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ANNO XIII - n. 10 - Ottobre 2011 - Distribuzione Gratuita

Identità Edizione di Pizzo

E adesso, giriamo pagina

Basta con la cementificazione: incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente.

L'IMPORTANZA DI FARE LE SCELTE GIUSTE Proposte per il redigendo Piano Strutturale Comunale

di Giovambattista De Iorgi

di Gianluca Callipo

Da oltre 4 anni, dalle colonne di questo giornale, abbiamo avuto la possibilità di tenervi costantemente informati sulle questioni amministrative del nostro Comune. Per circa 4 anni, abbiamo assolto al nostro ruolo di minoranza, molto spesso critica nei confronti dell'attività della disciolta maggioranza. I fatti che vi abbiamo raccontato e l'infelice epilogo di quella amministrazione hanno confermato la fondatezza delle nostre critiche, ampiamente supportate dalla pubblicazione integrale di numerosi atti amministrativi. Critiche che hanno trovato il consenso dei nostri concittadini, che continuano a manifestare vicinanza e solidarietà ai cronisti di questo giornale ed agli ex consiglieri comunali di minoranza, per la tenace attività di controllo esercitata. A questo punto, però, è ora di girare pagina. Da questo momento, vogliamo chiudere decisamente l'ultimo increscioso capitolo della storia amministrativa di questo Paese e guardare al futuro, nella speranza che coloro che si sono resi protagonisti di tanto sfascio abbiano almeno il pudore di tacere, senza continuare a pontificare a vanvera e su tutto, erigendosi a castigatori dei costumi altrui e lamentandosi di questa gestione commissariale, che essi stessi hanno determinato e che, almeno allo stato, sta avviando a soluzione alcune di quelle problematiche mai affrontate dalla disciolta maggioranza. Giriamo pagina, quindi, e guardiamo, insieme e seriamente, al futuro della Città, che è il futuro stesso di tutta la nostra comunità locale. Ma per fare ciò, non si può prescindere dalla situazione attuale di Pizzo: una città frammentata in tanti quartieri periferici (Nazionale, Marina, Marinella e Stazione), con quartieri nei quartieri (zona 167, località Mazzotta, lottizzazione Colace, ecc.), da quando il nostro Centro Storico è stato, quasi completamente, spogliato dei suoi residenti, senza che, allo stato, si intraveda alcuna prospettiva di inversione di tendenza. A ciò aggiungasi che tutti i servizi pubblici locali versano in condizioni disastrose: dalla nettezza urbana (che costa, ogni anno, 2 miliardi e trecentomilioni di vecchie lire) alle strade interne, dall'impianto idrico a quello fognario, dall'arredo urbano alla villa comunale, dalla pulizia delle spiagge alla gestione dei fossi e dei canali di scolo delle acque bianche, dalla viabilità ai parcheggi, ecc. Ecc. Per non parlare, poi, della situazione economica dell'Ente: ”a due passi…” dal dissesto finanziario. Tutte problematiche che ci devono far riflettere alla vigilia della tornata elettorale per il rinnovo del consiglio comunale, che si terrà nella prossima primavera. Per uscire da questa stato di generale degrado, è necessaria un'inversione di tendenza, resa ormai obbligatoria anche dalla drammatica situazione economica e finanziaria dello Stato nazionale, afflitto da un enorme debito pubblico, che grava per oltre 30.000,00 euro pro capite. Tutto ciò impone una gestione pubblica oculata, investimenti razionali ed una drastica riduzione della spesa pubblica, a cominciare dagli sprechi e dal contenimento, anche nel nostro piccolo, dei costi della politica. È finita l'epoca delle vacche grasse con gli Enti Pubblici considerati carrozzoni clientelari e visti come risorsa occupazionale per amici, parenti, clienti e conoscenti. La prossima tornata elettorale non può essere di nuovo sciupata, ma deve essere un'occasione da cogliere al volo. Se vogliamo guardare, seriamente e con Continua a pag. 9

Vorrei partire da una considerazione: le scelte in materia di sviluppo urbanistico di coloro che hanno amministrato la nostra città si sono basate sul massimizzare il numero di nuovi edifici residenziali e sul minimizzare l'agire concreto e le azioni volte a soddisfare le esigenze di vivibilità dei cittadini, per non parlare di estetica o di sostenibilità ambientale. La cosa paradossale è che ancora oggi tra i nostri ex amministratori comunali é imperante la logica che vede nella cementificazione la leva per lo sviluppo di Pizzo. E cosí, per esempio, assistendo all'ultima campagna elettorale per le regionali del 2010 ci siamo trovati l'On. Stillitani che oltre a realizzare gigantografie con navi da crociera nel porto di Vibo Marina prometteva lo sviluppo del territorio grazie alla costruzione di 2000 ville sul Poro e nella parte alta di Pizzo (al confine con Maierato). È arrivato il momento in cui questa logica, distruttiva per tutti e utile solo ad alcuni, deve essere superata attraverso nuove idee e scelte urbanistiche, soprattutto considerati i risultati disastrosi generati dalle scelte passate che risalgono al Piano Regolatore redatto nel 1997 nel corso dell'amministrazione Stillitani e che é rimasto in vigore fino a pochi mesi fa. L'occasione é quella giusta perché, essendo in vigore la nuova legge urbanistica regionale, ci siamo finalmente liberati di quel Piano Regolatore "di cementificazione" ed il Comune deve ora procedere alla redazione del nuovo Piano, ora chiamato PSC (Piano Strutturale Comunale) le cui bozze, fin qui tenute "segrete" dalla

precedente amministrazione, sono ora all'attenzione dei Commissari Prefettizi, che ne stanno riavviando l'iter (in proposito si veda la risposta del Commissario Bruno Strati, al Dott. Giovanbattista De Iorgi, pubblicata su Identitá del mese scorso). L'avvento dei commissari ci deve fare ben sperare in merito alla possibilità che si possa avere contezza dell'indirizzo che con tale strumento s'intende dare e soprattutto che vi sia la possibilità per i cittadini, singolarmente o tramite associazioni, di fare sentire la loro voce per evidenziare criticità e proposte su una materia così importante e delicata per lo sviluppo del territorio, e particolarmente di quello di Pizzo, in cui l'edilizia si é trasformata in cementificazione caotica e pervasiva, con danni non solo ambientali ma anche sociali, di vivibilitá, d'identità della comunità. Per tale motivo voglio fare la mia proposta in materia, nell'attesa di poterla avanzare negli incontri pubblici nei quali si discuterà del redigendo PSC e che comunque ritengo debba essere un impegno prioritario nel programma di una lista che abbia a cuore gli interessi della nostra Città. In particolare, ritengo indispensabile che il nuovo Piano non preveda nuove aree edificabili cosí che i nuovi investimenti destinati ad aumentare l'offerta residenziale della città siano incentivati, in qualche modo costretti, ad utilizzare e recuperare il patrimonio edilizio già esistente e attualmente inutilizzato o abbandonato. Lo scopo sarebbe quello di riportare all'antico splendore gli edifici, i palazzi, le viuzze del centro storico con conseguente rivitalizzazione di luoghi

così importanti del nostro passato e potenzialmente motori di svillupo per il nostro futuro e al contempo intervenire sui quartieri di più recente edificazione (via Nazionale e dintorni, loc. Marinella, ecc.), cresciuti a dismisura, in maniera caotica e senza spazi di socializzazione. Il mio convincimento è che l'ulteriore cementificazione del territorio comunale ne distruggerebbe definitivamente la vivibilità ed allo stesso tempo farebbe crollare il valore delle case, che hanno rappresentato fin qui il principale investimento delle famiglie pizzitane. Bisogna concentrarsi invece su una seria e concreta iniziativa di recupero di vivibilità, in primis attraverso la realizzazione di spazi verdi attrezzati, di riduzione drastica dell'attraversamento di mezzi pesanti (grazie anche alla bretella che stiamo realizzando come Amministrazione Provinciale), di creazione di luoghi di aggregazione all'aperto, di marciapiedi, di collegamenti, anche meccanizzati, a basso o nullo impatto ambientale, ecc. Grandi sforzi devono essere profusi per la soluzione dei piccoli e grandi problemi infrastrutturali che affliggono la città e che hanno pesanti ricadute sia sulla vita dei cittadini che sull'attratività turistica: sistema fognario, smaltimento delle acque piovane, depurazione, raccolta differenziata dei RSU, parcheggi di prossimità, ecc. Chi dovesse pensare che ciò danneggerebbe l'industria edilizia si sbaglia, in quanto l'eventuale domanda di nuove abitazioni verrebbe ampiamente soddisfatta mediante le ristrutturazioni, che oltre ad essere ecosostenibili e molto più utili per la nostra

cittá, sono il principale campo di attività delle aziende cittadine del comparto edile. A tale indirizzo si potrebbe derogare solo per le aree a destinazione produttiva da ubicare al confine con la zona industriale di Maierato, in quella già prevista come area di sviluppo industriale di Pizzo (l'area PIP). Le iniziative di tipo turistico alberghiero dovrebbero essere di piccole dimensioni (bed & breakfast, pensioni, piccoli hotel) da realizzare nell'ambito cittadino o nelle immediate vicinanze (Marinella). Un tipo di attività edilizia come quella proposta avrebbe dunque il pregio di riqualificare l'ambiente cittadino, di rilanciare le attività commerciali del centro urbano, di rendere la nostra Città più attraente per i flussi turistici, anche internazionali!

Intervista a Peppe Sarlo, decano dei giornalisti vibonesi PIZZO, IL RUOLO DI UN GIORNALE IN UNA SOCIETÀ IN FERMENTO Un tentativo di risveglio delle coscienze di Mario Catizone

U

n caffè con Peppe Sarlo, decano dei giornalisti vibonesi, per conoscere il suo pensiero sulla nostra iniziativa editoriale e sul ruolo assunto da “Identità” nel panorama politico locale. Dal tuo osservatorio che cosa pensi di questa nostra iniziativa editoriale che vorrebbe essere, oltre che un amplificatore al servizio dei cittadini dell'attività politico-amministrativa di Palazzo San Giorgio, anche una semplice piattaforma di approfondimento politico-culturale aperta a quanti intendono collaborare con idee, proposte, analisi, considerazioni, critiche, ricerche storiche, testimonianze? Oggi la Comunicazione ha assunto un ruolo fondamentale nell'ambito della crescita socio culturale di una comunità. “Identità” è andato ad assumersi una funzione di notevole responsabilità nella storia di Pizzo. Non è soltanto una palestra di confronto pronta ad ospitare il pensiero di cittadini che promuovono la politica, la cultura o l'arte ed in ogni caso quanto può tornare utile allo sviluppo della vivibilità napitina, ma anche un contenitore di informazione che educa il cittadino alla conoscenza della politica del servizio

erogata da Palazzo San Giorgio e ne scatena la più ideale e profonda riflessione. Sappiamo che nel vibonese sono state tantissime le testate che nel tempo hanno cessato le pubblicazioni. Identità da quattro anni cerca di resistere tra mille difficoltà, convinti come siamo che l'apporto dato alla comunità napitina in termini di informazione e di cultura non è di poco conto. Pizzo oggi può vantare il merito, a differenza degli altri paesi del circondario, di avere un suo periodico mensile fatto dai cittadini e per i cittadini e non da professionisti della stampa. Tu che sei un giornalista professionista, come giudichi il nostro impegno e la passione che ci induce ad andare avanti nella nostra “missione”? Mettere in piedi e lanciare alle stampe un giornale non è più come ieri. Il pionierismo giornalistico è finito. Chi avvertiva forte la necessità di tuffarsi nella splendida avventura del giornalismo ha perso ogni motivazione. La passione ed il fascino di tanti sono stati catturati dai quotidiani che ormai in gran numero (in Calabria sono troppi quattro quotidiani: Gazzetta del Sud, Calabriaora, il Quotidiano della

Calabria ed il Domani della Calabria) hanno arricchito le redazioni provinciali e le corrispondenze periferiche di appassionati e di giovani ma anche di valenti scrittori di generosa età costretti a mettere in naftalina l'ambiziosa idea di ritagliarsi un ruolo autonomo con una propria testata. Forse negli anni '70 questo era ancora possibile. Pronto? Qui Calabria è vissuto per oltre vent'anni. Poi non ha più retto l'urto della indipendenza economica. Oggi il “sogno” che porta avanti “Identità” è apprezzato da moltissimi anche se deve fare a cazzotti con la precarietà economica dei tempi che attraversiamo. Ecco perchè per tanti giovani diventa giocoforza prestarsi allo strapotere degli editori che dettano regole, misure e comportamenti da rispettare, pena l'esonero e comunque la scomparsa dallo scenario, se vuoi, della notorietà. Pizzo, con “Identità” in questo quadro desolante dell'editoria minore, rappresenta una formidabile performance. “Identità” ha colto nel segno. Intanto è riuscita a far sue le collaborazioni spontanee di un gruppo di persone che amano il giornalismo ma che amano soprattutto Pizzo e dintorni, la storia, il

patrimonio di una comunità che resta competitiva nonostante non brilli per qualità di promozione politica. D'altra parte le vicende di Palazzo San Giorgio si spiegano da sole. I napitini sperano che tutto quanto accaduto di recente appartenga al passato, un brutto sogno tutto da dimenticare. Tra sei mesi anche Pizzo sarà chiamata a rinnovare il consiglio comunale. In paese si avverte un fermento politico in crescita. Quale ruolo può svolgere e quale peso può avere un periodico locale in una simile circostanza? Alla vigilia di ogni elezione e soprattutto del rinnovo di un consiglio comunale la funzione di un giornale viene attesa come un evento che non può che aiutare la società a crescere. “Identità” si appresta a raccontare la vigilia di un nuovo fermento elettorale che non ripeta il clichè di sempre. In questo processo di cambiamento di rotta l'opera di convinzione e di persuasione di un organo di stampa recita una parte essenziale, a volte anche determinante, soprattutto se riesce a cogliere le aspettative dei cittadini amministrati. In questa direzione “Identità” si pone come momento di attenzione centrale soprattutto se riuscirà ad interpretare il pensiero dei Continua a pag. 9


2 - Identità

Ottobre 2011

il TotoSindaco

Pubblicità abusiva. Emendamento-blitz della prima manovra economica estiva al Codice della Strada. L'azienda pubblicizzata risponde in solido con l'autore materiale del montaggio del cartellone.

di Antonio Picciolo

ANCORA, SUI CARTELLONI PUBBLICITARI

E cco!

Ci risiamo! Ricomincia il “totosindaco”. Sono soprattutto i quotidiani locali che, già, danno qualche indicazione sui probabili futuri candidati alla carica di “primo Cittadino” deputato alla guida di “Palazzo San Giorgio”. Ma, da ciò che si legge, al momento, chi spera di poter andare a votare per gente nuova, capace, competente, autonoma, disinteressata e che almeno abbia maturato, nel tempo, un po' di esperienza nell'attività politica, non può che rimanere deluso. Qualche eccezione a parte, i nomi che girano sono sempre gli stessi e ciò dipende soprattutto dal fatto che la gran parte dei cittadini si tiene lontana dalla “politica” e non vuole saperne di dare un minimo contributo affinché a guidare le sorti della nostra cittadina vi siano persone veramente all'altezza della situazione. Ora più che mai - specialmente alla luce degli ultimi accadimenti (l'ultima Amministrazione, infatti, si é auto distrutta e se n'é andata alla chetichella) - senza uno scatto di orgoglio da parte di tutti, tendente ad ampliare le opportunità di scelta tra candidati, difficilmente potranno determinarsi quei radicali cambiamenti che facciano sperare, attraverso un provvidenziale avvicendamento, nell'avvento di una “nuova classe dirigente”, costituita da persone dedite al collettivo e che riescano finalmente a soddisfare, almeno in buona parte, le agognate legittime aspettative di chi desidera vivere in una cittadina che offra migliori opportunità di sviluppo sociale e servizi adeguati, secondo canoni dettati dai modi di intendere il vivere civile. Senza questo sforzo saremo alle solite e, quello che è peggio, ci ritroveremo a dover votare per le stesse persone che non demordono, non “mollano” e non si convincono che sarebbe bene si facessero da parte, sforzandosi di mantenersi il più lontano possibile dall'attività politica.

E' da tempo, e da più parti, che emergono desiderio, esigenza e necessità di rinnovamento nella conduzione dell'attività amministrativa della nostra cittadina; ma, affinché ciò avvenga, è necessario che i “politicamente miopi” siano capaci di desistere dal continuare ad insistere nello scenario politico e si convincano a consegnare il testimone. Non certo a gente sprovveduta, ma ad elementi possibilmente giovani che, in qualche modo, abbiano alle spalle almeno un po' di “gavetta” che serve a favorire e determinare l'acquisizione delle esperienze che consentono di ottenere la fiducia degli elettori. Certo è che, allo stato attuale, coloro i quali hanno fatto coincidere la propria biografia con l'appartenenza alla maggioranza dell'ultima amministrazione comunale, non possano ancora essere deputati a cambiare le regole.Questi signori, hanno fatto perdere solo del tempo e, la controprova del loro fallimento, sta nel fatto che sono state disattese le sacrosante minime legittime istanze dei cittadini: traffico, spazi pubblici, tributi e servizi in genere. Bisognerebbe, quindi, adoperarsi nell'individuare nuove persone, intellettualmente oneste, scevre da condizionamenti di ogni genere, disponibili a dedicare del tempo al bene collettivo e che non devono ringraziare nessuno per essere nel posto in cui si andranno a trovare (perché è risaputo che chi ti mette in un posto, spesso, ti chiede il conto). Individuare persone che rispondano a questi requisiti non è facile. Ce ne sono poche ma esistono. Riuscire a coinvolgerle nell'agone politico significherebbe aver trovato la chiave di volta per la rinascita di un paese a cui mancano tante cose. Caso contrario, non riuscendoci, è inutile poi lamentarsi.

di Giovambattista De Iorgi

Corre voce che, di recente, il Commissario prefettizio al Comune di Pizzo avrebbe disposto una ricognizione di tutti gli impianti pubblicitari esistenti sul territorio cittadino, al fine di verificare la regolare corresponsione dei relativi tributi e per redigere un nuovo piano comunale per la pubblicità a mezzo di pannelli stradali. Se la voce che circola corrispondesse al vero, non potremmo che congratularci col Commissario prefettizio, dott. Strati, che si appresterebbe a controllare e riordinare questa materia e questa entrata tributaria sia per ragioni di sicurezza stradale che per garantire una boccata d'ossigeno alle agonizzanti casse comunali. È una battaglia che, come altre, chi scrive ha già condotto con tenacia nel corso di questi anni di amministrazione StillitaniNicotra, scontrandosi, purtroppo, con un apparato politico-amministrativo che si è dimostrato cieco e sordo alle sollecitazioni, nel mentre sindaco e maggioranza, per cercare di fronteggiare la cronica difficoltà finanziaria dell'Ente, provvedevano ad aumentare tutti i tributi e le tasse comunali a carico della collettività.

Ancora oggi, continuiamo a non spiegarci come mai, di fronte a tante esigenze economiche, si sia caparbiamente trascurato questo gettito tributario. Abbiamo, più volte, ribadito che una cittadina turistica, come Pizzo, ben si presta a questo tipo di attività pubblicitaria, che può rappresentare una risorsa economica interessante per coloro che ne fanno una attività lavorativa principale o secondaria. Naturalmente, però, anche il Comune, per garantire, al più basso costo possibile, i servizi pubblici esistenti ed anche per istituirne di nuovi, deve ricavare un utile dalla concessione del suolo pubblico, così come già lo ricava da tutte le altre concessioni previste dai regolamenti in vigore. Quindi, riscuotere i tributi anche per la concessione di impianti pubblicitari stradali, non è solo un atto dovuto, perché stabilito dalle normative e dai regolamenti comunali, ma è anche una questione di equità e di giustizia nei confronti di tutti coloro che già versano tributi al Comune per l'utilizzo di suolo pubblico (punti di ristoro sulle pubbliche vie; targhe pubblicitarie, vetrine e bacheche che aggettano sul suolo pubblico; impalcature allestite per la ristrutturazione di immobili; banchetti di venditori ambulanti; palchi per manifestazioni pubbliche; ecc. ecc.). Tra l'altro, la regolare autorizzazione degli impianti pubblicitari e la riscossione da parte degli Enti del relativo tributo è garanzia per gli stessi inserzionisti i quali, in caso di impianti pubblicitari abusivi, rispondono per le sanzioni in solido con il gestore del

L’Osservatoio

cartellone pubblicitario, ai sensi del comma 12 dell'art. 23 del Codice della Strada, sostituito dalla legge n.111 del 15 luglio 2011 (prima manovra estiva). Dall'entrata in vigore di questa legge, la sanzione prevista per un eventuale imprudente inserzionista varia da un minimo di €. 1.376,55 fino ad un massimo di €. 13.765,50, mentre nei casi di abusivismo totale si va, addirittura, da un minimo di €. 4.455,00 ad un massimo di €. 17.823,00; cosicchè, da ora in poi, anche gli inserzionisti dovranno aver cura di affidarsi a titolari di impianti pubblicitari stradali non abusivi, per non incorrere essi stessi in sanzioni pecuniarie. Ed è per tutti questi motivi che accogliamo con favore la ventilata iniziativa del Commissario prefettizio, con la speranza che, essendo egli funzionario ministeriale, ma, soprattutto, estraneo al territorio e, quindi, privo di condizionamenti ambientali, possa adottare tutti i provvedimenti necessari per avviare il risanamento economico dell'Ente, per riordinare e migliorare i servizi pubblici e per garantire i diritti dei cittadini, ma anche il rispetto delle regole, nell'interesse di tutti.

di Santino Galeano

CENTRO SOCIO RIABILITATIVO DI PIZZO “E' bello esserci per avere creduto alla nostra idea. Ma è bello anche dare agli altri ciò che illumina il nostro sapere e l'amore per gli altri”. Sono questi, in modo alquanto sintetici, i maggiori concetti che abbiamo potuto carpire dalle parole delle referenti della Cooperativa sociale “Il ponte” che opera all'interno del “Centro socioriabilitativo insieme”, una struttura semiresidenziale posta nei piani bassi dell'Ospedale di Pizzo destinati originariamente a cucina e magazzini per lo stoccaggio delle merci e dei prodotti sanitari in genere. Aggirarsi ora per questi locali lindi ed arredati con gusto fa comprendere di quali miracoli è capace l'iniziativa privata. Del resto osservando le scandalose foto di ciò che è stato ereditato e che è costato alla collettività negli anni passati fior di quattrini, e ciò che oggi è la struttura rimessa a nuovo grazie non solo alle risorse finanziarie provenienti dal bando 2008 “Perequazione per la

progettazione sociale regione Calabria” ma anche grazie ad un progetto fortemente voluto dalla Cooperativa e ideato in collaborazione con specialisti del settore, si ha l'idea di cosa è capace di realizzare chi crede nelle potenzialità sociali di un percorso terapeutico da approntare sul territorio a favore delle persone in difficoltà. Un coagulo di forze che non ha risparmiato neanche gli operatori privati del commercio alcuni dei quali hanno semplicemente donato ciò che i referenti del progetto hanno richiesto per allestire al meglio una struttura che ad osservarla sembra che sia stata partorita in una realtà ben lontana dalla Calabria. Ciò evidenzia ulteriormente come anche nella nostra regione, nonostante le acclarate difficoltà di farsi spazio tra i meandri della burocrazia e la storica insipienza di dare per scontato in negativo ciò che molte volte neanche si

ipotizza di realizzare, è possibile allestire strutture socio-sanitarie di un certo spessore qualitativo che soddisfano le esigenze non solo del malato ma anche delle stesse famiglie. Insomma un vero e proprio miracolo quello realizzato all'interno di quello che doveva essere l'ospedale di Pizzo e che per decenni è stata l'esempio lampante e più reclamizzato dello sperpero di denaro pubblico. Un vero miracolo che vede raggruppate due sigle: l'Associazione Alzheimer Calabria che è intervenuta come ente proponente e responsabile di partnership e la Cooperativa sociale “Il ponte” quale progettista ed ente gestore del progetto del “Centro socio riabilitativo insieme”. A queste aggiungasi l'Asp di Vibo Valentia per essere la proprietaria dei locali e per averli dati in comodato d'uso per un ventennio. Il risultato di tutto ciò sono locali estremamente funzionali e belli

per quanto riguarda gli arredi e i colori, sale ricreative e riabilitative alquanto attrezzate, ed una cucina che prepara per lo più pasti tipici della tradizione locale quasi per non far si che il paziente si senta staccato dal focolare domestico. Ed infatti tra gli obiettivi del Centro socio-riabilitativo oltre al sostegno alle famiglie delle persone affette da demenza senile vi è a favore di tali soggetti il sostegno psicologico, l'attività di riabilitazione cognitiva integrata a quella occupazionale, ricreativa, motoria e musicale. Approcci, questi, indispensabili per il rallentamento della progressione della malattia e per il miglioramento del tono dell'umore e del comportamento. Insomma una sorta di struttura semiresidenziale questa voluta dall'Associazione Alzheimer presieduta da Maria Rita Carreri e la Cooperativa sociale “Il Ponte” diretta da Chiara

Borrello. Un centro di assistenza che si pone a livello intermedio tra la classica assistenza domiciliare e le cosiddette Case di riposo. Un centro diurno la cui frequenza apporta come evidenziano molteplici studi “notevoli benefici alla qualità di vita e al decorso della malattia che risulta essere più lento e graduale”. A ciò aggiungasi la primaria funzione di sostegno alle famiglie la cui tensione nel gestire le persone con demenza è molte volte causa di stress e di patologie correlate. Del resto è ormai acclarato che la demenza è una “malattia sociale” in quanto coinvolge sia l'individuo malato che l'ambiente umano in cui esso è inserito. Questo evidenzia l'importanza sociale e sanitaria del “Centro socio-riabilitativo insieme” che nella sua ancora breve attività sta dando respiro alle famiglie, conforto ai malati, ed immagine funzionale ad una struttura che sembrava persa per sempre.

Due preziosi pannelli in ceramica donati a Papa Benedetto XVI Li hanno realizzati i ragazzi della Riabilitazione Psichiatrica di Pizzo “Maestri d'arte”. Sono queste le due più semplici parole appropriate con le quali bisognerebbe identificare i ragazzi in cura presso la Riabilitazione psichiatrica di Pizzo diretta dal dr. Francesco La Torre. Maestri d'arte perchè partecipano all'interno dei laboratori della Cooperativa onlus “La voce del silenzio”, che ne supporta il percorso psicologico, ad una serie di attività formative e artistiche che sotto certi aspetti sconcertano piacevolmente l'osservatore esterno che nell'ammirare la valenza delle opere prodotte a volte resta sconcertato dalla sensibilità, l'estro, e la tecnica con la quale portano a termine i lavori. Un percorso pratico che oltre all'oggettistica, la pittura, la decorazione e il ricamo, si è adesso

concentrato sulla lavorazione della creta, dal prodotto grezzo al finito. Un progetto, questo, nato appena due anni fa e che si avvale del tutoraggio dei valenti maestri ceramisti di Vietri sul Mare, in primis dal maestro Luigi Del Forno che con entusiasmo ha condiviso il progetto della cooperativa. Un percorso iniziato in sordina ma che col tempo ha fatto sì che venissero sfornate numerosi capolavori che fanno bella mostra di sé oltre negli scaffali espositivi posti all'interno delle varie stanze del reparto di Riabilitazione psichiatrica della struttura sanitaria di Pizzo, anche in case private e luoghi pubblici, come per esempio nell'artistica base che richiama alcuni scorci caratteristici di Pizzo e sulla quale è posta la statua bronzea di San Francesco di

Paola, all'incrocio tra la via Nazionale e la via Sant'Antonio. Infatti da circa qualche mese anche questo angolo di aggregazione e di preghiera ospita in modo permanente due pannelli in ceramica che riproducono alcune scene dei miracoli del Santo realizzati dai ragazzi con il supporto del team specialistico della cooperativa “La voce del silenzio” presieduta dalla psicologa Adriana Maccarone. Ma sicuramente il lavoro più prezioso, quello che veramente sarà destinato a rimanere impresso nei ricordi di ciascuno di essi, in primis del giovane M.L. che materialmente l'ha ideato e realizzato con il supporto di Enza Rosabianca una delle tante volontarie che giornalmente si adoperano a tenere viva l'attenzione e

gli interessi dei giovani che frequentano il centro, sono i due pannelli in ceramica incorniciati da una artistica cornice in legno che sono stati oggetto di dono al santo pontefice Benedetto XVI in occasione della sua recente visita a Lamezia Terme. In uno è raffigurato Papa Callisto II, che negli annali storici risulta essere il primo Papa che visitò la Calabria. L'altro, invece, riproduce San Francesco di Paola patrono della Calabria nonché il Santo al quale è intitolato il Centro della Riabilitazione psichiatrica, raffigurato in una scena nota a tutti: il miracolo dell'attraversamento dello stretto di Messina sul mantello. Due autentici capolavori che davvero si farebbe fatica ad attribuire alle sapienti mani di giovani

che la società sbrigativamente classifica come “diversamente abili”, ma che in realtà hanno trovato nel centro sanitario di Pizzo quella voglia di vivere e quell'estro che molti altri giovani, pur integri mentalmente, preferiscono fare appassire nell'ozio, nella droga e nell'alcool. Insomma un percorso medico sociale, quello intrapreso da La Torre e dal team della cooperativa “La voce del silenzio” che riempie giornalmente di soddisfazioni tutta l'equipe, i familiari e le persone che vengono a contatto con un mondo che apparentemente sembrerebbe essere un pianeta a sé, ma che invece dimostra sempre più spesso di essere una stella che illumina la speranza e il percorso terreno di chi crede veramente nel dono della vita e di ciò che la stessa sa dare anche quando il suo percorso è in salita.


3 - Identità

Ottobre 2011

Una svolta per Pizzo Stazione

LA RINASCITA DI UN QUARTIERE La proposta di Giuseppe Ceravolo ed alcuni giovani di Pizzo R icevo

ancora, nonostante sia trascorso quasi un decennio dalla mia ultima manifestazione Socio-culturale nella qualità di Presidente dell'associazione “Corrado Alvaro“, apprezzamenti e ringraziamenti da parte di chi ha partecipato, e questo sinceramente mi riempie di orgoglio e di piacere. Quindi, mentre la gente, molta gente, fuori paese ricorda e ringrazia, i nostri paesani, salvo qualche numero sparuto di persone, hanno dimenticato velocemente l'impegno che ho profuso per diversi anni e che è servito, lo rammento sempre, a portare in auge il nome del nostro paese, non il mio, e a sollevare e dare voce e spazio alle problematiche del nostro martoriato territorio, con la speranza che qualcuno recepisse tali segnali di allarme, se ne facesse carico, li ponesse all'attenzione delle amministrazioni, che in questi anni si sono succedute, e finalmente cercasse di risolverle. Problemi che ho denunciato sulla stampa e con istanze protocollate all'amministrazione comunale già nell'anno 1992 e che non sollevo solo quando c'è odore di elezioni amministrative. Problemi che ancora oggi, a distanza di circa 20 anni, torno a ripetere e a gridare ad alta voce, senza risparmiare nessuno, né di destra, né di centro e né di sinistra, soprattutto quando un Quartiere che è stato per oltre un

ventennio il fiore all'occhiello di un paese per la sua dinamicità, vigoria, estrosità, unità ed unicità, chiamato non ha caso dal prof. Vacatello in uno dei suoi tanti interventi sulla stampa, “il quartiere fai da te”, negli ultimi anni si è ridotto a dormitorio per i periodi invernali e a valvola di sfogo, o meglio di parcheggio per le autovetture che provengono dal centro commerciale della nostra vicina Marina, nel periodo estivo, creando nei residenti una serie di problematiche tali da indurli a scoraggiarsi e dire: ora basta, vado via! Da tempo si era pensato a varie soluzioni ed ho avuto cura negli anni di rappresentarle alle varie amministrazioni, che son volute rimanere sorde e cieche ai miei richiami e alle tante segnalazioni. Aggiungo, e mi dispiace molto che questo non sia successo, che a mia memoria mai nessuno - pur vivendo nel mio quartiere persone sicuramente più influenti di me - abbia sentito la necessità di richiamare i problemi del quartiere Stazione, né alcuno si è proposto per tentare un'iniziativa comune. In passato erano state presentate anche alcune bozze progettuali che oggi vorrei rilanciare per l'interesse che hanno suscitato in alcuni nostri giovani che vorrebbero investire e lavorare sul nostro territorio. Mi

riservo dunque di presentarle al Commissario dott. Strati, perché se fatte proprie dall'Ente, si possa avviare l'iter procedurale per ottenerne il finanziamento, in forza di una legge Regionale, già emanata (e voluta fortemente dall'Assessore Regionale On.Mancini), che si avvale di fondi Comunitari. Sinteticamente, ho il piacere di anticipare ai lettori alcuni aspetti del progetto, di cui fornisco una esemplificazione grafica, che consiste: nel creare un nuovo

Parcheggio in una zona di proprietà ferroviaria (ex campi di bocce Circolo); nella costruzione di un Campo Polivalente, sempre in zona Ferroviaria “Piazzale ex magazzino merci”; nel creare un Lungomare fino a Vibo Marina, con creazione di Barriere frangi-flutto (come quelle nella zona di Paola) che servirebbero anche come posto di attracco per imbarcazioni. Inoltre, sarebbe utile richiedere una autorizzazione dalle Ferrovie per la modifica del Ponticello sito vicino la pompa di

sollevamento comunale, acchè si possa creare l'accesso (con sola uscita) per le case popolari. Ritengo che un progetto come questo potrebbe creare oltre che le condizioni di crescita e di vivibilità del nostro Quartiere Stazione anche, sicuramente, diverse opportunità di lavoro. E non sarebbe poco.

Peppe Ceravolo ex Presidente Associazione “Corrado Alvaro”

Progetto stazione

ProPosta

UN PROGETTO PER LA SEGGIÒLA di Domenico Vallone

Nel numero di Giugno/Luglio 2011 di questo giornale, a pag.2, abbiamo parlato della “Seggiòla”, quella “gradevolissima insenatura sul mare”, abbandonata per decenni, che noi pizzitani gradiremmo vedere non più nel suo stato attuale di desolazione ma vorremmo, invece, che fosse un’attrazione turistica e un motivo di godimento per tutti i visitatori. Avevamo detto che per eliminare lo stato di degrado e realizzare un secondo accesso stradale, oltre a quello quasi impraticabile dall’ “Immacolata”, si sarebbe dovuta costruire, con collegamento alla zona del parcheggio “Papa”, una bretella sopraelevata, ma non troppo, da poggiare su pali conficcati nella rupe al di sotto di quel palazzone, purtroppo pure abbandonato, che si erge maestoso al centro della vista dominando dall’alto tutto lo scenario “seggiolese”. Dicevamo che tale bretella si sarebbe dovuta, dall’altra parte, collegare alla stradina esistente, che scende dall’“Immacolata”, la quale potrebbe essere facilmente allargata per buona parte della sua estensione. Il traffico automobilistico si sarebbe reso, così, possibile e quello pedonale più agevole e piacevole. Tutta la zona si sarebbe valorizzata e il conseguente incremento turistico avrebbe potuto migliorare, in qualche misura, le condizioni economiche della nostra città. Ebbene, un progetto di tal genere, tecnicamente più completo ed articolato, esiste. Le mie argomentazioni erano solamente delle idee di un cittadino che, se prese in considerazione, si sarebbero sempre dovute sviluppare e messe in atto da chi ha capacità e possibilità tecniche e politiche e può intervenire nell’economia pubblica.

Tale progetto, eseguito dall’Ing. Giuseppe Di Iorgi, secondo quanto ci spiega il professionista, tiene conto della morfologia del terreno senza alterarne le quote. Il canale esistente di deflusso delle acque meteoriche sarebbe prolungato fino allo scarico a mare (senza provocare inquinamenti trattandosi di Fotografia del progetto per la rivalutazione costone Seggiòla acque piovane bianche). Sarebbe un’opera di riqualificazione da realizzare tramite realizzazione di piazzette e parcheggi p a l i f i c a z i o n e d e i c o r d o l i d i anche nella zona sottostante l’affaccio coronamento delle zone, evitando alti in corrispondenza della curva della muri in cemento armato, migliorando “piazzetta mercato” e sistemando la l’impatto ambientale in quanto spiaggia vera e propria dove sono piazzali, parcheggi e strade di giacenti quel poco di barche rimaste e collegamento sarebbero eseguiti dove un tempo gli ombrelloni e i rispettando la morfologia attuale. Con bagnanti davano movimento e luce alla la realizzazione di tali opere il rischio bellissima insenatura. di frane si porterebbe da R4 ad R2 (R4 è Un progetto di tal genere, che il rischio massimo; R2 è quello certamente andrebbe rivisto e minimo) e si aprirebbe una zona di migliorato, si potrebbe effettivamente bellissimi scorci panoramici al servizio realizzare. A tal proposito potrebbe del centro storico. Nuove aree di sosta essere utile invitare altri professionisti delle automobili e piazzole di interessati a presentare, ciascuno, un osservazione darebbero un piacevole proprio progetto in maniera da dare la aspetto alla zona, contribuirebbero a possibilità, a chi di dovere, di scegliere risolvere il grave problema dei il migliore, quello, cioè, che meglio si parcheggi e valorizzerebbero anche gli inserisce nell’ambiente della zona. Ma immobili esistenti, che tutti i chi dovrebbe portare avanti questa proprietari troverebbero l’interesse di iniziativa? È certamente compito dei ristrutturare e abbellire, migliorando prossimi amministratori fare in modo decisamente l’immagine complessiva che Pizzo non rimanga eternamente del rione. Un collegamento anche alla fanalino di coda dei centri turistici della darsena, attualmente in costruzione nostra regione. n e l l a z o n a “ G r o t t a A z z u r r a ” , Abbiamo avuto negli anni anche la costituirebbe una variante stradale alla fortuna che pizzitani sedessero al Vi a M a r c e l l o S a l o m o n e c o n Consiglio regionale della Calabria con collegamento diretto alla zona ruoli di primo piano e ancora non “Marina”. Il progetto si potrebbe abbiamo perso le speranze che essi, di completare ricavando un affaccio non concerto con gli eletti alla gestione del carrabile sulla spiaggia Seggiòla con nostro Comune, possano essere

Date a Cesare quel che è di Cesare… Nello scorso mese di Agosto, come certamente ricorderete, la nostra ridente cittadina fu colpita, da una deturpante e imbarazzante “emergenza rifiuti”. Nonostante le gravissime preoccupazioni che già dettava la contingente calamità del mare sporco, i fatti provano di come, nel mese più importante dell'anno per l'intera comunità Napitina, ci siano stati considerevoli problemi di stoccaggio dei rifiuti con successivo blocco dei mezzi di raccolta e versamento nei centri di smaltimento. La conseguenza di tutto ciò fu un catastrofica immagine pubblica agli occhi dei turisti di passaggio ed una sgradevole ed inammissibile condizione di precarietà igienico-sanitaria per i cittadini di Pizzo, costretti a dover patire, per svariati giorni, quintali di rifiuti riversati per le strade e tra i vicoli, ed un olezzo pestilenziale per tutte le ore del giorno e della notte. Cercando di eludere il commento sul come avvengano tali disastri nella Regione Calabria e soprattutto sul perché tali avversità accadono puntualmente nel cuore di Agosto, sfregiando verosimilmente, un'immagine sociale e ambientale già troppo compromessa; ci limiteremo a rivendicare e ricordare il ruolo legittimo di chi, in questa drammatica emergenza, ha contribuito alla soluzione del problema e desolatamente, non è stato neanche

determinanti nelle iniziative miranti alla realizzazione di opere pubbliche nella nostra cittadina, fra cui la rivalutazione del costone Seggiòla. Sappiamo che la realizzazione di opere pubbliche, oltre a migliorare l’aspetto paesaggistico e la funzionalità dei servizi di una qualsiasi zona, mira a risolvere le problematiche di “Lavoro, Formazione e Politiche sociali” che costituiscono, appunto, il compito che

ricordato tra i “titoli di coda” di questa storia. Ebbene, per la celere risoluzione dell'emergenza rifiuti, il Commissario Prefettizio al Comune di Pizzo Dott. Bruno Strati ha pubblicamente e giustamente ringraziato coloro che hanno reso possibile questa non facile impresa, menzionando la responsabile del Servizio ambiente, Arch. Maria Stuppia e la Protezione Civile guidata da Franco Di Leo, ma trascurando, altresì, il decisivo ruolo avuto dalla locale Ditta “Barbieri”, la quale, dimostrando singolare disponibilità e operosità, è intervenuta impiegando diversi mezzi propri e altri mezzi messi a disposizione da alcune altre Ditte del territorio, affinché si sanasse l'emergenza e si sgomberassero le strade, oramai sature di rifiuti. La nostra, certo non vuole essere una celebrazione, tantomeno un encomio, vorremmo solamente ringraziare e, a buon diritto, riconoscere una lode a chi, con il proprio impegno, la propria disponibilità e tempestività si è prodigato affinché un'emergenza comune fosse risolta celermente. Per il futuro quindi, riteniamo possa essere opportuno, in complicate circostanze, ricordare come solamente grazie al senso civico e sinergico di ciascuno di noi cittadini si potranno tamponare e risolvere talune situazioni territoriali impegnative, e riscoprire quel senso di appartenenza e di cittadinanza attiva che garantisce la crescita sociale e culturale di una comunità.

E.S.

svolge oggi un nostro concittadino assessore alla Regione. Vogliamo sperare che la sua presenza (qualunque sarà il colore della prossima amministrazione politica) non paralizzi le iniziative per il rilancio dell’economia napitina, ma offra una opportunità in più per poter realizzare opere che contribuiranno a risolvere anche il problema della disoccupazione a Pizzo.


4 - Identità

Ottobre 2011

Cultura “Una carrellata di ricordi impressi nella nostra memoria come belle fotografie in bianco e nero che

sanno di antico. Poi un risveglio improvviso e tutto svanisce, per la presenza di un'amara realtà che

annulla di colpo i fotogrammi del nostro passato che rappresentano le nostre radici.

Sono le brutture del nostro tempo che annientano la memoria e con essa il nostro presente costellato

di amarezze per tutto quanto è stato perso a causa di un lento ma inesorabile abbrutimento.”

SEGGIÒLA AMORE MIO di Giovanni Curatolo

Questa

espressione poteva essere il sospiro dell'anima della gente della marineria pizzitana, quando, in un passato ancora recente, la spiaggia della Seggiòla era il cuore della fucina peschereccia del nostro paese, sempre bello oltre ogni dire, importante e famoso per essere stato anche la capitale del territorio circostante di tante officine artigianali dove le arti di lavorare il ferro, o le stoffe, o il cuoio, o la muratura, o il pesce, specie il tonno, o il legno o le verghe di mirto e le canne ebbero maestri di mestiere valorosi e ambiti in tutta la nostra regione e altrove. Della Seggiòla come era prima e come è rimasta impressa intatta in me la Dea Gea volle che essa fosse la sua alcova e si adoperò con tutto il suo ingegno per farsela bella. Come una conchiglia scavata nel tufo tra due speroni che la proteggono trapunti di piante e di fiori spontanei e sonori di canti di garruli uccelli, con un letto di sabbia bianca tra un mare di cangianti colori turchese, azzurro cobalto e verde smeraldo col viola delle scogliere sottomarine e una spalliera di roccia gialla che poi l'uomo coprì di casette colorate che si arrampicano in su abitate perlopiù da pescatori mentre la spiaggia divenne parco di barche di grande e media stazza: paranze, sciabiche, tartane, ciancioli e lampare, di vele e di reti. Sorse al centro quella che fu la prima loggia di tonnara di posto della quale parlano i ruderi superstiti dove si lavorava anche il tonno sott'olio in barattoli di latta chiusi con la saldatura a stagno o sottosale, la tonnina, sottopeso in fustelli di doghe di legno. Il

tempo storico al quale si riferiscono i fatti narrati è il secolo scorso insino agli anni sessanta; poi scese il sipario che involse tutto nel buio. Alla Seggiòla sorsero le prime consorterie di pescatori che nel nostro vernacolo si chiamano “Misteri” termine che non sta ad indicare cosa arcana o il mestiere ma nel senso di impresa marinara che comprendeva le barche, l'attrezzatura e la ciurma. Di questi “Misteri” i più noti erano quelli dei Vallone, più famiglie non legate da vincoli di parentela ma di affinità onomastica, quella dei Procopio e quella dei Timpano. Dei Vallone la più famosa era quella fondata dal capostipite Domenico detto “Micarosa”. Al mio tempo era retta dal figlio Francesco, persona carismatica, di statura alta e solenne, diritto come l'albero maestro della sua sciabica, un monumento, sostenuto all'inizio anche dai fratelli Nunziato e Giorgio. L'azione del sole e quella del mare avevano modellato la sua figura: quella del sole l'aveva verniciato di rosso e di bronzo; quella del mare aveva scavato solchi nel volto e rattrappito le mani. Le dita erano adunche come artigli tanto avevano legato ami e cucito reti. Il suo incedere era deciso come quello di una prora che fende le onde e il suo sguardo diritto come quando scrutava il cielo per leggere il tempo o il lontano orizzonte marino se preannunciava mareggiata. Fu anche e per molto tempo arcipriore della Reale Arciconfraternita di Maria S.S. delle

Grazie della gente di mare, carica che esercitava con serietà e autorevolezza vestito da confratello con medaglione di argento a collana sul petto e con bastone di comando pure di argento che impugnava forte. Visse ultranovantenne sempre in forma e sempre guardando fremente il mare, dove come le onde vedeva scorrere i suoi ricordi. Dei “Misteri” degli altri Vallone, anche l'ultimo a scomparire, fu quello di Rocco, uomo forte e abilissimo pescatore di qualunque tipo di pesca, padrone di una sciabica e di varia attrezzatura. Con poche reti riusciva a cingere anche i tonni dei quali sapeva fare delle prelibatezze come la bottarga e le budella secche. Di stessa importanza il “Misteri” dei fratelli Procopio dei quali Giacomo detto Japicheju era un vero lupo di mare. Stava di vedetta sulle alture e, scrutando il mare, dal colore delle macchie valutava il tipo e la quantità di pesci che si poteva pescare. Ebbe vita breve. Per tutti questi uomini impastati di acqua marina, di sole

e di salsedine la Seggiola era casa e bottega. Ahimé ora quella celebre località geme ed è derelitta. Un attacco furioso e massiccio di cemento le ha fatto perdere le caratteristiche ed ha sfregiato le sue bellezze: la scogliera naturale non c'è più, la spiaggia è una landa rimpicciolita e piena di detriti, il mare non ha più i colori di una volta. Anche alla spiaggia della Marina c'erano due “Misteri” quello di Pietrogrande e quello di Gennaro. Erano sciabiche con attrezzatura di tartana e di cianciolo e pescavano nella parte sud del golfo. Partivano dalla Marina e puntavano la prora verso lo Stromboli. Nei posti che trovavano tirando le coordinate da alcuni punti sulle montagne circostanti si fermavano a pescare. Tornavano a riva con i cesti colmi di triglie e di ogni altro ben di Dio. E' da più di mezzo secolo che quelli della mia età, guardando alle sorti del nostro paese, stiamo in abito nero e col colletto alzato e sovente abbiamo assistito alla celebrazione di funerali per i seguenti decessi e abbiamo fatto le prefiche durante quei lutti. Morirono per prime le scuole comunali di disegno e quella di musica, da quest'ultima uscirono valenti musicisti che suonarono in prestigiose bande nazionali come quelle dei carabinieri e dell'aeronautica, poi tracollarono anche la nostra banda municipale che eseguiva gratuitamente concerti in piazza e il bel palco musicale in muratura ornato di statue di muse,

unico in Calabria. Ad uno ad uno fu poi la volta della perdita di importanti uffici statali come la Pretura, la Capitaneria di Porto, la Tenenza della Guardia di Finanza, l'Ufficio del Registro e l'importante nodo ferroviario che serviva anche il nostro retroterra. Abbiamo cantato il De Profundis alle tre tonnare di posto e alla flotta peschereccia per cui a Pizzo non si pesca più se non per diletto. Per l'invasione edilizia selvaggia fine analoga hanno fatto gli orti lungo tutta la via Nazionale che producevano frutta e verdure e non abbiamo più lo zibibbo. Lacrime amare abbiamo versato per la fine del multiforme e fiorente artigianato che creava posti di lavoro in casa nostra invece del pane amaro dei marittimi. Dolorosa è stata l'ecatombe progressiva delle sculture in ceramica della mostra permanente alla Marina ospitata all'aperto nei muri delle case e delle sculture di arte sacra nelle chiese di S. Giorgio e del Carmine. Nella piazza davanti al Castello sono riflesse le nostre “magnifiche sorti e progressive”. Siamo ridotti, così, al lumicino e Pizzo da perla del Tirreno dichiarata negli anni cinquanta è diventata guscio secco di ostrica. Ingordi e irriconoscenti stiamo anche facendo guerra a quella Dea Gea che nel prodigarci bellezze fu di manica larga. Adesso sono anche scappati gli amministratori comunali eletti dalla cittadinanza e costosi commissari, a scavalco, amministrano la nostra cosa pubblica. E pensate che a portare il nostro povero paese sul Golgota sono stati suoi figli, e questo è nefando, benedetto Dio.

MURAT A PIZZO NEL 1815: “MIRATE AL PETTO, SALVATE IL VISO” FORATTINI-ARBORE NEL 1979: “MIRATE AL PETTO, SALVATE LA BIRRA” di Franco Cortese

Gioacchino

Murat nacque in Francia nella città di La Bastide Forturiere (oggi La Bastide Murat) il 25 Marzo 1767. Giovanissimo incontrò a Parigi Napoleone Bonaparte col quale strinse un legame a vita, manifestato sempre da una sincera e devozionale amicizia. Anni dopo, per meriti militari e galloni di generale guadagnati sui campi di battaglia, ebbe in sposa la bellissima Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Il geniale imperatore francese premiò il cognato nominandolo prima vice-re di Spagna e poi re di Napoli. Murat era dotato di un coraggio fuori dal comune sempre animato da uno spirito indomito e condottiero tanto da essere l'unico comandante di cavalleria al mondo che riuscì a conquistare la fortezza del Cremlino di Mosca durante la disastrosa campagna di Russia, precedendo cosi di parecchi giorni l'ingresso di Napoleone nella città degli zar. Purtroppo, in quella errata e nefasta spedizione, perirono molti calabresi fra cui alcuni pizzitani. Ma i rovesci della storia sono incredibili, e Murat, dagli sfarzi del trono,

all'improvviso si ritrovò anche lui nella polvere e dovette fuggire da Napoli dove ritornarono trionfalmente i Borboni. Era l'implacabile riordino dei regni prenapoleonici deciso a Vienna con la restaurazione. Murat non si diede per vinto e la domenica dell'8 Ottobre 1815, nel vano e, diremmo, insano tentativo di riconquistare il regno perduto, sbarcò con trenta soldati a Pizzo dove venne catturato ed alle ore diciassette di venerdì 13 Ottobre 1815 fucilato nello stretto vaglio del locale castello Aragonese. Ai militari che lo moschettavano pronunciò la ormai famosa frase: “mirate al petto salvate il viso”. Un castello, quello di Pizzo, sebbene senza grandi pretese né militari e né architettoniche, per quel solo tragico evento, passò alla storia come monumento nazionale dell'epoca napoleonica in Italia. La fucilazione, nelle narrazioni popolari assunse risvolti romantici, il che accese la fantasia di molti grandi pittori, disegnatori e vignettisti fra i più bravi dell'epoca i quali si sbizzarrirono a incidere sui fogli di disegno gli ultimi istanti di Murat a Pizzo.

LA FINE DI MURAT IN UNA BREVE ESCURSIONE GRAFICA Ripercorrendo una brevissima escursione grafica, riportiamo in questo scritto alcuni dei disegni realizzati nel tempo da celebri artisti che riproducono, con stile ed allegorie del tutto personali, la fucilazione di Murat a Pizzo Calabro. Chi è appassionato di stampe d'epoca oppure è un amatore di storia dell'arte, sa che nomi come Antonio Senape, Bartolomeo Pinelli, Eduardo Matania e Giorgio Forattini sono i non plus ultra nel campo e, ancora oggi, in un continuo no-stop, il testimone inventivo-rievocativo passa a moderni disegnatori i quali riproducono ripetutamente l'accaduto di Pizzo su quotidiani oppure arricchendo enciclopedie storiche. Qui di seguito, riproponiamo in maniera succinta ma essenziale le loro quattro biografie. LA FUCILAZIONE DI MURAT NELL'ARTE Antonio Senape (nato a Roma nel 1788 e morto a Napoli nel 1842), per quanto ne sappiamo, è l'unico dei quattro incisori sunnominati che nel 1829 è venuto a Pizzo lasciandoci due bellissimi e fedeli disegni: uno tratta lo sbarco di Murat e il secondo propone una meravigliosa veduta panoramica della città. Supponiamo che gli altri tre disegnatori abbiano lavorato di fantasia nel ricostruire la fucilazione di Murat. Bartolomeo Pinelli (nato a Roma il 20.11.1781 ed ivi deceduto il 1.04.1835) è uno dei più grandi illustratori che la città eterna abbia mai avuto (tanto per capirci è quello citato

nella famosa canzone: “Arrivederci Roma”). Ci ha lasciato tre meravigliose stampe sullo sbarco di Murat a Pizzo, che mostrano però chiaramente atteggiamenti arrendevoli del francese, non conformi al carattere del personaggio, forse imposti all'autore dalla censura papalina. Eduardo Matania (nato a Napoli 1847 e ivi deceduto nel 1929) pittore e disegnatore fra i più famosi dei suoi tempi ha illustrato, nel 1888, un'enciclopedia storica disegnando in una meravigliosa stampa la fine di Murat nel castello di Pizzo. La sua arte è di tale spessore da ispirare quasi tutti i futuri disegnatori nazionali. Giorgio Forattini (nato a Roma nel 1931) è attualmente il più noto illustratore e disegnatore d'Italia. Ha

lavorato, e tuttora presta la sua penna con note originali e creatività satirica, per testate come: “La Repubblica”, “L'Espresso”, “Panorama”, “Il Giornale di Milano” e molte altre riviste. Nel 1997 ha vinto a Milano l'ambito premio L'Ambrogino d'oro. Nello stesso anno ha pubblicato una vignetta umoristica propagandistica, che ha avuto enorme diffusione, dove illustrava il noto cantautore Enzo Arbore vestito da Murat mentre stava per essere fucilato a Pizzo. Fu apportata però una variante, invece di pronunciare la famosa frase: “Mirate al Petto salvate il viso”, Forattini al mattatore televisivo pugliese fece esclamare: “Mirate al petto salvate la birra”. Mentre a Murat una pallottola spappolò la guancia, chissà se ad Arbore scoppiò la birra.


5 - Identità

Ottobre 2011

Cultura NOTA A MARGINE DELLA MOSTRA ESTIVA SU CARMELO ZIMATORE Abbiamo deciso di dedicare un'intera pagina ad un'opera di Carmelo Zimatore (di cui si è tenuta a fine agosto, con grande successo, una mostra delle maggiori opere sacre a cura della Confraternita delle Grazie

nella piazzetta omonima) rilevata fotograficamente da un soffitto della antica casa Procopio, perché tutti possano ammirare lo stile delicato e leggiadro espresso dalla fantasia dell'artista nel

decorare le case del nostro paese. A cura del nipote Enzo Vacatello, anch'egli artista, che ha onorato la mostra della sua presenza, sono state realizzate alcune riproduzioni del soffitto stesso, di cui qui riproduciamo

le quattro stagioni. La nota storica della prof.ssa Ermelinda Procopio ci riporta nell'atmosfera dell'epoca e della serata, confermandoci che “l'estetica è la filosofia dell'arte” e che il bello non è

una cosa in sé ma è quello che piace e non vi è dubbio che l'arte del nostro concittadino, maestro Carmelo Zimatore, con le emozioni che crea attraverso il concetto di armonia, arriva a tutti e piace. G.B.C.

QUEL MERAVIGLIOSO SOFFITTO di Ermelinda Procopio

Un tuffo delizioso, soave nella mia infanzia è stato il regalo meraviglioso che ha prodotto in me l'evento che questa estate ha riportato alla memoria collettiva il grande pittore napitino Camelo Zimatore. Da tempo avvertivo che Pizzo ben poco aveva fatto per esaltare il suo illustre figlio anche se, in pratica, tutti noi quotidianamente, entrando nelle chiese, possiamo illuminarci dei suoi capolavori. Appena l'amica Franca Pietrogrande mi ha messo a parte del suo progetto di onorare il nostro personaggio,

dedicandogli una serata da realizzarsi nella piazzetta delle Grazie, sono stata felicissima di collaborare. Per prima cosa ho pensato che sarebbe stato interessante conoscere il nostro artista attraverso qualche foto, infatti, mentre tutti a Pizzo possiamo ammirare i suoi quadri, nessuno aveva mai potuto vedere qualche sua immagine. Chi più del nipote diretto poteva venirci incontro? Fortunatamente conoscevo Enzo Vacatello da diversi anni ed egli, da me contattato, ha soddisfatto le

nostre richieste inviandoci delle bellissime foto di suo nonno. Ma buon sangue non mente, perché Enzo Vacatello un suo talento ce l'ha. Infatti, interessato al grande dipinto che suo nonno aveva realizzato nella mia casa paterna, ha riprodotto i medaglioni con le quattro stagioni, ed altre immagini, con grande maestria e con un uso dei colori da vero artista. Perché all'inizio ho parlato di tuffo nella mia infanzia? Perché come tutte le case antiche

anche la mia aveva i soffitti dipinti, ma uno era il fiore all'occhiello, l'orgoglio di mio padre, un dipinto in cui il grande Maestro aveva profuso la vena più soave della sua arte, creando un capolavoro di leggiadria (ve ne diamo testimonianza con la riproduzione di alcuni particolari, ndr.). Voglio pensare che il nostro stimasse molto mio padre per avergli dedicato un'opera eccelsa. Posso perciò affermare che fin da piccola mi sono nutrita di quelle immagini che guardavo

estasiata e che per me avevano anche qualcosa di magico. Proprio così, perché allora non indugiavo a credere che dal medaglione raffigurante la Primavera scendevano i cioccolatini che il medico trovava nella sua tasca per me, se mi facevo visitare e curare. Ho ancora nel cuore quella splendida serata, in cui l'immersione nei ricordi del periodo infantile e adolescenziale è stata per me totale.


6 - Identità

Ottobre 2011

Cultura

a cura di Orlando Accetta

Antonino Anile Poeta e scienziato di grande valore Fu sottosegretario e in seguito ministro della Pubblica Istruzione Nella ricorrenza del 68° anno dalla morte, avvenuta a Raiano d'Aquila il 26 settembre del 1943, vogliamo ricordare il poeta di Dio Antonino Anile, il cui biografo e critico più attento e più fedele è stato senz'altro Vito Giuseppe Galati, suo fraterno amico e confidente. Il grande letterato nasce a Pizzo il 20 novembre del 1869 da una famiglia di piccoli commercianti originaria di Briatico, cittadina a pochi chilometri dal luogo natio, e viene battezzato dal canonico Francesco Sardanelli il 29 novembre, a pochi giorni dalla nascita, col nome del nonno paterno Antonino Salvatore, già avuto da un fratello e da una sorella nati prima di lui e prematuramente scomparsi, ma fu sempre conosciuto con quello di Antonino o Nino. Leoluca e Amalia Tozzi ebbero 11 figli e Nino fu il quarto. Trascorre il periodo della sua fanciullezza con una certa serenità, anche se fra tante difficoltà economiche conseguenti alla crisi attraversata dalla modesta attività commerciale del padre, il quale, preso dai suoi affari, sempre delegò la moglie Amalia a tenere unita la famiglia, vero collante di amore e di fede cristiana, che seppe efficacemente trasmettere ai figli e di cui fu nutrito profondamente il futuro poeta e scienziato. Amalia Tozzi Anile, morta poco più che cinquantenne nel 1895, essendo nata nel 1840, riposa nel cimitero di Pizzo, suo paese natale, nella cappella dell'Arciconfraternita di Maria SS. delle Grazie, sulla cui lapide possiamo leggere: "A nostra Madre / Amalia Anile Tozzi / esempio purissimo di Virtù / Immortale nei nostri cuori". Seguono i nomi dei quattro figli rimasti vivi: Antonino, Concetta, Giovanni e Maria. Il poeta è studente liceale a Vibo Valentia (allora Monteleone) presso il liceo "Gaetano Filangieri" e poi a Napoli iscritto alla Facoltà di Medicina su insistenza del padre, nonostante egli aspirasse alla facoltà di lettere. Si laurea il primo agosto del 1894, a venticinque anni, e diviene assistente del prof. Giovanni Antonelli, che morirà a Napoli nel 1914. Consegue la Libera Docenza in anatomia umana nel 1903 e, nel 1919, a cinquant'anni, è deputato a Catanzaro eletto nelle liste del Partito Popolare

di don Luigi Sturzo, il prete di Caltagirone. Nel 1921 viene rieletto e dal 5 luglio 1921 fino al 26 febbraio 1922 è sottosegretario al ministero della Pubblica Istruzione nel Governo retto da Ivanoe Bonomi. Dal 27 febbraio al 30 ottobre 1922 è ministro della Pubblica Istruzione nei due governi di Luigi Facta, in una fase drammaticissima per l'Italia. Si ritira dalla politica attiva con l'avvento del fascismo, in seguito alla "marcia su Roma" del 28 ottobre 1922, poi, allo scoppio della guerra, vive da sfollato a Raiano d'Aquila, dove muore il 26 settembre 1943. Dal 1952 riposa in una modesta tomba ricavata all'interno del Duomo di San Giorgio, dopo il permesso di trasferimento ottenuto dietro intercessione del suo fraterno amico Vito Giuseppe Galati. Pasquale Tuscano, giustamente, nella premessa al suo volume dedicato al poeta di Pizzo ebbe a scrivere: "Il centenario della nascita di Antonino Anile (1869-1969) è trascorso nel più assoluto silenzio da parte della critica. Ci siamo chiesti, pertanto, se veramente egli non avesse più nulla da dire, se meritasse di essere affatto dimenticato". E le risposte che il Tuscano si diede furono senz'altro positive, cioè a favore dell'Anile, se è vero che ne scaturì un libro così approfondito, meditato, qual è il suo "Antonino Anile: L'Uomo, l'Educatore, il Poeta", edito nel 1970 da Luigi Pellegrini di Cosenza. Noi stessi, riconsiderando questa assurda e ingiusta indifferenza "degli addetti ai lavori" nei confronti di Antonino Anile, sulla "Voce di San Giorgio", periodico diretto dallo scrittore e poeta napitino David Donato, in un articolo del 1985 (Antonino Anile: un uomo da ricordare), scrivevamo: "L'anno 1983, per la Calabria culturale poteva e doveva essere un anno importante, da dedicare alla commemorazione del valoroso e illustre letterato, politico e scienziato, a 40 anni dalla sua morte. Ma l'anno 1983 è trascorso senza che alcuno si sia prodigato al fine di organizzare qualche manifestazione o altro per ricordare e celebrare degnamente questo illustre, ma dimenticato figlio di

Calabria. Non si è fatto nulla in Calabria, però nulla si è fatto a Pizzo, città natale del poeta". E poi aggiungevamo: "Riteniamo che l'Anile meriti di essere maggiormente studiato e apprezzato per i suoi notevoli contributi, sia come letterato e sia come scienziato, ma anche come attento e m e r i d i o n a l i s t a c o n s i d e re v o l e . È quest'ultimo aspetto che non bisogna assolutamente trascurare e che altri potrebbero sviluppare nella giusta luce e completezza. Antonino Anile: uomo e studioso del Meridione e della Calabria. Questo è un nuovo capitolo da esaminare con serietà e impegno". Alfonso Ninì Rotolo, napitino e cultore dell'Anile, nella premessa al suo libro "Omaggio ad Antonino Anile", stampato nel 1990 a cura dell'amministrazione comunale dell'epoca, concordava con noi, tanto da fargli apporre come sottotitolo: "Poetascienziato misconosciuto". E scriveva: "Con questa iniziativa l'amministrazione comunale di Pizzo intende in certo qual modo rimediare alle colpevoli negligenze di quanti hanno consentito che per così lungo tempo restasse sconosciuto, persino nella sua terra d'origine, un ispirato poeta religioso, un originale pensatore, un anatomista, divulgatore d'interessantissime opere scientifiche e, inoltre, un uomo politico diventato, negli anni che immediatamente precedono l'avvento del fascismo in Italia, Ministro della pubblica istruzione". Per poi proseguire: "L'opuscolo persegue l'obiettivo sostanziale di far conoscere e rilanciare il pensiero di Antonino Anile, ricostruendo la sua molteplice attività, al fine di promuovere il recupero dei valori etico-religiosi, posti a base delle sue opere, e di costruire, in virtù della loro assimilazione, all'elevazione delle coscienze individuali e alla riedificazione della società calabrese, profondamente sconvolta, in questi anni, dai p ro c e s s i d i r i n n o v a m e n t o e d i trasformazione, intervenuti nel suo tessuto politico-culturale ed economico-sociale. Ma anche al fine di avviare, sui presupposti umanitari indicati dal poeta e scienziato di

A cento anni dalla nascita ricordiamo il famoso artista di Pizzo confinato nell'oblio

ANGELO SAVELLI, IL PITTORE DEL BIANCO «Sono nato fisicamente a Pizzo di Calabria. A Roma soprattutto spiritualmente. Roma mi ha formato e continua a formare di me un pittore ed un uomo un uomo ed un pittore. Per me non vi sono limiti quando la sincerità è nel fondo. Ritengo giusta e necessaria l'esperienza intesa nel suo significato cosmico e non come mera esperienza. Posso dire che con carattere ed amore mi dedico alla pittura quasi per intero e lavoro come se in un'altra mia vita antecedente avessi già fatto il pittore ed ora stessi a migliorare quello che ho già fatto. Di certo con intuitiva sicurezza nella mia prossima vita futura continuerò con altrettanto carattere». Questa che precede è la descrizione che il grande Angelo Savelli, il pittore del bianco, fece di sé, nato a Pizzo il 30 ottobre 1911 e morto a Castello di Boldeniga (Brescia) il 27 aprile 1995, mai ricordato e mai celebrato nella sua città natale, nonostante le tante promesse e i tanti propositi. Il 30 ottobre 2011 saranno trascorsi cento anni dalla sua nascita, mentre ricordiamo che la sua salma, dopo la morte avvenuta il 27.4.1995, fu traslata e tumulata nel cimitero di Pizzo il primo maggio 1995, nella più assoluta indifferenza e mancanza di partecipazione dei suoi concittadini e delle istituzioni e associazioni locali. Infatti, fu presente soltanto la giunta al completo del comune di Taverna, mentre stranamente fu assente l'amministrazione comunale di Pizzo, guidata dall'allora sindaco Francescantonio Stillitani. Il grande pittore, in quei giorni, stava approntando una mostra personale da tenersi a Prato e la sala alla "Biennale" di Venezia. Fiumi di parole e di promesse, negli anni passati, furono spesi e fatti, ma di concreto si devono registrare soltanto due eventi: il 26 maggio 2001 l'associazione culturale musicale "Coro Polifonico San Giorgio" e il comune di

Pizzo, presente l'autore Ilario Principe, fu inaugurata la scultura intitolata "Biancosavelli", interpretata dalla critica d'arte Anna Russano Cotrone, titolare di storia dell'arte all'Accademia di Belle Arti di Catanzaro; il 27.4.2005 l'amministrazione comunale di centrosinistra guidata dal sindaco Franco Falcone, appose una targa ricordo sulla casa natale del grande artista, per merito dell'assessore alla Cultura Ivano Tuselli e del professor Carlo Primerano. Noi stessi più volte nei nostri servizi giornalistici rilevammo l'oblio in cui fu confinata la figura del grande maestro Angelo Savelli, e la città di Pizzo, in particolare, dopo la sua morte non ritenne di ricordare degnamente e doverosamente uno dei figli più importanti, se si esclude che l'assessorato comunale alla cultura dell'amministrazione dell'ex sindaco Franco Falcone, si mosse per dare valenza a un progetto culturale che potesse uscire dai semplici confini cittadini e avere risonanza regionale e nazionale, con la costituzione della “Fondazione Savelli”, con attori protagonisti della regione Calabria, il comune di Pizzo e l'Università della Calabria. Savelli, morendo, lasciò alla città di Pizzo in base testamentaria alcune opere che sarebbero tuttora depositate presso la “Fondazione Proda” di Milano: “Alla comunità di Pizzo lascio per la galleria d'arte di Pizzo, nel Castello o altra istituzione similare, una serie delle mie opere che comprendono disegni, quadri, prospettive, acquarelli e sculture”. Angelo Savelli, a soli 24 anni vince il concorso nazionale per l'affresco e i premi "Balestra" e "Mattia Preti". Nel 1930 si stabilisce a Roma dove completa gli studi all'Accademia di Belle Arti alla guida di Ferruccio Ferrazzi. Nel 1944 è uno dei

fondatori dell'Art Club di Roma. Dopo la seconda guerra mondiale si interessa ai problemi visivi dell'espressionismo astratto e nel 1949 è il primo pittore italiano ad avventurarsi in questo tipo di pittura. Nel 1954 si trasferisce a New York, dove visse. La sua prima tela bianca risale al 1957. Nel 1960 tiene una mostra personale al museo d'arte di Tweed. Insegna pittura a Philadelphia presso l'università di Pensylvania, e a New York presso la Columbia University e la New School. Dal dopoguerra tiene oltre trenta mostre personali in Italia e all'estero, riscuotendo parecchi riconoscimenti e le sue opere sono entrate delle maggiori collezioni private del mondo e fra i più importanti musei. Negli anni '60-'70, Savelli riceve il premio Lissone, viene invitato a insegnare alla ”Art Workshop” e a partecipare a un seminario sulle tecniche di stampa a Milano. A Philadelphia, il direttore della "University of Pennsylvania", G. Holmes Perkins decide di rimodernare la scuola chiamando a insegnare Romoaldo Giurgola, che invita Angelo Savelli e Piero Dorazio a riorganizzare il programma degli studi per il Dipartimento delle Belle Arti, pittura, scultura e grafica. Savelli accetta l'invito e si trasferisce in Pennsylvania. Durante questo periodo soffre di gravi disturbi fisici. Savelli abiterà per 10 anni a Springtown, senza lasciare lo studio di New York. Crea i primi lavori utilizzando la corda e realizza undici opere litografiche a rilievo, bianco su bianco. Viene pubblicato il libro "Ten poems by ten American poets" con litografie di Savelli. Ottiene il Gran Premio della Grafica alla XXXIII Biennale di Venezia per i ventisette rilievi bianco su bianco. Insegna alla Columbia University of New York e realizza i progetti "Paradise II" alla Corcoran Gallery of Art di Washington e

Pizzo, la riscoperta di quei lieviti e di quei valori autentici di cui è molto intrisa la nostra tradizione, così come pure la rifondazione di quell'antica sapienza meridionale, oggi del tutto misconosciuta, la quale, se fatta propria da ciascuno, può consentire ancora la ripresa civile, la rinascita e il progresso, quello vero, della nostra Calabria". A tutt'oggi, se si esclude la stampa del libro "Omaggio ad Antonino Anile" di Ninì Rotolo avvenuta nel 1990 a cura dell'amministrazione comunale dell'epoca, purtroppo siamo punto e daccapo: Antonino Anile è come se non fosse mai esistito, eppure ha scritto molto e di molto valido. Spiace dirlo, ma il "poeta di Dio", per come l'ebbe a definire Vito Giuseppe Galati, non solo è stato dimenticato dalla cultura ufficiale, ma è scarsamente conosciuto anche dai suoi stessi concittadini, avendone la stragrande maggioranza soltanto letto di sfuggita il nome sulla scabra lapide posta sulla sua tomba, situata all'interno del Duomo di San Giorgio. Una fitta nebbia sembra si sia innalzata sulla nobile figura del valoroso poeta, scienziato e politico. Finanche i più anziani, salvo rarissime eccezioni, hanno scarsa conoscenza di lui, e per un uomo di elevato ingegno, quale egli fu senz'altro, è il peggiore torto che gli si potesse riservare. Abbiamo chiesto a parecchi pizzitani che conoscenza ne avessero e le risposte, tutte dimostrano che l'Anile è affatto noto. Certamente saranno concorsi vari motivi a mantenere nell'ombra questa grande figura d'intellettuale e di scienziato, ma sicuramente molto dipese dal fatto che egli fu un personaggio alquanto timido e schivo (per come afferma il Galati) e che, per la sua rigida morale cristiana, non accettò mai la regola del compromesso e non venne mai meno alla sua coerenza, né nell'arte, né nella scienza, né durante la sua parentesi politica. Questo, forse, fu il suo maggiore "torto": Antonino Anile, da uomo semplice, riservato e timorato, non volle mai attuare il compromesso, non volle mai essere uomo di parte e, quindi, non volle nemmeno essere "uomo di Pizzo e dei pizzitani". Pertanto, non si costruì una sua specifica clientela, non si procacciò galoppini senza scrupoli che avrebbero potuto propagandare il suo personaggio, non fece favori personali a dubbi individui che, riconoscenti, avrebbero potuto ingigantire la sua immagine nel popolo e tra il popolo. Quindi non fu ossequiato dalla massa, non fu attorniato da speculatori senza morale, perché, per la sua onestà adamantina, respingeva queste categorie di persone. "Scrupoli morali - si

disse - gli impedirono persino di aiutare i suoi più intimi amici... l'onesto non era da lui valicabile... così non concepiva nemmeno che si potessero conferire incarichi ad amici sfuggendo al giusto controllo legale" (Vito Giuseppe Galati, A. Anile, Edizioni Paoline, 1952). Oggi avremmo bisogno di tali uomini. Antonino Anile visse, sì, nell'ombra, ma ebbe sempre nel cuore la sua Pizzo, che, per come testimonia sempre il Galati, spesso raggiungeva e che ha cantato nelle sue opere, ospite di suoi amici giacché non possedeva in loco neppure un modesto alloggio. L'unica eccezione, nella sua Pizzo, per ricordare il grande poeta, si ebbe verso la fine di maggio 1999, quando ci fu una cerimonia con l'apposizione di una foto, fornita dal sottoscritto, alla scuola media a lui intitolata. Infatti, nella palestra, a cura degli alunni delle terze classi, è stata curata una cerimonia letteraria in suo onore, che si concluse con l'apposizione di una sua foto, in un ambiente gremito fino all'inverosimile. Erano presenti il preside dell'Istituto Tecnico Nautico Francesco Nardino, il poeta David Donato, il ricercatore Franco Cortese, il critico e cultore aniliano Ninì Rotolo, la studiosa Nella Perciavalle, il preside dell'epoca Antonino Cugliari, il quale ultimo, nel presentare l'elevata figura di Anile, affermò, tra l'altro, che nella sua scuola «dell'Anile, grande personaggio napitino, si dovrà parlare sempre e l'intitolazione è stata fatta appositamente perché tra i figli di Pizzo che l'hanno nobilitata è stato scelto proprio lui poiché, oltre ad essere un grande poeta, scienziato e scrittore, è stato pure un grande educatore, con una visione profetica della scuola e dell'educazione». Promessa che dai suoi successori non è stata mantenuta. Concluse Ninì Rotolo, autore di un apprezzato libro antologico e di critica su Antonino Anile, il quale espresse il suo compiacimento col preside e con tutto il corpo docente per l'apprezzabile iniziativa, avanzando la proposta di indire un convegno apposito per trattare diffusamente l'elevata figura del poeta, nello stesso tempo dichiarandosi disponibile a parteciparvi in prima persona, nella sua qualità di studioso aniliano. Inspiegabilmente assenti furono i politici, anche se, come evidenziato dal preside, erano stati regolarmente invitati.

"Dante's Inferno" alla Peale Galleries of Pennsylvania, Academy of Fine Arts di Philadelphia. Viene installata la scultura "Empedocles" al Lincon Center di Syracuse. Insegna alla Cornell Universitya Ithaca, nello Stato di New York e realizza l'opera "Wall to Wall" che espone a una mostra alla Pennsylvania State University. Crea le prime tele senza telaio applicate direttamente al muro. Dipinge la serie di tele "On the quantity of the surface". Realizza una serie di quaranta stampe bianco su bianco. Accetta il posto di Visiting Professor all'Università del Texas ad Arlington dove trascorre per cinque anni i semestri invernali. Realizza l'installazione "Tree with 84 tree trunks" e la espone alla Max Hutchinson Gallery, New York. Negli anni '80, riceve dal Guggenheim Museum di New York "la Guggenheim Fellowship" che gli permette di vivere in Europa e di organizzare mostre personali a Milano, Zurigo e Roma. Realizza la scultura "Aglaophon" che viene installata presso l'Aubodon Art Center, New York. Dopo un lungo e sofferto periodo di depressione, muore tragicamente sua moglie Elisabeth Fischer. Viene pubblicato "Angelo Savelli, Opera grafica 1932-1981" di Giuseppe Appella, edito da Scheiwiller. Viene premiato all'American Academy of Arts and Letters. Realizza un'opera straordinaria che dedica alla moglie: "Glory of a broken wing, a Elisabeth Fischer". Viene pubblicato "Libro bianco" con incisioni di Savelli e poesie di Lucini, edizioni Scheiwiller. Cambia studio, che sarà l'ultimo, e si trasferisce al 257 di Water Street, al Sea Port, Pier 17. La Rai Corporation di New York realizza un filmato sulla sua vita e acquista alcune opere tuttora esposte nella sede di New York. Passa parecchio tempo in Italia, nella provincia di Brescia a casa della Famiglia Argenterio. Viene aperto il "Centro d'Arte Contemporanea Angelo Savelli" a Lamezia Terme. Nel 1993 inizia la realizzazione di una stanza presso l'albergo "l'Atelier sul Mare" a Castel di Tusa in Sicilia, che non riesce a terminare. Quindi, incontra a New York

P a t r i z i o Bertelli e la m o g l i e Miuccia Prada, i quali visitano il suo studio e s'innamorano delle sue opere. Il 30 novembre 1 9 9 4 , I l Presidente della Biennale d i Ve n e z i a , Gian Luigi R o n d i , comunica a Savelli che il consiglio direttivo della Biennale lo invita a partecipare con una sala personale nella sezione italiana per la XLVI Biennale di Venezia. Agli inizi di dicembre Savelli comincia ad accusare problemi di salute. Susanna Argenterio si rende conto che Angelo ha bisogno di aiuto e lo raggiunge a New York. Il 14 febbraio 1995, riceve una lettera dal Curatore del Museo d'Arte Contemporanea "Luigi Pecci" di Prato Antonella Soldaini che lo invita a realizzare, per il periodo da giugno a settembre dello stesso anno, una Mostra Antologica. Per Savelli è un periodo meraviglioso. Si affatica molto e consigliato da Susanna Argenterio chiude lo studio per trasferirsi per un periodo in Italia. Alla fine di marzo, Savelli, le sue opere e tutti i suoi ricordi arrivano a Milano in Italia. Dopo due settimane dal suo arrivo, il giorno di Pasqua, si sente molto male. La Famiglia Argenterio, che l'ospitava, decide di ricoverarlo d'urgenza all'Ospedale S. Orsola di Brescia. È troppo debole e riesce a respirare solo con inalazioni d'ossigeno. Il 27 aprile 1995, il grande artista napitino di valenza mondiale muore nel Castello di Boldeniga di Dello (Brescia), all'età di ottantatre anni, e per sole poche settimane, non riuscirà a vedere realizzate le due mostre personali che lo avevano tanto incantato: la XLVI Esposizione Internazionale d'Arte (Biennale di Venezia), e la mostra al Museo Pecci di Prato in collaborazione con "PradaMilanoArte”.


7 - Identità

Ottobre 2011

Cultura La Calabria Napoleonica e il brigantaggio di Vincenzina Perciavalle

Quando nel dicembre del 1805 Napoleone Bonaparte decretò la fine del regno borbonico di Napoli la Calabria era una regione poco conosciuta in Europa che dal 1600 era rimasta tagliata fuori dagli itinerari dei viaggiatori ed erano pochissimi gli studiosi che con spirito di avventura vi si erano spinti, desiderosi di ritrovarvi il fascino della Magna Grecia. Ancora nel 1782, per la quasi assoluta inagibilità o assenza di strade, mancava una descrizione fisica ed economica della regione: la sola rotabile esistente partiva da Napoli e si fermava a Lagonegro, dopo aver attraversato la piana di Eboli e il Vallo di Diano. La prima strada che giungeva fino a Villa, dall'epoca della romana via Popilia, fu quella costruita dalle armate di Murat per portare armamenti alle truppe in attesa di uno sbarco in Sicilia e che ancora oggi è chiamata “via dei francesi”. Più frequenti erano i collegamenti via mare, anche se questi erano resi insicuri dall'inefficienza degli approdi e dalle incursioni barbaresche che, ancora nel primo decennio del sec. XIX funestavano le coste calabre. Il 5 maggio 1783 un nuovo disastroso terremoto, che travolse 200 paesi e causò 30.000 morti, fece conoscere al mondo la Calabria e fece capire re Ferdinando di Borbone che era tempo di correre ai ripari e il suo primo ministro, John Acton, incaricò l'economista Giuseppe Maria Galanti di redigere una approfondita descrizione demografica ed economica dei territori sull'intero Regno di Napoli. L'esecuzione dell'opera, il cui disegno venne preparato anche con l'uso di questionari, richiese a Galanti diversi viaggi in Calabria e queste visite gli dettero l'occasione di riflettere sia sui problemi locali (bonifica delle paludi, rimboschimento delle zone montuose, le condizioni dei carcerati, ecc.) sia su questioni più generali (l'amministrazione delle Province, la gestione del fisco, del catasto, dei bilanci pubblici, della feudalità, ecc.), per le quali cercò invano la collaborazione di uomini di governo. Nonostante le sue buone intenzioni, tutto si risolse solamente con l'istituzione della “ Cassa Sacra” che aveva il compito di vendere i beni ecclesiastici. Questi beni, però, passarono tutti nelle mani dei ricchi feudatari e degli altrettanto ricchi “galantuomini”, senza che si arrivasse alla divisione del latifondo in piccole tenute da attribuirsi ai contadini. L'istituzione della Cassa portò ad un forte inasprimento dei rapporti tra proprietari e coltivatori, per l'aumento dei canoni e per l'accresciuta pressione sui coloni e sui piccoli proprietari. La politica della Chiesa, di natura esclusivamente assistenziale, anche se contraria ad ogni tentativo di valorizzazione della terra e ciecamente conservatrice, contribuiva però a rendere possibile la sopravvivenza a gente che per tre quarti viveva solo di pane di granone e castagne e questo spiega anche l'enorme influenza che la Chiesa esercitò sempre sul popolo calabrese, Questa era la situazione in Calabria al momento dell'inizio della campagna napoleonica. Il corpo di spedizione era formato da tre reggimenti di fanteria leggera, due di linea, un reparto di polacchi, uno di svizzeri e sei squadroni di cacciatori, per un totale di 11.629 uomini. Subito i francesi incontrarono grosse difficoltà di spostamento a causa del maltempo che rendeva impraticabile la malandata carrabile che giungeva fino a Lagonegro, ma proprio qui, il 6 marzo 1806, ottennero la prima vittoria sbaragliando l'esercito borbonico. Subito dopo, il 9 marzo, i francesi vinsero anche a Campotenese: con queste vittorie la via della Calabria era aperta. Lo stesso 9 marzo Morano, che aveva rifiutato di arrendersi, fu incendiata e saccheggiata. Dopo non ci furono più difficoltà: ovunque le truppe borboniche si ritirarono senza combattere e il 29 marzo le truppe francesi entrarono a Reggio. La conquista della Calabria era durata in tutto 29 giorni. L'insurrezione della popolazione era però alle porte. Essa iniziò da un episodio banale: il 22 marzo un contadino di Soveria, Carmine Caligiuri, uccise un ufficiale di Verdier per difendere l'onore della moglie e poi si diede alla macchia seguito da una schiera di compaesani. Tre giorni dopo, il 25 marzo, la banda di Caligiuri attaccò un convoglio francese e il giorno dopo addirittura un reparto di fanteria e uno squadrone di cavalleria. La stessa banda, il 28 attaccò il paese di Scagliano ma fu respinta dagli abitanti che, nello scontro, uccisero Caligiuri. Iniziò così quella rivolta popolare, nota come “Brigantaggio”, nella quale si fusero rivendicazioni etiche, politiche, sociali e

culturali e che per i francesi fu l'inizio di un nuovo tipo di guerra, che oggi chiameremmo guerriglia, alla quale non erano preparati e di cui subirono le conseguenze in seguito, sia in Spagna che in Russia. Intanto le truppe borboniche, forti dell'aiuto degli alleati inglesi, si andavano riorganizzando e il 4 luglio, al comando di Sir John Stuart, sconfissero i francesi del Gen. Reynier nella battaglia di Maida. Il 5 luglio le truppe borboniche occuparono Amantea, presidiata da un contingente polacco. Anche Reggio fu riconquistata e gli alleati inglesi si asserragliarono nel forte di Scilla. L'insurrezione prese maggior vigore e i popolani trovarono un insperato appoggio nella nobiltà e nel clero: infatti alla sua base vi era, soprattutto, la netta contrapposizione tra le varie classi sociali, da un lato contadini laceri, affamati, sfruttati e ignoranti, istigati da borbonici desiderosi di riconquistare il trono ed ecclesiastici anch'essi desiderosi di riappropriarsi di beni e soprattutto di benefici che erano stati loro sottratti da quei “ giacobini senza Dio”; dall'altro truppe di occupazione e piccola e media borghesia calabrese ( proprietari, avvocati, notai, medici ) che, lontani da un preciso orientamento politico di tipo illuministico, erano convinti che un cambio di regime li avrebbe avvantaggiati e avrebbe favorito la loro antica aspirazione ad un maggior peso economico e politico. Tutto ciò fu ben compreso dai francesi che, già dopo Maida, stabilirono che la Guardia Nazionale dovesse essere formata, tassativamente, da ufficiali appartenenti al ceto borghese in modo tale da essere interessati direttamente al mantenimento dell'ordine. Essere esclusi dalla guardia nazionale voleva dire perdere il diritto di tenere un'arma (anche lo schioppo per la caccia e il coltello per la difesa), e questo, per la massa contadina era, più che un attentato alla sua libertà e al suo sostentamento, una vera e propria diminuzione della sua dignità. Il malcontento della popolazione era acuito anche dalla brutalità dell'invasione francese; le truppe di Reynier avevano bisogno di tutto: cibo, alloggio, vettovaglie varie, braccia per i lavori, quindi le requisizioni e le corvées erano una norma abituale legata all'arbitrio degli ufficiali e dei sottufficiali e comportavano sempre minacce, violenze e ritorsioni di ogni genere. Se il peso di approvvigionare e alloggiare la truppa costringeva i francesi a premere su tutti, senza alcuna distinzione, erano proprio i più poveri a sentire maggiormente il peso di un esercito che li privava persino della capra, del maiale, del pagliericcio e delle scarpe. Lo scrittore Duret de Tavel, che partecipò alla spedizione, in una pagina del suo diario, datata 18 agosto 1808, denota tutto il suo imbarazzo nel dover privare la popolazione del suo unico mezzo di trasporto, il mulo, che consentiva ai braccianti di raggiungere la campagna, di solito lontana dal borgo miglia e miglia. Ma, “à la guerre comme à la guerre”, i dragoni lottavano per la loro sopravvivenza, anche se poi si adontavano quando lo stesso principio veniva applicato dagli insorti che toglievano loro il cavallo, i vestiti, le pistole, quando non gli cavavano gli occhi e li precipitavano in un burrone. Napoleone non solo auspicava lo sfruttamento a tappeto del Regno, ma indicava, quali mezzi più idonei, le confische, l'oppressione fiscale, le requisizioni. In verità Giuseppe Bonaparte tentò più volte di far capire al fratello che questa politica era controproducente, ma l'Imperatore vedeva nel Regno delle Due Sicilie solo un'opportunità di far soldi per combattere e vincere la Coalizione Internazionale e si mostrò sempre insoddisfatto del modo con il quale Giuseppe conduceva le operazioni. A queste cause fondamentali ne vanno aggiunte altre che pure ebbero una loro grande incidenza, prima tra tutte il fattore religioso. L'anticlericalismo rivoluzionario doveva necessariamente scontrarsi con un popolo per il quale credenze e convinzioni religiose erano una realtà intoccabile, ai limiti del fanatismo, ed erano continuamente stimolate e strumentalizzate da un clero rozzo, facinoroso e ostile ai francesi per l'avvenuta frattura tra Napoleone e la Santa Sede, per la soppressione dei conventi, per la confisca dei beni ecclesiastici. Altro motivo di insofferenza era la libertà dei costumi praticata ed ostentata dai francesi, soprattutto sulla questione della libertà della donna. Le feste che i loro comandanti diedero, Verdier a Cosenza e

Massena a Monteleone, furono viste e presentate dal clero come veicoli di libidine e d'immoralità da combattere ad ogni costo. Bisogna riconoscere che numerose furono le intemperanze delle truppe, logorate da una guerra estenuante e quindi sollecite ad ogni possibilità di evasione, soprattutto nei confronti delle donne, sempre con accanimento cercate ed inseguite. A differenza della plebe napoletana alla quale l'ansia di vivere, la fame, la necessità avevano insegnato che è meglio piegarsi al vincitore tanto un padrone vale l'altro, e questo non tanto per cinismo ma per arte di vivere, anzi di sopravvivere, il calabrese viveva isolato in un mondo incontaminato, legato a credenze ancestrali, vittima e portatore insieme di una violenza antica e di un forte senso della dignità, magari distorto, ma al quale era pronto a sacrificare tutto quello che possedeva o che avrebbe potuto possedere se fosse stato più calcolatore ed accomodante. Abituati ai lazzaroni napoletani, generosi, vocianti ed estroversi, i francesi non riuscirono mai a capire i calabresi, e Giuseppe Bonaparte, scrisse al fratello avvertendolo che “les napolitains de Naples ne rassembrant en rien à ceux des Calabres” (i napoletani di Napoli non somigliano in niente a quelli di Calabria). Dopo la sconfitta francese di Maida, la situazione precipitò e la rivolta esplose in tutta la regione. Gli insorti, riuniti in grosse bande di “briganti” dominavano su tutta la Calabria e non davano tregua alle truppe di Giuseppe Bonaparte per le quali. osteggiati dalla popolazione e spinti dal bisogno, l'unico mezzo di sussistenza diventò l'abitudine al saccheggio e alla strage che ben presto distrussero ogni disciplina. Ma il 18 luglio del 1806 avvenne un fatto nuovo e decisivo: I borbonici si arresero a Gaeta e il gen. Massena fu libero di intervenire in aiuto di Reynier. Le armate francesi passarono al contrattacco: l'8 agosto si arrese Lauria, il 13 i calabro borbonici furono sconfitti a Moccone, nonostante la presenza in campo di tutti i principali capimassa che da quel momento furono costretti a rinunciare allo scontro frontale. Anche Cosenza fu riconquistata e il 7 settembre Massena stabilì il suo quartier generale a Monteleone. Gli anglo borbonici, però, tenevano ancora Scilla e Reggio mentre i calabresi combattevano in tutta la regione. Tutta l'Europa guardava con stupore a quell'esercito di contadini e briganti che teneva in scacco l'esercito più potente del mondo La situazione era resa più grave dalla personalità dei combattenti in tutti e due i fronti. Nell'esercito francese militavano non solo i veterani delle grandi battaglie, ma anche una folla di mercenari svizzeri, polacchi, prussiani, inglesi disertori, negri delle Antille, per i quali il saccheggio costituiva la sola ragione per battersi ed affrontare i tre grandi nemici di quella spedizione: freddo, fame e malaria. Si uccideva per un mantello, per un paio di scarpe di cuoio; per un maiale e per un sacco di farina; si moriva soprattutto per la malaria. L'8 settembre 1806 Giuseppe comunicò a Napoleone che, dei suoi 11.110 uomini, 1500 erano ammalati e il numero salì a 3000 già il 30 settembre. La guerra era un calvario insopportabile per i soldati dell'armata che non combattevano contro altri soldati ma contro donne, bambini, vecchi, preti, interi paesi che venivano distrutti e incendiati. Era una guerra senza cavalli, cannoni, e fanfare che non cambiava con il passare degli anni, anche quando Giuseppe lasciò la Calabria per la Spagna e al suo posto divenne Re Gioacchino Murat. Nei confronti dei briganti tutti provavano solo disprezzo e paura, persino i loro alleati inglesi, che si vergognavano di combattere al loro fianco giudicando ciò sconveniente per il buon nome dell'Inghilterra . Lo stesso pensavano gli ufficiali borbonici, che spesso se ne lamentarono con il re Ferdinando. Ma del resto, chi erano questi capimassa e briganti? In genere i capimassa, volontari reclutati dai Borboni anche tra i ricercati per brigantaggio, erano considerati combattenti a tutti gli effetti anche se erano uomini laceri, delusi, malpagati, abituati al saccheggio ed insofferenti ad ogni disciplina. Umiliati dagli inglesi e dagli uomini di linea, si trasformavano spesso in autentici predoni, ladri, assassini, stupratori. Più volte i Borboni tentarono di inquadrarli in un “ Corpo di guide calabresi”, ma essi

erano talmente indisciplinati che alla fine, per liberarsene, li mandarono a combattere in Spagna. Il valore guerriero dei capimassa era comunque legato alla conoscenza dei luoghi; fuori dai loro territori, era quasi nullo, come dimostra il fatto che nella battaglia di Mileto le truppe borboniche del principe Assia Philippsthal furono duramente sconfitte, nonostante la presenza in campo di tutti i massisti. Comunque godettero sempre dell'appoggio incondizionato della regina Maria Carolina, che non cessò mai di sovvenzionarli e di elogiarli. Numerose furono le lettere che inviò ai più famosi capimassa: Francesco Carbone (comandante dei “ corpi a massa” o battaglioni volanti), Nicola Gualtieri detto “Pane di Grano”, Filippo Cancellier, Antonio Santoro detto “Re Coremme”, Giuseppe Necco, Giacomo Pisano detto “Francatrippa”. Costoro possono essere considerati veri e propri combattenti contro l'occupazione straniera, anche se si resero colpevoli di episodi efferati. Una piccola parte era costituita da ecclesiastici in fuga dai francesi, o da “galantuomini” che, privati dei loro beni, aspiravano ad un grado nell'esercito o ad un impiego nell'amministrazione civile Tutti gli altri erano briganti veri e propri che, riuniti in bande, terrorizzavano l'intera regione e perpetravano i loro crimini più contro i loro compaesani che contro i francesi. Un elenco dei più importanti briganti che operarono nella provincia di Cosenza e degli atti da loro commessi si trova nei fascicoli dei processi e delle sentenze della Commissione Militare di Cosenza, che pronunciò 378 sentenze, quasi tutte di condanna a morte, emesse ed eseguite tra il 1806 e il 1810. Sulle condanne a morte, eseguite tramite fucilazione o impiccagione, nella provincia di Catanzaro tra il 1805 e il 1808, vi è un interessante libretto manoscritto del sacerdote don Giacinto Fazzari, curato dell'Ospedale militare delle truppe francesi, conservato presso la Congrega del Santo Rosario di Catanzaro. Tra le condanne eseguite ci sono anche quelle di alcune donne, compagne o mogli di briganti, che furono “ afforcate”. Un altro interessante documento relativo ai briganti della zona di Lamezia è conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi . Ne è autore il Gen. Iannelli, chiamato a reprimere il brigantaggio durante gli anni 1810-1811, al tempo del Gen. Manhès. Il Gen. Iannelli, oltre a dare notizie sulla cattura o sulla morte di questi briganti, ce ne descrive brevemente le malefatte. Molti pensano che il generale abbia un po' esagerato nella descrizione delle malefatte di questi briganti per esaltare l'importanza della loro cattura o della loro uccisione ad opera sua, ma notizie più o meno simili si trovano nei resoconti degli ufficiali francesi impegnati nei combattimenti e in taluni articoli del “Monitore Napoletano”, del “Corriere di Napoli”, della “Gazzetta britannica” pubblicata in Messina tra il 1808 e il 1811, del “Giornale dell'Intendenza della Calabria Citra”. Tra i briganti di cui parla il gen. Iannelli ne ricordo alcuni tra i più famosi e sanguinari: Lorenzo Benincasa di San Biase, che diventò brigante a 12 anni dopo aver ucciso la propria sorella. Nel 1806 a capo di una banda di 300 briganti conquistò San Biase e fece strage di tutti i borghesi filo-francesi. Aveva l'abitudine di tagliare il naso a tutti coloro che lavoravano per i francesi e secondo il gen. Iannelli le persone mutilate furono centinaia. Fu ucciso in combattimento il 15 marzo 1810. Paolo Mancuso detto Parafante, di Scagliano, aveva una banda di 500 uomini con i quali assaltava tutti i convogli che da Nicastro si recavano a Monteleone. Aveva l'abitudine di mutilare e bollire i malcapitati che catturava vivi. Fu ucciso in combattimento il 13 febbraio 1811. Giuseppe Russo detto il Tiranno, di Monte Paone, commise centinaia di uccisioni, massacri e mutilazioni. Fu ucciso in combattimento il 9 febbraio 1811. Giuseppe Rotella detto il Boia, di Tiriolo. Mutilava i malcapitati e li faceva sbranare dai suoi cani, addestrati appositamente. Morì in combattimento il 4 settembre 1810. Secondo il gen. Iannelli fu uno dei briganti più coraggiosi. Domenico Pasquale ed Antonio Cefali detti gli Azzariti, di S.Pietro di Maida.

Appartenevano ad una famiglia di borghesi e divennero briganti per la causa borbonica. Avevano una banda di circa 300 briganti di Iacurso, Curinga, Filadelfia con la quale assaltavano convogli e paesi, massacrando e stuprando. Furono uccisi in combattimento nella primavera del 1811. Francesco Muscato detto il Bizzarro, di Vazzano. Iniziò la sua carriera per amore della baronessina Felicia De Santis , sorella dei suoi padroni. Scoperto da costoro e fatto bastonare, si vendicò uccidendoli in chiesa e incendiando il loro palazzo. Fuggito poi con l'amata, formò una banda con la quale saccheggiò Francavilla, Filadelfia, Vazzano e Rosarno e fu nominato Capitano delle masse dalla regina Maria Carolina. Quando durante un attacco la De Santis fu catturata e rinchiusa nel manicomio di Napoli, il Bizzarro si legò ad un'altra donna, alla quale aveva ucciso il marito e che a sua volta lo uccise all'età di 36 anni, nel 1810. Intanto la guerra continuava: il 28 maggio 1807 ci fu un altro scontro campale tra i francesi di Reynier e i borboni del principe Assia Philippsthal: la battaglia avvenne nei pressi di Mileto e i borboni lasciarono sul campo 500 morti e oltre 1500 prigionieri. Una dopo l'altra caddero tutte le fortezze del legittimismo borbonico, mentre i francesi preparavano l'attacco decisivo a Reggio e Scilla dove sventolava ancora la bandiera borbonica: Reggio si arrese al gen. Cavaignac il 2 febbraio 1808; Scilla, difesa dagli inglesi e dalle masse guidate da Pane di Grano, capitolò il 9 febbraio. Il 5 ottobre 1808 Murat abolì lo stato di guerra e la pace fu celebrata in tutta la regione con feste semplici e popolari, durante le quali iniziò l'arruolamento dei giovani nel corpo dei Velisti. La coscrizione, che ebbe un certo successo tra la borghesia, incontrò la più viva opposizione tra gli strati popolari: ogni 1000 abitanti ne venivano estratti a sorte due tra i giovani dai 17 ai 26 anni. I più abbienti avevano la possibilità di pagare qualche altro che andasse al loro posto, chi non poteva o voleva pagare si rifugiò in montagna, ricostituendo le bande dei briganti. La repressione murattiana contro il rinato brigantaggio affidata al gen. Manhès, fu terribile e somigliò molto a quella che sarà effettuata, dopo l'unità d'Italia, dal gen. Cialdini, messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro centri abitati. Interi paesi, come Cinquefronti, su preciso ordine di Murat, furono rasi al suolo; ai contadini fu impedito di recarsi a lavorare nei campi e ai commercianti di spostarsi dai loro paesi; a Serra San Bruno agli abitanti non fu più permesso di recarsi in chiesa e tutti i monaci e i preti furono cacciati dalla Certosa e dal paese. A tutti coloro che consegnavano la testa di un brigante veniva dato un premio in denaro e l'amnistia dei reati commessi o attribuiti. Nei primi mesi del 1811 il brigantaggio in Calabria non costituì più un problema per i francesi, anche se covava sotto la cenere e risorse ovunque all'indomani dell'Unità d'Italia, anche stavolta rinfocolato dai Borboni e dalla Chiesa e anche stavolta represso nella brutalità e nel sangue. La coscrizione forzosa, voluta da Murat per conquistare la Sicilia ed eliminare definitivamente la monarchia borbonica, non diede comunque i risultati sperati: il 18 settembre 1810, il suo esercito, al comando del gen. Jaques Marie Cavaignac, passò lo stretto, ma fu sconfitto dalle truppe inglesi nei pressi di Messina, lasciando sul terreno 42 ufficiali e 753 soldati. Dopo neanche una settimana Murat sciolse l'armata e rientrò nella capitale Napoli: il suo prestigio aveva subìto un colpo irreparabile. Pochi mesi dopo la Restaurazione, sbarcato a Pizzo, fu catturato dalla popolazione e fucilato dai Borboni, dopo un sommario processo, il 15 ottobre 1815. Al pari di tanti poveri disgraziati, le sue spoglie giacciono in una fossa comune nella Chiesa di San Giorgio a Pizzo.


8 - Identità

Ottobre 2011

Cultura INTERVISTA AD ELISABETTA DONATO, AUTRICE DE “LA SCATOLA DI BISCOTTI E…”

“IO CERCO PIZZO IN OGNI LUOGO CHE VISITO” Siamo andati a trovare, nella sua casa di Monterotondo vicino Roma, Elisabetta Donato,figlia di un nostro carissimo amico Franco Donato, autrice del libro di cui abbiamo pubblicato una breve recensione sul nostro giornale nell'edizione del luglio scorso. Siamo stati ricevuti con molta cordialità e simpatia in una casa che, appena entrati,denunciava con il suo profumo la presenza dei bimbi. Michele 5 anni ed Asia quasi 3 erano intenti a giocare e disegnare sdraiati sul pavimento ricoperto di macchinine di ogni tipo, di matite colorate e tanti fogli scarabocchiati (scusate volevo dire 'disegnati'). Dopo un buon caffè ed affascinati dalla dolcezza dei bambini abbiamo iniziato la nostra chiacchierata: Come è nato il titolo “La scatola di biscotti e…”? Guardando la scatola di biscotti che avevo sulla credenza. Mi sono ritrovata a fissarla e ho avuto l'ispirazione. Ed eccola lì, la prima storia. A mio suocero piacque così tanto che quasi si commosse. Ho dato il titolo al libro per fare onore a quella storia. Come le è venuto in mente di scrivere un libro? Più di un anno fa una persona mi propose di scrivere un libro. Il lavoro in seguito lo abbiamo portato avanti e concluso con Sara Pacciani (illustratrice del libro) e Marco (mio marito nonché curatore dell'impaginazione e attivo sostenitore!). Da dove prende l'ispirazione? Dalla vita di tutti i giorni. La maggiore ispirazione arriva, ovviamente, dai miei due figli di 5 e 2 anni e mezzo. Basta osservarli per percepire le varie emozioni, poi le storie effettivamente sono venute da sole. Anche se, ora che ci penso bene, un “drago” e alcuni “gnometti del balcone” ce li abbiamo veramente! Il primo è stato, come nella storia, un regalo di compleanno, i secondi, arrivano ogni tanto nel nostro balcone e portano un regalino ai miei figli...tanto per non farglieli sempre noi! La cucina descritta in una delle storie, con il suo ripostiglio, è la cucina a casa di mia nonna. Io ero convinta che da lì arrivasse Babbo Natale e ricordo benissimo il misto tra paura ed eccitazione nel guardare quel ripostiglio. Alla fine è stato facile riportarlo sul libro. La storia dell' “Albero di gelso”, l'unica che non ho inventato, me la raccontava mamma quando ero piccola. Insomma, come dicevo, è un libro che parla di noi. Dove trova il tempo di scrivere facendo la mamma a tempo pieno? Per scrivere le mie storie non mi serve molto tempo effettivamente, perché appena ho l'ispirazione mi metto a scrivere e la storia esce tutta insieme, come un'ondata. Poi, la sera, quando i bimbi dormono si

aggiungono i punti e le virgole. L'idea delle ricette come le è venuta? E' stata una decisione molto facile e naturale. Un pomeriggio avevo invitato a casa nostra, mia cugina con i due figli, mio cugino, l'amica Sara Pacciani ed il fidanzato. L'idea era quella di prepararci da soli la merenda….biscotti! E' stata un'esperienza stupenda: c'erano formine ovunque e un impasto steso che prendeva quasi tutto il tavolo. Tra un'infornata e l'altra i bambini giocavano e poi mangiavano i LORO biscotti. Erano sazi, appagati e molto divertiti! In quel pomeriggio Sara Pacciani ha avuto la brillante idea di inserire alcune ricette tra le varie storie. Il risultato è stato tenero ed eccezionale. Le persone che lo hanno comprato ne sono rimaste molto colpite. Le ricette sono rivolte ad i bambini che dovranno farsi aiutare da mamma e papà per realizzarle. Bisogna trovare del tempo di qualità da passare con loro e, trascorrerlo preparando una golosa merenda e leggendo una storia, secondo me, sono i modi più sereni e semplici che la vita possa offrire. Le illustrazioni chi le ha fatte? Sara Pacciani; è una cara vecchissima amica. Ci vedevamo ogni anno al mare (vicino Roma) da quando eravamo piccole. Poi per 10 anni ci siamo perse di vista per poi, l'anno scorso, ritrovarci, proprio in quello stesso mare. E' una ragazza molto alla mano, solare, di animo gentile e con molta personalità. Dopo avere frequentato il liceo scientifico, si è iscritta all'Accademia delle Belle Arti che ovviamente ha migliorato la sua splendida attitudine artistica. Adora sperimentare e creare cose nuove con svariati materiali. Dal fare la carta al cimentarsi con la macchina da cucire. La sua immaginazione e creatività la rendono una ragazza davvero speciale, e secondo me, le illustrazioni per il libro, trasmettono molto di lei. L'idea di collaborare è venuta dopo qualche mese che scrivevo, durante una delle varie telefonate tra amiche. Il risultato è stato, a nostro parere, fantastico. Pensa che ai bambini possa piacere questo suo lavoro? Io credo che ai bambini questo libro piacerà veramente tanto. Principalmente, però, spero che piaccia ai genitori leggerglielo. Dipende tutto da loro. I passatempi di oggi purtroppo vedono i bambini alla prese con videogiochi e televisione. Mezzi di intrattenimento che potrebbero andare anche bene, una volta ogni tanto ed in piccole dosi. Si sente spesso parlare di “TV baby sitter” ed è un vero peccato. Il tempo trascorso insieme con i genitori a leggere, impastare o semplicemente inventando un gioco è la

cosa più preziosa del mondo. Il regalo più grande che si possa fare ai nostri bambini. Com'è il suo rapporto con la lettura? Le piace leggere? Mio padre penso mi darà una botta in testa! Quando ero ragazzina era fissato che dovevo leggere “Robinson Crusoe”, io invece leggevo “Lo squalo”! Insomma, più mi diceva di leggere più a me veniva la nausea, tipica reazione adolescenziale! Poi, così, di punto in bianco ho cominciato con “Il vecchio e il mare”, “10 piccoli indiani”, fino ad arrivare ad “Hannibal”, “Il codice Da Vinci”, “Harry Potter…” e veramente tanti altri. Non mi sono più fermata, ogni libro è un viaggio e mi prende fino alla fine. Devo anche ammettere che possiedo una grande immaginazione, quindi quando leggo è come se vedessi un film. Comunque mio padre da buon calabrese insisteva con “Robinson Crusoe”. Alla fine lo ha letto? No, sono un po' calabrese anch'io! Quando ha scoperto di avere la capacità di scrivere? In effetti non lo so. Devo dire che ho sempre scritto qualcosa su foglietti sparsi qua e là. Storie, filastrocche, poesie. Comunque le tenevo per me, mi sono sempre vergognata di farle leggere ad altri. Quando mi sono fidanzata con Marco (ora mio marito) ho iniziato a farle leggere a lui. Gli piacevano! E gli piacciono tuttora, è il mio più grande fan insieme ai miei figli! Come è legata a Pizzo Calabro? Papà, Francesco Donato, è nato a Pizzo. Alla marina c'è la casa di nonno Rocco e nonna Laura. Ogni estate da quando sono nata, un mese lo passavamo a Pizzo. Nel mio piccolo dico che ci sono cresciuta, e un po', estate dopo estate, è vero. Le nuotate, le calate sott'acqua fatte da papà, i pesci, i ricci, le prime cottarelle, i gelati, credere che in quella vecchia grande casa abbandonata che sovrasta la marina, si nascondesse Dracula, le misteriose scale che portano alla soffitta...Pizzo è una bomboniera di ricordi. Ricordi vissuti con tutta l'emozione del mondo. E quando torno giù, raramente purtroppo, mi sento avvolta da un'emozione, da un calore che nessun altro posto mi suscita… è come se una parte di me, la bambina che è in me, tornasse a casa. Cosa le suscita questo paese? Io cerco Pizzo in ogni luogo che visito. Non lo faccio volontariamente, mi viene naturale osservare i tetti, i vicoli, i panni stesi nei balconi con un filo e pensare che magari in qualcosa somigliano a Pizzo. Ogni paese di mare dovrebbe avere una marina ed un molo sui quali passeggiare, con pizzerie e gelaterie che appagano i

Esiste un mondo più vero del vero, dove si può raccontare la verità,senza che nessuno se ne accorga: è il mondo della fantasia, il regno delle favole dove i bambini sono re. Le favole sono archetipi, idee base della vita, dove draghi e mostri, fate e folletti abitano da sempre, sin dalle origini dell'uomo. Il mondo delle favole è il mondo dei nostri antenati, che, attraverso una coscienza dormiente, vivevano la vita come un sogno, dove luci ed ombre, gioie e dolori si alternavano come in un film fatto di paure e di rivelazioni, di forza e di debolezze, di guerrieri invincibili e di vili traditori. Millenni fa gli uomini credevano nelle favole, perché le vivevano con la loro anima. Oggi, dove la materia sovrasta le intuizioni, questo mondo è monopolio dei bambini, perché sono autentici e non inquinati. Ecco dunque che i simboli diventano cose e le immagini sostituiscono i concetti e le parole. Non più psicologia, per studiare la logica del percorso della fantasia ma psicosofia, dove si coglie il senso della vita del bambino, il senso dell'amore che una madre nutre per i suoi figli. Questa mamma è Elisabetta Donato, giovane madre che, attraverso la sua esperienza genitoriale e la sua vocazione di educatrice, si cimenta nell'arte della comunicazione per donarci un piccolo capolavoro di sincerità e di serenità Educare dal latino” educere” significa tirar fuori le potenzialità innate del bambino per condividerle con gli altri, in una vita fatta di giochi,amore e fantasia. Questa visione del mondo dovrebbe rimanere anche da adulti, perché il segreto dell'educare è l'arte di crescere uomini liberi. Non più restrizioni o vincoli ma creazioni, non più limiti da una società ottusa ed egoista ma aperture verso il nuovo, dove lo stupore e la meraviglia sostituiscono la noia di un apprendimento statico ed obsoleto. La scatola dei biscotti e… è un libro che somiglia al ripostiglio segreto del mago, dove ognuno può trovarci ciò che vuole,

giovanissimo e nonno affettuoso, gli ha fatto spendere ben quindici anni per realizzare un suo grande sogno, di cui è finalmente appagato, nonostante il disinteresse delle autorità cittadine che mai lo hanno gratificato con finanziamenti o altre sponsorizzazioni, essendo riuscito, cioè, a completare la sua opera somma consistente nella riproduzione su scala dell'intero centro storico di Pizzo, che appare, agli occhi degli scrupolosi osservatori, come la fedele miniaturizzazione dell'antico borgo marinaro, non per com'è oggi, ma per come lo era quindici anni fa, suscitando non poche nostalgie e ricordi nei pizzitani non avanti con gli anni.

A b b i a m o g i à evidenziato, in varie occasioni, la stranezza del fatto che un artista per godere la fama e la considerazione guadagnate debba prima morire, per affermare, poi, che è stato un grande artista: facciamo ovviamente i necessari scongiuri, ma vorremmo che questo non avvenisse per il Nostro, giacché egli merita ampiamente di essere valutato e stimato oggi per i suoi meriti. Pino Greco è un autodidatta, ma non per questo deve ritenersi uno sprovveduto, poiché, nel riprodurre gli angoli più suggestivi di Pizzo, ha operato “misurando”, “fotografando”, “comparando”. L'artista Greco ha già fatto diverse mostre personali, sempre ottenendo grande successo di pubblico ma oggi, chi è interessato, può ammirare il suo capolavoro all'interno del garage della sua abitazione di Contrada Mazzotta, non avendo ottenuto altra più decorosa sede espositiva.

Pino Greco: scultore di Pizzo di Orlando Accetta

Non è la prima volta che noi abbiamo scritto delle opere scultorie dell'artista Naïf pizzitano Pino Greco, non nel significato ristretto della parola francese che significherebbe “ingenuo”, piuttosto nel senso che alla base della sua ricca produzione, tutta impiantata nella riproduzione fedele dei monumenti, delle chiese e degli angoli più affascinanti della sua diletta Pizzo, non c'è una formazione dogmatica o specialistica e per ciò stesso si pone al di fuori di correnti artistiche formali e riconosciute: Astrattismo, Barocco, Cubismo, Dadaismo, Decadentismo, Divisionismo, Espressionismo, Futurismo, Gotico, Informale, Impressionismo, Liberty, Macchiaioli, Metafisica, Neoclassicismo, Pop Art, Realismo, Rinascimento, Rococò, Romanticismo, Surrealismo. In sostanza, Pino Greco ha seguito sempre, nella realizzazione delle sue creature, il proprio impulso naturale mai seguendo tendenze del momento o

insegnamenti, operando prima per se stesso e poi per gli altri, utilizzando molto la fantasia e l'estro con una forte sottolineatura delle strutture e della verità oggettiva, pur se attraverso un'esecuzione semplice ma oltremodo impegnativa. L'artista Pino Greco è un popolare nel più alto significato del termine, perché egli è un “popolano” che orgogliosamente proviene dal popolo e appartiene al popolo, cioè a quella classe sociale ricca di dignità e di rispettabilità che per andare avanti ha sudato e continua a sudare le proverbiali sette camicie, tra mille sacrifici e disagi sempre e comunque affrontati a viso aperto e con grande coraggio. Similmente a pochi altri, primo fra tutti il mai compianto abbastanza David Donato, anche egli è impregnato da una gravissima ed incurabile malattia, nota come “pizzitanite acuta”: l'amore per la sua città natale, dove ha trascorso e sta trascorrendo la sua vita, oggi non

nostri palati affamati e golosi. E con tutte quelle luci ad illuminare il mare e le notti estive. Restare sul molo a fissare il mare contro gli scogli sottostanti e stupirsi ogni volta che c'è una mareggiata o anche il mare un po' grosso; quelle onde che si scagliano contro gli scogli facendo quegli spruzzi altissimi: per me è una cosa meravigliosa, non smetterei mai di guardarli! Anche quando il mare è una tavola, restare appoggiata alla ringhiera con la testa in giù a guardare tra gli scogli per vedere qualche pesciolino…o magari nella speranza di scorgere qualche riccio. Ricordo che tanti anni fa, almeno 20, era pieno. Pizzo è il mio piccolo sogno anche se il mare, purtroppo, non è più come quando ero piccola; è una cosa che rattrista

me, figurarsi chi ci è nato, cresciuto e ancora ci vive. Bisognerebbe sensibilizzare la gente, controllare gli scarichi a mare e quelli delle navi…ma questa è un'altra storia. Si cara Elisabetta, questa purtroppo è un'altra storia. Anche noi che amiamo profondamente questa città, vorremmo che il nostro mare ritornasse ad essere quello che tu ricordi nella tua infanzia. Per noi sarà una meta di primaria importanza che ci sforzeremo di raggiungere con l'aiuto di tutta la collettività. Ci congediamo da quella bella famiglia augurando loro tutta la gioia e la felicità del mondo e con il sorriso dei bimbi che ci ha accompagnato lungo tutto il viaggio di ritorno a Roma.

G.B.C.

FAVOLE PER NUOVI BAMBINI (l'arte di crescere uomini liberi)

tutto quello che c'è dentro il cappello a cilindro del prestigiatore per vivere, durante la lettura, un viaggio nel mondo dell'isola che non c'è. Per un attimo i genitori ed i nonni, nel raccontare le favole ai piccini, diventano Peter Pan e volano insieme ai bimbi nel regno della fantasia. Gli scarabocchi si animano, i mostri aggiustano gli oggetti, il faro, il gelso e l'orso entrano con forza nell'anima dei bambini. La cameretta dei sogni ha un suo guardiano ma soprattutto quale sarà il segreto della scatola dei biscotti? Elisabetta ci ha regalato questi racconti, frutto della sua ispirazione e creatività. I suoi figli sono bambini della nuova era. Lei ha raccontato favole per tutti i bambini di questo tempo, perché lei, noi, tutti vogliamo un futuro migliore per le nuove generazioni, dove ci sia più amore e pace, libertà e giustizia e dove tutti possano avere il tempo ed il desiderio di dire ai piccoli “Io sono accanto a te e lo rimarrò sempre”. Che tutti siano uniti nell'Amore

Prof. Massimo Marinelli Psicoterapeuta

Identità Edizione di Pizzo

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9 - Identità

Ottobre 2011

Tradizione ARTIGIANATO DEL GELATO DI PIZZO

INTERVISTA A GIOVANNI MARRELLA di Angelo Battista Silvestri

A

ndare a conoscere la realtà del gelato artigianale pizzitano, ci si imbatte in diversi laboratori sorti negli ultimi lustri, tutti impegnati nella loro attività di produzione e distribuzione. I gelati di Pizzo hanno una vasta gamma di gusti e confezioni, tale che vien da lodare il positivo cammino intrapreso dai nostri artigiani, che con la loro professionalità hanno affermato sul mercato un prodotto divenuto in pochi anni tipico di Pizzo e che favoriscono oggi nuove frontiere economiche in altri settori del paese. Abbiamo incontrato il signor Giovanni Marrella, titolare del laboratorio omonimo di gelateria sito nella via Nazionale. A lui abbiamo rivolto alcune domande sulla sua attività ed abbiamo avuto riscontro del suo lavoro di gelatiere in un cortese colloquio tra di noi. 1) Quando e come è nato il laboratorio di gelateria? Nel 1999 abbiamo iniziato l'attività artigianale di gelateria a conduzione

familiare. Mio padre e noi figli ci siamo impegnati nella produzione di gelati di vari gusti per soddisfare le richieste che provenivano dai consumatori locali e del territorio. Avevamo esperienza pregressa nel campo della ristorazione (gelateria e pasticceria) acquisita nel lavoro sulle navi e l'abbiamo messa a frutto nella nuova attività di laboratorio, assicurando un alto standard qualitativo dei nostri prodotti. La nostra impresa di gelateria è stata una delle prime a Pizzo e sin dall'inizio commercializzava i prodotti nella zona circostante ed oltre. Qualche anno dopo io ho intrapreso un percorso autonomo ed ho realizzato un mio laboratorio di gelateria in via nazionale, dove oggi si producono gelati artigianali che vengono distribuiti con successo. 2) Nell'attuale sua attività, il personale impiegato appartiene alla famiglia o vi sono addetti esterni? Il nostro lavoro artigianale prevede l'impiego dei componenti della mia famiglia, ma nei periodi di maggiore richiesta di gelati vi è l'apporto di collaboratori esterni, regolarmente inseriti nell'ambito lavorativo. La produzione gelatiera avviene in un ambiente consono e confortevole per gli addetti e per la clientela, inoltre il laboratorio svolge la sua attività garantendo igiene nelle fasi di lavoro e qualità del prodotto finito. 3) Quali sono i gelati di vostra produzione e qual è la loro commercializzazione? Noi produciamo gelati artigianali tipo cassata, diversi gusti di creme, semifreddi, torta-gelato ed, in particolare, un vasto assortimento di circa 30 gusti di tartufo, come: tartufo classico (nocciola + cioccolato fondente ed altro); tartufo bianco; tartufo noir con cioccolato fondente; tartufo alla crema di mandorla; tartufo alla crema di pistacchio; tartufo alla crema di nocciola; ecc. I nostri prodotti sono

all'insegna dell'alta qualità e del prezzo competitivo e tutti i nostri clienti, singoli e grandi negozi commerciali, ce ne danno conferma con la fiducia che ci dimostrano da anni. La distribuzione avviene localmente al banco ed in misura maggiore tramite esportazione, secondo le richieste provenienti da un vasto territorio. I nostri mezzi frigoriferi trasportano i gelati in diverse regioni d'Italia, dove sono apprezzati e degustati in tutto il periodo dell'anno. 4) L'attuale dimensione commerciale della vostra impresa è un dato che appaga il lavoro che sino ad ora avete svolto o ritenete necessari sviluppi futuri? Direi proprio che gli sforzi che abbiamo profuso in tutti questi anni hanno dato buoni risultati in fatto di produzione e commercializzazione. I nostri gelati sono conosciuti su grande scala e ciò gratifica tutta la nostra impresa. Il domani è prevedibile che sia positivo e se dovesse nascere l'esigenza di un maggior impegno lavorativo non ci tireremmo indietro nell'adeguare sempre di più la nostra attività alle nuove domande. 5) Attualmente ci sono a Pizzo diversi laboratori artigianali di gelateria. Un coordinamento tra essi è utile per poter conseguire unitariamente facilitazioni nell'attività d'impresa, per esempio la pubblicità e la commercializzazione? Esiste già un consorzio dei produttori gelatieri di Pizzo, ma sino adesso non ci sono stati efficaci coodinamenti da cui trarre concrete utilità per tutti. Noi speriamo che in futuro si possa arrivare ad un'intesa migliore tra le diverse attività del settore presenti in città, in cui ognuno possa contribuire per la sua parte e con l'obiettivo di far crescere sempre più il consenso per il gelato di Pizzo, un nostro prodotto tipico che ci inorgoglisce. 6) Secondo lei i gelatieri di Pizzo

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quali aiuti auspicano dalle istituzioni alfine di poter affermare maggiormente i loro prodotti sul mercato? Sarebbe positivo favorire un reale coordinamento tra gelatieri e tra gelatieri e il paese. Ogni iniziativa a tale scopo potrebbe produrre benefici all'economia del gelato pizzitano e del suo indotto nella città. Il nostro settore, assieme ad altri presenti nel nostro paese, vive di consenso del pubblico, che si costruisce con la qualità del prodotto, ma anche con azioni concertate per attrarre l'attenzione del consumatore. Nel 1999 vi è stata un'iniziativa della Rai sul gelato pizzitano, nella quale i nostri gelatieri hanno potuto

dimostrare efficacemente la loro professionalità. In tale occasione è stata data l'opportunità di rilanciare i nostri prodotti ad un grande pubblico nazionale ed il gelato di Pizzo ha avuto una eco diffusa, con conseguenti riscontri commerciali di rilievo. Il merito per la trasmissione televisiva va dato all'ideatore e conduttore TV giornalista Pino Nano. Ecco, nel nostro paese dovrebbero esistere progetti di questa portata, favoriti dal governo locale e non locale: si avrebbe un ritorno pubblicitario e turistico proficuo, conveniente per l'economia del settore del gelato e per tutta la città di Pizzo. Auguriamo buon lavoro. Grazie.

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E adesso, giriamo pagina

Pizzo, il ruolo di un giornale in una società in fermento

di Giovambattista De Iorgi interesse, al futuro della Città, dobbiamo abbandonare l'abusato uso di sostenere la candidatura di munifici convitanti o di amici, clienti e parenti, a prescindere dall'attitudine e dalla competenza specifica. Questo andazzo, che in qualche caso può aver appagato soddisfazioni individuali, rischia di incancrenire gli annosi problemi della Città, responsabili del degrado che è sotto gli occhi di tutti e che si ritorce a danno dell'intera collettività. I parenti, gli amici ed i conoscenti teniamoceli nel cuore, ma lasciamoli nelle loro case, se non sono adatti al ruolo; ciò non toglie che chi non è adeguato al ruolo di amministratore pubblico possa avere, invece, tante altre qualità e requisiti che possono essere impiegati meglio in altre occupazioni. È ora di fare scelte oculate! Alle prossime elezioni amministrative bisognerà puntare su chi dispone delle giuste risorse per guidare l'amministrazione comunale: maturità, esperienza specifica, capacità di ascolto e

di riflessione, prontezza di spirito, energia frizzante, intelligenza e buona educazione, che non guasta mai, …anzi! E se poi il candidato ha dalla sua anche la gioventù …tanto meglio! Basta ricordare, a tale proposito, come vengano apprezzate all'estero le nuove generazioni, in particolare nei Paesi anglosassoni (USA e Gran Bretagna, in primis), che sono governati da giovanissini Presidenti con ampi poteri, scelti sicuramente per le loro capacità politiche, ma anche per la loro età anagrafica, garanzia di freschezza intellettuale e dinamicità. Ebbene, se le sorti di Paesi di milioni di abitanti sono guidati da Presidenti appena quarantenni, non vedo perché bisognerebbe essere prevenuti nei confronti di qualche giovane alla guida di questa Città. D'altra parte anche in Italia, dove di solito si prediligono politici di lungo corso, veterani della politica, spesso voltagabbana o abituali opportunisti, si contano numerosissimi casi di

amministratori capaci, assai giovani. Tra questi, mi piace ricordare il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi che, all'età di 29 anni, è stato Presidente della Provincia di Firenze e, a 34 anni, sindaco di quella Città, o Raffaele Fitto, attuale ministro per i Rapporti con le Regioni, che, ancora giovanissimo, vanta un curriculum di tutto rispetto, oppure lo stesso Giuseppe Scopelliti, attuale Presidente della Giunta Regionale della Calabria, con pedigree politico degno di riguardo, ecc, ecc. Mi auguro che alla prossima tornata elettorale ciascuno di noi abbia un sussulto di coscienza civica e guardi al candidato sindaco che più efficacemente può rappresentare le esigenze di questa collettività, bandendo ogni nepotismo, ogni spirito di parte e di partito, ogni sudditanza psicologica ed ogni clientelismo che, a volte, trascende fino ad un indecoroso servilismo. Il nostro futuro e quello dei nostri figli, dipende solo da noi!

di Mario Catizone cittadini napitini, stanchi dei disastri passati e che aspirano a non vedere più le stesse facce, quelle che hanno firmato il crollo delle loro attese e speranze. Identità ha sempre cercato di rivolgersi ai giovani per stimolarne la partecipazione politico-culturale. Alcuni segnali di interesse da parte loro ci confortano. Dal tuo osservatorio, credi che ci possa essere effettivamente una svolta generazionale alla prossima competizione elettorale amministrativa o pensi che la mentalità “clientelare e lobbistica” sia ancora fortemente radicata e continuerà a determinare i risultati? E' evidente che non esiste alcun sistema capace di debellare con un sol colpo di spugna ciò che è appartenuto al passato, ripeto anche più recente, anche se sta diventando forte a Pizzo la voglia di affidare Palazzo San Giorgio ai giovani, ai nuovi talenti, a chi possiede i numeri per guidare in modo manageriale

l'amministrazione di un Comune che continua a perdere terreno nella scommessa più giocabile: il turismo. Questo vuol dire che Pizzo ha bisogno di rigenerarsi invitando al congedo chi ha fallito la prova, chi non ha saputo interpretare una possibile riabilitazione. Ma tutto questo non può prescindere dall'utilizzo dell'iniziativa di chi ha la possibilità, forte di condizioni di gestioni governative di peso, di offrire proprie collaudate e attuali esperienze, anche non d ir ettamen te. C o s ì co me ap p ar e ingiustificabile non dare credito a chi, giovane ed intraprendente, fuori da interessi di parte o bisogni, mette a disposizione della sua città un bagaglio amministrativo che lo ha portato a considerare possibile un suo diretto impegno alla guida di Palazzo San Giorgio. In questa direzione l'impegno di “Identità” rappresenta una garanzia per chi non ha dubbi che l'avvenire di Pizzo è legato alla disponibilità di giovani che hanno già aderito ad un progetto politico di forte amore per la città ed i cittadini.


10 - Identità

Ottobre 2011

GUARDIAMO AL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO

C'ERA UNA VOLTA …PIZZO “Relazione sulle condizioni sanitarie igieniche e climatiche della Città di Pizzo (Calabria), sulle sue particolari caratteristiche, stabilimenti di cura, alberghi e luoghi di svago, redatta dall'Ufficiale Sanitario, dr. Pasquale Vacatello, il 12 novembre 1926”

(seconda puntata)

Riprendiamo l'esame della Relazione dell'Ufficiale Sanitario di Pizzo di cui abbiamo pubblicato su Identità di giugnoluglio la prima parte. ***

Un

altro aspetto interessante della Relazione è l'analisi dei generi alimentari cui viene dedicato un sintetico capitolo. “Farine buone, paste asciutte e fresche”: la qualità era dovuta al fatto che a Pizzo, centro commerciale che riforniva gran parte del Monteleonese e di Nicastro, vi era un continuo movimento di treni in arrivo e partenza e le derrate non avevano tempo di invecchiare e di subire alterazioni. Il movimento delle derrate alimentari veniva annotato sui registri tenuti presso l'Ufficio Annonario dall'Ufficiale Sanitario che mensilmente inviava alla Prefettura, per il tramite del Medico provinciale, il “bollettino sanitario speciale municipale”. Normalmente la qualità degli alimenti era buona anche se non mancavano contravvenzioni ai negozianti grossisti o rivenditori. La popolazione consumava prevalentemente farinacei, legumi e verdure, ma anche carni suine e ovine e, quando possibile, la carne bovina “che fornisce l'elemento riparatore per eccellenza delle più importanti perdite cui il nostro corpo va giornalmente soggetto”. Era pressoché assente la cacciagione mentre il pesce si consumava freschissimo. Un accenno anche alla qualità del vino, che era ottimo, in quanto “l'adulterazione” non si praticava. Come oggi erano abbondanti gli agrumi, ricercatissimi in Italia e all'estero. La Relazione continua con la descrizione di tutte le Chiese di Pizzo, elencandone con accurata precisione le opere d'arte e riferendo puntualmente su alcuni tratti storici, con una precisione da fare invidia alle più dettagliate guide turistiche dei nostri giorni. Poi passa ad analizzare i monumenti moderni quali la statua in onore di Umberto I, “ammirata dall'illustre scultore calabrese Jeraci”, e l'“apprezzato” monumento ai Gloriosi Caduti. Secondo l'Ufficiale Sanitario l'illuminazione pubblica, a quell'epoca elettrica, rispondeva pienamente allo scopo ed erano “indiscussi i benefici che per tale fatto deriva(va)no alla popolazione”. Questa osservazione non ci sorprende perchè l'illuminazione è stata sempre adeguata nella città di Pizzo, crediamo in ragione dell'attrazione del suo clima, che ha sempre richiamato turisti e popolazioni del circondario ad intrattenersi nella sua bellissima piazza, facendo del nostro paese un unicum della provincia. Il fatto che si potesse, e si possa ancora, tranquillamente indugiare a gustarsi un gelato e la brezza marina fino a tarda ora ha fatto sì che tutte le amministrazioni comunali abbiamo cercato di mantenere e valorizzare l'illuminazione pubblica, partendo dal centro storico per arrivare ai quartieri residenziali che nel tempo sono cresciuti

sulla linea verticale della città o verso l'Angitola, sulla scia di quanto è rappresentato già nella relazione del 1926. “Avevamo un ospedale che era un vero e proprio sanatorio sulla rocca del Carmine, a picco sul mare che però fu distrutto dal terremoto del 1908. Attualmente esiste un ricovero provvisorio in legno, sulla via Nazionale proprio nel pressi della stazione delle Calabro-Lucane, ricovero che per un cumulo di circostanze speciali non può essere all'altezza del compito umanitario e scientifico odierno”. Il dott. Vacatello riferisce che questo era gestito dalle Suore di Carità, che successivamente lasciarono Pizzo decretando la definitiva scomparsa di ogni qualificato intervento di assistenza e cura. Egli afferma altresì che l'amministrazione dell'Istituto si era attivata per la costruzione di un nuovo ospedale affrontando anche l a p a r t e burocratica… ma sappiamo tutti come è andata a f i n i r e . L'osservazione che raccogliamo dalla Relazione ci fa pensare che sotto questo aspetto le cose non siano molto mutate nel tempo. L'accenno all'asilo infantile, sito in un palazzo di proprietà privata, curato dalle Suore di Carità “con rara maestria e intelletto d'amore”, introduce il capitolo delle scuole situate in luoghi non adatti e antigenici. Gli sforzi fatti per dotare la città di un edificio scolastico sono

risultati vani fino all'intervento del'ex Ministro della Pubblica Istruzione on. Anile cui si deve la realizzazione del Padiglione. Già allora si sentiva la “assoluta necessità del Teatro”; evidentemente fervevano rappresentazioni di artisti che si adattavano ad improvvisare spettacoli in locali di legno. Fu aperta una sottoscrizione pubblica per raccogliere fondi per la costruzione del Teatro e, nel contempo, il cav. Uff. Francesco Chiaravalloti si offrì all'Ufficiale Sanitario per realizzarlo a proprie spese se solo il Comune gli avesse messo a disposizione il suolo edificatorio. Non abbiamo elementi diretti per capire come sia finita, ma il fatto che esistano strade al Carmine denominate 'vico Teatro' ci fa pensare che l'opera sia stata realizzata. Dopo gli anni bui delle grandi battaglie della compagnia teatrale Pizzitana, condotte dal compianto amico Bruno Sarlo, ed i precari accomodamenti che le varie amministrazioni hanno tentato di porre in essere, senza esprimere mai una vera convinzione sulla utilità sociale dell'attività teatrale in una città, vorremmo che oggi se ne ricominciasse a parlare come di una esigenza da soddisfare nel prossimo futuro, visto l'impegno di tanti cittadini in questo ambito artistico-culturale ed i successi decretati dal seguito di pubblico e dal giudizio della critica per i gruppi artistici che sono sorti nella nostra città. La Relazione fa cenno al fatto che

l'industria alberghiera sia stata sempre trascurata e tanto “il grande albergo in Piazza Umberto I, come quelli di ordine secondario non sono mai assolutamente mai stati in condizioni veramente igieniche, come hanno sempre mal funzionato i ristoranti”, auspicando che la rimessa a nuovo dell'albergo in Piazza, “affidato a persone che promettono bene sotto qualsiasi rapporto”, portasse ai forestieri comfort moderni.

Sulla pesca del tonno un breve accenno, per definirla “attiva e vitale”, mentre viene esaltato l'allestimento dello stabilimento balneare durante i mesi estivi alla Marina, dove “la ressa di bagnanti è straordinaria anco di sera, signore e signorine si danno convegno sulla piattaforma dello stabilimento per dimorare sino ad ora tarda”. Anche qui, ci sembra, che l'abitudine continui… Quello che invece differisce è la possibilità di passeggiare. “La città ha magnifiche passeggiate che si svolgono su strade sia in prossimità del mare, sia tra le verdeggianti campagne”: oggi ci sembra difficile poterlo fare, non solo per le auto, che sicuramente fanno la differenza rispetto a quei tempi, ma anche per l'abusivismo diffuso che ha interrotto o ristretto molti spazi oltre alla mancanza di marciapiedi. L'Ufficiale Sanitario riferisce che esisteva un “Circolo di ricreazione” e che nella stagione estiva la banda municipale eseguiva, di sera, scelta musica. Né mancavano festività civili e religiose, richiamavano in Pizzo “la gente dai più lontani paesi della nostra provincia”. Un riferimento particolare alle “buone sale da caffè”, qualcuna delle quali “elegantissima”. Per quanto riguarda il Castello Murat, leggiamo che a quell'epoca era in uno stato di abbandono e degrado sia per l'incuria del Governo che per quella del Comune, pur tuttavia visitato da numerosi turisti italiani e stranieri. Sulla spiaggia alla Marina, in prossimità dei depositi di legname e dello stabilimento Callipo per la lavorazione del tonno, esisteva la piccola ma elegante “stazione governativa di disinfezione, tenuta in consegna alla locale Reale Capitaneria di porto del Compartimento Marittimo di Pizzo e il Pubblico Ufficiale ne descrive la consistenza ed il funzionamento. Era munita di due porte, da una, che si apriva dal lato Stazione, si introducevano gli oggetti infetti, e dall'altra ne uscivano disinfettati: “nell'interno del cilindro che costituisce questa camera sta un carrello, il quale mediante rotaie può essere estratto e tirato tanto nella rampa degli oggetti

infetti per caricarlo, quanto nella rampa degli oggetti disinfettati per scaricarlo”. Un capitolo della Relazione è intitolato “L'avvenire di Pizzo”: vediamo insieme quali prospettive si delineavano per il nostro Paese a quei tempi. “Pizzo è città destinata ad un grande avvenire, ma occorre buona volontà e fattività suprema, perché quando si vuole perseverare in una nobile lotta, bisogna mettere in pratica mezzi efficaci che spesso appariscono odiosi, ma alla fine si trionfa di tutti gli ostacoli! Pizzo con la sua invidiabile posizione topografica, con un incantevole panorama (uno dei più belli panorami d'Italia e con tramonti meravigliosi da paragonare a quelli che si osservano sul Bosforo) ed un orizzonte sterminato; essa alle cui spalle sorgono a modo di anfiteatro stupendo e fantastico agrumeti rigogliosissimi e tante svariate piante che presentano un giuoco mirabile di linea in prospettiva e di prateria verdeggianti che al tiepido raggio del sole svolgono per l'aria in sottilissime vaporazioni mille fragranze. Pizzo presenta condizioni favorevolissime per essere come difatti è una vera e propria stazione di cura, non solo, ma coi necessari ripari e con opere provvide potrà divenire un paese modello dal lato della pubblica igiene anche perché la quantità di ossigeno di quest'aria balsamica dotata di luce piuttosto abbondante non può far vivere il germe morbigeno e le malattie epidemiche difficilmente possono aver presa. Tutte queste cose non rappresentano una strana reclame a pro' della mia terra natale, ma sono il risultato veritiero di lunghe e ponderate riflessioni. Parecchie malattie comuni, per es. non dalla igiene pubblica hanno origine, ma dalla trascuranza dell'igiene privata: ecco perché ogni uomo è necessario si convinca che la conservazione della propria salute è un dovere per lui, e che i vizi e le cattive abitudini procurano angoscia e rimorsi! All’amministrazione civica quindi la cura precipua del benessere generale - ai cittadini l'obbligo che nella propria famiglia la salute non deperisca all'amministrazione che l'aria atmosferica non sia viziata da mefitiche esalazioni, che l'acqua abbia le migliori qualità, che gli alimenti siano eccellenti all'amministrazione le prescrizioni per la tutela della pubblica salute, a questi ultimi lo stretto dovere di osservarla”. Il messaggio è chiaro, non c'è bisogno di analisi. Ognuno deve fare la sua parte se si vuole il bene comune, ma questo concetto è difficile da applicare in ogni tempo, perché il diritto del singolo viene esercitato con prepotenza e strafottenza e dalla parte pubblica non ci sono né impegno, né vigilanza e né sanzioni.

A cura di G.B.C. (il seguito e la conclusione alla prossima puntata)


11- Identità

Ottobre 2011

Visto da Genova La Festa degli Anziani e tutte le iniziative dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia

Il campo sportivo Vincenzo Tucci ha bisogno di urgenti lavori di restauro

Anche quest'anno l'Associazione Nazionale Marinai d'Italia “Gruppo Filippo Posca” ha organizzato la Festa degli Anziani. A questa manifestazione, che è arrivata alla 15a edizione, hanno aderito anche il Museo del Mare, il Comune e imprenditori locali. La piazza di Pizzo allietata da momenti di dolce poesia, musica e canti ha richiamato un folto pubblico. Un momento di aggregazione che ha dato voce alla categoria degli anziani che la classe politica spesso non prende nella dovuta considerazione. Un momento distensivo che bisogna incentivare perché promuove l'invecchiamento attivo e dà speranze alla vita degli anziani. Ma, oltre a questa festa, sono tante altre le iniziative di richiamo culturale e sportivo legate alla vita del mare che l'Associazione Nazionale Marinai d'Italia promuove per la crescita economica di Pizzo. Non bisogna poi dimenticare l'impegno profuso nel passato da questa associazione per quell'angolo di verde e di sano relax della Villa Comunale; anche nel sociale collabora col volontariato ed è sempre pronta a dimostrare amore e solidarietà. Un'associazione che dev'essere sostenuta perché tiene vivo il rapporto con quel mare che ha assistito alle vicende storiche e marinare pizzitane. Un elogio a tutto il “Gruppo” e, in particolare, al suo Presidente Luigi Feroleto sempre presente in ogni evento della vita cittadina.

A Pizzo, durante la premiazione del 38o Torneo Calcistico delle Contrade, ho notato che i giovani amano stare insieme e, con le loro fresche energie, rendersi utili in ogni evento cittadino. Un luogo di aggregazione giovanile di grande utilità è lo stadio “Vincenzo Tucci”. Inaugurato nell'anno 1957, nella partita di esordio con la Paolana, deve tornare agli antichi splendori; ha visto entusiasmanti sfide tra squadre di grandi campioni, ma ora versa in condizioni di deplorevole abbandono. Privo di un manto erboso, il terreno, ad ogni accenno di pioggia, è soggetto ad allagamenti che condizionano la sua agibilità. Le gradinate non sono accessibili e, quindi, interdette al pubblico che, nonostante le difficoltà, accorre numeroso. Pizzo ha bisogno di un campo sportivo che invogli i giovani a seguire le orme di tanti campioni del passato calcistico napitino. Attualmente, grazie all'encomiabile impegno di volenterosi, si disputano incontri della categoria dilettanti. Tra questi volenterosi merita un elogio particolare per la sua indomabile passione calcistica Matteo Betrò, grande organizzatore dell'indimenticabile Coppa Olimpia e, attualmente, del Torneo delle Contrade. Rivolgo il mio appello alle autorità pizzitane affinché provvedano alle opportune opere di ristrutturazione, per garantire ai giovani momenti di sano agonismo e socialità.

A cura di Giuseppe Raffaele Gli spot pubblicitari non possono risolvere i problemi calabresi La pubblicità a scopo propagandistico non basta a risolvere i problemi che stanno a cuore agli abitanti di una regione che nutre grandi aspirazioni turistiche. La Calabria non ha bisogno di spot pubblicitari a stagione inoltrata ma di scelte pratiche e determinanti da attuare nel corso dell'anno. Ha bisogno di proteggere il suo mare, quest'anno particolarmente inquinato, con servizi di pulizia agli sbocchi di torrenti e fiumi, con la sorveglianza degli scarichi fognari civili e industriali e con un corretto funzionamento dei depuratori. Ha bisogno di collegamenti con i suoi aeroporti, non soltanto nei giorni festivi come quello attuato quest'anno con la Costa degli Dei. Deve porre fine agli interminabili lavori della sua unica arteria, la A3, che fa registrare un traffico molto intenso. Ha bisogno di progetti di riqualificazione ambientale e di trovare una soluzione per l'emergenza rifiuti prima che la situazione igienica degeneri. Non deve pensare al rientro del debito sanitario togliendo prestazioni di guardia medica turistica durante l'estate. Deve promuovere eventi di grande richiamo come ha fatto recentemente la città di Reggio Calabria con l'elezione di

Miss Italia nel mondo e con il raduno dell'Associazione Nazionale Carabinieri. Reggio, oltre alle sue bellezze, ha fatto conoscere al mondo i Bronzi di Riace, simboli di indiscussa arte della Magna Grecia. Anche le altre province calabresi dovrebbero emulare la città dello Stretto per dare nuove speranze ad una terra che ha sempre conosciuto sacrifici e amarezze. I politici calabresi non devono adagiarsi sulle bellezze paesaggistiche e sulla creatività degli abitanti della nostra terra ma devono offrire ai turisti i servizi necessari per soggiornarvi. Servizi che creano “lavoro vero” e possono eliminare attività abusive che minacciano soprattutto artigiani e piccole imprese. Non dimentichiamo che, nella classifica stilata nell'anno 2010 da Confartigianato, è stato attribuito alla Calabria il primato del lavoro sommerso, seguita da Sicilia, Puglia, Campania e Molise. Queste considerazioni sulla mia terra spero possano essere di stimolo per la realizzazione degli interventi correttivi necessari per dare alla Calabria le soddisfazioni che merita.

L'odontoiatria ha prezzi inaccessibili La manovra economica del Governo non ha preso in considerazione la crescente disoccupazione, l'inadeguatezza delle pensioni e il continuo aumento dei ticket sanitari. A proposito di sanità, l'odontoiatria in Italia garantisce sicurezza e qualità ma a prezzi inaccessibili. Nel nostro paese solo il 12,5% dei cittadini riceve cure odontoiatriche tramite il servizio sanitario pubblico o strutture convenzionate, mentre l'86% paga tutto di tasca propria. Oggi un italiano su dieci non è mai andato dal dentista, soprattutto al Sud dove il servizio pubblico può contare su poche strutture che registrano lunghe liste di attesa. Eppure la spesa pubblica in odontoiatria ammonta a 10 miliardi, pari all'1,5% della spesa sanitaria nazionale. Questa spiacevole situazione ha spinto molti italiani verso quelle mete dell'est europeo in cui si pagano prezzi irrisori rispetto alle cifre esorbitanti richieste dagli studi privati non convenzionati del nostro paese. Questi viaggi verso Romania, Bulgaria e Ungheria sono diminuiti a causa dei risultati deludenti, in contrasto con le sempre più evolute tecniche italiane che danno risultati sicuri ed efficaci. Al Ministero della Salute il compito di aumentare il numero delle cliniche odontoiatriche e di rendere più accessibili i prezzi per tutti coloro che hanno bisogno di cure ai denti e di regalarci un sorriso.

La Posta UNA FINESTRA SUL MIO PAESE

Appello agli Amministratori calabresi

UNA GIORNATA PARTICOLARE Parlare

male della Calabria, per chi come me torna da 30 anni ogni estate e non solo, è come sparare sulla Croce Rossa, è come accoltellare un uomo già morto. Sì, il paragone è forte, ma non riesco a trovarne un altro per dare l'idea più reale della situazione che vi si trova. E' vero che, in genere, chi viene in Calabria è già preparato; è vaccinato a trovare spiagge sporche (spudoratamente definite pulite), servizi nulli, buste di spazzatura e bottiglie e barattoli e cani e gatti morti lasciati, per giorni, in mezzo alla strada, con la temperatura estiva che favorisce il diffondersi di olezzi nauseabondi, traffico impazzito per gente che lascia la propria auto dovunque, fregandosene se ostacola la circolazione e senza che ci sia un vigile o altra autorità che possa rilevare e sanzionare palesi irregolarità, ecc. ecc. Ma, il 16 agosto, trovarsi in una bella spiaggia della costa tirrenica calabrese e dover letteralmente fuggire perché, improvvisamente, da un canale di scolo di acque bianche, si è riversato, per circa un'ora, liquame fognario di ignota provenienza, francamente, nei miei quasi sessanta anni di esistenza, non mi era mai capitato. Il liquido, in poco tempo, ha inquinato tutto il mare prospiciente la spiaggia che, dal caratteristico azzurro cristallino, è diventato marrone, mentre intere famiglie correvano alle loro auto per difendere i bambini dall'aria irrespirabile che si era contemporaneamente diffusa sull'intero sito. Ho sentito con le mie orecchie una bambina dire alla mamma, che la stava allontanando, che si stava sentendo male. Questa è la cronaca di una giornata diciamo “particolare” per chi, suo malgrado, ha dovuto subire l'evento descritto; ma la cosa, a mio avviso, più grave è che, pur avendo visto intervenire la Guardia Costiera, evidentemente chiamata da qualche solerte bagnante, non mi risulta che sia stato preso, almeno nell'immediato, alcun provvedimento per la tutela della salute pubblica; tanto è vero che, il giorno dopo, altri bagnanti, ignari di

quanto accaduto, si sono recati in quella medesima spiaggia per fare il bagno con i loro bambini in quelle stesse acque che, solo poche ore prima, erano letteralmente una fogna (mi auguro per loro che non ci siano state conseguenze per la salute). Ma è possibile che nel 2011 si debba parlare di situazioni del genere in una regione, la Calabria, che, a sentire strombazzare i vari amministratori a livello locale, regionale e nazionale, dovrebbe fare del turismo il volano della propria economia e del proprio sviluppo? Noi, indigeni di ritorno, che ancora, come kamikaze, popoliamo il territorio, sentendo forte il sentimento di appartenenza ai luoghi dell'infanzia ed a quella cultura, quando parliamo della Calabria siamo costretti, in qualche caso, a riconoscere che, purtroppo, molte sono ancora le carenze in termini di accoglienza turistica; però, non accettiamo compromessi di sorta quando si parla delle bellezze naturali e della limpidezza delle acque del nostro mare. Quest'anno si è riusciti nell'impresa, anche difficile, di compromettere l'unica certezza di cui potevamo andare fieri. Complimenti! Dico questo perché, leggendo i quotidiani locali, il fenomeno dell'inquinamento è stato, per vari motivi, presente sull'intera costa calabrese, per buona parte del periodo estivo. Suggerirei ai vari amministratori di visitare altre località turistiche del territorio nazionale ed, in particolare, la costa adriatica, per toccare con mano quello che significa cultura del turismo. Quelle località migliorano ogni anno la loro offerta turistica, ampliando le già esistenti piste ciclabili o le aree attrezzate per attività sportive; i vari stabilimenti balneari si sono trasformati in veri e propri resort per intercettare le esigenze di ogni età. Di pulizia, di decoro ambientale, di sicurezza in mare (presenza di bagnini), di posti barca non se ne parla più; tutto questo è dato per scontato, è già stato fatto, si pensa solo a come migliorarlo. A Pizzo, ancora, si discute sulla realizzazione del

lungomare, sic! A Pizzo e località limitrofe, la spazzatura è rimasta per strada, non raccolta dal 13 al 22 agosto. Per decine di metri, i sacchetti della spazzatura e altri rifiuti di ogni genere sono rimasti per strada, rinnovando, agli occhi del turista, il non invidiabile spettacolo visto in tv per le zone di Napoli e della Campania. Mi chiedo: si può arrivare al mese di Agosto per scoprire che le discariche non sono sufficientemente capienti per ricevere la spazzatura dei comuni di competenza? Ma a cosa pensano i vari amministratori nei mesi precedenti? Sperano in qualche miracolo di San Francesco, patrono della Calabria? Convinciamoci che è una battaglia persa; il divario è oramai incolmabile, anche perchè competere in termini di offerta turistica non sembra prerogativa propria dei calabresi; manca la cultura specifica, mancano i “fondamentali “. Una cosa, però, a mio avviso, si può fare: lasciare stare i grandi progetti. Infatti, quelli che amano e scelgono la Calabria come meta turistica sanno bene che non troveranno tutto ciò che in altre regioni è già stato da tempo realizzato; pur tuttavia, sono disposti a venire o ritornare ostinatamente in questa nostra terra a condizione che venga garantita una cosa fondamentale: la pulizia; semplicemente il pulito! Al Presiedente Scopelliti, agli amministratori vari dico: per favore, concentratevi a fermare questo degrado ambientale. Questo si può fare! Se il prossimo anno, quando torneremo in Calabria (e noi certamente torneremo), non troveremo grandi cambiamenti ma troveremo un territorio libero da sporcizia e da fogne che finiscono in mare, vi diremo un grazie di cuore. Chiediamo tanto? Forse sì è tanto, ma con buona volontà e realismo si può fare e si deve fare, soprattutto per chi in Calabria ci vive tutto l'anno.

Francocalabrese

Ho terminato di leggere “Identita” del mese di settembre, seduto sul terrazzo della mia casa di Roma e sento la necessità di scrivere alcune parole di apprezzamento per il “nosrtro” giornale in qualità di cittadino nato a Pizzo e che ha trascorso la propria infanzia giocando con i compagni in Piazza della Repubblica con la palla di carta, con i tappi della birra e con i castelli di noccioline, pur adeguandomi, con interesse, all’era tecnologica con il motto “Rinnovarsi per crescere” riportato nel sito del Ministero Affari Esteri, dove attualmente presto servizio. Voglio esprimere pubblicamente le mie congratulazioni per le notizie riportate sul giornale, che mi aiutano a capire da lontano come il mio Paese venga amministrato nella quotidianità. La prima impressione di eccellenza va data al Commissario Straordinario del Comune di Pizzo dott. Bruno Strati che, sulla prima pagina del giornale, risponde alle domande dell’amico Giovambattista De Iorgi e descrive con trasparenza e professionalità la situazione politico-amministrativa della città di Pizzo, quella che ogni cittadino o persona interessata al bene del proprio Paese vorrebbe conoscere, al di fuori delle controversie di natura paesana e di beghe politiche tra partiti. Leggo una serie di interventi in opere da completare che se realizzati nel giusto modo, con serietà professionale e trasparenza, potrebbero determinare un interessante inizio di svolta per Pizzo. Vi è la necessità di predisporre un Piano Strutturale Comunale che per legge deve essere redatto presto per il bene del paese e per il suo sviluppo economico futuro. Leggo anche che esistono attività in itinere che mi auguro siano completate per non perdere preziosi finanziamento in atto. Personalmente sono convinto che questa pausa politica sia importante e mi auguro che

si cominci a preparare la classe dirigente che presto sarà chiamata alle elezioni comunali per eleggere il Sindaco, e spero con mentalità moderna, rigore morale e fuori dalla lotta politica improduttiva; una nuova classe dirigente che sappia esternare ai propri cittadini un Programma Operativo per colmare i disservizi esistenti da tempo e da loro ben conosciuti. Per correttezza di informazione, devo osservare che questa estate la stagione turistica ha avuto solo nel mese di agosto un contesto positivo (anche perché il mare non era proprio al suo meglio quest’anno) e noi, che siamo stati turisti a Pizzo, abbiamo cercato con difficoltà di evitare l’onda putrida che si avvistava per concederci qualche bagno in qualche zona del paese. Penso che si dovrà cominciare da subito a lavorare per creare sinergia con la Regione e la Provincia per creare quei famosi depuratori che rendano pulito e trasparente il mare della nostra Calabria che di turismo ha tanto bisogno. Nello sfogliare Identità, mi sono anche soffermato sull’intervista che l’amico Mario Catizone ha fatto a Giuseppe Cultrera, che non conosco personalmente, dove si possono cogliere importanti riflessioni che meritano la nostra attenzione e che possono servire ai lettori per effettuare un esame storico della politica e della amministrazione del comune di Pizzo. Tali riflessioni saranno utili al futuro Sindaco per operare correttamente secondo i canoni della buona amministrazione, intesa come servizio sociale e come promozione della qualità della vita che in questi tempi di risorse limitate e di ristrettezze di bilancio per gli Enti locali possono avere delle ricadute sugli utenti cittadini. Ringrazio il Direttore e tutta la redazione del giornale Identità, che leggo con interesse.

dott. Francesco Scordamaglia Funzionario Ragioneria Generale dello Stato presso il Ministero degli Affari Esteri

LE NOSTRE CONDOGLIANZE Di recente sono venuti a mancare alcuni amici di Pizzo cui Identità vuole rendere omaggio. Il primo è del dott. Domenico Bruni, Presidente di Corte d'Appello, un amico di Identità che ci è stato vicino per diversi anni, in quanto era solito tracorrere le vacanze nella sua casa della Marina e confrontarsi con noi in merito ai problemi della città. Gli altri sono: l'avv. Domenico Marino, di cui ci piace ricordare le battaglie politiche da lui affrontate a Pizzo a cominciare dagli anni settanta; Orlando Tripodi, persona affabile ed interessata al bene del paese; Francesco Stumpo, cognato del nostro collaboratore Franco Cortese e suocero di Ivano Tuselli. Persone, tutte, che stimavamo e ricorderemo. Alle loro famiglie il cordoglio della Direzione e dei collaboratori di Identità.


12 - Identità

Ottobre 2011

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d n a m e d n o a i r o t i d e S. D. Coedizioni Editoriali: - È un servizio nel mondo editoriale con l'obbiettivo di promuovere talenti poetici, saggisti, narratori, romanzieri, autori e libri di scrittori conosciuti o esordienti. - La selezione degli autori, dei testi, delle poesie o dei libri, avviene in base ad un severo criterio di custode satisfaction, che analizza il prodotto letterario nel suo complesso. - "S.D. Collezioni editoriali" è un nome di qualità che permette di prendere in considerazione non solo il contenuto dell'opera, ma anche l'impaginazione, la copertina, la rilegatura. - Un libro curato nei dettagli è un libro che durerà nel tempo. - Un efficiente meccanismo di promozione del libro permette al lettore di sapere che il libro esiste. - Per i nostri autori sono organizzati eventi di presentazione e manifestazioni sul territorio. - Per la promozione dei libri stampati c'è un fitto scambio di collegamenti ipertestuali (Link) e di recensioni con diverse testate e vari siti che richiedono recensioni poetiche. - La nostra passione per la divulgazione della cultura si svolge prevalentemente su internet e collaborando con varie associazioni letterarie. - Noi consigliamo di pubblicare solo in base al talento che si possiede... - Poesie, Romanzi, Saggi, Narrativa, qualunque sia la predilezione, qui tutti troveranno un consiglio, un appoggio, una nota critica letteraria, un buon libro stampato con la qualità e la migliore offerta per l'autore.

Palpiti all'unisono

Adamo ed Eva

Petali di Poesia

Tra poesia e respiro

Antologia Poetica

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ROSE SPARSE

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Mara Turdo

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