti più belli della valle, come il santuario di San Chiaffredo. Il monachesimo medievale in Valle Po ha due siti di notevole pregio a Staffarda e Rifreddo. La storia ha segnato questi luoghi anche in epoche più recenti, ai tempi della guerra partigiana, che in Valle Infernotto e in alta Valle Po iniziò subito dopo l’8 settembre 1943. Alcuni dei sentieri percorribili ancor oggi sono stati utilizzati dai partigiani, come in precedenza dalle carovane del sale, dagli emigranti, dai pellegrini e dai cavatori di pietre.

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I nomi del Monviso Il Monviso ha sempre suscitato nelle genti che lo hanno ammirato da lontano e da vicino un certo reverenziale timore, tanto che gli antichi lo credevano la montagna più alta del mondo. Viene citato da Virgilio nell’Eneide, come Vesulus. Anche Dante, Petrarca e Leonardo da Vinci ci raccontano la meraviglia che suscitava il Monviso. G. Chaucer lo citò nei “Racconti di Canterbury” e Stendhal ne “La Certosa di Parma”. Il Monviso fu scalato per la prima volta dall’inglese Matthews nel 1861 e nel 1863 da Quintino Sella che qui decise di fondare il C.A.I. Oggi nuovi orizzonti per un turismo a misura d’uomo nascono dalla riproposta degli antichi sentieri che attraversano boschi e borgate, che uniscono pascoli e baite:“Orizzonte Monviso” è un percorso ad anello nell’Alta Valle Po con deviazioni per scoprire realtà storiche e artistiche nascoste. (Info: Ufficio Turistico Valle Po / Comunità Montana - www.vallipo.cn.it www.chambradoc.it/paesana/paesana.page) Il Monviso


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Dal Mombracco al Buco di Viso Si accede al Mombracco dai comuni di Sanfront, Rifreddo, Paesana, Barge, Envie, Revello. Questa particolare formazione geologica dalla forma a cupola che la caratterizza è chiamata anche Montagna di Leonardo perché il genio italiano parlò con ammirazione delle sue cave di pietra. Ancora oggi la montagna è sfruttata per la sua famosa quarzite rosa, di cui si può vedere l’estrazione sulla cima. Un percorso ad anello, denominato “Sentiero di Leonardo”, permette di ritrovare su alcuni massi a mezza costa, che dominano la vallata, incisioni e coppelle preistoriche. Infatti il Mombracco è stato abitato fin dal neolitico, anche per la presenza di grotte e ripari sotto roccia che offrirono rifugio ai pastori ed alle loro famiglie. L’ultimo di questi ripari, abitato fino agli anni ’60 del secolo scorso, è Balma Boves, nel comune di Sanfront, le cui case sono state da poco trasformate in museo del territorio. Qui sono conservati attrezzi e strumenti utilizzati dalla civiltà contadina che viveva di pastorizia e castagne, con piccoli orti sui pendii digradanti (Info: www.marcovaldo.it). Risalendo la valle si costeggia il Po, che qui scorre ancora impetuoso e riceve il suo primo affluente, il Lenta, che scende da Oncino. Si giunge così all’ultimo paese della valle: Crissolo. Una strada a tornanti (parzialmente chiusa d’estate per evitare l’eccesso di veicoli nell’alta parte del Parco del Po e percorribile con un comodo bus navetta) conduce fino a Pian del Re. Qui si allarga la torbiera in cui il Po, uscito da sotto uno degli enormi massi scesi dal Monviso, percorre i suoi primi metri e dove vive la salamandra nera, simbolo di questo territorio. Da Pian del Re numerosi sentieri conducono sulle cime circostanti: il Monviso, Punta Roma, Punta Udine e Granero e ai laghi che si estendono ai loro piedi. Incamminandosi da Pian del Re, un sentiero porta al Buco di Viso, primo tunnel delle Alpi, risalente al 1478 quando il Marchese di Saluzzo per potenziare il commercio del sale che arrivava dal delta del Rodano, decise di facilitare il percorso alle carovane e di creare un passaggio più sicuro e più breve sotto il Colle delle Traversette. In pochi anni il tunnel fu ultimato. Purtroppo la decadenza del Marchesato e gli inverni più rigidi dei secoli seguenti resero meno frequentato il Buco di Viso che solo recentemente è stato riaperto al passaggio, seppur in parte difficoltoso sul lato francese a causa di una frana non completamente rimossa. 8 9


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Alla scoperta dell’alta valle A Crissolo sorge il Santuario di San Chiaffredo, in occitano Chafre, Jaufre nel medioevo. La festa del santo si celebra a settembre.La tradizione identifica Chiaffredo con un soldato romano della Legione Tebea, come i commilitoni Maurizio, Magno, Ponzio, Dalmazzo, Costanzo, Mauro, Pancrazio, santi tipici della montagna occitana. Alcuni fuggirono verso le valli del Monviso, dove Chiaffredo, inseguito dai pagani, fu martirizzato. I numerosi ex voto esposti nel santuario raccontano guerre, dolori e speranze del popolo di queste montagne. Il ciclo della vita, il lavoro dei campi, la stalla, la scuola, le tradizioni sono illustrati nel Civico Museo Etnografico di Ostana (Info: Comune di Ostana 0175.94915 – www.reneis.org), con attrezzi, oggetti, ricostruzioni di ambienti e fotografie con didascalie in occitano e italiano.Da non perdere, in giugno, la presentazione dei quaderni tematici del Museo, a cura dell’Associazione “I Rënéis”. A Ostana fervono iniziative comunitarie: feste campestri, canti corali, concorsi di letteratura, raduni di alpini, mostre fotografiche e cura dell’ambiente. Un lavoro attento ha trasformato il paese in un laboratorio di architettura alpina e per queste caratteristiche Ostana ha ricevuto il riconoscimento per “I Borghi più belli d’Italia”. Sulla destra dell’asse vallivo, Oncino è stato per secoli il comune più importante dell’alta valle, grazie ai pascoli e all’abbondanza di bovini. Nel medioevo i monaci di Staffarda vi portavano le mandrie a pascolare. Presso il lago dell’Alpetto sorse il primo rifugio del Club Alpino Italiano, oggi affiancato da un nuovo edificio. Sui crinali c’è il Buco delle Fantine, fate piccole e pelose, ma operose e pulitissime, che al mattino facevano il bucato e i montanari, dalle case, vedevano i loro panni stesi ad asciugare. Da Oncino partono numerosi sentieri che oltrepassano il crinale verso la Valle Varaita.


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Pittori in cammino Paesi e borgate della Valle Po nascondono piccoli tesori di arte popolare. Un artista originale operò fra Settecento e Ottocento: si firmava Giors Boneto pitore di Paizana, dal nome del suo paese natale. Fu pittore itinerante, esponente di quella schiera di artisti contadini che affrescavano soggetti sacri sui piloni e sulle facciate delle case in cambio di pochi denari, sovente della sola ospitalità. Giors Boneto dipinse dalla natia Valle Po fino alle pendici della Bisalta. Profonda fu la sua conoscenza della tecnica dell’affresco che si accompagnava alla vastità dei soggetti: santi, Madonne, Cristo in croce, deposizioni, cherubini, serafini… Il suo stile naïf, ma personale, è riconoscibile a distanza di secoli. In Alta Valle, opere di Boneto si possono vedere a Crissolo, Oncino, Ostana e Paesana: 44 affreschi firmati o attribuiti a partire dal 1780. E ancora più numerose sono le opere reperibili nella bassa valle Po e nelle vicine Varaita e Maira. Dobbiamo allo studioso Gianni Aimar, il censimento e la catalogazione del lavoro di questo artista. Pittore di buona scuola accademica fu invece Giovanni Borgna “Netu” (1854-1902). A Martiniana Po si trovano la casa natale, con lapide celebrativa sulla facciata, e la tomba di famiglia da lui stesso affrescata. Cresciuto sui banchi dell’Accademia delle Belle Arti di Torino, Borgna affrontò cicli di affreschi complessi e impegnativi in cappelle e chiese delle valli, della pianura vicina, fino al ponente ligure. In valle Po, la sua opera si può ammirare a Pratoguglielmo, Paesana, Sanfront, Envie, Calcinere, Rocchetta. Scorrendo l’elenco delle località e delle opere dipinte nella sua breve carriera si rimane meravigliati dall’attività frenetica del pittore: sono più di quaranta i luoghi delle province di Cuneo, Imperia, Savona,Torino e Asti che conservano affreschi dell’artista.

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Fede religiosa e leggende Staffarda, Rifreddo, Revello e Barge furono sede di abbazie che oggi sono tra i monumenti medievali di maggior rilievo e la cui visita ci trasporta nell’epoca d’oro del Marchesato di Saluzzo. Ancor più antico è il Monastero di Pagno, fondato dai Longobardi, asilo di Beatrice, figlia del re Desiderio. Per lei i monaci dettarono un’epigrafe ispirata ai versi di Virgilio. L’importanza di Pagno venne meno nell’825 quando l’abbazia fu affidata all’abate valsusino della Novalesa. Dopo il mille, al termine delle scorrerie saracene, la famiglia marchionale contribuì alla fondazione di nuovi centri monastici. Nel XII secolo Manfredo I di Saluzzo chiamò i cistercensi a Staffarda, tra Saluzzo e Revello. L’abbazia crebbe in possedimenti: un inventario della seconda metà del XII secolo rivela la consistenza del suo scriptorium, comprendente importanti codici miniati. In seguito i marchesi patrocinarono la creazione a Rifreddo del Monastero femminile di Santa Maria della Stella, di cui sono visibili la facciata della chiesa e alcuni muri con pregevoli manufatti in terracotta. A Revello, nel 1291, Tommaso I di Saluzzo e la moglie Aloisia di Ceva istituirono il Monastero delle Domenicane di Santa Maria Nova. Un monastero (il Convento della Trappa) sorse nel XIII secolo ad opera dei Certosini sul Mombracco. Oggi l’eredità delle abbazie del Marchesato è raccolta dal nuovo Monastero Cistercense di Pra d’ Mill, immerso nei boschi di castagni sulle montagne di Bagnolo Piemonte (Info: www.dominustecum.it). La cristianizzazione del territorio, così evidente in chiese, cappelle e centri monastici, cela credenze più arcaiche. La mitologia delle antiche società agro-pastorali è sopravvissuta in forma orale con figure sovrannaturali, alcune benigne, altre spaventose. Oltre alle fantine dell’alta valle, che insegnarono alle donne a tessere e a cucire, alle masche pelose e dispettose delle grotte del Mombracco, le leggende raccontano di uno zoo fantastico che va dal gatto pitois, con gli occhi di fuoco, alla serpe crestata di Envie, all’uccello pitapenas dei paesi dell’Infernotto, al terribile ravas, mangiatore di uomini che viveva in una grotta nei boschi di Barge, in una località dove nel Medioevo sorse una cappella intitolata alla Madonna della Rocca.


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Val Varaita La Val Varaita è attraversata dall’antica strada per la Francia che porta al Colle dell’Agnello. Si estende da Piasco a Chianale. Il centro della valle è Sampeyre, cioè San Pietro, da Peire in occitano. Un evento di grande richiamo è la Baia di Sampeyre: si celebra ogni cinque anni nei giorni di carnevale per ricordare la cacciata dei Saraceni dalla Val Varaita, avvenuta verso l’anno mille secondo la tradizione. Partecipano alla sfilata centinaia di figuranti, organizzati come un esercito con comandanti, guardie, cavalleria, fanti e i sapeurs che abbattono le barriere di tronchi lasciate dai Saraceni in fuga e bandiere (esposte nel Museo etnografico - Info: www.comune.sampeyre.cn.it). Anche i personaggi femminili sono riservati agli uomini. Il tutto in un tripudio di nastri ricamati a fiori, rosazze e coccarde di seta, accompagnati dalle musiche e dai balli occitani. A Bellino, Blins, più in alto nella Val Varaita, la baia si celebra ogni tre anni. Il cerimoniale rimanda ai miti primaverili e solari, propri delle comunità agricole arcaiche con i loro simboli di fertilità, mentre è pressoché assente l’aspetto militare caratteristico della baia di Sampeyre. Una baia minore si celebrava anche a San Maurizio di Frassino. A Sampeyre, Casteldelfino e Pontechianale lo sviluppo turistico degli anni Sessanta ha in parte alterato l’architettura originale, ma gli edifici storici dei paesi e delle borgate mostrano ancora l’ampia varietà di soluzioni architettoniche del passato. In località Tè-nòu, sopra Torrette di Casteldelfino, presso un lariceto, sorge l’unica frazione con i tetti parzialmente coperti a scandole (assicelle di larice). Nella valle si trova il Santuario di Valmala, dedicato alla Madonna della Misericordia e meta di pellegrinaggi, sul luogo dove la tradizione vuole che il 6 agosto 1834 la Madonna si sia rivolta ad alcune innocenti 12 13


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pastorelle in occitano. Essa apparve come una “signora piangente”. Punto di accoglienza turistica è la Porta di Valle (Info: Via Provinciale 12020 Brossasco - Tel. 0175.689629 - www.segnavia.piemonte.it), con caffetteria, libreria specializzata in editoria locale, montagna, cartine del territorio, prodotti locali, e sede dell’agenzia turistica Segnavia che fa incoming e propone pacchetti turistici in valle Varaita, nelle altre valli occitane e nel saluzzese.

Artigianato “solare” Caratteristica valligiana è la produzione di mobili rustici in uno stile ispirato al mobilio di un tempo e detto “Val Varaita” benché i decori, risalenti ai culti primordiali del sole e delle acque, siano comuni a tutto l’arco alpino e si ritrovino nelle civiltà antiche del Mediterraneo. Madie, cassapanche, oggetti scolpiti del Queyras e della valle Varaita oggi sono nei Musei di Grenoble, Gap e Cuneo e in molte collezioni antiquarie d’Europa e d’America.

Architettura tipica a Chianale


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Sotto il Colle dell’Agnello Chianale, a pochi km dal confine con la Francia, è il più alto paese della valle, dominato dal Colle dell’Agnello (2748 m). Il paese è stato riconosciuto fra “I borghi più belli d’Italia”. La sua architettura alpina è valorizzata dalle case in pietra, dalle lose dei tetti, dal ponte romanico che unisce le due parti del paese, attraversato dal fiume Varaita e dalle chiese risalenti agli anni del Delfinato. A Chianale convissero abbastanza pacificamente cattolici e ugonotti: di fianco alla chiesa romanica di Sant’Antonio si trova una casa medievale indicata come tempio protestante. Il paese conserva con orgoglio le sue caratteristiche occitane, i toponimi e la parlata della gente. Nel Medioevo gravitò nell’orbita di Briançon, facendo parte assieme agli altri comuni dell’alta valle, all’Alta Val Chisone, alla Valle di Oulx e al Queyras, della Repubblica degli Escartons, un’esperienza di autonomia sopravvissuta fino al 1713, allorché i territori al di qua delle Alpi furono uniti ai possedimenti dei Savoia, oggi riproposta dalla proficua collaborazione fra Comunità Montana, i Comuni e il Parco del Queyras con progetti di tipo culturale, turistico ed economico.

Una ricetta tipica di Chianale e della Val Varaita sono le raviole, preparate con patate e toma, formaggio fresco di latte di mucca.Ecco come: cuocere 1,5 kg di patate, passarle e mescolarle a 500 g di toma. Aggiungere un uovo e impastare. Aggiungere quindi 500 g di farina fino ad ottenere un impasto consistente.Tagliare la pasta a fette di 3 cm. Infarinare la tornoira (tavola di legno dai bordi alti) e formare dei rotolini di 2 cm di diametro. Tagliare quindi a pezzetti arrotolando con il palmo della mano nella tipica forma a fuso delle raviòlas. Disporle sul tavolo e cospargerle di farina. Cuocere in acqua bollente salata e quando tornano a galla raccoglierle con la schiumarola. Condire le raviòlas con panna e burro fuso.

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Casteldelfino e il bosco dell’Alevé Si chiama Alevé il bosco di pini cembri, elvo in occitano, sui monti di Casteldelfino e Sampeyre, fino ai 2700 m di quota: è una delle cembrete più estese delle Alpi, percorsa da sentieri che fanno capo al lago Bagnour, dove sorge un piccolo rifugio per escursionisti. Già nel 1387 gli statuti di Casteldelfino vietavano lo sfruttamento del bosco. Una passeggiata nell’Alevè può farci incontrare volpi,camosci,marmotte e lepri.Un animale tipico, seppur difficile da incontrare, è la civetta capogrosso, mentre nelle ore calde della giornata è possibile scorgere il volo lento della poiana. I pinoli (garilhs) del cembro si mangiavano e davano olio per le lanterne. Con le gemme si facevano suffumigi per le vie respiratorie e con la resina si preparavano balsami e confetti medicamentosi. Il legno del cembro era adatto alla fabbricazione delle suole in legno (seps) degli zoccoli, calzati dai bambini e dagli anziani che ne apprezzavano la leggerezza e il calore. Soprattutto veniva usato per il mobilio: madie, cofanetti, tavoli, sedie, cassapanche. La sua pasta tenera si prestava all’intaglio dei motivi tradizionali derivanti da primitivi culti solari: rosazze, serpentine, spirali. Il Museo del Mobile, a Castello di Pontechianale (Info: tel. 348.7125650 – 349.1466050), allestito in una dimora tradizionale, raccoglie esempi di mobili e decorazioni che i contadini della valle Varaita seppero sviluppare nei secoli con fitti intagli simili a ricami.Ancor oggi la Val Varaita si distingue per le numerose aziende artigiane specializzate nel mobile rustico con attenzione sia alle forme tradizionali sia al moderno design. A Casteldelfino, il centro visita dell’Alevè (Info: Parco del Po, tel. 0175.46505) offre un campione di foresta con gli animali tipici: gufo reale, capriolo,marmotta,lepre,cinghiale e prepara all’escursione nella cembreta. L’inverno è il periodo migliore per assaporarne i silenzi, rotti dai richiami della nocciolaia, uccello che dimentica i nascondigli dove ripone i pinoli, assicurando in questo modo la propagazione naturale del bosco. Accanto al centro visita lo Spazio Escartons, dove è possibile ricevere informazioni storiche. Nella chiesa di Sant’Eusebio, ai piedi dei ruderi del castello delfinale, si trova il Museo della Religiosità Popolare, dedicato ai santi delle valli occitane.


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Poesia e nastri colorati Alla letteratura occitana contemporanea la Val Varaita ha dato due poeti: Tavio Cosio di Melle e Antonio Bodrero (Barba Tòni Baudrier) di Frassino (Info: www.chambradoc.it/melle/melle.page). Il comune di Melle dedica a Tavio Cosio una manifestazione annuale con passeggiata letteraria nei luoghi che hanno ispirato la sua poesia e i suoi racconti. La sua opera è reperibile nelle librerie locali. Antonio Bodrero fu poeta, sostenitore della causa occitana e del piemontese. Stupiva per il suo anticonformismo. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un sapiente (barba appunto), ipnotico nel conversare di lingua, religione, politica, origine e storia delle parole. Alla apparente semplicità dei suoi versi si intreccia una grande profondità di pensiero. Sono versi che attingono ai misteri della montagna, alle divinità ancestrali e al mondo naturale. Poeta di paesaggi, pose sotto le barme le dimore dei sarvanòts (fauni), nei ciliegi infiorati vide focolari accesi alla gloria di Dio, nelle stelle i lumi delle baite dei trapassati…: “Que de quiar, benèit i ouèi, quouro n’er’un per meiro e la nouèch e i vitoun treiàven a fa’ stéle; dihen encàa i estéle quouro grinoùr i bòouco: Bafarà, mé pa tro; qui crè pa vène a vèire: nous sén i quiàr di meire, nove, di vosti rèire”. (Quante luci, benedetti gli occhi, quando ce n’era una per baita / e la notte i montanari giocavano a far stelle; / dicono ancora le stelle quando amore le guarda: / “Ridete forte, ma non troppo; chi non crede venga a vedere: / noi siamo le luci delle baite, nuove dei vostri avi”) Di Bodrero è in preparazione l’opera omnia. In particolari giorni di festa le donne di Casteldelfino, Pontechianale, Bellino e Sampeyre indossano il costume con cuffie lavorate al tombolo, scialli e grembiuli di seta su pesanti abiti neri di foggia monacale. L’abito è ornato da bindels (nastri). A Sampeyre e a Frassino la cuffia è spesso sostituita da un fazzoletto (mochet de la testa). Caratteristico è l’abito dell’alta valle detto gonela con tre piegoni sul lato posteriore. L’oreficeria che completa l’abbigliamento è costituita da un lungo giro di grani dorati 16 17


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con cuore o croce in oro.Rare sono le occasioni in cui gli uomini indossano l’antico costume: un abito nero con giacca a code, calze bianche al ginocchio e feluca.

Gigli e delfini Sono simboli che compaiono, incisi nella pietra, sulle fontane, sui capitelli, sopra gli architravi nei paesi della Castellata: Casteldelfino, Pontechianale, Bellino. Il delfino ricorda il periodo in cui l’Alta Valle Varaita fu parte del Delfinato, mentre il giglio allude al periodo successivo, quello del regno di Francia. Casteldelfino - Chateau Dauphin in epoca delfinese - fu la capitale dell’Escarton della Val Varaita. Del periodo delfinese il paese conserva i ruderi del castello, gli affreschi della parrocchiale e, lungo la via maestra, nobili dimore e una fontana medievale. La borgata che ancor oggi si chiama Confine ricorda l’antica frontiera con il Marchesato di Saluzzo. L’architettura rurale occitana ha il suo santuario nelle borgate di Bellino, Blins in occitano, paese tra i più suggestivi. Pilastri rotondi, architravi megalitici, bifore, passaggi coperti, meridiane affrescate, tetti in lose e têtes coupées sono memoria del saper fare. Ma Blins è anche paese di scrittori. Nelle librerie della valle si trovano le opere di Janò di Vielm, all’anagrafe Giovanni Bernard, autore di “Steve”(primo romanzo in occitano delle Valli) e de “Lou Saber”, dizionario enciclopedico con 12 mila termini nell’occitano di Blins.Un altro libro importante è “Nosto Modo”, di Jean-Luc Bernard, che fu la prima opera a descrivere in modo sistematico la cultura materiale e orale di questo paese occitano. Nell’antica scuola elementare di Celle di Bellino è allestito il Museo del Tempo e delle Meridiane (Info: tel. 0175.95110 - comune.bellino@ tiscalinet.it ). La visita introduce all’itinerario tra le meridiane affrescate su case e edifici religiosi in tutto il paese, che in passato ebbe alcune botteghe di gnomonisti. Pannelli fotografici suggeriscono una riflessione sul tempo, mentre un filmato scandisce lo scorrere delle stagioni con dodici proverbi in occitano.


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Mistà e danza Nel Quattrocento il buon governo del Marchesato di Saluzzo e i rapporti con il Delfinato favorirono il fiorire delle arti.Chiese, pitture e sculture sono collegate da un itinerario artistico denominato Mistà, che in occitano significa immagine sacra. La scultura ebbe tra i principali interpreti la scuola degli Zabreri della Val Maira con fonti battesimali e portali con colonnine e capitelli scolpiti. Significative le chiese di Sampeyre, Villar, Casteldefino e Bellino. Le scuole artistiche del brianzonese influenzarono l’arte della Castellata dove, a Bellino, Casteldelfino e Chianale, si incontrano numerose teste di pietra che risalgono alla consuetudine dei celto-liguri di appendere le teste dei nemici uccisi in battaglia attorno alle proprie case. Un caso a parte è il bel portale quattrocentesco in stile flamboyant della parrocchiale di Sant’Andrea a Brossasco. Cinquecentesca, e legata al ricordo della peste, è la cappella di San Rocco a Brossasco. In pittura, i fratelli Tommaso e Matteo Biasacci di Busca lasciarono numerosi affreschi in Valle Varaita. L’opera di questa famiglia di pittori itineranti, attivi tra il Piemonte meridionale e la Liguria di ponente, si può ammirare nella parrocchiale di Sampeyre (Madonna del Latte, Strage degli Innocenti, Fuga in Egitto, Adorazione dei Magi, Passione e Resurrezione del Cristo), nella chiesa di Casteldelfino e a Valmala. Lo stile è arcaico, di passaggio fra il romanico e il gotico, come le pitture della Parrocchiale di San Massimo a Isasca, e quelle sulla facciata della Parrocchiale di Rossana, con un bel portale gotico fiorito in terracotta. Le pitture di Rossana sono particolarmente curiose poiché mostrano figure angeliche che suonano strumenti della tradizione medievale, alcuni dei quali sono tornati in auge con la rinascita musicale occitana della fine degli anni Sessanta del secolo scorso.In realtà la musica in Valle Varaita non ha mai conosciuto momenti di vero oblio. Il repertorio di danze ballate in occasione di feste o semplicemente per divertirsi comprende decine di balli. I più noti sono: corenta, giga, contradança, 18 19


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borea,mescla,sposin… Sono danze a figure che impegnano anche decine di ballerini contemporaneamente. Numerose sono le proposte di corsi di danza aperti anche ai balli dell’Occitania d’oltralpe.

I suoni della valle A Venasca, storicamente il centro più importante del fondovalle, con una bella chiesa barocca e un mercato famoso per la commercializzazione delle castagne, si trova la Fabbrica dei Suoni, il primo parco tematico italiano incentrato sul suono e sulla musica. L’obiettivo della Fabbrica è quello di avvicinare bambini e ragazzi al mondo musicale con un approccio ludico-laboratoriale, suscitando curiosità ed interrogativi. I laboratori, inseriti nel percorso di visita, consentono di distinguere fra suono e rumore, di tradurre il significato delle caratteristiche del suono con attività concrete, visibili o manipolabili, di sperimentare la vibrazione dei suoni e la propagazione dell’onda sonora nello spazio. Una sezione presenta strumenti musicali provenienti da tutti i cinque continenti. Per la conoscenza dei principali strumenti musicali della tradizione occitana la Fabbrica propone laboratori di ghironda, organetto diatonico, galobet, tamburin e fifre, con informazioni sulla loro costruzione, un ascolto dal vivo e l’esecuzione di canti e balli occitani (Info: tel. 0175.567840, www.lafabbricadeisuoni.it) All’ombra del robusto castello dei Signori di Sampeyre, a Piasco, a pochi km da Venasca, si trova il Museo dell’Arpa (Info: tel. 0175.270511 www.museodellarpavictorsalvi.it) dove sono esposte le arpe storiche raccolte da Victor Salvi, affermato arpista esibitosi sotto la direzione del maestro Arturo Toscanini e fondatore di un’azienda che egli ha voluto qui per la rinomata tradizione artigianale della Val Varaita e del Saluzzese nella lavorazione del legno. La fabbrica di arpe da lui fondata oggi copre il 90 per cento del mercato professionale. La collezione racchiude ottantasei pezzi costruiti a partire dal 1700 fino alla prima metà del ‘900, spaziando dall’Europa all’Africa, all’Asia.È possibile vedere infatti l’evoluzione tecnica ed espressiva di uno strumento spesso poco conosciuto.


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Val Maira In Val Maira la lingua occitana conserva sonorità trobadoriche, ma sono il suo paesaggio e l’arte a fare la parte del leone. Da qualche anno il suo territorio è scelto come scenario dal cinema e dalla televisione e un film pluripremiato, “Il vento fa il suo giro” (in occitano L’aura fai son vir) del regista Giorgio Diritti, vi è stato interamente girato. La valle segue il corso del torrente Maira, da cui si dipartono suggestive valli e combe, come quelle di Albaretto e Celle, di Marmora, Preit, Unerzio ed Elva che salgono con sentieri e strade militari verso i crinali, i valichi e le cime, con varietà di rocce e piante. In alcune località esposte a solatio fioriscono essenze mediterranee come la lavanda. La linea di frontiera che divide l’Italia dalla Francia fu valico per emigranti e contrabbandieri. Durante il secondo conflitto mondiale venne attraversata da partigiani italiani e maquis francesi che, tra il maggio e il luglio 1944, al Col Sautron e a Saretto sul versante della Val Maira, e a Barcelonnette in Francia, stabilirono un accordo politico-militare nella lotta antifascista. Dell’accordo di Saretto rimane ancor oggi una lapidericordo. La capitale della valle è Dronero (Draonier in occitano), che ha titolo di città da due secoli e mezzo. Per scoprirla occitana è bene andarci il giorno di mercato, orecchiare tra i banchi, nei caffè, sentire la gente venuta da San Damiano, da Elva, da Acceglio, dalla vicina La Ròcha (Roccabruna) che disinvolta parla occitano. La sua storia parla di ugonotti e valdesi, ma anche di famiglie aristocratiche, uomini di lettere, artisti, giornalisti e politici tra cui spicca la figura di Giovanni Giolitti, primo ministro del Regno d’Italia, a cui è dedicato un Centro Studi (Info: www.giovannigiolitti.it). Dronero è ricca 20 21


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di monumenti, palazzi e chiese che ricordano un medioevo fiorente. Si caratterizza per l’arditezza del suo ponte merlato sul Maira e per il foro frumentario ottagonale della prima metà del XV secolo.

Un’inglese a Dronero L’esploratrice e scrittrice inglese Freya Stark (1893-1993), legata alle personalità più in vista del suo tempo, come Churchill e il mitico Lawrence d’Arabia, visse a Dronero parte dell’adolescenza e vi tornò nel 1919. Nell’autobiografia descrive Dronero “città fra due torrenti, in mezzo a un’ampia e bella valle… ha una cattedrale medievale con fini lavorazioni in cotto di stile gotico-lombardo… Il ponte, merlato e immensamente alto, abbraccia l’intera valle che giace molto più sotto ricoperta di bianche pietre di fiume, su cui tremuli pioppi e noci gettano morbide ombre azzurrine”.

Traversado - Passaggio al Passo della Gardetta


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Grandi maestri Scoprire Elva è come dischiudere una porta segreta, trovare i segni di un mondo che è stato, rinvenire un libro scomparso che narra la vita di quando le idee andavano a piedi e vivere in altitudine non era isolamento dal mondo. Lassù, sullo spartiacque con la Valle Varaita, Elva appare sospesa sulla conca in mezzo ai prati falciati, circondata dalle cime del Pelvo, del Chersogno e della Marchisa, montagne che superano i tremila metri. La chiesa, dedicata a Santa Maria Assunta, è sopra uno sperone di roccia. Figurazioni arcaiche decorano il portale: têtes coupées della tradizione celto-ligure, mascheroni beluini, Atlante e la sequenza donna-catenaserpente. L’arco del presbiterio è ornato con i simboli dello zodiaco, una sirena romanica che divarica le estremità, San Giorgio e il drago, il calderone dei dannati che cuociono per i loro peccati. L’interno ospita gli affreschi di Hans Clemer, pittore fiammingo attivo nel Marchesato di Saluzzo tra la fine del ‘400 e il 1508, anno in cui partì per la Provenza dove lavorò a Tarascon, Pertuis e Vinon… altre terre d’Occitania. A Saluzzo Clemer si sposò e tenne bottega con allievi locali. I suoi affreschi nella Parrocchiale di Elva sono il capolavoro delle valli Elva - Chiesa di Santa Maria Assunta

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occitane. Nel territorio del Marchesato, fino ad allora fedele alle tendenze artistiche tardo gotiche, lo stile di Hans Clemer rappresentò una vera rivoluzione artistica per la sua contemporaneità e l’introduzione di elementi della pittura italiana coeva. La Crocifissione, le Storie del Cristo e della Vergine della chiesa di Elva mostrano un forte senso drammatico e un’attenzione per il ritratto psicologico, evidenti nei visi delle pie donne e degli apostoli sgomenti attorno al feretro della Madonna. Altre opere di Clemer sono a Saluzzo, Revello, Bernezzo, Pagno, ma qui in Val Maira il visitatore troverà a Celle Macra, nella parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, un’altra sua opera:la pala d’altare con la Madonna in trono circondata da Santi,su fondi in oro, datata 1496, splendido amalgama fra cultura figurativa provenzalelombarda e tecnica pittorica tedesca. Tra i boschi, poco discosto dal paese di Celle Macra, nella cappella di San Sebastiano, si trova l’opera di un altro importante artista del Quattrocento occitano, il pittore Giovanni Baleison (Johannes de Baleisonis), originario di Demonte nella vicina Valle Stura, che operò in un territorio a cavallo delle Alpi tra Piemonte, Liguria e Nizzardo. Il ciclo di affreschi comprende un Dio Glorioso, il Martirio del Santo, il Limbo, la Città Celeste, le Virtù, il Purgatorio e l’Inferno. Dello stesso autore sono la Madonna all’esterno di un edificio di Bassura di Stroppo e gli affreschi nella Cappella dei Santi Sebastiano e Fabiano di Marmora, raffiguranti il Cristo Glorioso, la Madonna in Trono fra San Sebastiano e San Costanzo, gli Evangelisti, le Storie dell’Infanzia di Cristo e dell’Infanzia di San Sebastiano. L’itinerario pittorico in Alta Valle Maira si completa con gli affreschi di Tommaso Biazaci nella parrocchiale dei Santi Giorgio e Massimo a Marmora che mostrano San Cristoforo, San Girolamo e San Francesco che riceve le stimmate. Di grande fascino è la Cappella di San Peire a Macra, dove si può scoprire una Danza Macabra con testi in occitano mescolati a francese antico, iconografia assai rara per questi territori. Una visita che procura emozione per la collocazione e le proporzioni dell’edificio in stile romanico è quella alla Chiesa di San Peire a Stroppo, isolata su uno sperone, con gli affreschi dell’abside e una suggestiva Adorazione dei Pastori di un pittore anonimo nella cappella laterale.


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L’itinerario termina con una delle più antiche chiese della valle, San Salvatore di Stroppo, con campanile a vela e affreschi altomedievali che rappresentano episodi della Genesi e la Danza di Salomè e affreschi quattrocenteschi con Cristo benedicente, gli Evangelisti, gli Apostoli e i Santi Caterina e Antonio. La scultura del Quattrocento in Val Maira conobbe l’importante bottega dei fratelli Zabreri (Chabrier in occitano), originari di Pagliero, che portarono la loro opera in numerose località del Marchesato di Saluzzo. Agli Zabreri furono commissionati i portali delle parrocchiali di Dronero e di San Damiano Macra. Capitelli figurati provenienti dalla loro bottega sono nella Parrocchiale di Sant’Antonio a Pagliero. Fonti battesimali “firmati Zabreri” sono a Canosio e Pagliero in Val Maira e in numerose chiese delle valli occitane.Hanno forma di calice con un nodo al centro del fusto. La tazza è poligonale, decorata sul bordo da iscrizioni. Negli spicchi le foglie di acanto sono accompagnate dallo stemma dei committenti. Ma l’arte in questa valle non è esclusivo appannaggio degli edifici religiosi. La si trova anche nelle dimore civili, come nel lazzaretto di Caudano, borgata di Stroppo, recentemente restaurato, che presenta sulla facciata a vela delle interessanti bifore con teste scolpite e il caratteristico nodo di Salomone, assunto come simbolo dalla locale comunità montana. Motivi decorativi, opera di artisti locali, sono a San Damiano Macra e Villar d’Acceglio, sede fra l’altro di un carnevale arcaico fra i più interessanti delle valli occitane. Edifici signorili di epoca medievale con alte facciate a vela e aperture monofore o bifore in pietra lavorata si trovano a Castellaro, Combe, Vernetti, Unerzio, Preit. Furono dimora di quella borghesia contadina e montanara di cui si ha notizia negli atti notarili dei secoli XV e XVI.

I ciciu del Santo Nel territorio pedemontano di Villar San Costanzo si incontrano tesori artistici e ambienti rari. Nella Riserva naturale dei ciciu (pupazzi), fra castagni, pioppi e betulle, si innalzano circa 400 formazioni geologiche a forma di fungo, con un diametro variabile tra 2 e 7 metri e un’altezza 24 25


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che in alcuni casi raggiunge gli 8 metri. La loro formazione avrebbe avuto inizio 12.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione. I ciciu si sarebbero formati per l’erosione delle acque che nei millenni dilavarono il suolo lasciando, in corrispondenza di grossi massi di gneiss, colonne di terra compatta sormontate da grandi pietre. Nella bella stagione i ciciu appaiono di colore rossastro col buffo cappello scuro; d’inverno si mutano in pinnacoli che emergono dalla neve. L’escursione fra i ciciu avviene lungo i percorsi attrezzati, mentre l’accoglienza è garantita dal Centro Visita all’ingresso della Riserva. L’area esterna è un sito per il bouldering ma è vietato arrampicarsi sui ciciu poiché si rischierebbe di rovinarli per sempre (Info: Ente di Gestione dei Parchi e delle Riserve Naturali Cuneesi - tel. 0171.734021). Una leggenda popolare attribuisce il fenomeno dei ciciu a un miracolo del martire Costanzo: i nemici pagani che lo inseguivano per ucciderlo, furono pietrificati dalla volontà divina. Costanzo, santo della Legione Tebea, è avvolto nella leggenda. Una lapide murata nella chiesa parrocchiale avrebbe ricoperto le reliquie del martire.In essa si legge in latino:“Qui riposa Costanzo, martire del Signore, che appartenne alla Legione Tebea”. Attorno al culto del martire,nel medioevo,sorse un complesso monastico.La Chiesa di San Costanzo al Monte, nei boschi sopra il paese, fu eretta verso l’inizio dell’VIII secolo per volontà del re longobardo Ariperto II,ricostruita dopo le invasioni saracene da maestranze lombarde che vi portarono i loro modelli nelle absidi,scandite da sottili lesene e abbellite in alto da gallerie.La cripta costituisce una vera e propria chiesa inferiore.Risanata la piana acquitrinosa, i benedettini eressero l’Abbazia dei Santi Pietro e Costanzo nel luogo dell’attuale parrocchiale. Oltre alla cripta affrescata da Pietro da Saluzzo (storie di San Giorgio,Madonna,Santi,Evangelisti),la chiesa conserva la torre campanaria con fregi romanico-gotici e muri in pietra lavorata.


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Musei di valle A Elva troviamo la prova che un tempo la montagna assicurava più che la semplice sopravvivenza con il lavoro dei campi, la cura dei capi di bestiame, la lavorazione del latte. Nei periodi morti del lavoro agricolo i montanari si ingegnavano a svolgere altri mestieri, arrivando talvolta lontano. Gli uomini di Elva partivano in autunno a raccogliere i capelli da lavorare nelle case elvesi e da vendere poi in Francia, Germania, Inghilterra e anche Stati Uniti per farne parrucche. A ricordo di questa attività, la comunità ha voluto collocare presso la “casa della meridiana”, esempio di architettura contadina originale e raro, il Museo dei Pelassiers, che attraverso gli attrezzi, le immagini e un video racconta di questo mestiere che portò gli elvesi in giro per il mondo. Altro mestiere dell’emigrazione stagionale, tipico della valle, fu quello degli acciugai, che partivano dalla valle Maira per comperare le acciughe che poi rivendevano girando con un carrettino. Agli acciugai è dedicato il Museo Seles di Celle di Macra. Altri musei sulla vita d’un tempo sono La misoun d’en bot di Borgata Chialvetta ad Acceglio (Info: tel. 0171 99017), il Museo della Canapa di Prazzo Inferiore (via Nazionale 22) e L’escolo de mountanho di Borgata Maschero a Stroppo (Info: 0171.999220 - 999112). Più a valle, nella casa di Dronero, Luigi Mallé, originario della cittadina e direttore dei musei civici di Torino, lasciò in eredità al comune arredi, suppellettili, libri, dischi e fotografie. Inaugurato nel giugno del 1995, il museo (www.marcovaldo.it) ospita una collezione di arte antica e contemporanea con opere di grandi maestri che rispecchiano il gusto eterogeneo di Mallé: si passa da dipinti e disegni di autori piemontesi del Settecento, a soggetti religiosi di gusto arcadico, a paesaggi e ritratti di fiamminghi - opere acquistate dal Mallè presso il mercato antiquario - fino ai quadri di pittori astratti contemporanei: Lucio Fontana, Umberto Mastroianni, Adriano Parisot. 26 27


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Nel paese di Matteo Olivero In un suo famoso autoritratto Matteo Olivero si mostra con foulard rosso al collo, occhio attento, cappello nero, barba lunga e affusolata. Nato ad Acceglio, nel 1879, in frazione Pra Rotondo, è stato nei tempi moderni il più celebre pittore delle valli occitane. Olivero viene ricordato non solo come “pittore delle nevi” o “tragico interprete delle sue montagne”, così come lo chiamarono i critici d’arte alle mostre di Grenoble, Roma, alla Biennale di Venezia e alle expositions di Parigi, ma anche per aver saputo intuire le idee originali e i fermenti tumultuosi della pittura a cavallo del Novecento. La sua opera è presente in collezioni e musei. Numerosi suoi quadri sono conservati nel Municipio di Saluzzo e prossimamente verranno esposti in un museo a lui dedicato. Qui in Val Maira si possono ammirare i luoghi che lo ispirarono. Ma nei suoi dipinti troviamo altri scorci della montagna occitana delle valli Po, Grana e Varaita: furono per lui fonte d’ispirazione i corsi d’acqua, il sole e la neve, le mattinate e le cime. Nel 1902, in Svizzera, Olivero incontrò Segantini, cui lo unì non solo l’amore per il mondo alpino, ma soprattutto la capacità di affrontare la pittura attraverso la scomposizione dei colori nei loro elementi. Preso dalla passione per il divisionismo, Matteo Olivero intrattenne, a partire dal 1903, una nutrita corrispondenza con Giuseppe Pellizza da Volpedo, autore del famoso “Quarto Stato”. Rimasto orfano di padre ancora bambino, la madre Lucia Rosano rimase per l’artista l’unico punto di riferimento. Ella lo seguì nei suoi molti spostamenti, da Torino (1896) a Saluzzo (1906), a Calcinere (1923-26). Uno dei soggetti più famosi di Olivero fu appunto il grandioso quadro “L’attesa” che ferma l’incedere lento e il gesto stanco della madre. Quando lei morì, anche il pittore decise di porre fine ai suoi giorni.


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Mangiar d’oc La ricchezza paesaggistica e storico-artistica della valle favorisce il turismo escursionistico e culturale (Info: www.percorsioccitani.it) che riscuote successo sia nei paesi di lingua tedesca, con l’afflusso di turisti da Germania, Svizzera e Austria, sia nelle vicine regioni italiane.Ciò ha favorito il rientro in valle di forze giovani: sia figli e nipoti dei montanari emigrati negli anni Sessanta, sia giovani originari della città che sono venuti ad abitare in Val Maira scegliendo uno stile di vita meno concitato di quello urbano. L’inversione di tendenza ha fatto sì che i giovani valligiani, che pensavano di emigrare per cercare fortuna in città, decidessero di restare. Così si sono sviluppati nuovi mestieri agricoli, artigianali, turistici. Sovente i nuovi arrivati hanno fatto propria la lingua occitana dando vita a iniziative culturali, mostre, musei, itinerari, concerti. Numerosi sono i ristoranti eccellenti, i bed&breakfast e le aziende agrituristiche sorte in seguito a questa ondata di neo-ruralismo che ha visto crescere aziende giovani, zootecniche e casearie, specializzate in formaggi bovini e caprini di qualità (a Elva, Podio di San Damiano Macra, La Morra di Villar San Costanzo), forni artigianali (a Roccabruna, Villar San Costanzo, Dronero, San Damiano Macra), produzioni di sapori tradizionali (a San Damiano Macra), infusi di erbe alpine, quali genepy e achillea erbarota (a San Damiano Macra), vino biologico tra cui spiccano il Nebbiolo di Dronero e altri vini, per ora coltivati fuori valle sulle colline del Saluzzese, che hanno salvato dall’estinzione gli antichi vitigni della media Val Maira.Tra le tante suggestioni gastronomiche, lo comaut (crema di zucca), macarons e trifolas (maccheroni e patate con funghi), los fesqueiròls (piatto di pasta condita con cipolla e pancetta, piselli e formaggio), los panets (calzoni di mele), la torta dels Techs di Dronero. Alcuni ristoranti propongono menù occitani completi in alcuni giorni della settimana. Indirizzi e recapiti di ristoranti, aziende, bed&breakfast e informazioni sui prodotti sono reperibili presso la Comunità Montana - www.vallemaira.cn.it o presso l’Ufficio di Informazioni Turistiche di Dronero - iatvallemaira@ virgilio.it - tel. 0171.917080 - fax 0171.909784.

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Uno “spazio” tutto occitano Espaci Occitan sorge a Dronero (via Val Maira 19) in una caserma trasformata in moderno centro culturale (tel. e fax 0171.904075). Creato da un’iniziativa della Comunità Montana Val Maira, ha l’ambizione di collegare i territori occitani d’Italia con il grande “spazio” di lingua e cultura d’oc dalle Alpi ai Pirenei, all’Atlantico, al Mediterraneo, e si propone come primo polo culturale dedicato al mondo occitano in Italia. La sua realizzazione, resa possibile anche dal riconoscimento della minoranza linguistica occitana da parte dello Stato Italiano con la legge 482 del 1999, ha rappresentato una svolta storica. Con Espaci Occitan, infatti, per la prima volta gli enti del territorio si sono fatti carico della tutela e della promozione della lingua e della cultura occitana, temi fino ad allora svolti dall’associazionismo privato. Oggi Espaci Occitan è un’Associazione di Enti pubblici del territorio occitano alpino (Info: www.espaci-occitan.org). Comprende un Istituto di Studi, un Museo Sonoro della Lingua (Sòn de lenga), uno Sportello Linguistico e una Bottega dei Prodotti Occitani. Il Museo Sonoro della Lingua Occitana, realizzato in forma multimediale con suggestioni dinamiche adatte a tutte le età, vuole condurre il visitatore attraverso la geografia, la storia, la civiltà d’Occitania. Letteratura, musica, storia, vita materiale, folklore e organizzazione sociale del territorio sono illustrate da postazioni audio-video che accompagnano in un viaggio interattivo e virtuale nel mondo occitano. Si può scegliere la lingua di navigazione fra italiano, occitano, inglese e francese. La Mediateca di Espaci Occitan raccoglie testi sulla letteratura occitana e materiali multimediali sulla e in lingua occitana. Filmati e documentari, cd rom, audiocassette e cd musicali sono disponibili per la consultazione nei locali appositamente predisposti e suddivisi per aree tematiche. L’Istituto di Studi Occitani viene costantemente implementato quantitativamente e qualitativamente con nuove offerte di servizi, attività rivolte a un pubblico eterogeneo, divulgazione tramite internet.Lo spazio,


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aperto allo scambio e al confronto con le altre minoranze italiane ed europee, è predisposto anche per convegni, proiezioni pubbliche, mostre, presentazioni di libri e iniziative culturali. È dotato di uno Sportello Linguistico on line e propone inoltre corsi di alfabetizzazione a vari livelli, erogati con lezioni on line, fino al conseguimento della capacità di esprimersi in lingua d’oc. Prodotti delle valli, opere dell’editoria locale, artigianato e informazioni turistiche trovano il loro spazio nella Bottega. Espaci Occitan si colloca in un territorio che valorizza le proprie caratteristiche linguistico-culturali. Oggi un percorso ad anello attraverso la valle Maira viene proposto sul sito www.percorsioccitani.it. Nel paese di Roccabruna, il comune ha dedicato vie e piazze a personaggi della civiltà occitana con insegne bilingui italiano/oc. Sono ricordate le regioni d’Occitania, Provenza, Delfinato, Guascogna, gli artisti del Quattrocento glorioso, come il pittore Hans Clemer e gli scultori Zabreri, personaggi eclettici come Giacomo Inaudi di Roccabruna, calcolatore mentale di fama mondiale citato nell’Enciclopedia francese Larousse, il Nobel Federico Mistral cantore della Provenza, l’ideologo umanista François Fontan e i più celebri trovatori medievali tra cui Arnaud Daniel, Peire Vidal, Marcabrun e la Contessa de Dia. Poesia e prosa hanno sempre trovato nelle genti della Val Maira un terreno fertile, dove coltivare racconti e rime. Di questa valle sono alcuni tra i maggiori scrittori del risveglio occitano in Italia, avvenuto negli anni Sessanta del secolo scorso. Le loro opere, pubblicate da editori locali, si trovano nelle librerie, nelle biblioteche e sono disponibili presso Espaci Occitan. Tema ricorrente è la nostalgia per un passato popoloso e fiorente contrapposto all’attualità dei paesi spesso abbandonati. Tra i nomi da ricordare: Pietro Ponzo di Preit, Pietro Antonio Bruna Rosso (Tòni d’ l’Aura) autore di poesie brevi e del “Piccolo Dizionario del Dialetto Occitano di Elva”, Piero Raina (Pietro d’Seze). Nel cuore di questo poeta c’è la montagna, simbolo e archetipo: in basso il mondo affannato, inquinato, cupo degli uomini soli nella folla; in alto il mondo sano, puro, luminoso di una solitudine serena perché in

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contatto con la memoria e il trascendente. Per Raina la montagna muore quando l’uomo l’abbandona. Celebre è la sua poesia “Cadranno le case dei villaggi”: Toumbaren i casei di vilage Sla mountagno abandounà Un al bot senzo tapage I casei dle noste ruà Bouch d’erbo biancho, rousier sarvage Enfoungaren le bianque rei Ai pe da c’les muraie Esquiapa da l’auro e dal soulei … Troup d’sarvan la sero Saiaren dai bosq tenebrous Per viroundar sle quintaine silenziouse A escoutar le vous misteriouse Que dousse ancaro dapé i lindal Desert di meisoun Countaren le storie di minà. … Cadranno i casolari dei villaggi / Sulla montagna abbandonata / Uno alla volta senza rumore. / I casolari delle nostre borgate / Cespi d’assenzio, roseti selvaggi / Affonderanno le bianche radici / Ai piè di quelle mura / Spaccate dal vento e dal sole … Torme di Silvani la sera / Usciranno dai boschi tenebrosi / Per aggirarsi sui vicoli silenziosi / Ad ascoltare le voci misteriose / Che soavi ancora, presso le soglie / Deserte delle case / Racconteranno le favole di bimbi. …


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Valle Grana Di tutte, la Valle Grana è la più vicina a Cuneo. All’imbocco di questa piccola valle, ancora caratterizzata da una fervida vita agricola, si trova Vignolo, alla testa Castelmagno, con le sue tredici frazioni e con un santuario tra i più noti delle Alpi Occidentali. Si possono ammirare splendidi paesaggi, caratterizzati da folti castagni, faggi e conifere, che in alto lasciano il posto ai pascoli con rari esemplari di flora protetta che hanno reso famoso il formaggio Castelmagno. Centro economico importante nel fondovalle è Caraglio, antico insediamento romano, oggi sede di iniziative culturali e culla della nuova musica occitana di Lou Dalfin “esportata” in Italia e in Europa. Significative sono le iniziative per la promozione della cultura occitana che si svolgono annualmente nei Comuni di Monterosso Grana e Castelmagno. È possibile ammirare, nei paesi della valle, esempi di architettura alpina che si è conservata nel tempo, visitare il Museo Etnografico di Sancto Lucìo de Coumboscuro e a Castelmagno in fraz. Chiappi il Muzeou dal travai d’isi (Museo del lavoro locale) e in fraz. Colletto il Pichot Muzeou, allestito in una stalla. Oltre alle testimonianze storico-artistiche di origine romanica e gotica, è possibile cogliere negli affreschi di cappelle e parrocchiali il mecenatismo dei marchesi di Saluzzo, che qui hanno dominato per secoli.

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Formaggio Castelmagno Questo particolare formaggio “erborinato” è singolare per l’aroma e la delicatezza, che gli vengono conferiti dall’alimentazione del bestiame, che si nutre della ricca flora, delle particolari erbe, di piante aromatiche e di fieni profumati. Il formaggio ha un’antichissima origine: infatti lo si menzionava già nel 1277 come tributo ai Marchesi di Saluzzo in cambio dell’usufrutto dei loro pascoli. Oggi il Castelmagno è il simbolo di un’economia montana che sfrutta al meglio le particolarità del luogo. Con l’obiettivo di mantenere i legami fra uomo e territorio e una memoria indispensabile per le nuove generazioni, si è sviluppato il progetto ecomuseale “Terra del Castelmagno”. Il progetto intende tutelare il processo produttivo del Castelmagno illustrandone la ricaduta sull’economia e sulle abitudini di vita locale. Il progetto ecomuseale prevede anche il ripristino dei sentieri che portano alle frazioni alte e la visita all’interno di un caseificio dove si lavora il formaggio. Nel programma intervengono sinergicamente quattro ambiti fondamentali: il formaggio Castelmagno, l’architettura alpina, il lavoro, il paesaggio. Il Santuario di Castelmagno


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Santuario di Castelmagno Castelmagno prende nome da un castello di forma quadrata, con quattro torrioni agli angoli, di cui rimangono poche tracce nella borgata Colletto. Il luogo era già stato interessato da un’occupazione romana per la sua posizione strategica, infatti ci sono i resti di un’”arula”dedicata a Marte. Il paese possiede un santuario dedicato a San Magno, a 1760 metri di quota, tappa di un itinerario religioso che, partendo da Sant’Anna di Vinadio, si snoda attraverso le valli Maira e Varaita (santuari di Valmala e Becetto) e raggiunge, in alta valle Po, il Santuario di San Chiaffredo. San Magno è ritenuto martire della Legione Tebea. Nel periodo di iniziale evangelizzazione di queste terre, realizzatasi in gran parte nella prima metà del terzo secolo, 6666 soldati furono richiamati dall’imperatore Massimiano Erculeo dall’Egitto per frenare il cristianesimo nelle Gallie. L’intera legione, tuttavia, in gran parte d’origine tebea, si era nel frattempo convertita alla fede cristiana. Così i soldati si rifiutarono di perseguitare i fratelli nella fede e, come ritorsione, furono sterminati. Di loro c’è traccia all’ombra dei campanili e dei piloni di tutto l’arco alpino, nonché nei nomi della gente delle valli: Costanzo, Chiaffredo, Vittore, Magno, Dalmazzo, Maurizio, Felice, Alessandro, Clemente, Vitale, Ottavio, Damiano, Defendente, Isidoro, Mauro, Pancrazio. Da tempo immemorabile si è consolidata la devozione popolare delle genti della valle per San Magno, considerato protettore delle mandrie e dei pascoli alpini. Nella ricorrenza del santo patrono, il 19 agosto, si svolge fin dal 1700 una processione in alta quota: la statua del Santo in abiti da guerriero - viene condotta al santuario da una decina di membri della baia, con abiti a coda e feluche, ornati di coccarde e nastri di seta di vario colore (es livrees) legati alle alabarde. A differenza di altre baias o abadie delle valli, che conservano un carattere popolare e talvolta anche pagano con riferimenti stagionali quali il risveglio della primavera, questo corteo mantiene un carattere cristianizzato (Info: castelmagno.oc@libero.it). 34 35


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Il Santuario di San Magno, come lo si vede oggi, fu edificato tra il 1704 e il 1716, ma conserva documenti artistici precedenti di notevole interesse. Oltre alla cappella affrescata da Pietro da Saluzzo è possibile visitare la “Cappella Vecchia” del santuario, dove si possono vedere gli affreschi di Giovanni Botoneri di Cherasco risalenti al 1514. Gli affreschi occupano 17 scomparti che narrano l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, la sua condanna e la Passione. A Castelmagno opera il Centro Occitano di Cultura “D. Dalmastro”, un’associazione che da oltre trent’anni si adopera per la tutela e la valorizzazione della lingua occitana. Il Centro pubblica anche un periodico, La vous de Chastelmanh. Nell’ultimo decennio sono altresì comparsi laboratori artigianali specializzati nella scultura del legno e nella produzione dei biscotti artigianali. La montagna attorno a Castelmagno parla ancora dello spopolamento che la colpì nel dopoguerra. Alcuni dei villaggi e delle frazioni sono meta di escursioni per gli amanti dell’architettura alpina, poiché mantengono intatto l’aspetto delle realtà abitative del secolo scorso. Fra queste, le più rimarchevoli sono l’antico villaggio di Narbona e le borgate di Valliera, Battuira e Campofei, insediamenti montani che conservano imponenti colonne circolari e caratteristici comignoli coi bocchi dei fornelli decorati con pietre a raggiera. Per gli amanti dell’alta quota è possibile risalire lungo i sentieri tracciati ai monti Tibert e Tempesta, dai quali, nelle giornate di cielo terso, si può osservare il grandioso paesaggio dell’arco alpino e della pianura piemontese. Poco distante “Lou Pertus d’la Patarasa”, dal nome di una fata gentile che si dice abitasse nelle caverne, è una grotta con formazioni di cristalli di calcite e ghiaccio perenne. Questo ci ricorda che in tempi passati tutto veniva ricavato dalla natura.


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Novè La cultura occitana possiede nelle proprie corde un’attenzione particolare al canto natalizio. Le cerimonie e le rappresentazioni popolari collegate a questa festività hanno una duplice connotazione: di festa religiosa, ma anche di festa pagana del solstizio d’inverno, che preannunciava la rinascita della natura. La cultura occitana, sempre molto attenta al mondo naturale, ha conservato nella propria tradizione un ricco repertorio di Novè che venivano cantate in queste occasioni, dove il popolo partecipava in prima persona e non da spettatore. I Novè, ispirati ai testi delle Sacre Scritture, hanno fatto riferimento anche ai racconti apocrifi e si sono arricchiti nel tempo di ampliamenti originali: elementi di vita quotidiana, situazioni comiche, personaggi contemporanei… Essi vengono eseguiti ancor oggi nelle chiese delle valli nel periodo di Natale. I più noti sono i Novè de Nòsta Dama dei Dòms di Avignone e i Novè de Sabòli, scritti da Micolau Sabòli (1614-1675) nel XVII secolo. Esperienze originali delle valli sono quelle dei gruppi L’Escabòt (Info: 0171.986142), formatosi nel 1999 con nove cantori delle valli Stura e Grana, e La Cevitou, (Info: www.lacevitou.it - tel. 0171.988103), il più antico coro polifonico delle valli occitane, che ripropongono brani attinti dal ricco filone della tradizione popolare occitana, diretta discendente dell’ispirazione trobadorica. Sancto Lucio de Coumboscuro - Roumiage


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Feste in Coumboscuro Si va a Sancto Lucìo di Coumboscuro come in pellegrinaggio.All’inizio degli anni Sessanta, in questa frazione di Monterosso Grana il risveglio, che qui si definisce “provenzale”, mosse i primi passi grazie alla passione di Sergio Arneodo, insegnante, poeta, autore di teatro e divulgatore carismatico. Come il poeta Tòni Baudrier e il pensatore François Fontan in valle Varaita, Arneodo infiammò le valli, rivelando che il patois che si parlava era figlio della lingua dei trovatori e della lirica di Frederì Mistral. Risale a quegli anni il periodico “Coumboscuro” e la nascita di un laboratorio di scultura del legno. Coumboscuro suscitò una generazione di poeti, cresciuti nell’ammirazione della poesia provenzale. Una delle realizzazioni più importanti del movimento di pensiero che si creò in Coumboscuro fu la scuola dove, ancora oggi, l’insegnamento è in lingua d’oc. Così, tra gli alunni, nascono nuovi piccoli poeti: Nuèch Soufîo l’auro enrabià: i-arbou soun tuchi coujà, i fuéie vòlen desperà. En chan japo aval, elouégn envers lou bial. Tout es quiét, la luno espouncho sal sarét. S’èstegnen i quiar ent’i ruà e mi istou souléto a pensar…

Notte Soffia il vento arrabbiato: gli alberi sono tutti piegati, le foglie volano disperate. Un cane abbaia laggiù, lontano, verso il torrente. Tutto è silenzioso, la luna spunta sul dosso. Si spengono le luci nelle borgate ed io rimango sola a pensare….

A Coumboscuro si svolgono manifestazioni culturali tra cui il Festenal, incontro di musiche e tradizioni europee, mostre e convegni sulle lingue minoritarie.La seconda domenica di luglio si tiene un’originale processione religiosa dedicata alla Madonna. Particolarmente formativa, per la conoscenza della cultura materiale delle valli occitane, è la visita al Museo Etnografico (Info: www.coumboscuro.org - tel. 0171.98707), con sezioni dedicate ai lavori agricoli,alla canapa,al latte,al ciclo del pane,all’artigianato


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(tessitura, falegname, bottaio, arrotino, intagliatore, tombolo), ai trasporti, all’arredamento tradizionale, al vestiario e ai passatempi. Da ricordare, nella parte più antica di San Pietro di Monterosso Grana, un suggestivo museo all’aperto, perciò sempre visitabile, che ripropone scene domestiche e antichi mestieri. I personaggi chiamati babaciu in dialetto, sono a grandezza naturale.

Sulle tracce di Pietro La valle conserva numerose opere di Pietro da Saluzzo che i documenti dicono nato nella famiglia dei Pocapaglia. Suoi gli affreschi della cappella di San Magno, nel santuario di Castelmagno, eseguiti tra il 1475 e il 1480, quelli della cappella di San Bernardo e Mauro a Valgrana (Madonna in Trono, San Bernardo da Mentone, il Battista, gli Evangelisti, i Dottori della Chiesa e un’Annunciazione) e nella cappella di San Sebastiano a Monterosso. Pittore sensibile alle dolcezze cortesi, Pietro da Saluzzo non esprime drammi ma si abbandona all’eleganza dei panni drappeggiati, al tono pacato e disteso delle scene, ai gesti controllati dei suoi personaggi. Fu,ai suoi tempi,un artista ricercato da committenti del Marchesato e delle terre circostanti.Tenne bottega ed ebbe numerosi allievi.Lavorò per chiese e confraternite. In pittura accolse le influenze lombarde, ma respinse la lezione dello Jaquerio che nel Marchesato aveva prodotto opere di grande valore, quali gli affreschi del Salone Baronale nel Castello della Manta. Per chi volesse seguire un itinerario tra le sue opere, oltre a quelle descritte in Valle Grana, si segnalano il ciclo già citato della Cappella di San Giorgio a Villar San Costanzo in Val Maira, la Cappella di San Ponzio a Castellar in Val Bronda, l’Annunciazione a San Bernardo di Ostana in Val Po, il Transito della Vergine in Santa Maria in Nives a Centallo, l’Annunciazione in San Giovanni Battista a Savigliano, il ciclo nella cappella della SS. Trinità a Scarnafigi, gli affreschi nell’antica Parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo a Verzuolo, le pitture della Cappella di Sant’Anna e in San Giovanni a Piasco in Valle Varaita, la Santa Cecilia nella Cappella di Santa Maria della Spina a Revello, l’affresco staccato di San Nicola da Tolentino in mostra nel Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo. 38 39


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Caraglio: seta, musica e arte Sbocco naturale delle valle verso la pianura agricola, Caraglio è, con Borgo San Dalmazzo, l’unica cittadina delle valli occitane della provincia di Cuneo a mostrare tracce di fondazione romana. In frazione San Lorenzo sono stati rinvenuti i basamenti di un edificio termale, laterizi, epigrafi e monete. L’impianto urbanistico e l’architettura della cittadina conservano memorie delle diverse epoche,dal medioevo romanico-gotico (ruderi del castello del 1128 abbarbicati sulla collina, palazzo dell’Antico Municipio, dimore di via Brofferio, campanile della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, Chiesa di San Giovanni Battista) al barocco (Chiesa di Santa Maria Assunta, Chiesa dei Cappuccini),all’Ottocento con dimore aristocratiche,fontane e monumenti. Nel 1198, la rivolta dei caragliesi contro il marchese di Saluzzo concorse alla fondazione di Cuneo sul picco compreso fra i torrenti Gesso e Stura. La ricchezza passata derivò in gran parte dall’essere Caraglio un crocevia al centro di una fertile regione agricola e dal suo sviluppo protoindustriale con cinque filande e filatoi per la produzione della seta. Negli anni recenti Caraglio è diventata sede di attività culturali all’avanguardia nel Piemonte sud-occidentale, organizzate e gestite dall’associazione culturale Marcovaldo. Il calendario dell’associazione è fitto di mostre internazionali d’arte contemporanea, di esposizioni fotografiche, manifestazioni storico-letterarie e convegni tematici, ospitati nel suggestivo Convento dei Cappuccini e nel Filatoio Rosso, edificio seicentesco recuperato e restaurato, fra i più originali delle valli occitane, con torri angolari cilindriche, due cortili interni e decorazioni in stucco e in cotto (www.marcovaldo.it - tel. 0171.610258). Il Filatoio, eretto dall’industriale della seta Giò Gerolamo Galleani, fu al contempo opificio e dimora raffinata, testimone di un’epoca in cui nelle campagne di Caraglio la seta dava lavoro a più di seicento persone. La vivacità culturale odierna sembra riproporre il ricordo del grande fermento di idee che vi fiorì nel XVI secolo, quando la Riforma protestante si diffuse nella bassa Val Grana e la popolazione di Caraglio aderì massicciamente, favorita dai Signori del luogo, i Solaro di Villanova, i cui


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membri più influenti si erano convertiti alla fede valdese. A Caraglio vive il musicista più famoso dell’Occitania italiana: Sergio Berardo, suonatore di ghironda, organetto, fifre, cornamusa e vari strumenti elettrici, leader del gruppo Lou Dalfin, in italiano “il delfino”. Berardo, artista carismatico, ha saputo reinventare la tradizione, aprirla alle mescolanze di musiche e stili, creando un genere nuovo, un linguaggio musicale coinvolgente in cui convivono suoni contemporanei e arcaici, ritmi da discoteca, melodie millenarie ed echi di canzoni d’autore. Gli strumenti in parte sono rimasti quelli della tradizione occitana alpina: ghironda, organetto, cornamusa, violino, scacciapensieri, piffero, clarino. Altri, come il fifre, il galobet, i tamburi di Provenza, si sono aggiunti attingendo al patrimonio d’oltralpe, mescolati ai moderni strumenti elettrici del rock contemporaneo. Di Berardo si dice che impugni la ghironda come Jimmy Hendrix impugnava la chitarra elettrica. La sua notorietà va ben al di là delle valli occitane e gli appassionati che seguono i suoi concerti (migliaia di giovani) e ascoltano i cd de Lou Dalfin (Info: www.loudalfin.it) scoprono una cultura musicale antica interpretata con sonorità e linguaggi attuali. Berardo ha allargato gli orizzonti della musica occitana che rischiava di rimanere confinata all’interno degli spazi stabiliti dalla tradizione e dal folk revival, rendendola in questo senso modernamente popolare. Ai concerti egli ha affiancato l’attività didattica e moltissimi suonatori sono cresciuti alla sua scuola. Sulla sua scia sono nati Lou Seriol della Valle Stura, Lhi Jari della Val Vermenagna e i Gai Saber di Peveragno, Les Fuines della Val Maira, i Chare Moulà e gli Aire d’Oustano della Val Po. In questo panorama si distinguono anche altri gruppi musicali, Trobairitz d’òc, A fil de ciel, Senhal, Troubaires de Coumboscuro, e sono attivi molti fisarmonicisti, violinisti, clarinettisti e cantori popolari. L’incontro e lo scambio di esperienze con i musicisti dell’Occitania è diventata una consuetudine nella festa annuale de Lou Dalfin a Castelmagno. In questa e in altre occasioni non manca l’esecuzione corale dell’inno Se Chanta, l’unica canzone d’amore, e non di guerra, a cui è capitato di diventare inno di un popolo, cantato ai quattro angoli d’Occitania dalla Val Grana alla lontana Guascogna. 40 41


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Se chanta Denant de ma fenestra i a un aucelon Tota la nuech chanta, chanta sa chançon Se chanta, que chante Chanta pas per iu Chanta per m’amiga Qu’es luenh de iu Aquela montanhas que tant autas son M’empachon de veire mieis amors ont son Autas, ben son autas, mas s’abaissarèn E mas amoretas vers iu tornarèm Baissatz-vos montanhas, planas levatz-vos Perqué pòsque veire mieis amors ont son Trad. Davanti alla mia finestra c’è un uccellino / Tutta la notte canta, canta la sua canzone / Se canta, che canti / Non canta per me / Canta per la mia amica / Che è lontano da me / Quelle montagne che tanto alte sono / Mi impediscono di vedere i miei amori dove sono / Alte, son ben alte, ma si abbasseranno / E i miei amorini torneranno da me / Abbassatevi montagne, alzatevi pianure / Affinché possa vedere i miei amori dove sono Caraglio - Filatoio Rosso


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Valle Stura È una delle più lunghe e suggestive valli occitane, antica via romana verso la Provenza e il Nizzardo attraverso il Colle della Maddalena (m 1996 s.l.m.) e il Colle della Lombarda (m 2351 s.l.m.). Quando i Romani conquistarono questi territori tennero conto delle affinità etniche fra le popolazioni dell’uno e dell’altro versante: così la valle Stura, assieme alle vicine Gesso e Vermenagna, fu aggregata alla Provenza, che per grado di civiltà fu la provincia romana per antonomasia. Indizi toponomastici, Piano Quarto e Piano Quinto a Gaiola, cippi, iscrizioni a Marte, a Diana e alle divinità protettrici dei carri e delle strade mostrano il tracciato della strada romana verso la Provenza. La parlata occitana è ancora ampiamente diffusa su tutto il territorio fino alle porte di Borgo San Dalmazzo. Nei paesi in quota la lingua d’oc è tra le più arcaiche e meglio conservate dell’intera Occitania alpina. La valle possiede paesaggi duri e spigolosi, con magnifici valloni laterali (Arma, Bagni, Lombarda, Neraissa, Ferriere), imponenti opere militari come il Forte Sabaudo costruito nell’Ottocento a Vinadio e severi campanili romanici ad Aisone, Vinadio, Sambuco e Pietraporzio. Per il suo carattere strategico di via di transito, fu spesso contesa e vide passare numerosi eserciti. Nella valle si trovano anche originali costruzioni di tronchi a blockbau a San Bernolfo (Bagni di Vinadio), con i tetti in paglia nel vallone di Neraissa e con tetti a scandole a Ferriere.

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Musei in quota La fama della Val Stura è oggi legata anche alla pecora sambucana, dal caratteristico profilo camuso, il cui allevamento è stato rivitalizzato da alcuni anni. Si tratta di un ovino autoctono, apprezzato innanzitutto per la carne, per il formaggio e anche per la lana. La pastorizia transumante era una delle attività più frequenti. Questo e altro racconta il percorso museale Na draio per vioure (Una strada per vivere) allestito dall’Ecomuseo della Pastorizia di Pontebernardo di Pietraporzio che valorizza il patrimonio culturale, naturalistico ambientale (Info: tel. 0171.955555 - www.vallestura.cn.it). Sambuco ha realizzato presso le ex scuole elementari il Centro di Documentazione di Valle. La struttura, attiva dal 1988, ha lo scopo di documentare il patrimonio storico e culturale della valle e di valorizzare le iniziative locali. Il centro ospita una mostra permanente dei costumi e degli oggetti tradizionali de “Le Abbadie della Valle Stura”, con particolare riferimento a quelle di Festiona e Sambuco, esempi significativi di baie “cristianizzate”. Funge anche da punto di accoglienza dei visitatori e ha uno spazio vendita di libri, pubblicazioni e materiali vari. Pietraporzio - Fraz. Pontebernardo, sede dell’Ecomuseo della Pastorizia


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Vinadio in movimento Grazie al recupero effettuato dalla Regione Piemonte, si può visitare a Vinadio il Forte di Carlo Alberto, capolavoro di ingegneria e tecnica, uno degli esempi più significativi di architettura militare delle Alpi occidentali. La costruzione, iniziata nel 1834, impegnò fino a 4000 persone e si concluse quattordici anni dopo. All’interno tre livelli di camminamento ospitano la mostra interattiva “Montagna in Movimento” organizzata con acuto senso spettacolare. Si definisce come una serie di ”percorsi multimediali attraverso le Alpi meridionali. Un invito a rileggere il passato per riflettere sul presente ed esplorare il futuro delle vallate alpine”. La montagna, quindi, vista non come frontiera e periferia, bensì come cerniera,nodo di scambio.Attraverso quaranta video-ambientazioni,più di sessanta programmi video e quattordici leggii interattivi, ci viene resa l’immagine di una montagna dinamica e flessibile, dove l’uomo ha saputo coniugare adattamento all’ambiente e creatività. (Info: Forte di Vinadio - tel. 0171.959151 www.fortedivinadio.it) L’ultima domenica di ottobre si tiene a Vinadio la tradizionale Fiera dei Santi. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso la fiera ruotava attorno alla vendita delle patate (bòdis in occitano), dei bovini e degli ovini. Poi si è affermata la Mostra della Pecora Sambucana, cui si affiancano concerti, mostre e spettacoli per valorizzare le tradizioni del mondo pastorale, nonché la degustazione dell’agnellone sambucano secondo varie ricette della tradizione. (Info: Comunità Montana Valle Stura - tel. 0171.955555). In frazione Bagni è possibile anche effettuare cure presso le terme che utilizzano acqua ricca di zolfo, che sgorga a 55°C e viene utilizzata per bagni, aerosol, inalazioni. Vengono praticati anche massaggi, fanghi e fisioterapie. (Info: tel. 0171.959395 - www.termedivinadio.com)

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Frontiere di burro ...non avevo ancora sedici anni,sono partito per la Francia,a piedi attraverso il Colle di Ciriegia; con altri abbiamo marciato fino a San Lorenzo del Var oltre Nizza, e da lì siamo andati a Saint Raphaël, alla ventura... ... a dodici anni sono andato la prima volta a Barcellonnette. Dal mio paese partiva un carro con i bambini sopra... ci portava fino a Pianche. Poi da Pianche a Barcellonnette andavamo a piedi. A Barcellonnette, nel mese di aprile, ogni giovedì, c’era il mercato dei bambini... Poi ho preso ad andare dalle parti di Grasse... Sono due testimonianze della Valle Stura di un tempo, tratte dal libro “Il Mondo dei Vinti” dello scrittore Nuto Revelli. L’emigrazione stagionale portava a Marsiglia,Tolone, la Crau, la Camargue, Nizza, Arles, Aix, Nîmes e Avignone, raramente prendeva la direzione contraria verso la pianura padana. Un tempo era normale viaggiare per le montagne. I bambini venivano portati alle fiere per essere “affittati” come pastori. Una particolarità della Valle Stura erano i migranti che sulla costa della Provenza facevano ballare le marmotte chiedendo pochi soldi in cambio di questo piccolo circo. Le frontiere erano di burro per chi conosceva i passaggi sulle montagne e andare in Francia serviva a sbarcare il lunario in un paese che ai più era familiare, dove si parlava la stessa lingua. La conoscenza dei colli favoriva il contrabbando. Si portavano riso e tabacco, si prendeva sale che costava poco e nelle valli si rivendeva quindici-venti volte più caro. Al contrabbando la Comunità Montana Valle Stura ha dedicato un museo a Ferriere, 1900 m di quota. Ambientato in una casa ristrutturata, si chiama La mishoun de la couòntrabando (La Casa del Contrabbando – Info: tel. 0171.96715) e prende le mosse da questa pratica di frontiera, per mostrare la vita nella borgata, completata da un filmato che raccoglie le testimonianze di chi svolse quest’attività certamente illegale ma utile alla sopravvivenza in altitudine.


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Memoria delle Alpi in guerra Le tracce sulle Alpi del secondo conflitto mondiale - guerra contro la Francia, Resistenza e persecuzioni razziali – sono una rete ecomuseale transfrontaliera (www.memoriadellealpi.net ). In provincia di Cuneo si dipanano oltre quaranta “Sentieri della Libertà”, che collegano luoghi e itinerari significativi per recuperarne la memoria storica. Centri informativi sono a Cuneo, Borgo San Dalmazzo, Boves, Dronero, Roccabruna e Sambuco, Ormea, con spazi, iniziative e materiali per rivivere, con la mente e col cuore, pensieri, progetti, scelte, sentimenti ed emozioni dei protagonisti di quegli anni. Si ricorda ad esempio che nel 1940 il territorio della valle Stura fu occupato da numerose divisioni alpine e di fanteria, cannoni e reparti di camicie nere a cui Mussolini aveva affidato il compito di sfondare le linee francesi. La Francia, già sconfitta dai Tedeschi, considerò l’attacco italiano “una pugnalata alla schiena”. Un Memoriale presso la stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo ricorda gli Ebrei di tutta Europa giunti a piedi dalla val Vésubie. Molti furono accolti dalla popolazione ma alcune centinaia furono catturati e avviati con le tradotte ai campi di sterminio tedeschi. Nei giorni successivi all’8 settembre del 1943, sulle montagne occitane si organizzarono i primi gruppi di resistenza. Un gruppo di antifascisti, guidato da Duccio Galimberti, Dino Giacosa, Dante Livio Bianco, si riunì a Madonna del Colletto, tra le valli Stura e Gesso, formando la “Banda Italia Libera”. Essendo la postazione di Madonna del Colletto difficile da difendere, la banda si spostò alla borgata Paralup, in cima al vallone di Rittana tra le valli Stura e Grana, oggi interessata da un progetto di conservazione architettonica ideata dalla Fondazione intitolata allo scrittore partigiano Nuto Revelli. a (CN 12 P1) camminare nella storia

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Le meraviglie di Pedona Le origini romane di Borgo San Dalmazzo sono un enigma affascinante. Ancora ci si chiede dov’era esattamente collocata Pedona “dalle bianche torri”, municipium già nel primo secolo d.C. e sede di una statio doganale che conservò a lungo una notevole rilevanza, in quanto posizione di controllo sulle vie verso la Liguria e verso la Francia, ma non sfuggì alla decadenza e alle incursioni saracene del X-XI secolo, come si legge nel “Planctus super Pedonam” (Pianto per Pedona). Tra i reperti archeologici, un’epigrafe, che attesta l’esistenza della stazione della Quadragesima Galliarum, una necropoli del II-III secolo vicina all’odierna abbazia e nuclei di tombe romane in altri punti della città. Di particolare pregio è il rilievo funerario di due coniugi (metà del I sec d.c.) conservato nel Museo Civico di Cuneo e la stele Victorina di fine marmo bianco, dedicata a una donna, ma curiosamente decorata con scudo e frecce.Testimonianza dei collegamenti con il mare troviamo anche in un’ara dedicata a Nettuno dai piscatores, conservata a Mondovì presso il seminario vescovile. La prima menzione dell’Abbazia di San Dalmazzo è contenuta in un diploma del 902 nel quale Ludovico III di Provenza la pose alle dipendenze del vescovo Eilulfo di Asti. Incerte sono anche le origini di San Dalmazzo o Dalmazio, patrono della città. C’è chi lo ha indicato come evangelizzatore dell’antica Pedona. Secondo un’antica versione, il Santo, soldato della Legione Tebea, fu martirizzato dai sacerdoti d’Apollo. La chiesa abbaziale di San Dalmazzo conserva una vasta cripta con pregevoli decorazioni in stucco e marmi e capitelli altomedievali. Nella cosiddetta Cappella Angioina si trovano affreschi dei fratelli Biasacci di Busca e di Giovanni Baleison di Demonte (Info: www.sandalmazzo.com e in particolare il Museo dell’Abbazia - www.sandalmazzo.com/museo/ index.htm ). Ai primi di dicembre si tiene la tradizionale Fiera Fredda, istituita da Emanuele Filiberto nel lontano 1569. Si chiama così poiché è l’ultima occasione di festa prima dell’inverno. L’esposizione è divenuta assai


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rinomata per la degustazione e vendita della lumaca bianca, Helix Pomatia Alpina, dalle carni bianche apprezzate dai buongustai, che ha il suo habitat naturale nelle vicine valli alpine. Oggi la lumaca viene allevata e cucinata in varie ricette più o meno tradizionali.

Percorsi letterari e leggende Una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento, Lalla Romano, nacque a Demonte nel 1906, in una famiglia sensibile alle arti ed alle scienze. Durante gli anni universitari a Torino conobbe e frequentò scrittori e intellettuali del calibro di Vincenzo Monti, Cesare Pavese, Mario Soldati, Franco Antonicelli, Arnaldo Momigliano. Tra i suoi romanzi, “La penombra che abbiamo attraversato” (1964) è ispirato alla sua infanzia in Valle Stura. Gli anni trascorsi a Demonte appaiono anche in un libro particolare,“Lettura di un’immagine”, che la

Ferriere, sede della Casa del Contrabbando


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scrittrice dedicò al padre Roberto e costituito da fotografie incise su lastre in bianco e nero da lui scattate fra il 1904 e il 1914. Ma Lalla Romano (scomparsa a Milano nel 2001) fu anche apprezzata pittrice, frequentò la scuola torinese di Felice Casorati ed espose le sue opere in mostre collettive e personali. A ricordo di ciò Demonte le ha dedicato uno spazio, situato nel seicentesco Palazzo Borelli, dimora tra le più prestigiose, eretta dai visconti Bolleris, Signori della valle fin dai tempi di Giovanna d’Angiò (1376). Lo “Spazio Lalla Romano” comprende una mostra permanente che documenta paesaggi, atmosfere, forme e colori dei luoghi che hanno esercitato un’influenza decisiva sulla formazione della sensibilità artistica di Lalla Romano, a partire dai suoi quadri e dai disegni giovanili, luoghi che traspaiono anche nei suoi libri. A fianco della mostra, una biblioteca, un laboratorio didattico per promuovere la conoscenza e la coscienza dell’opera letteraria di Lalla Romano coinvolgendo le scuole e gli insegnanti, a cominciare da quelle locali per allargare il campo alla regione transfrontaliera; quindi un centro studi sul paesaggio che ha funzione di laboratorio permanente e multidisciplinare per indagare il rapporto tra le diverse espressioni artistiche, la letteratura, la poesia, la pittura, la fotografia e il paesaggio (Info: tel. 0171.618260 raffaella.degioanni@ marcovaldo.it). Diversa è la storia di un poeta in lingua d’oc della Valle Stura, Giuseppe Rosso, Bep Rous dal Jouve, uno dei migliori del Novecento occitano. Nato a Borgo San Dalmazzo da una famiglia di margari originaria della media valle, ebbe modo durante l’infanzia e la giovinezza di seguire le mandrie di famiglia negli itinerari di transumanza dalla Valle Stura alla Valle Po. Ciò gli valse una grande esperienza sulla civiltà montanara che seppe sublimare nei versi della sua poesia. Educatore e studioso eclettico, Bep Rous dal Jouve pubblicò anche studi di toponomastica, architettura, storia, arte religiosa, pittura, tradizioni locali e folklore. Oratore suadente, apprezzato critico d’arte, musicologo e corista, appassionato fotografo, fu pure scultore su legno e poeta in piemontese. La sua opera poetica raccoglie versi in un occitano particolarmente ricco


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sia come vocabolario sia come espressione delle proprie emozioni. Purtroppo la sua produzione non fu mai sistematicamente raccolta e pubblicata, sebbene meriti di essere ritrovata per meglio comprendere il genius loci della valle. Queste poche righe vogliono essere un omaggio a un cantore della montagna occitana con l’augurio che la gente delle valli e chi viene da fuori voglia riscoprire la sua opera. Abou la chamiso bioncho N’ai mec pus uno, de chamizo bioncho, e ren la sortou per calar en villo. Mi me la vestou per anar amount entourn se làrguen i cavial di suco trempà de sàouvo chardo énte l’erbasso, adéou despoutentà di questaniha que mouéren quiet dins lou darrìe bouòsc. Con la camicia bianca / Ne ho solo più una, di camicie bianche, / e non la uso per scendere in città. / La indosso per andare lassù, / ove s’allargano le mandrie dei ceppi / fradici di linfa rossastra tra l’erbaccia, / addio disperato dei castagni / che muoiono silenziosi nell’ultimo bosco. Letteratura e poesia in oc si nutrono di miti e leggende. Uno dei testi poetici tradizionali più suggestivi della Valle Stura tramanda il passaggio della Regina Giovanna d’Angiò, diretta a Napoli:“Nòstra Rèina Jana, tuchi corrion al siu passatge, tuchi venion a lhi far omatge.Viva la rèina de nòstra montanha e tot lo monde qu’aicì l’acompanha! (Nostra Regina Giovanna, tutti accorrevano al suo passaggio, tutti venivano a renderle omaggio. Viva la regina della nostra montagna e tutto il seguito che qui l’accompagna)” Le cronache che tramandano la figura della regina di Napoli e signora di Provenza, la dicono donna di grande fascino, però dissoluta e crudele. Giovanna ebbe quattro mariti e numerosi amanti e, accusata di omicidio, fu strangolata nel 1382. 50 51


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Qui in valle invece è ricordata come dama benevola e un piccolo pianoro a picco sulla stretta delle Barricate, barriera di roccia tra Bersezio e Pontebernardo, viene ancora oggi ricordato come il “giardino della Regina Giovanna”. Fa eccezione una leggenda della bassa valle in cui la Rèina Jana torna quell’essere indiavolato tramandato dalle cronache del medioevo. Qui si racconta che la bella Giovanna, in viaggio da Napoli verso la Provenza, si stabilì sopra un monte dal clima particolarmente salubre e vicino a una fresca sorgente. Ma di lì a poco venne una terribile pestilenza, interpretata dagli abitanti del luogo come un castigo divino per la presenza della peccatrice. Il popolo pregò quindi Giovanna di andarsene: la regina acconsentì, ma in cambio pretese un paio di scarpe adatte ai suoi piedi. Così si scoprì che aveva “piedi di gallina”, ossia che la Rèina Jana era una strega. Relax alle Terme di Vinadio in frazione Bagni


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Valle Gesso Il Parco Naturale Alpi Marittime, di circa 29.000 ettari attorno al massiccio dell’Argentera, è il più grande parco del Piemonte. Confina con il Parco Nazionale francese del Mercantour, con cui è gemellato dal 1987. Così, 100.000 ettari di prezioso territorio alpino vengono protetti e nel 1993 hanno ottenuto il Diploma europeo per l’ambiente. Il Parco ha come nota distintiva la vicinanza del mare, seppure numerose cime con alcuni ghiacciai superino i tremila metri. Nel Parco sono state classificate circa 1.900 specie di piante superiori con numerosi e preziosi endemismi, ventisei dei quali di tipo esclusivo. Ricca è la fauna, con lo stambecco in primo piano, camosci, mufloni provenienti dal Mercantour, lupi, aquile, gipeti e falchi pellegrini. I Centri Visita della Valle Gesso si trovano ad Entracque e Terme di Valdieri. Tra i carsismi di rilievo della zona troviamo le grotte di Roaschia, caratterizzate dalla risorgenza della Dragonera, con un sifone esplorato fino a -35 metri, e le grotte del Bandito, sfruttate anche per l’estrazione dell’oro alla fine del XIX secolo, ma famose soprattutto per il rinvenimento di ossa dell’orso delle caverne (Ursus spelaeus), una specie di tre metri di altezza e del peso di una tonnellata circa, estintosi 15.000 anni fa.Nel tratto più a valle della gola del Rio Bedale si può osservare anche una profonda incisione che forma un canyon con alte pareti rocciose.

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L’orso e la segale L’orso si ritrova come figura principale anche nell’antico carnevale alpino di Valdieri. Un orso di paglia di segale incatenato viene condotto per le vie del centro storico da un domatore. L’orso tenta di aggredire le donne e quando riesce a liberarsi ne sceglie una per un ballo. Infine fugge lontano dalla gente e, sostituito da un pupazzo di segale, viene bruciato. Partecipano al corteo anche i chiassosi “peroulier”, “i frà” che declamano “epistule” scherzose e i simpatici “magnin”. Il tema della segale è centrale per l’Ecomuseo della Segale, che si trova nell’antica borgata di Sant’Anna di Valdieri: permette di scoprire abitudini, curiosità sulla vita quotidiana e i lavori della gente di un tempo.Il progetto museale ha recuperato alcune case e i tetti in segale nelle borgate di Tetti Bartola e Tetti Bariau. Il Centro di documentazione propone percorsi etnografici, come il sentiero cultura “Lou Viol du Tàit”, escursioni, laboratori sulla cultura locale e sul tema della segale. (Info: Comune Valdieri - tel. 0171.97109) Pian del Valasco


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Memorie reali a Valdieri ed Entracque L’area del Parco delle Marittime è un luogo di selvaggia bellezza. Nel 1855 i Savoia vennero in visita in Valle Gesso e Vittorio Emanuele II ne rimase tanto affascinato che i comuni di Valdieri ed Entracque,consapevoli dei vantaggi che la presenza reale avrebbe portato,cedettero al futuro re d’Italia parte dei propri terreni come riserva ad uso privato di caccia e pesca. Vittorio Emanuele II scelse la Valle Gesso come dimora estiva e tra il Re Galantuomo e la popolazione si stabilì un rapporto privilegiato. Il re impegnò numerosa manodopera locale: guardie, portatori e battitori, che durante le cacce spingevano i branchi di camosci a tiro del fucile regale, e uno stuolo di servitori,cuochi e camerieri impiegati nelle palazzine di caccia, in cui il re accoglieva monarchi di mezza Europa con le loro corti, amici ed amanti. A ricordo delle scappatelle amorose del Re Galantuomo rimane, alle Terme di Valdieri, l’originale chalet della “Bela Rosin”decorato con legni traforati e svolazzi in stile svizzero, che Vittorio Emanuele II fece costruire per ospitare la giovane popolana Maria Rosa Vercellana, poi nobilitata con il titolo di Contessa di Mirafiori. Terme di Valdieri - Chalet della Bela Rosin


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Per favorire la frequentazione delle vicine terme dove sgorgano acque a 25-29 gradi vennero edificati numerosi alberghi e lo stesso Vittorio Emanuele II inaugurò nel 1857 il grandioso Hotel Royal. Una dimora reale di caccia sorse a Sant’Anna di Valdieri, un’altra a San Giacomo di Entracque. Da qui iniziano vari sentieri che conducono fino a Pian del Rasur, con la possibilità di incontrare camosci e marmotte e godere dello spettacolo dei ghiacciai del Monte Gelàs. Tra i luoghi più suggestivi vi è il Piano del Valasco, ampio pianoro circondato da cime a 1760 metri, attraversato da un torrente che forma due bellissime cascate, dove Vittorio Emanuele II fece erigere una delle più importanti e caratteristiche case di caccia: un solitario castello quadrangolare munito di torri di guardia. Con una lapide del 1882, il Club Alpino Italiano ricorda Vittorio Emanuele II che “le alte cure del regno, qui nei gioghi delle Alpi Marittime, nel ludo di alpestri cacce ogni anno riposava”. I successori Umberto I e Vittorio Emanuele III vedranno confermati i loro diritti sulla riserva, così, per oltre ottant’anni, la Riserva Reale ebbe il merito di conservare, seppur a scopo venatorio, la fauna selvatica, proteggendola dal bracconaggio e introducendo nel 1920-22 lo stambecco portato dal Gran Paradiso. Scomparsa infine la monarchia, dall’ex riserva nascerà parecchi anni più tardi l’attuale Parco delle Alpi Marittime (Info: www.chambradoc.it/cmgv/progettocmgv2004.page). Per una più approfondita conoscenza delle opportunità offerte dall’area protetta e della Valle Gesso in generale è possibile visitare uno dei centri di accoglienza che il Parco delle Marittime ha realizzato nei punti di accesso di Entracque e Terme di Valdieri. (Info: Centro Visita Entracque tel. 0171.978616; Terme di Valdieri - tel. 0171.97208 - www.parco alpimarittime.it). Presso le Terme è stato aperto il Giardino Botanico Valderia, dal nome della viola valderia endemica di questo territorio. Il giardino raccoglie più di 450 specie degli ambienti naturali della zona: rocce silicee e calcaree, prateria, torbiera, greto, pascolo, arbusteto. La necropoli di Valdieri, aperta alla visita, e le incisioni rupestri del lago del Vei del Bouc testimoniano la presenza di popolazioni preistoriche. La


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valle fu nota ai Romani per le sue sorgenti termali e, nel medioevo, fu transito per le carovane del sale che giungevano dalla Provenza. Medievali sono gli affreschi della Madonna del Gerbetto ad Andonno e della cappella di San Giovanni a Valdieri. Il marmo bardiglio grigio cavato nei pressi di San Lorenzo fu impiegato in epoca barocca nelle parrocchiali di Valdieri ed Entracque. In quest’ultimo paese, il Museo di Arte Sacra espone oggetti liturgici e quadri di scuola caravaggesca. Paesi e frazioni hanno mantenuto in parte l’aspetto di un tempo ed è possibile osservare tracce di antiche coperture in paglia; caratteristici sono gli alpeggi con i recinti in pietra, chiamati “parc”, il “casot” in pietrame che funge da abitazione del pastore e la “truna” con copertura in terreno vegetale dove si conservano i formaggi. Il tutto prende il nome di “gias” dal latino “iacere” (giacere) e rispecchia uno stile di vita rustica. La val Gesso non è tuttavia solo memorie reali, natura, storia e cultura materiale. Spettacolare è l’impianto idroelettrico di Entracque, entrato in funzione nel 1982, il maggiore d’Italia. Si articola in due salti distinti: Chiotas-Piastra e Rovina-Piastra. La sua costruzione, iniziata nell’ottobre 1969, ha richiesto tredici milioni di ore lavorative e un complesso cantiere comprendente trentacinque imprese fra edili ed elettromeccaniche, parte in quota per la realizzazione delle dighe del Chiotas (130 metri di altezza) e del Colle Laura, parte per la realizzazione dei fabbricati esterni, parte in galleria per i canali di derivazione e le condotte forzate. Con il trascorrere degli anni il mastodontico muraglione della diga della Piastra è diventato una divertente e inconsueta palestra di roccia per gli appassionati dell’arrampicata. Per soddisfare le curiosità dei visitatori, sulla strada per San Giacomo di Entracque è stato creato il Centro Informazioni “Luigi Einaudi”, dove è ospitato un modello degli impianti collocati in alta montagna ed è visitabile con un trenino la centrale in caverna con le gigantesche condotte e turbine (Info: Centro Informazioni “Luigi Einaudi” - tel. 0171.978811 - fax 0171.078811).

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Sulle tracce di lupi e gipeti Il Parco delle Marittime, che nel 1993 ha ottenuto il Diploma Europeo per l’Ambiente, è ricco di camosci e stambecchi.Ospita inoltre due animali rari, il lupo e il gipeto, di cui fino a pochi decenni fa si era persa traccia. Il lupo è tornato risalendo a tappe l’Appennino e proprio in Valle Gesso, verso il confine con il Parco francese del Mercantour, i segni della sua presenza sono risultati particolarmente numerosi. Il suo arrivo ha creato preoccupazione tra i pastori che ora devono difendere le greggi dagli attacchi del predatore. Ad Entracque, presso il Centro del Parco delle Alpi Marittime, i ricercatori studiano il comportamento dei nuovi arrivati. Dopo aver contato gli esemplari dalla Valle Vermenagna alla Valle Varaita, seguono d’inverno le loro tracce sulla neve, d’estate “ululano”per le combe e i crinali, imitando il richiamo del lupo o diffondendo ululati registrati. I lupi rispondono ai ricercatori e in questi modo è possibile capire quanti sono (Info: www.regione.piemonte.it/parchi/lupo/progetto/monitor.htm). Avvistare un gipeto in volo è emozionante. Questo rapace ha un’ampia apertura alare e compie tragitti lunghissimi, volando dalle Alpi Marittime alle Cozie e sorvolando il mare fino alla Corsica. Il Parco, frequentato da greggi, fornisce cibo abbondante a questi spazzini d’alta quota, in grado di inghiottire le ossa intere (anche il femore di un camoscio) e digerirle con succhi gastrici potentissimi. I gipeti non sprecano nulla, si nutrono delle ossa e dei tendini degli animali morti, quindi non hanno competitori alimentari. Sono intelligenti: a tarda primavera volano puntualmente sopra i resti di slavine e valanghe,sperando di trovare animali morti. Quando le ossa sono troppo grandi, per romperle si alzano in volo e le lanciano sulle rocce da cinquanta metri di altezza. Sulle Marittime i rilasci di gipeti sono cominciati nel 1993: da allora gli avvistamenti sono continui e ogni segnalazione viene raccolta in una banca dati. I rapaci rilasciati sono “marcati”e si riconoscono per le penne delle ali, remiganti e timoniere,più chiare.Un gipeto delle Marittime è stato visto nei cieli dell’Olanda e dopo circa tre mesi è stato osservato in Alta Savoia.


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Le Parlate, teatro d’oc A Entracque ogni cinque anni si può assistere alla rappresentazione de “le Parlate”(l’ultima si è tenuta nel 2005). Questa rievocazione della Passione e Morte di Gesù viene fatta rivivere da attori e personaggi locali su un palcoscenico presso la Confraternita di Santa Croce.Tutta la rappresentazione, dalla preghiera nell’orto di Getzemani fino alla Sepoltura, è recitata nella lingua occitana del luogo. L’usanza risale al medioevo e si tiene nella Settimana Santa,ma particolare suggestione riveste la giornata del Venerdì Santo, quando compaiono i personaggi locali:al Timbajer (l’araldo) che fin dal primo mattino attraversa le borgate annunciando il programma, al Capitani (il capitano), che nella Domenica delle Palme è stato investito della carica da parte del parroco priore. Al Capitani assieme a al Tenenti (il Tenente) presenta i personaggi al sindaco e chiede l’autorizzazione allo svolgimento de “le Parlate”. Ricevuta l’autorizzazione, davanti alla confraternita di Santa Croce si rappresentano la Passione e Morte di Gesù, quindi la celebrazione prosegue con una processione accompagnata dai canti del Miserere e dello Stabat Mater lungo le vie del paese, illuminate con lumi e torce. Ad accompagnare l’Urna Sacra con il corpo del Cristo, ci sono i Trëzë Cavajer (i tredici Cavalieri) in frac e feluca con una bandiera decorata di una croce d’argento in campo nero, in rappresentanza dei tredici rioni, guidati da “al trezë”, il loro comandante. La processione si conclude con la deposizione del Cristo nella chiesa parrocchiale dove è convenuta l’intera popolazione. Le Parlate, nate da una forte motivazione religiosa, rappresentano un momento di fede, di storia e di tradizione, che richiede molto impegno alla comunità del piccolo paese, posto ai piedi di suggestive falesie calcaree e di aspre montagne. (Info: www.chambradoc.it/cmgv/progettocmgv2004.page). 58 59


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Gastronomia di valle Le ricette delle valli si rifanno alle coltivazioni ed ai prodotti tipici: gli gnocchi di spinaci, il riso al latte con patate, porri e zucca, le trote con i funghi porcini freschi, le cipolle ripiene di bietole e salsiccia, la torta di ricotta. In queste preparazioni non manca la patata, risorsa primaria nell’alimentazione delle Alpi occitane. In realtà la patata arrivò su queste montagne abbastanza tardi, verso la fine del Settecento. Il suo nome in occitano conosce diverse varianti: c’è chi la chiama trufa, chi tartifla, chi trifola e diversissimo dagli altri è il nome bòdi in uso nelle valli Gesso e Stura. Terra, altitudine, acqua e clima fanno delle patate di montagna un prodotto molto apprezzato. Nella cucina tradizionale delle Valli si trovano: fritte, in padella, lessate con la buccia per mantenerne il sapore, schiacciate in forma di purea e come ingrediente essenziale per vari tipi di gnocchi, raviolas, calhetas, donderets, tondirets, con il riso e con l’aioli, e persino in certe torte salate. Alcuni attrezzi tradizionali per la coltivazione della patata sono ancora largamente impiegati: la zappa a due punte, il magau, importato sulle montagne occitane dalla Provenza, e l’originale picha o bichard che di punte ne ha una sola. Tuttavia si va diffondendo una rapida meccanizzazione della produzione. Fra le ricette tradizionali, e dal gusto particolare, troviamo anche los talharins de Roascha, i taglierini alla moda di Roaschia, una pasta preparata a mano. Il condimento è preparato con sei etti di cipolle affettate e rosolate in 80 grammi di burro e quattro cucchiai di olio d’oliva assieme a due etti di pancetta a dadini. Quando tutto è ben dorato, si aggiungono due bicchieri di vino rosso e si fa cuocere per altri otto minuti. In questo sugo si fanno saltare i taglierini precedentemente lessati.


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Storie di pastori e migranti Le storie di emigrazione sono “la grande avventura” delle Valli occitane. “... Non avevo sedici anni, sono partito per la Francia, a piedi attraverso il Colle di Ciriegia. Con altri abbiamo marciato fino a San Lorenzo del Var, oltre Nizza, e da lì siamo andati a Saint Raphaël, alla ventura...”: è una testimonianza raccolta da Nuto Revelli nel suo libro “Il Mondo dei Vinti”. L’emigrazione stagionale portava lontano, sul mare di Marsiglia, a Tolone, nella Crau, nella Camargue, sulla riviera di Nizza, ad Arles, Aix, Nîmes, Avignone e fino a Parigi. I pastori di Roaschia andavano nella direzione opposta, verso la Pianura padana, seguivano il corso del fiume Po. Uomini, donne e bambini muovevano dalla Valle Gesso con centinaia di pecore, seguiti da un carro con le masserizie essenziali, per una vita spartana… di giorno camminare, la notte sotto le stelle.“Rubavano”l’erba dei pascoli lungo gli Parco Naturale Alpi Marittime - Lago Valscura Inferiore


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argini e le lanche del fiume, perciò ebbero il soprannome di “gratta”, che in dialetto vuol dire ladruncolo. Tornavano a primavera inoltrata portando nella valle natia oggetti, usanze, canzoni e il buon vino delle colline astigiane. In una intervista filmata del 1996, conservata nell’archivio della Ousitanio Vivo Film (Info: via Marconi - 12020 Venasca – tel. 0175.567606 - ousitanio. vivo@infosys.it), Lorenzo Giraudo detto Lencho d’ Charùa di Roaschia, raccontò la sua storia: “Scendevamo con il gregge, circa 180 pecore, e andavamo a piedi a Fiorenzuola d’Arda in provincia di Parma, mio padre, mia madre e la famiglia. Partivamo d’autunno, fine settembre, con il carro. Passavamo per Cuneo, Bra, Alba, Asti, Alessandria,Tortona,Voghera, poi a Casteggio e Stradella, dove fanno le fisarmoniche, fino a Castel San Giovanni, Piacenza e San Giorgio Piacentino”. I “gratta”erano nomadi in un mondo di sedentari. Ciò imponeva qualche cautela e per non farsi capire i pastori di Roaschia si inventarono un gergo: la bartolina e lo bartolòt erano la pecora e l’agnello, la bëjja la toma, la donna la tubera, la ragazza la marmalha. Le donne partecipavano a questa vita durissima:“Giorno dopo giorno alle intemperie, pioggia e neve. Il carro era la nostra casa, le donne dormivano sul cassone, gli uomini sotto il carro, coricati su una pelle di pecora”. Parco Naturale Alpi Marittime - Strada ex militare per il Colletto di Valasco

Parco Naturale Alpi Marittime Il Monte Matto


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Val Vermenagna Nel medioevo la Valle è stata un’importante via di transito per le carovane del sale e le comunicazioni dal Piemonte alla Liguria occidentale e al Nizzardo. La Val Vermenagna è certamente la valle dei balli e dei canti. D’estate si susseguono feste patronali e campestri, vissute con forte partecipazione popolare. In particolare a Robilante e Vernante i giovani mostrano un grande attaccamento ai balli tradizionali occitani. Sia la danza figurata, al suono della fisarmonica e del clarino, sia il canto hanno sviluppato forme tipicamente locali, con uno stile canoro che tende verso i toni alti e un passo di danza velocissimo, quasi impossibile da imitare. Oggi la valle è l’unica della provincia di Cuneo percorsa da una strada e da una linea ferroviaria internazionali, che collegano Torino e Cuneo a Nizza. Limone P.te, in cima alla valle, è considerata il più importante centro sciistico delle Alpi sud-occidentali. Le prime piste da sci sorsero nel 1907. Nel 1936 si iniziarono gli impianti di risalita e i primi alberghi. Nel dopoguerra le sue nevi diventarono meta di sciatori e turisti provenienti dal Cuneese, dalla Liguria e dal Nizzardo (Info: www.limonepiemonte.it). Nonostante l’intenso sviluppo turistico ed edilizio, il paese conserva una notevole identità comunitaria e un dialetto d’oc con alcune curiose peculiarità fonetiche. Una tradizione tipicamente occitana è la Baija, celebrata in estate con una processione religiosa seguita da musiche e danze. Il tunnel stradale di Tenda, scavato nel 1883 per il traffico delle diligenze postali, misura 3,3 km e fu tra i primi delle Alpi. La sua presenza favorisce l’apertura verso il Nizzardo e la Provenza. Una rete viaria così sviluppata

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spiega anche, in parte, la presenza nella bassa valle di industrie estrattive che assicurano molti posti di lavoro, limitando il fenomeno dell’emigrazione.

I Forti di Tenda A fine Ottocento l’Italia eresse sul colle di Tenda (1850 m di quota), tra le valli Vermenagna e Roya, un sistema di forti collegati da strade militari, oggi trasformati in percorsi escursionistici di grande valore ambientale. Il Forte Colle Alto, costruito dal 1888 al 1891, fu il perno di questo schieramento contro la Francia. Dai Forti di Tenda non fu mai sparato un colpo: allo scoppio della prima guerra mondiale le loro artiglierie vennero infatti smantellate e utilizzate sul fronte austriaco. Nel 1947, quando l’alta valle Roya passò alla Francia, anche i Forti di Tenda cambiarono proprietario.

Escursione in MTB ai Forti di Tenda


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Ubi stabant cathari Ad Rocavion, et est locus apud Cuneum, ubi stabant cathari qui venerant de Francia ad habitandum... scriveva nel Duecento l’inquisitore Anselmo da Alessandria.L’arrivo dalla Linguadoca dei primi eretici catari a Roccavione risaliva al 1165.Essi avevano attraversato,come molti fuggitivi,il Colle di Tenda. Roccavione risultava collocata alla confluenza di più strade, con un castello dell’XI secolo di cui rimangono pochi ruderi. Partendo da qui, i catari predicarono in Piemonte, Lombardia, Toscana e Veneto. Numerosi personaggi vi transitarono: trovatori, nobili e cavalieri, tra cui alcuni difensori della rocca di Montsegur, in cui si consumò il massacro dei catari, episodio miliare nella storia dell’Occitania. In giugno a Roccavione rivivono, alla luce delle torce, i fondamenti della religione catara, i riti, il dramma della persecuzione, il sacrificio finale, con musiche e scene di vita quotidiana del basso medioevo. Un centinaio di persone in abito d’epoca ripercorrono gli eventi descritti nel Tractatus de heretici dell’inquisitore Anselmo. Che la Val Vermenagna sia una delle più antiche vie di transito attraverso le Alpi, lo conferma il ritrovamento presso Roccavione (Bec Berciassa a 962 m s.l.m.) di un insediamento dell’Età del Ferro. Il Colle di Tenda fu attraversato anche per fini commerciali. I mestieri legati al traffico e ai trasporti hanno trovato un proprio protettore in Sant’Eligio.Ancor oggi ricorre a Limone P.te la tradizionale Baija ‘d sant Aloi, protettore dei carrettieri, fabbri-ferrai, maniscalchi, sellai. Si festeggia l’ultima domenica di agosto: l’Abbà, personaggio che guida la Baija sostenendo l’insegna del patrono,e i suoi confratelli sfilano vestiti d’un ricco abito alla napoleonica,montando cavalcature cariche di fiocchi, pennacchi e sonagliere, condotte da eleganti mulattieri che impugnano un’asta sormontata di nastri e fiori.Giunti alla chiesa parrocchiale del 1363,la più antica della Val Vermenagna con la facciata in pietra e portale a sesto acuto, avviene l’investitura del nuovo Abbà. Il corteo si ripete due volte nella giornata, accompagnato da corenta e balet, danze tradizionali diffuse in tutta l’area occitana, e dal rimbombo della polvere da sparo delle castagnette. 64 65


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Pinocchio a Vernante A soli 6 km da Limone Piemonte si trova Vernante, che conserva un centinaio di murales dedicati a Pinocchio. Accadde che negli anni ‘20 la vernantina Margherita Martini prese servizio a Torino in casa di Attilio Mussino, famoso illustratore di Pinocchio. Dopo aver perso il figlio e la moglie, il pittore si ritirò a Vernante e vi trascorse gli ultimi anni di vita. Nel 1989, Bruno Carlet e Meo Cavallera ebbero l’idea di affrescare i muri delle case con la storia di Pinocchio. Si è creata così una suggestiva visione della famosa storia lungo il paese. All’entrata nord è stato eretto un monumento a Pinocchio, opera di artigiani locali (Info: www.comune.vernante.cn.it). Fiore all’occhiello dell’artigianato di Vernante sono anche gli ormai rari “vernantins”, coltelli in acciaio temprato, con manici di corna bovine e la particolare chiusura a chiodo.Ne esistono sia di diritti sia di ricurvi per i lavori agricoli. Una parte del territorio è inclusa nella Riserva Naturale del Bosco e dei Laghi di Palanfrè, compresa nel Parco delle Alpi Marittime. L’area protetta si trova nella parte alta della Val Grande, sopra l’abitato di Palanfrè,dove le praterie appaiono contornate da bianche rocce calcaree.Pur non essendo molto vasta (1070 ettari circa),la riserva presenta una varietà di microclimi che spiega l’enorme ricchezza faunistica sia di uccelli sia di mammiferi, fra cui camosci, marmotte, martore e tassi. La piccola frazione di Palanfrè, con il suo bosco di faggio a monte delle case tutelato sin dal Settecento, ha conservato la fisionomia di una borgata tradizionale. Le case sono state ristrutturate rispettando l’architettura alpina di questi luoghi. Il Parco delle Alpi Marittime, che si estende fin qui ed ha aperto un piccolo Centro Informazioni anche a Vernante, propone il Sentiero Natura, una passeggiata nella faggeta ricca di esemplari antichi e contorti.


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Il genio di Nòto e Jòrs Il genius loci della Valle trova la sua rappresentazione nel “Museo della Fisarmonica, della Musica e dell’Arte Popolare”di Robilante con le fisarmoniche a semitons e il banco da lavoro di Giuseppe Vallauri (nato a Robilante nel 1896, morto nel 1984), conosciuto con l’appelativo di Nòto Sonador. Suonatore di fisarmonica, ottimo esecutore di corenta e balèt, Vallauri fu anche riparatore di fisarmoniche.La storia del folclore occitano lo annovera tra i più grandi testimoni del patrimonio musicale di danza popolare. A Nòto Sonador è dedicata la Festa della Fisarmonica organizzata in maggio. Arricchiscono il museo, oltre ai costumi d’epoca e alle numerose foto, le riproduzioni delle opere dello scultore contadino Giorgio Bertaina, Jòrs de Snive (nato nel 1902, morto nel 1976), vissuto sulla montagna di Robilante presso le Piagge. Jòrs scolpiva su legno con il coltello, in uno stile che sembra emergere dai tempi del romanico.Sono sculture ispirate al suo mondo:animali domestici e selvatici, vacche al pascolo, suonatori di fisarmonica e clarino, l’osteria, gli sposi che ballano. Jòrs de Snive fece anche decine di bastoni da passeggio,ornati con scene di vita, veri racconti scolpiti a 360° per tutta la lunghezza del bastone. Particolarmente interessanti alcune sculture che rappresentano il braccio severo della legge: carabinieri a cavallo che trascinano uomini in catene, forse montanari presi con la bricolla del contrabbando. Una storia vera quella del contrabbando nei paesi al confine con la Francia: portavano riso e tabacco e prendevano sale che di là costava poco. Contrabbandavano anche fisarmoniche; tornavano con lana, mucche e pecore. Quando non c’erano carabinieri e finanza in agguato, le frontiere erano inesistenti per chi conosceva i passaggi sulle montagne! La visita al museo è piacevolmente accompagnata da pezzi tradizionali eseguiti alla fisarmonica e da un sottofondo di suoni naturali, quasi a immergere il visitatore tra sentieri e borgate di questa valle che, per i modi di fare della sua gente, alcuni vogliono la più “marsigliese” delle Valli Occitane (Info: Museo - tel. 0171.78101 - fax 0171.789103 - www. chambradoc.it/ cmgv/progettocmgv2004.page). 66 67


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Paglia poesia parole Il genius loci della Valle si vede anche nella costruzione delle case: alcune borgate di Robilante (Tetti Rescasso, Snive e Merciandun) e di Vernante (Tetto Serre e Val Grande di Palanfré) conservano l’usanza dei tetti di paglia di segale, diffusa anche nelle vicine valli Gesso e Stura. A Robilante con caratteristiche capriate in legno di castagno ricurvo, che si ritrovano identiche soltanto in Inghilterra e Germania. Genius loci è la lingua d’oc. Limone P.te, il suo passato di centro agricolo, l’attualità del turismo che ha inciso sull’assetto urbanistico sono, assieme alla patria occitana, il nucleo ispiratore della poesia in oc di Giacomo Bellone, Dzacolin Bortela: … Lè turna dzurn: gi ommi is disvaggiu, i s’ sparu acol, i fan piurar li framme… lè turna dzurn: li framme i gi an la smans cügiüya ‘nt la nöts, pur bröjar d’autri ommi…

... È di nuovo giorno: gli uomini si svegliano, si sparano addosso fanno piangere le donne… è di nuovo giorno: le donne hanno con sé il seme raccolto nella notte, per far germogliare altri uomini…

Fin dagli anni Settanta, raccogliere la propria parlata occitana in un dizionario è stato il grande merito di alcuni ricercatori spontanei. L’occitano tra Robilante e Roccavione oggi è in un dizionario di tredicimila voci (Info: www.chambradoc.it/CatalogoGenerale.page), realizzato con passione dai ricercatori locali Lorenzo Artusio, Piermarco Audisio, Gianni Giraudo, Eliano Macario.Un lavoro durato circa vent’anni.Il risultato fa dire agli estensori che la parlata di entrambi i paesi ha “mantenuto un’ottima dizione occitana e presenta interessanti corrispondenze con Boves, Peveragno e Roccasparvera. L’influenza del piemontese è già forte, ma vi si percepiscono le radici occitane, che conferiscono una apprezzabile identità linguistica a coloro che ne fanno uso comune”.


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Valli ai piedi della Bisalta La Bisalta, o Besimauda, sovrasta la città di Cuneo. Ha due cime, una di 2231 m, l’altra di poco più bassa. Ai suoi piedi sorgono le cittadine di Boves, Peveragno, Chiusa Pesio e scendono i torrenti Colla e Josina. La parlata locale mostra influenze dal piemontese, accentuate negli ultimi decenni per l’abbandono delle frazioni montane. I fondamenti lessicali del vocabolario rurale rimangono tuttavia occitani, come l’universo delle leggende, costellato di personaggi mitici - u magu (il mago), u dràà (il drago), le mäsque (le masche), u servägn (l’uomo selvatico), le fäie (le fate) - che si ritrovano in tutto il territorio alpino di lingua d’oc. La carta dei sentieri “Intorno alla Bisalta” descrive gli itinerari a piedi, a cavallo e in mountain bike tracciati nel territorio (Info: Comunità Montana - tel. 0171.339957 - cmbisalta@ruparpiemonte.it; Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro - tel. 0171.734021 - www.parks.it/parchi.cuneesi). Nell’Ottocento Chiusa Pesio, Peveragno e Boves furono centri di attività industriali: filande, laboratori di ceramica, lanifici, fornaci, concerie e industrie per l’estrazione del tannino. Il Museo della Regia Fabbrica dei Cristalli e della Ceramica, nell’antico Palazzo Comunale di Chiusa Pesio, ha l’obiettivo di far conoscere il ruolo svolto da queste proto industrie nello sviluppo del paese. Oggi le tre cittadine sono culturalmente vivaci, con associazioni impegnate nella riscoperta delle tradizioni locali, le attività sociali e la storia (Info: Scuola di Pace di Boves - www.scuoladipace.it), le iniziative cinematografiche (Info: Associazione Ipotesi Cinema Piemonte - tel. 0171.735341).

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Stazioni botaniche La parte più alta del comune di Chiusa Pesio, verso il massiccio calcareo del Marguareis, è compresa nel Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro, territorio interessante per numero di specie vegetali e per la presenza del lupo. La strada carrozzabile termina al Pian delle Gorre (1032 m), attrezzato a Centro Visita. Da qui si sale al Rifugio Garelli, 900 m più in alto. Su un’altura vicina c’è la stazione botanica dedicata agli studiosi Clarence Bicknell ed Emile Burnat. La stazione ospita una zona umida, con esemplari di Drosera e Pinguicola, affascinanti carnivore delle Alpi, che “mangiano” insetti per assumere sostanze azotate. Con mezz’ora di cammino si raggiunge una seconda stazione botanica, posta presso un laghetto sotto l’imponente muraglia del Marguareis (2651 m s.l.m.). Vi alligna una bella orchidea, la Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus), assunta come simbolo del Parco.

La Certosa di Pesio


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La certosa nei boschi Si trova nel comune di Chiusa Pesio la Certosa fondata nel 1173, quando i consignori di Morozzo donarono i terreni dell’alta valle all’ordine certosino. I frati vi conservarono molte opere d’arte, tanto che già nel Cinquecento si rese necessario un ampliamento. Nel Seicento vennero realizzati il loggiato,che ancor oggi colpisce per la sua maestosità,e la scala monumentale. I frati decisero l’edificazione di alcune grange per la coltivazione dei terreni circostanti. Nel 1802 il governo napoleonico soppresse la Certosa e i suoi tesori furono dispersi. L’edificio funzionò nell’Ottocento come stabilimento idroterapico, finché fu chiuso nel 1915. Soltanto dal 1934 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che hanno riportato allo splendore questo ammirabile edificio, luogo di meditazione e pellegrinaggio, raccolto fra i castagni (Info: www.certosadipesio.org). Al castagno,che tanto peso ha avuto nel sostentamento della popolazione di queste zone,è dedicato il Museo della Castagna a Boves.Inaugurato nel 2000,occupa una parte della cascina Martinengo Marquet.Il museo è nato nell’ambito di un progetto internazionale di valorizzazione di questo frutto. All’interno si trovano una raccolta di attrezzi per la coltivazione della castagna e dell’agricoltura tradizionale. Il museo propone anche percorsi didattici per permettere un avvicinamento ai modi di lavorare di un tempo (Info: Cascina Marquet - Via Roncaia, 24 - Boves - tel. 335.6777905). Un notevole peso nella gastronomia locale hanno le diverse specie di funghi che si trovano nei boschi ai piedi della Bisalta. A loro è dedicato il Museo del Fungo e di Scienze Naturali di Boves, realizzato grazie al dottor Mario Strani.Nelle otto sale che lo compongono sono raccolti oltre mille esemplari di funghi in gesso o resina per mostrare le 250 specie che si trovano nella zona,fossili,minerali,animali imbalsamati,conchiglie e una preziosa raccolta di oltre 130 specie di farfalle del cuneese e alcune invenzioni tra Otto e Novecento. Il Museo dispone anche di testimonianze sulle cave e fornaci della provincia di Cuneo e un plastico del territorio. (Info: Comune di Boves - tel. 0171.391834 - fax 0171.391856 - www.musei.provincia.cuneo.it)

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Collezione fotografica al Parco Presso la sede del Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro di Chiusa Pesio è allestita un’esposizione permanente dedicata a un grande maestro della fotografia contemporanea, Michele Pellegrino, nativo di questo paese. Il percorso si articola in otto sezioni con trecento fotografie in bianco e nero: Luoghi dell’Acqua, Incanti Ordinari, Visages de la Contemplation (vita monastica), Alta Langa, Scene di Matrimonio, Alpi Liguri, Marittime e Cozie, Monte Bianco e Tracce nel Tempo. Il significato della collezione è anzitutto artistico-documentario. Pellegrino si è dedicato alla fotografia dapprima come autodidatta, riuscendo a cogliere gli sguardi degli uomini e la bellezza talvolta tragica delle Valli, prima del grande spopolamento che negli anni Sessanta svuotò paesi e borgate. Nel 1972, Michele Pellegrino pubblicò il suo primo libro di fotografie, “Gente di Provincia”, seguito da “Profondo Nord” sul tema dell’esodo dalle montagne. Tra le opere più recenti, a partire dagli anni ’90: “Le Montagne della Memoria”, “Il Tempo della Montagna”, “Il Silenzio Magico della Montagna”, “Una Traccia nel Tempo” e nel 2002 “Elva, un paese occitano”. La sua attenzione è stata catturata anche da un fiore, un sasso, l’acqua dei ruscelli perché dice “l’importante è vedere non in modo freddo,meccanico, ma con l’anima”. I suoi ritratti sono quasi uno studio psicologico degli abitanti delle valli, di cui ha condiviso la vita e la miseria. Essi ci parlano di gioie, malinconie, dignità e povertà di una popolazione prostrata, “un mondo di vinti”come scrisse Nuto Revelli,un territorio marginale che,poco per volta,sul finire degli anni Sessanta,riscoprì la propria identità.(Info:Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro - tel. 0171.734990; www.vallepesio.it; www.chambradoc.it/cmgv/ progettocmgv2004.page)


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Uomini illustri di Peveragno Vie, piazze e monumenti di Peveragno ricordano i suoi uomini illustri. Tra costoro Pietro Toselli,eroe delle guerre coloniali,e lo scrittore Vittorio Bersezio. Nato nel 1856,Toselli morì in Etiopia nella celebre battaglia dell’Amba Alagi del 1895. Con lui caddero diciotto ufficiali e circa duemila soldati. Ai suoi ufficiali che lo sollecitavano a mettersi in salvo, rispose impavido, sedendosi ad aspettare l’assalto delle truppe avversarie. Meritò la medaglia d’oro con questa motivazione: “Trovandosi di fronte a 20-25mila nemici, combatté strenuamente per ben sei ore e coll’eroico sacrificio della propria vita e di quasi tutto il suo distaccamento, cagionò al nemico perdite enormi che contribuirono efficacemente a ritardare l’avanzata”. Il nome di Vittorio Bersezio brilla nelle lettere piemontesi. Fu giornalista, scrittore e deputato. Nato nel 1828, morto nel 1900, combatté nella prima guerra di indipendenza. Nel 1865 fondò la Gazzetta Piemontese che diventerà il quotidiano “La Stampa”. Scrisse una quarantina di romanzi. L’Enciclopedia Treccani lo definisce autore “ora di intrico e tenebrose avventure, ora di semplice intreccio sentimentale”. Tra le sue commedie dialettali, spicca “Le miserie d’ monsú Travet” del 1863, storia di un ligio impiegato dello Stato che si ribella quando la sua dignità è messa in dubbio. La vita di un terzo personaggio della tradizione locale affonda nella leggenda. Charles de Gontaut,duca di Biron in Dordogna (1562-1602),localmente detto Birùn, è il tragico protagonista di un’antica canzone rappresentata a Peveragno nei giorni di carnevale. Questa probabilmente fu importata dai peveragnesi che si recavano a Lione e Marsiglia per il mercato dei bozzoli. Birùn,maresciallo di Francia,fu uomo bello e valoroso.Durante le guerre galloispane si guadagnò l’amicizia del re. Più tardi, accusato di fellonia, venne giustiziato. La ballata, recitata e cantata a cura della Compagnia del Birùn, associazione peveragnese, narra che egli rifiutò la grazia poiché unda a i è pa‘d faiansa a i è pa‘d pardun (dove non c’è colpa, non c’è perdono). Al boia che lo bendava prima di giustiziarlo intimò di non toccarlo se non con la spada (Info: www.compagniadelbirun.it). 72 73


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Musica nuova con i Gai Saber Sono un gruppo di musicisti occitani di Peveragno.Tengono concerti nei quattro angoli d’Occitania. Hanno fans in Italia e in Europa. Di loro parlano le riviste specializzate. Il loro fare musica non prescinde certo dall’appartenenza: la lingua d’oc è utilizzata nelle canzoni; il protezionismo tuttavia si ferma qui. I musicisti del Gai Saber ritengono che la tradizione lasciata a se stessa e riproposta fedelmente risulti sterile, non produca più nulla, perciò s’industriano a tradirla senza mai offenderla. Occitania que t’en vas è il titolo della canzone guida del cd La fàbrica occitana del 2007, in cui narrano i sogni della loro gente, un pople mesquiat e bastard, inno agli abitanti di questa parte di mondo che la storia ha reso meticcia sovrapposizione di liguri, celti e romani, di visigoti, arabi ed ebrei, di italiani e francesi… Un popolo che nella mescolanza, e nonostante le persecuzioni e l’ostracismo degli stati nazionali, ha saputo conservare l’identità della lingua. Nel gruppo convivono strumenti della tradizione occitana (fisarmonica a semitons, fifre, ghironda, chabreta, arpa, tamborin e galobet) e sound contemporanei con batteria, chitarra elettrica ed elementi elettronici. Il repertorio mescola temi tradizionali e invettiva sociale, liriche trobadoriche e arie da danza, canzonette e melodie sacre, in un caleidoscopio di ritmi mediterranei, street-dance, drum’n’bass e suggestione latine. Grazie ai Gai Saber e a decine di altri gruppi musicali oggi attivi nelle Valli Occitane, la musica è diventata un importante elemento di aggregazione, di creatività e di propagazione della lingua e cultura d’oc. Oggi i gruppi musicali sono tra i migliori ambasciatori dell’Occitania nel mondo. (Info: Associazione Culturale Gai Saber - via del Gavotto, 6 - 12026 Peveragno - www.gaisaber.it - info@gaisaber.it)


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Valli del kyè L’area comprende i comuni di Roccaforte Mondovì con Prea, Rastello e Baracco, Villanova Mondovì nelle sue propaggini montane, le due Frabose, Sottana e Soprana, con Miroglio in val Maudagna e la frazione di Fontane in val Corsaglia. Questa zona dall’orografia piuttosto articolata ha visto piccoli insediamenti stabili già dal Neolitico, testimoniati dal ritrovamento di lame levigate in pietra verde. Il nome deriva da “kyé”che indica “io”, forse derivante dal latino quid + ego e affine alle forme occitane “ieu”o “iu”. Lo svuotarsi delle borgate ha influito sulla conservazione della lingua, studiata per la prima volta alla fine degli anni Sessanta e mantenuta da associazioni quali “Artusin” di Roccaforte e Villanova Mondovì ed “E Kyè”di Fontane. Quest’ultimo sodalizio ha curato la pubblicazione di una grammatica del kyé e costituisce un importante centro di documentazione etno-linguistico. Per conservare le tradizioni c’è anche l’impegno nell’allestire i presepi viventi, che mostrano i mestieri alpini di una volta. La tradizione artigiana è molto viva, orientata alla lavorazione di legno, ceramica, ferro battuto e al “filet”. Sintomo di un ritorno alla montagna è la ricomparsa nei campi più alti del grano saraceno, ingrediente fondamentale per la tipica polenta. Queste valli, e alcune località come Frabosa Soprana, sono conosciute da decenni per un intenso turismo estivo invernale, soprattutto in provenienza dalla Liguria. Altre occasioni di visita le grotte di Bossea in val Corsaglia, destinate a diventare, assieme all’Ecomuseo del Marmo di Frabosa Soprana, uno dei fulcri di un’inedita offerta turistica basata sulla geologia del territorio. 74 75


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Itinerario partigiano Su progetto dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, questo itinerario collega località, edifici, cappelle e valichi che dal settembre 1943 all’aprile 1945 furono teatro della lotta partigiana. Tocca le borgate che ospitarono i distaccamenti partigiani. Sono evocati il ripiegamento degli uomini del Capitano Cosa nella primavera ’44 dalla Val Pesio, l’eccidio di Pellone sopra Miroglio, i primi scontri con il nemico del gruppo di Enrico Martini Mauri nel dicembre 1943 in Val Maudagna. Si ripercorrono i luoghi delle bande autonome “Rinnovamento”nelle valli Ellero e Corsaglia: Prea, centro delle operazioni della Brigata Valle Ellero nell’estate del ’44, e Rastello, sede del comando della III Divisione Alpi. Si giunge a Baracco, base operativa della Missione Alleata, poi a Fontane, rifugio nel febbraio ’44 della banda di Ignazio Vian. Nel comune di Villanova Mondovì si visita il Santuario di Santa Lucia che diede asilo ai ribelli e ospitò la tipografia clandestina del giornale “Rinascita d’Italia”.

Roccaforte Mondovì - Pieve di San Maurizio


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Montagne bucate e mestieri d’un tempo I fenomeni carsici, grotte e abissi creano, presso il gruppo montuoso formato dalla Cima delle Saline, dal Mondolé, dal Mongioie e dal Pizzo d’Ormea, un’area speleologica, che, assieme al vicino complesso montuoso del Marguereis, è fra le più rilevanti d’Europa con centinaia di km di gallerie già esplorate. Da questo sottosuolo emergono le acque dell’Ellero, del Maudagna e del Corsaglia. Nell’ambito di questo comprensorio esistono anche grotte turistiche, come tali aperte al pubblico e non riservate soltanto alla stretta cerchia degli specialisti. La grotta dei Dossi, presso Villanova M.vì, mostra una successione di corridoi e sale con concrezioni variopinte e sfumature colorate. Tracce di unghiate dell’orso delle caverne sono visibili nella grotta del Caudano in val Maudagna. Qui d’inverno, le diverse temperature fra esterno ed interno creano stalattiti e colonne di ghiaccio con un gioco di colori e riflessi particolarissimi. Una particolarità di questa grotta è il piccolo presepe ipogeo che vi viene allestito a Natale. Ma la regina delle grotte delle valli del Kyé è senza dubbio Bossea in Val Corsaglia, nel comune di Frabosa Soprana, aperta al pubblico dal 1874. È la sola grotta viva e in pieno sviluppo nel panorama del turismo speleologico italiano, ricchissima d’acqua, con un fiume perenne e i resti dell’orso delle caverne. Bossea è sede di ricerca scientifica a livello internazionale. Una visita nel periodo natalizio in queste valli più appartate permette di scoprire interessanti presepi, come quello di Prea, che prende vita nelle piccole stradine medioevali raccolte intorno alla chiesa parrocchiale, e quello di Pianvignale. Entrambi sono un’occasione per riscoprire i vecchi mestieri: riecco allora gli attrezzi del früciau, il malgaro addetto alla lavorazione del latte, i ciarbunè, ovvero i carbonai, e i mulattieri con il fuet (frusta), che trasportavano il carbone a valle e gli intagliatori del legno, le füsere (fusi) e i vindu (arcolai) per filare la canapa, i pîrò di rame (paioli) per fare il bucato con la cenere, il cumandin e il sapin, attrezzi del boscaiolo per trascinare i tronchi.

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L’arte di Giovanni Mazzucco Tra le testimonianze della pittura medievale troviamo gli affreschi di Giovanni Mazzucco, protagonista del secondo Quattrocento nel Monregalese.La sua biografia è incerta.Nel 1475 manda il figlio Domenico a bottega dal pittore Roux ad Aix-en-Provence, episodio che allude a rapporti anche artistici fra quest’area delle valli occitane meridionali e la Provenza. Come pittore, il Mazzucco intervenne più volte in cantieri domenicani, segno di uno stretto rapporto con la committenza di quest’ordine monastico. Il suo linguaggio pittorico chiaramente espressionista è caratterizzato da fisionomie bonarie e innocenti. A Roccaforte Mondovì nella Pieve di San Maurizio, una Madonna del Latte del 1486 gli è attribuita; gustose scene di vita agreste a margine di temi religiosi dipinse nel Cascinale dei Frati presso i casali Bertini e nella cappella dell’ex convento dei Domenicani di Peveragno del 1487, dove è ancora leggibile la firma “Mazuchi”. Altre opere sicuramente a lui attribuite, corrispondenti alla fase matura della sua pittura, sono in un’area che si allarga alle valli circostanti ed alla vicina pianura: il ciclo dell’Oratorio del S. Sepolcro di Piozzo del 1481, la Madonna tra i SS. Pietro e Antonio Abate nella Cappella di S. Pietro in Roncaglia a Bene Vagienna del 1485, il ciclo del S. Bernardo di Castelletto Stura del 1488. Nel 1491 sigla gli episodi della vita della Madonna nel Santuario del Brichetto a Morozzo, assai suggestivi per la gentile ingenuità di vaga ispirazione giottesca. Vengono invece riconosciute come opere giovanili del Mazzucco la Madonna nel Santuario del Pasco a Villanova Mondovì, la Vergine col Bambino della Madonna di Guarene, gli affreschi della Madonna della Neve a Pian della Gatta, quelli della navata e della controfacciata del S. Fiorenzo di Bastia Mondovì e infine la Crocifissione nell’antica sacrestia della Parrocchiale di Niella Tanaro.


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Civiltà e gusti dell’alpe Per fermare la memoria di un tempo, nelle terre del Kyè sono sorti vari musei che formano una rete fra loro: il Museo Etnografico Cesare Vinaj, nato nel 1981 e situato in località Fontane-Serra a Frabosa Soprana, è dedicato al primo ricercatore linguistico in val Corsaglia. Vari i temi illustrati: la carbonaia, la canapa, la coltura della castagna, la fienagione, il bosco, la cucina, con la possibilità di approfondire i singoli argomenti sulle numerose pubblicazioni monografiche edite dal museo stesso. Il Museo della Montagna di Miroglio di Frabosa Sottana offre uno sguardo sulla vita quotidiana di un tempo, il duro lavoro nei campi e nei boschi. Viene sottolineata l’interazione tra l’uomo e gli animali, l’abilità manuale artigiana del ciabattino, vengono presentati il torchio per l’olio di noci, i sistemi di pesatura e gli attrezzi per la lavorazione della canapa. Nella vicina val Casotto, in località Serra di Pamparato, il Museo degli Usi e Costumi della Gente di Montagna è collocato in un ex convento seicentesco, di cui conserva i pavimenti in pietra e i soffitti a cassettone. Vi si possono vedere una cucina di una volta, un’aula di scuola e il processo di lavorazione della canapa e del lino. (Info: http://musei.provincia. cuneo.it/). Nel territorio di Ormea si segnala il Museo Etnografico Alta Val Tanaro, fedele ricostruzione degli ambienti di vita e del lavoro contadino. In queste valli il castagno ha sfamato generazioni di montanari e ha costituito la base alimentare delle popolazioni rurali. Ha riscaldato i casolari, ha fornito tannino per usi industriali e fogliame per il bestiame. Le castagne hanno rappresentato una possibile alternativa ai cereali, come cibo prevalentemente popolare, in virtù della facile reperibilità. Più tardi l’alto valore alimentare è valso loro il nome di “ pane dei poveri” perché portavano alle popolazioni meno abbienti energia e proteine. Le castagne venivano arrostite o bollite in acqua o latte, consumate con latte o vino come minestra; macinate servivano a preparare polenta, purè, focacce, zuppe. Costituiscono ancor oggi un’importante voce di produzione agricola ed hanno ottenuto il marchio IGP. Numerose fiere ed eventi autunnali sono legati in particolare alle castagne bianche, dalle quali si ricava la farina per molte ricette. 78 79


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Un elemento così caratterizzante la vita degli abitanti delle valli non poteva non ricevere attenzione in un apposito spazio: l’Ecomuseo del Castagno è sviluppato su tre siti: Monastero di Vasco, Fontane di Frabosa Soprana, Serra di Pamparato. A Monastero di Vasco la sede è nella Crusà, edificio religioso sconsacrato e recentemente ristrutturato. Nello spazio antistante si possono ammirare alcune varietà di castagno e alcune specie del sottobosco quali ribes, mirtilli e more. A Serra di Pamparato la presentazione è incentrata sull’estrazione e l’uso del tannino e sulle antiche fabbriche, primi esempi di industrializzazione delle vallate alpine. La collocazione è nel Museo degli Usi e Costumi della Gente di Montagna. Infine a Fontane un sentiero nel castagneto porta verso Case Ubbè, dove è possibile vedere i tipici seccatoi per le castagne, osservare il rapporto uomo-ambiente nei muretti a secco, nei terrazzamenti, nelle architetture alpine. Sinonimo quasi di montagna, conosciuti per i loro profumi e gusti particolari sono i formaggi d’alpeggio. Nelle valli del Kyè, per antica consuetudine, verso la fine di settembre, i margari scendevano dai pascoli alti portando le grandi forme di Raschera per venderle durante le fiere e i mercati.Il Raschera d’Alpeggio proviene da latte di vacche che pascolano oltre i 900 metri. È un formaggio semigrasso, stagionato per un minimo di trenta giorni.Il suo profumo ed aroma si caratterizzano per la stagionatura nelle “selle”, locali ricavati direttamente nella terra per la stagionatura. Nel tempo si sono affermate le sagre del Raschera e dei formaggi d’alpeggio che si tengono a Frabosa Soprana e a Ormea ad agosto e settembre. Altro prodotto che, con la patata, ha segnato la vita di queste terre è il grano saraceno, introdotto al tempo delle incursioni saracene della fine del primo millennio. Si semina in primavera e si raccoglie a fine estate, perciò giunge a maturazione anche sopra i mille metri. Dal grano saraceno, o furmentin, si ottiene una farina che ha il suo migliore utilizzo nella polenta. In autunno a Pamparato si tiene la Fiera del Grano Saraceno, mentre sagre della polenta saracena si tengono a Garessio, ad Ormea capoluogo e nella frazione Barchi dove la polenta viene preparata secondo la ricetta tradizionale a base di patate, farina di grano saraceno e frumento, latte con panna, porri e funghi secchi.


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Brigasco Quando nel 1947 l’Italia e la Francia firmarono il Trattato di Pace, il Brigasco, prima esteso su entrambi i versanti delle montagne, fu diviso tra i due stati lungo il crinale: in val Roya,Tenda divenne francese come Briga capoluogo che assunse il nome di La Brigue. All’Italia rimasero le frazioni Piaggia, Upega e Carnino che formano il comune di Briga Alta, in provincia di Cuneo, mentre il borgo di Realdo fu aggregato al comune di Triora, in provincia di Imperia. Il Saccarello (2200 m) è la montagna madre di queste terre aspre e selvatiche con la bellissima foresta Navette, vasto tappeto di larici e abeti bianchi esteso sulle pendici dei monti Bertand e Missun, sopra il villaggio di Upega alla testata della Val Tanaro. La parlata locale risente di influssi provenzali e liguri. Sono sicuramente occitane le parole della terra, della famiglia e della pastorizia, che storicamente fu l’attività più diffusa. Le popolazioni brigasche si incontravano con quelle del vicino Nizzardo durante i pellegrinaggi al Santuario di Laghet, presso La Turbie, e alla Vergine del Fontano (Nôtre Dame des Fontaines), poco sopra La Brigue, che è detta la Cappella Sistina delle Alpi per gli affreschi di Giovanni Canavesio di Pinerolo, eseguiti nel 1492. Accanto al Canavesio, si ammirano gli affreschi di Giovanni Baleison della Valle Stura, a ricordo di un’epoca in cui i pittori scalcavano le montagne portando colori e pennelli nelle bisacce.

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Un santuario del neolitico La grande meraviglia di questi luoghi sono le quarantamila incisioni rupestri, del monte Bego (2872 m), frequentato già nella preistoria. Furono scoperte a partire dal 1897 dal botanico e archeologo inglese Clarence Bicknell (1842-1918). Si trovano figure a corna, aratri, pugnali, ruote solari, mappe, animali e figure antropomorfe. Chi volesse sapere di più su questo grandioso distretto di arte rupestre, visiti i calchi esposti nel Museo Civico di Cuneo e il Musée des Merveilles di Tenda. Alle pendici del Bego, in località Casterino (frazione di Tenda), Bicknell costruì uno chalet laboratorio, visitabile solo all’esterno. Bicknell ci saliva per le sue ricerche. I comfort erano ridotti al minimo, l’ospitalità francescana, la vita regolata dalla luce del sole. Clarence vi decorò personalmente le stanze, dipinse motivi di fiori, figure dell’arte rupestre e cartigli con sentenze in esperanto.

Briga Alta - Fr. Upega - Madonna della Neve


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Foreste e villaggi arcaici Il Bosco delle Navette, percorso da una strada militare che porta a Tenda in Val Roya e a Limone in Val Vermenagna, deve probabilmente il suo nome agli imponenti larici usati per la costruzione delle navi. Numerosi sentieri risalgono i crinali da cui godere la vista delle Alpi Liguri e Marittime e del mare. Oggi il Bosco delle Navette è qualificato come SIC (Sito di Interesse Comunitario) per le caratteristiche ambientali, ma già nella Statistique des provinces de Savone, d’Oneille, d’Acqui, del periodo napoleonico, si calcolò che contenesse 300.200 larici e 23.700 abeti. Il territorio dell’alto bacino del Tanaro conserva esempi interessanti di cultura materiale: villaggi distesi lungo le curve di livello, costruiti in pietra, talora con disposizione a schiera o, come nel caso di Viozene, alti e a più piani con diverse file di balconi sulle facciate. In rari casi, per esempio a Carnino, i tetti sono ancora coperti di paglia di segale, come la gran parte delle case di un tempo. Per secoli l’attività prevalente fu l’allevamento della pecora brigasca; d’inverno le greggi migravano verso la Liguria, spesso fino ai paesi costieri. Qui si trovano toponimi che alludono alle vie del sale e dell’olio, Passo e Cima delle Saline, Pian dell’Olio… A Viozene sono conservati due quadranti solari, uno dipinto sulla “casa del prete”, l’altro sulla facciata della chiesa di San Bartolomeo. Una leggenda riguarda Pian Ballaur (2603 m), fra Upega e Carnino, dove la tradizione vuole che si dessero convegno le streghe. Una pastorella, non vedendo il padre tornare dal pascolo, decise di andargli incontro. Ma fu rapita dalle masche che la condussero a Pian Ballaur per partecipare a un ballo demoniaco. Parecchi giorni più tardi la pastorella fu ritrovata in un fienile, con i piedi verdi per il gran ballare che aveva fatto sull’erba. 82 83


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Paradiso di speleologi e botanici Verso ovest, a cavallo fra l’Italia e la Francia, lo sguardo corre dalla cresta della Rocca dell’Abisso (2755 m) all’imponente muraglia calcarea del Marguareis (2651 m). In questa zona le Alpi Liguri sono composte da potenti strati di rocce (calcari e dolomie) che, essendo solubili all’azione dell’acqua, hanno permesso lo sviluppo di immense reti di condotti sotterranei. Sono diversi i sistemi carsici conosciuti: quello del Marguareis, delle Carsene con la sorgente del Pis del Pesio, della Mirauda, delle Masche, del Mongioie, con alcune cavità tra le più importanti d’Italia, quali il sistema di Piaggiabella con 13 ingressi e circa 40 km di sviluppo. Si tratta in genere di grotte con andamento verticale nella prima parte e quindi accessibili solo a speleologi esperti che fanno base alla Capanna Morgantini, rifugio a 2219 m di quota. Sono invece facilmente visibili i grandiosi segni esterni del carsismo: doline, campi solcati, pozzi, risorgive. Tra gli spettacoli più suggestivi vanno segnalate le Vene del Tanaro. Partendo da Viozene, passando per Carnino inferiore, lungo il sentiero naturalistico si sale alla Colla di Carnino (1597 m) e si prosegue fino alla risorgiva carsica, sovrastata da un robusto ponte tibetano. In queste valli poco lontane dal mare, eppure immerse in un paesaggio tipicamente montano, il botanico inglese Clarence Bicknell scoprì una flora rara, tra cui il Rhaponticum scariosum bicnelli che lo ricorda nel nome, una composita gigante, alta più di un metro e mezzo, con grossi capolini simili alle infiorescenze di carciofo. Cresce in quattro località al mondo, tutte sulle Alpi Liguri: sul versante sud del monte Fronti, sul monte Toraggio, alle Salse di Mendatica, a nord di Monesi e nel vallone di Carnino. Nel suoi taccuini Bicknell ritrasse la Saxifraga florulenta che deve accumulare per 15-20 anni le sostanze necessarie alla fioritura, dopo di che, assicurata la riproduzione, muore. A lui si deve il primo ritrovamento in Italia del Sempervivum calcareum, specie endemica delle Alpi sudoccidentali che si può osservare presso la Capanna Morgantini. Sui ghiaioni calcarei alligna la Berardia subacaulis, specie veterana che risale all’epoca della formazione delle Alpi.


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indirizzi utili Per informazioni generali su territorio, mete storiche e d’arte, zone protette, escursioni, gastronomia, ospitalità e per ricevere materiale illustrativo: A.T.L. (Azienda Turistica Locale) del Cuneese - Valli Alpine e Città d’Arte Via Vittorio Amedeo II, 8 A - 12100 Cuneo - tel. 0171.690217 - fax 0171.602773 www.cuneoholiday.com - www.autunnocongusto.com - info@cuneoholiday.com GAL “Terre Occitane” - Valli Po, Varaita, Maira, Grana, Stura Via Cappuccini, 29 - 12023 Caraglio (Cn) - tel. 0171.610325 - fax 0171.817981 www.tradizioneterreoccitane.com - info@tradizioneterreoccitane.com Comunità Montana Valli Po, Bronda e Infernotto Via Santa Croce, 4 - 12034 Paesana - tel. 0175.94273 - fax 0175.987082 Ufficio Turistico: tel. 0175.94273 - www.vallipo.cn.it - info@vallipo.cn.it Comunità Montana Valle Varaita Piazza Marconi, 5 - 12020 Frassino - tel. 0175.970611 - fax 0175.970650 www.vallevaraita.cn.it - info@vallevaraita.cn.it Comunità Montana Valle Maira Via Torretta, 9 - 12029 San Damiano Macra - tel. 0171.900061 - fax 0171.900161 www.vallemaira.cn.it - info@vallemaira.cn.it Ufficio Turistico: Dronero - tel 0171.917080 - fax 0171.909784 - iatvallemaira@virgilio.it Comunità Montana Valle Grana Via San Paolo, 3 - 12023 Caraglio - tel. 0171.619492 - fax 0171.618290 www.vallegrana.it - info@vallegrana.it Comunità Montana Valle Stura di Demonte Via Divisione Cuneense, 5 - 12014 Demonte - tel. 0171.955555 - fax 0171.955055 www.vallestura.cn.it - segreteria@vallestura.cn.it Comunità Montana Valli Gesso e Vermenagna Piazza Regina Margherita, 27 - 12017 Robilante - tel. 0171.78240 - fax 0171.78604 www.cmgvp.org - cmgvp@reteunitaria.piemonte.it Comunità Montana Bisalta Via Madonna dei Boschi, 76 - 12016 Peveragno - tel. 0171.339957 - fax 0171.338229 cmbisalta@ruparpiemonte.it Comunità Montana Valli Monregalesi Via Mondovì Piazza, 1/d - 12080 Vicoforte - tel. 0174 563307 - fax 0174 569465 www.vallimonregalesi.it - turistico@vallimonregalesi.it Comunità Montana Valli Mongia Cevetta e Langa Cebana Via Case Rosse, 1 - Reg. San Bernardino - 12073 Ceva - tel. 0174.705600 - fax 0174.705645 www.vallinrete.org - cm.ceva@reteunitaria.piemonte.it Comunità Montana Alta Val Tanaro Via del Santuario, 2 - 12075 Garessio - tel. 0174.806721 - fax 0174.803714 www.cmaltavaltanaro.it - cmaltavaltanaro@reteunitaria.piemonte.it

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La linea verde delimita la parte del territorio che è di competenza dell’A.T.L. del Cuneese.

Per informazioni sulla cultura occitana, lingua e letteratura, tradizioni popolari, cinema, libri e riviste: Espaci Occitan - Via Val Maira, 19 - 12025 Dronero - tel. 0171.904075/904158 www.espaci-occitan.org - segreteria@espaci-occitan.org Chambra d’òc - Strada Arnaud Daniel, 18 - 12020 Roccabruna - tel. 0171.918971 - 328.3129801 www.chambradoc.it - chambradoc@chambradoc.it Coumboscuro Centre Prouvençal Sancto Lucìo de Coumboscuro - 12020 Monterosso Grana - tel. e fax 0171.98707 www.coumboscuro.org - info@coumboscuro.org Associazione Lou Soulestrelh - Via Roma, 27 - 12020 Sampeyre Associazione Culturale La Cevitou - Frazione San Pietro, 89 - 12020 Monterosso Grana tel. e fax 0171.988102 - www.lacevitou.it Sito internet delle Valli occitane del Piemonte www.ghironda.com

Per informazioni su siti e luoghi della cultura occitana, musei, esposizioni d’arte, manifestazioni culturali, feste: Associazione Marcovaldo - Via Cappuccini, 29 - 12023 Caraglio - tel. 0171.618260 - fax 0171.610735 www.marcovaldo.it - info@marcovaldo.it Provincia di Cuneo - Sito tematico dedicato ai musei: http://musei.provincia.cuneo.it Laboratorio Ecomusei - Via Nizza, 18 - 10125 Torino - tel. 011.4323845 www.ecomusei.net - ecomusei.piemonte@regione.piemonte.it Atlante delle feste del Piemonte: www.atlantefestepiemonte.it

Per informazioni su parchi e riserve naturali: Parco Naturale Alpi Marittime - Piazza Regina Elena, 30 – 12010 Valdieri - tel. 0171.97397 www.parcoalpimarittime.it - info@parcoalpimarittime.it Ente di Gestione dei Parchi e delle Riserve Naturali Cuneesi Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio - tel. 0171.734021 www.parks.it/parchi.cuneesi - parcopesio@ruparpiemonte.it Parco del Po Cuneese - Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo - tel. 0175.46505 www.parcodelpocn.it - info@parcodelpocn.it Parco Fluviale Gesso e Stura - Piazza Torino, 1 - 12100 Cuneo - tel. 0171.444501 www.parcofluviale.cuneo.it - parcofluviale@comune.cuneo.it Sito dei parchi, riserve ed aree protette italiane: www.parks.it Siti della Regione Piemonte su parchi, aree protette e rivista Piemonte Parchi www.regione.piemonte.it/parchi - www.piemonteparchiweb.it Gran parte dei Comuni citati nella guida dispongono di un sito internet con percorsi tematici.


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INFO

A.T.L. Azienda Turistica Locale del Cuneese Via Vittorio Amedeo II, 8 A - 12100 Cuneo Tel. +39.0171.690217 - fax +39.0171.602773 199.116633 N. UNICO INFO TURISMO info@cuneoholiday.com - www.cuneoholiday.com - www.autunnocongusto.com INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI ALBERGHIERE CONITOURS - CUNEO TEL. +39.0171.698749 - FAX +39.0171.435728 - info@cuneohotel.it CONSORZIO ALTA VAL TANARO TURISMO - GARESSIO TEL. +39.347.9156791 - FAX +39.0174.81981 - info@altavaltanaroturismo.it CONSORZIO TURISTICO ALPI DEL MARE - VICOFORTE M.VÌ TEL. +39.0174.569016 - FAX +39.0174.565928 - info@mongioie-leader.it IN TERRE DI GRANDA - CUNEO TEL. +39.0171.67575 - FAX +39.0171.649728 - staff@interredigranda.com TERRE DI EMOZIONI - MONDOVÍ / FRABOSA SOTTANA TEL./FAX +39.0174.44343 - info@terrediemozioni.com TURGRANDA / BLUPIEMONTE - CUNEO TEL. +39.0171.697668 - FAX +39.0171.699224 - info@turgranda.com V.A.L. BED & BREAKFAST - CUNEO TEL. +39.0171.437220 - +39.347.7730489 - info@val-bb.it

guida delle

valli occitane della provincia di Cuneo

NUOVO, DA SEMPRE.


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