Storica National Geographic - gennaio 2020

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N. 131 • GENNAIO 2020 • 4,95 E

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LA LONDRA DI DICKENS AGRIPPINA

L’AUGUSTA CHE VOLEVA REGNARE

LA CROCIATA DEI FANCIULLI UN’AVVENTURA MEDIEVALE

CESARIONE

IL FIGLIO DI CESARE E CLEOPATRA

RINASCITA DOPO LA CATASTROFE

LA PESTE NERA



EDITORIALE

SE SI PENSA alla peste subito vengono in mente immagini terribili,

e non a torto: solo la peste nera che colpì l’Europa a metà del trecento si portò via circa un terzo della popolazione in meno di un decennio. Come avviene ancora oggi quando scoppia una pandemia, il panico collettivo portò alla ricerca di capri espiatori, che vennero subito identificati negli ebrei: accusati di avvelenare fonti e pozzi, furono vittime di saccheggi e massacri in tutta Europa. Meno noto è invece il fatto che la peste del trecento, chiamata nera o bubbonica per via delle macchie e dei tumori ghiandolari che provocava, determinò anche una riduzione importante e duratura della disuguaglianza, favorendo la crescita dei salari e consentendo l’accesso alla proprietà a strati più ampi della popolazione. Secondo quanto mostrano i risultati del recente progetto EINITE - Economic Inequality across Italy and Europe, 13001800, coordinato da Guido Alfani dell’Università Bocconi, le società italiana ed europea non furono mai più egualitarie rispetto a quelle del periodo che seguì la peste. Inoltre, fu proprio allora che nacquero i primi cordoni sanitari e le procedure standardizzate precorritrici dell’odierna Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo l’European Center for Disease Control i cambiamenti climatici e ambientali odierni aumentano il rischio di epidemie trasmesse per esempio da zanzare, zecche e roditori, anche in luoghi dove queste non sono mai state presenti. L’Europa deve preparsi all’eventualità di una nuova peste nera? E in tal caso, quali sarebbero oggi i suoi effetti simbolici e pratici sul continente? ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale


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8 ATTUALITÀ 12 GRANDI INVENZIONI

La resa di Torino

Il primo che cercò un metodo per operare senza dolore fu il dentista Horace Wells nel 1844.

34 DATO STORICO

Anestesia

14 PERSONAGGI STRAORDINARI Priscilliano, il primo eretico

Nel 385 il vescovo di Ávila venne accusato di eresia e di magia nera.

18 ANIMALI NELLA STORIA 34

Il bisonte

20 EVENTO STORICO

La vendetta di Bresci Nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci uccise il re d’Italia all’uscita da una cerimonia.

Nel 1640 Torino fu terreno di scontro tra Francia e Spagna.

Il presepe napoletano Nel settecento a Napoli scoppiò la passione per il presepe.

36 OPERA D’ARTE

Il libro delle comete

118 GRANDI ENIGMI

La morte di Émile Zola Lo scrittore, che si era inimicato i nazionalisti francesi, morì in circostanze misteriose.

122 GRANDI SCOPERTE

Le statue di Agia Irini

26 FOTO DEL MESE

I cannoni di Montmartre

Tra il 1927 e il 1931 una missione svedese ritrovò a Cipro importanti resti archeologici dell’antichità.

28 VITA QUOTIDIANA

126 LIBRI E MOSTRE

Fantasmi e spettri nell’antica Grecia 4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

32 MAPPE DEL TEMPO

128 INDICI 2019


98 LA LONDRA DI DICKENS LO SCRITTORE visse i due volti

della Londra della seconda metà dell’ottocento. Quella della miseria, della sporcizia e dello sfruttamento minorile, e quella dell’opulenza, dei tribunali e della City. Nelle sue opere Charles Dickens denunciò aspramente la prima: la città dove giunse Oliver Twist era un labirinto di strade insalubri e sovraffollate, dove abbondava l’alcolismo e i bambini erano spesso le principali vittime. DI JOAN ELOI ROCA

LA CITTÀ DEI POVERI. SCATTATA VERSO IL 1900, QUESTA FOTO ANONIMA RACCONTA DI CASE UMIDE E LUGUBRI: IN UNA SOLA STANZA POTEVA VIVERE UN’INTERA FAMIGLIA..

38 Cesarione, il figlio di Cleopatra e Cesare Dopo il soggiorno di Giulio Cesare in Egitto, Cleopatra partorì un bambino che chiamò Cesarione, il “piccolo Cesare”. Potenziale erede di un vasto impero, proclamato “rei dei re” da Marco Antonio, il giovane finì per essere una tragica vittima della lotta per il potere a Roma. Con lui finì la dinastia tolemaica e l’Egitto divenne parte dell’impero romano. DI JUAN PABLO SÁNCHEZ

68 La peste nera, rinascita dopo la catastrofe L’epidemia di peste che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1353 causò milioni di morti, portò allo spopolamento di numerose aree e al fanatismo religioso. Chi sopravvisse dovette dedicarsi al difficile compito della ricostruzione, ma riuscì a vedere anche una rapida ripresa economica. DI ALBERTO RECHE ONTILLERA

86 La crociata dei fanciulli Nel 1212 due giovani pastori guidarono i rispettivi movimenti di bambini che speravano di liberare la Terra Santa. Questo narra la leggenda, anche se alcuni studiosi mettono in dubbio che la cosidetta “crociata dei fanciulli” fu davvero tale. Storia e mito si sovrappongono in quest’avventura ancora poco conosciuta. DI ENRIQUE MESEGUER

52 Agrippina, l’augusta che voleva regnare Agrippina sapeva che, in quanto donna, se voleva ottenere il potere doveva conseguirlo in maniera non troppo esplicita. Per questo, dopo aver sposato il proprio zio, l’imperatore Claudio, si ripropose di conquistare la corona per il figlio Nerone. Però i piani non andarono secondo le sue previsioni e il figlio finì per ucciderla. DI ISABEL BARCELÓ CHICO

AGRIPPINA MINORE. IN QUESTO MODO VENIVA RAPPRESENTATA NEI RITRATTI UFFICIALI.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA LONDRA DI DICKENS AGRIPPINA

Pubblicazione periodica mensile - Anno XII - n. 131

LA CROCIATA DEI FANCIULLI UN’AVVENTURA MEDIEVALE

CESARIONE

IL FIGLIO DI CESARE E CLEOPATRA

LA PESTE NERA

RINASCITA DOPO LA CATASTROFE

LA MORTE SI PORTA VIA LE VITTIME DELLA PESTE NERA. MINIATURA FRANCESE DEL 1503. BIBLIOTECA NAZIONALE, PARIGI. FOTO: DAGLI ORTI / AURIMAGES

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L’AUGUSTA CHE VOLEVA REGNARE

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AT T UA L I T À

SACCA IN PELLE (a sinistra) e il suo contenuto: bastoncini di legno, canna, spatole, resti di piante, fascia per la testa e sacchetta fatta di musi di volpe.

CUEVA DEL CHILENO, in Bolivia (sopra).

Nella sacca di un antico sciamano sono stati trovati l’armina e lo Psychotria viridis, ingredienti per produrre l’ayahuasca, oltre a resti di cocaina e tracce di bufotenina, un allucinogeno proveniente dai semi dell’albero Anadenathera colubrina.

AMERICA PRECOLOMBIANA

Rinvenuti in una sacca gli ingredienti dell’ayahuasca Nella Cueva del Chileno, in Bolivia, gli archeologi hanno scoperto la sacca in pelle di un antico sciamano risalente a più di mille anni fa

FOTO: JUAN ALBARRACIN-JORDAN E JOSÉ M. CAPRILES

LA BORSA in cuoio

scoperta nella Cueva del Chileno conteneva due bastoncini in legno intagliato che servivano per inalare sostanze, una canna per aspirare, due spatole in osso di lama, una fascia di tela per la testa, parti di piante secche e una sacchetta confezionata con tre musi di volpe (sopra, nell’immagine).

8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

S

ull’altopiano boliviano, a circa quattromila metri di altezza, all’interno dell’antro noto come Cueva del Chileno (Grotta del Cileno), gli archeologi hanno rinvenuto una borsa in pelle: contiene diversi elementi che sembrerebbero essere legati al consumo e alla preparazione di certe droghe e di allucinogeni tra cui l’ayahuasca, una bevanda psicotropa usata da alcune culture americane. In questa grotta, circa mille anni fa venne sepol-

to un uomo che, a quanto risulta, possedeva ottime conoscenze di botanica e delle proprietà psicotrope di diverse piante. La tomba è stata profanata da tempo, mentre la sacca con gli ingredienti si è mantenuta integra grazie all’ambiente particolarmente adatto alla conservazione.

Un’origine remota In un saggio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, il ricercatore della Pennsylva-

nia State University José Capriles scrive che tra gli elementi vegetali presenti nella sacca della Cueva del Chileno si trova l’armina, uno dei principali ingredienti dell’ayahuasca. E, cosa curiosa, nessuno di questi proviene dall’altopiano, bensì da zone tropicali: alcuni studiosi credono che sarebbero originari dell’alto bacino dell’Orinoco, nel Venezuela meridionale. Doveva esistere già allora un’antica rete di commercio su lunga distanza.


Comune di Cividale del Friuli

Ritorna il Patriarca

Cividale del Friuli � 6 gennaio 2020

www.paliodicividale.it � informacitta@cividale.net � tel. 0432 710460


AT T UA L I T À

RIPRODUZIONE DEGLI ARCHEOLOGI, CHE HANNO SPERIMENTATO IL POSSIBILE USO DI QUESTI BIBERON CON UN NEONATO DEI NOSTRI GIORNI.

HELENA SEIDL DA FONSECA

risalgono al periodo compreso tra l’Età del ferro e l’Età del bronzo finale, ovvero tra il 1200 e il 600 a.C. In Germania sono stati trovati altri recipienti simili, che risalgono invece al Neolitico, a circa settemila anni fa, eppure finora mancavano le prove che potessero fungere da biberon.

PROTOSTORIA

GLI SCIENZIATI

CHRISTIAN BISIG /ARCHÄOLOGIE DER SCHWEIZ

prevedono di studiare l’impatto che l’introduzione del latte animale nella dieta dei neonati avrebbe avuto sulla loro salute. Il latte animale causò forse gravi malattie come la gastroenterite, infezione che può risultare mortale per un neonato.

10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Biberon dell’Età del ferro in Germania L’analisi di tre piccoli recipienti con una bocchetta molto stretta fa pensare che venissero usati come i moderni biberon

L

ungo la bassa valle dell’Altmühl, in Baviera (Germania), si trovano due grandi cimiteri dell’Età del ferro e del bronzo finale. Qui, all’interno di alcune tombe di bambini, gli archeologi hanno scoperto diversi recipienti in argilla, larghi dai cinque ai dieci centimetri. Hanno una particolarità: presentano una bocchetta molto stretta che permette di succhiare i liquidi. Questo dettaglio, e la minuta dimensione dei contenitori, avevano fatto

credere agli studiosi che potessero servire per nutrire i neonati, proprio come i moderni biberon.

Latte dei ruminanti Tre di questi recipienti sono stati perciò sottoposti ad analisi chimica e isotopica per individuare eventuali resti di alimenti. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, ha confermato che in quei contenitori si versò del latte di ruminanti addomesticati (mucche, pecore o capre). I risultati

proverebbero quindi che sarebbero stati davvero usati per alimentare i neonati. La scoperta potrebbe rafforzare la teoria secondo cui alcune stoviglie con il beccuccio scoperto, rinvenute in giacimenti molto più antichi, siano legate alla nutrizione dei neonati. Queste avrebbero potuto giocare un ruolo importante nella rivoluzione neolitica, perché avrebbero permesso di rendere più veloce lo svezzamento e di aumentare così il tasso di fecondità delle donne.

KATHARINA REBAY-SALISBURY

I TRE recipienti analizzati


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GRANDI INVENZIONI

Operare senza dolore: la prima anestesia Il dentista Horace Wells usò il protossido di azoto per realizzare un’estrazione dentaria indolore; in seguito un altro medico ricorse all’etere per asportare un tumore

L

a sofferenza e la malattia hanno accompagnato gli esseri umani come un’ombra fin dall’inizio della loro storia, ma la crociata contro il dolore ha cominciato a dare i primi frutti solo nel diciannovesimo secolo. Tutto ebbe inizio il 10 dicembre 1844, quando uno studente di medicina fallito di nome Gardner Colton (che si faceva passare per un luminare) giunse a Hartford, una cittadina tra Boston e New York. Qui Colton tenne una conferenza che puntava a suscitare lo stupore del pubblico mostrando gli effetti di un gas, il protossido di azoto, popolarmente noto come gas esilarante. Dopo averlo inalato, i partecipanti

IL FALLITO INTERVENTO DI HORACE WELLS RICOSTRUITO IN QUEST’INCISIONE D’EPOCA.

SHEILA TERRY / APL / AGE FOTOSTOCK

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

non smettevano di ridere e di muoversi goffamente. Tra gli spettatori c’era anche un noto dentista locale, Horace Wells. Vedendo che uno dei presenti aveva sbattuto violentemente la gamba contro una sedia dopo aver assunto il gas, Wells gli chiese se si fosse fatto male. Quando l’altro gli rispose di non aver sentito nulla, il dentista ebbe un’illuminazione. Sperava di aver finalmente trovato la soluzione a un problema che da tempo affliggeva lui e tutti i suoi colleghi: come effettuare estrazioni dentarie indolori. La mattina seguente Wells convinse Colton a somministrargli il gas mentre un altro collega gli toglieva un dente del

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HORACE WELLS ESEGUÌ DIVERSE ESTRAZIONI DENTARIE INDOLORI GRAZIE AL PROTOSSIDO DI AZOTO O GAS ESILARANTE.

giudizio che gli faceva male da tempo. Come aveva intuito, l’intervento non gli procurò alcun dolore. Era l’11 dicembre 1844, una data che entrò nella storia della medicina.

Successi e fallimenti Dopo aver acquisito familiarità con l’uso del protossido di azoto, Wells eseguì con successo diverse estrazioni indolori sui suoi pazienti. Nel gennaio 1845 comunicò entusiasta i suoi progressi a un collega di Boston, William Morton, con cui aveva collaborato in passato. Ne parlò in seguito anche al prestigioso chimico Charles T. Jackson, che giudicò il metodo estremamente pericoloso. Wells e Morton si recarono allora alla Harvard Medical School, dove il dottor John C. Warren aveva organizzato per loro una dimostrazione nell’anfiteatro del Massachusetts General Hospital, il centro universitario di cui era primario di chirurgia. Tutto era pronto per presentare alla comunità medica gli effetti del protossido di azoto, ma l’intervento fu un fallimento. Il paziente, un giovane con problemi di carie, cominciò a gridare dal dolore non appena lo incisero con il bisturi, forse perché la dose di gas utilizzata era insufficiente. Gli studenti, visto il fiasco della dimostrazione, cominciarono a fischiare Wells accusandolo di essere un ciarlatano.


ALAMY / ACI

INALATORE DI ETERE USATO DA WILLIAM THOMAS GREEN MORTON.

UN GAS AL SERVIZIO DEL PAZIENTE Intorno al 1800 Il chimico inglese Humphry Davy scopre le potenzialità anestetiche del protossido di azoto, ma non avanza nei suoi esperimenti.

1844 Horace Wells verifica gli effetti anestetici del protossido di azoto e realizza estrazioni dentarie su vari pazienti senza causargli dolore.

L’OPERAZIONE eseguita da Warren nel 1846. Boston Medical Library.

Morton decise di proseguire gli esperimenti usando un altro gas: l’etere. Dopo alcune prove insoddisfacenti, il 30 settembre 1846 estrasse in maniera indolore un molare a un certo Eben Frost, musicista di Boston. Due settimane dopo il dottor Warren accettò di sperimentare il nuovo anestetico nel suo ospedale. Lo scenario era lo stesso del fiasco di Wells, l’anfiteatro. Quando Morton arrivò, trovò ad attenderlo un giovane con le mani legate disteso davanti a un pubblico trepidante. Il paziente era Edward Gilbert Abbott, un ragazzo di ventun anni con un tumore al collo. Morton gli fece inalare l’etere, che lo

rese incosciente nel giro di qualche minuto. Warren poté allora eseguire l’intervento in tutta tranquillità. Quando ebbe terminato il chirurgo si girò verso gli spettatori annunciando solennemente: «Signori, questo non è un imbroglio». Era il 16 ottobre 1846, data passata alla storia come quella del primo intervento in anestesia, mettendo in ombra i precedenti successi di Horace Wells. Questi, reso folle dai gas che nel frattempo aveva continuato a sperimentare su di sé, si uccise tagliandosi l’arteria femorale dopo essersi anestetizzato con del cloroformio. —Pedro Gargantilla Madera

Dopo il fallimento di Wells in una dimostrazione alla Harvard Medical School, William Morton prosegue le sue ricerche, questa volta con l’etere.

1846 Morton anestetizza con successo un paziente cui viene asportato un tumore al collo. È il primo intervento in anestesia della storia. ETERE USATO A SCOPI ANESTETICI IN UNA BOTTIGLIA STATUNITENSE DEGLI INIZI DEL XX SECOLO.

SCIENCE & SOCIETY PICTURE LIBRARY / GETTY IMAGES

ALAMY / ACI

1845


PERSONAGGI STRAORDINARI

Priscilliano, il primo eretico condannato a morte Nel 385 Priscilliano, vescovo di Ávila, venne accusato di eresia e di magia nera. Giudicato da un tribunale imperiale a Treviri, venne condannato e decapitato

Una persecuzione implacabile 330 circa Priscilliano nasce da una famiglia nobile della Spagna romana. La sua formazione lo porta allo studio della teologia.

370 Attorno a questa data si stabilisce a Bordeaux, dove fonda una prima comunità contraddistinta da uno stile di vita ascetico.

380 Un concilio riunito a Saragozza fallisce quando deve condannare la sua dottrina. Poco dopo è eletto vescovo di Ávila.

384 L’imperatore Magno Massimo convoca a Bordeaux un sinodo che condanna Priscilliano come eretico.

385 Condannati per magia nera e immoralità, Priscilliano e alcuni suoi seguaci vengono giustiziati a Treviri.

P

riscilliano, vescovo di Ávila, fu la prima persona giustiziata dopo essere stata condannata a morte dietro richiesta della Chiesa. Le poche notizie che abbiamo sulla sua vita e sul suo operato provengono dai suoi detrattori, per cui è difficile capire quali e quanto siano vere. La maggioranza degli studiosi ritiene che fosse nato nel nord della penisola iberica, probabilmente nella provincia romana della Galizia (Gallaecia in latino) verso il 330 o il 340. Secondo Chronica (Cronache) di Sulpicio Severo, veniva da una famiglia aristocratica e benestante, che gli permise di ottenere una valida educazione: «Priscilliano era di famiglia nobile, ricco, acuto, brillante, inquieto, eloquente, erudito grazie ai lunghi studi, prontissimo nel dissertare e discutere. Destinato a una buona sorte, se il suo ingegno non fosse stato corrotto da studi dannosi». Proprio grazie alla sua accurata formazione s’interessò sin da giovanissimo ad argomenti filosofici, teologici ed esoterici. A quanto raccontarono i suoi nemici,

sembra (non ne abbiamo conferma) che divenne anche discepolo di un monaco egiziano chiamato Marco, il quale lo iniziò alle questioni esoteriche in relazione con le dottrine gnostiche.

Alla ricerca di Dio Verso il 370 Priscilliano giunse nella città di Bordeaux per proseguire la sua formazione con Delfidio, maestro di retorica. Lì fondò la sua prima comunità e cominciò a impartirvi delle lezioni, che diedero origine a un movimento di tipo ascetico volto al rinnovamento della Chiesa. Ben presto Priscilliano riunì attorno a sé un gran numero di discepoli. Il suo scopo era quello di lasciare le grandi città per vivere la propria fede in solitudine al fine di conoscere Dio. Una volta raggiunto l’obiettivo, lui e i suoi discepoli si sarebbero reinseriti nella società per contribuire alla riforma della Chiesa, riportandola quindi alla sua essenza originale. Priscilliano credeva che il modello monastico fosse il modo migliore per tornare alla purezza del cristianesimo delle origini. A tale scopo incoraggiò la povertà e un rigido ascetismo, che includeva frequenti digiuni e l’allontanamento dal sesso. Chi avesse seguito i suoi insegnamenti avrebbe trovato dentro di sé la forza

Sant’Agostino accusa i seguaci di Priscilliano di aver riunito le peggiori eresie SANT’AGOSTINO. OLIO SU LEGNO DI FIORENZO DI LORENZO. 1490 CA. AKG / ALBUM

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


IN COSA CREDEVA PRISCILLIANO PREDICAVA la rinuncia al mon-

do e alle sue vanità, nonché l’allontanamento dal demonio e dal suo operato: ciò si traduceva in una vita ascetica e rigorosa. Pare che sostenesse un dualismo di tipo gnostico, che distingueva tra il corpo, sede del peccato, e un’anima di natura divina, fatta di luce e spirito. Era questa la parte più importante dell’uomo. Il concilio di Nicea, del 325, aveva dichiarato l’esistenza di tre persone all’interno di Dio: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tuttavia Priscilliano credeva che lo Spirito Santo non fosse una forza divina diversa, e negava quindi le tre persone di Dio. IL PRIMO CONCILIO DI TOLEDO, DEL 400, CONDANNÒ LE DOTTRINE DI PRISCILLIANO. MINIATURA DEL CHRONICON ALBELDENSE.

GRANGER / ALBUM

dello Spirito Santo, che l’avrebbe aiutato nel riformare la Chiesa. Ciononostante la gerarchia ecclesiastica non vedeva di buon occhio le proposte di povertà e di ascetismo e attaccò Priscilliano, i cui discepoli si chiusero sempre di più in sé stessi, mantenendo segrete le dottrine e le pratiche: «A fine, però, di occultare le contaminazioni e le turpitudini, hanno tra i loro placiti anche queste parole: “Giura e spergiura, ma non tradire il segreto”», avrebbe detto su di loro il contemporaneo Agostino. Nel 379 Priscilliano giunse nel nord-ovest della

penisola iberica, dove iniziò a predicare e a circondarsi di molti adepti. Erano quelli anni molto complicati per l’impero romano: sebbene il cristianesimo fosse la religione di stato, i pagani si mostravano riluttanti ad accettarne l’imposizione da parte dell’imperatore e rimanevano piuttosto saldi nelle loro credenze. In tale contesto, davanti agli ultimi focolai di paganesimo, gli scontri tra i cristiani non giovavano certo alla causa dell’unità. Per questo il vescovo Iginio di Cordova informò Idazio, vescovo di Mérida, su quell’eresia che si propagava nella penisola iberica. Idazio

e un altro vescovo, Itacio di Ossonuba (o Ossonova), cominciarono una campagna di discredito contro Priscilliano, che consideravano un eretico. Furono loro a scagliare contro di lui le prime accuse, poiché credevano che la sua dottrina fosse intrisa di manicheismo e gnosticismo, due correnti religiose di tipo dualistico che parlavano dell’esistenza di dèi del bene e del male. Sant’Agostino fu molto chiaro nella sua condanna: «I priscillianisti, che Priscilliano ha fondato nella Spagna, seguono soprattutto le dottrine degli gnostici e dei manichei, mescolandoSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

15


PERSONAGGI STRAORDINARI

GIURARE PER PRISCILLIANO

CONDANNATI

all’inferno. Altare di Verdun. Molte figure della Chiesa non credettero alle accuse rivolte contro Priscilliano.

non frenò l’espandersi delle sue idee. Nei Chronica, Sulpicio Severo racconta che l’eresia «si rafforzò, perché i suoi seguaci, che prima lo veneravano come un santo, osservarono un culto di martire. Dopo aver portato i corpi dei condannati nella Spagna romana, i funerali vennero celebrati con grande solennità»; giurare in suo nome era «un’espressione piena di religiosità». LA SUA MORTE

ERICH LESSING / ALBUM

TABERNACOLO VOTIVO DI SANT’AMBROGIO. XII SECOLO. CASTELLO SFORZESCO, MILANO. DEA / ALBUM

le fra loro, benché altro sudiciume da altre eresie sia confluito in loro, come in una fogna, orrida nella sua mistura […] Codesti eretici dicono che le anime sono della medesima natura e sostanza che ha Dio; esse discendono (dall’empireo) passando attraverso sette cieli e vari principati, disposti a gradini, per dedicarsi sulla terra come a una gara

volontaria; e incappano nel principe del male, dal quale, come essi pretendono, è stato fatto questo mondo, e da questo principe sono seminate nei vari corpi di carne. Sostengono, inoltre, che gli uomini sono vincolati alle stelle, le quali ne decretano il destino, e che lo stesso nostro corpo è disposto in modo corrispondente ai dodici segni

I GIUSTIZIATI SECONDO SAN GIROLAMO «Latroniano, ori-

La condanna

ginario della provincia di Spagna [...] paragonabile ai classici antichi nel campo della poesia, fu anch’egli messo a morte a Treviri, insieme con Priscilliano, Felicissimo, Giuliano ed Eucrozia, corifei della medesima setta».

Nel 380 venne convocato a Saragozza un concilio per condannare le idee priscillianiste. Tuttavia l’assenza dei principali accusati – i vescovi priscillianisti Instanzio e Salviano – evitò che la dottrina venisse censurata. A quei tempi la

MAGNO CLEMENTE MASSIMO, IMPERATORE TRA 383 E 388.

B

RIT

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zodiacali, come affermano coloro che comunemente sono chiamati matematici. Così, collocano l’Ariete nella testa, il Toro nel collo, i Gemelli nelle spalle, il Cancro nel petto e, elencando per nome gli altri segni zodiacali, arrivano alle piante dei piedi, che essi assegnano ai Pesci, perché questo segno è nominato per ultimo dagli astrologi. Questa eresia ha voluto tener coperte dal segreto queste e le altre sue dottrine fantastiche, insulse, sacrileghe, la cui enumerazione sarebbe troppo lunga». Tra le diverse accuse figurava quella di praticare la magia e la stregoneria.

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RENÉ MATTES / GTRES

LA PORTA NIGRA, una delle porte che permettevano di entrare ad Augusta Treverorum, l’attuale Treviri (Germania), dove venne giustiziato Priscilliano.

fama di Priscilliano si era estesa in tutta la Spagna, e quando poco dopo la sede vescovile di Ávila rimase deserta, Priscilliano venne acclamato vescovo. Idazio, vescovo della vicina Mérida, si sentì incalzato dalla diffusione del priscillianesimo e fuggì a Milano, dove incontrò sant’Ambrogio, l’influente vescovo della città. Assieme fecero pressioni all’imperatore Graziano finché questi dichiarò eretico Priscilliano per la prima volta. Il vescovo si rifiutò di accettare la condanna imperiale e si recò a Milano, dove ne ottenne l’annullamento e poté perciò tornare a Ávila a svolgere la sua carica. Allora s’invertirono le parti. Il proconsole della Lusitania ordinò l’arresto del vescovo Itacio di Ossonuba, che non aveva smesso di calunniare Priscilliano. Itacio fuggì a Treviri: qui era stato proclamato imperatore un usurpatore, Magno Clemente Massimo. Questi diede il suo consenso a Itacio; pensava

che se fosse intervenuto a favore della gerarchia cattolica nella Spagna romana, opponendosi quindi a Priscilliano, avrebbe ottenuto l’appoggio della Chiesa. Convocò perciò un sinodo a Bordeaux, nel 384, dove Priscilliano venne dichiarato eretico una seconda volta. Il vescovo andò a Treviri per difendersi davanti all’imperatore, ma non riuscì a far revocare la condanna. Non solo: nel 385 insieme ad alcuni suoi seguaci venne accusato di magia nera e immoralità. Dopo aver ottenuto la loro confessione tramite tortura, un tribunale li considerò colpevoli e li condannò a morte. I seguaci di Priscilliano vennero decapitati assieme al loro mentore. Divennero i primi eretici messi a morte dalla giustizia secolare. Tuttavia cattolici illustri si scandalizzarono perché un uomo così devoto era stato decapitato senza quasi nemmeno la possibilità di difendersi. Figure influenti come

sant’Ambrogio, san Martino di Tours e perfino il papa Siricio criticarono la condanna, poiché era la prima volta che si giustiziava un presunto eretico dopo averne ottenuto la confessione sotto tortura. Nella Spagna romana e nel sud delle Gallie Priscilliano venne considerato un martire, e il suo movimento si propagò con forza malgrado la condanna. La sua“eresia”si sarebbe estinta del tutto soltanto nel settimo secolo. Malgrado ciò, il suo caso si era trasformato nel precedente che avrebbe permesso alla Chiesa di lottare a fianco dello stato contro i dissidenti interni. —Lucía Avial-Chicharro Per saperne di più

SAGGI

Storia del cristianesimo. I. L’età antica Emanuela Prinzivalli (a cura di). Carocci, Roma, 2015. Piccola storia delle eresie Mauro Orletti. Quodlibet, Macerata, 2014.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ANIMALI NELLA STORIA

Il bisonte, vittima dell’uomo bianco Alla fine dell’ottocento il bisonte americano, fonte di sostentamento per i nativi, venne praticamente sterminato da cacciatori professionisti

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uando, nel 1540, Francisco Vázquez de Coronado si addentrò per le terre di Texas, Kansas, Nuovo Messico, Arizona e Nevada si meravigliò per la presenza di grandi branchi di tori pelosi che circolavano liberamente nelle pianure. In quella che era la prima spedizione ufficiale documentata all’interno degli attuali Stati Uniti, assieme a Coronado viaggiava Pedro Castañeda de Nájera. Nella sua cronaca della spedizione quest’ultimo definiva così la strana

UN COLONO SCUOIA UN BUFALO APPENA CACCIATO.

ALAMY / CORDON PRESS. COLORE: JOSÉ LUIS RODRÍGUEZ

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bestia che avevano avvistato: «È un animale brutto e feroce nel muso così come nel corpo. Sfugge ai cavalli per il suo mal genio oppure perché non li ha mai visti». Castañeda indicava il bisonte americano con il termine spagnolo cíbolo o cíbola, preso in prestito dagli zuñi, una delle tribù indigene della zona. La radice della parola non si perse: il cibolero sarebbe divenuto il cacciatore di bisonti nel Nuovo Messico, mentre a lungo gli avventurieri avrebbero cercato le sette città d’oro di Cíbola. Ciononostante, il termine cíbola riferito a tali imponenti animali non sarebbe rimasto in uso per molto tempo: la parola “bufalo” (da non confondere con bufalo indiano o bufalo d’acqua, Bubalus bubalis) dal francese boeuf (bue), si sarebbe diffusa nel nuovo continente attraverso gli esploratori francesi. I primi pionieri si resero subito conto del ruolo fondamentale che aveva il bisonte nella sussistenza di gran parte delle tribù autoctone. «Non hanno i loro padroni altra ricchezza, né possedimento», scrisse Castañeda. «Se ne nutrono, ci si vestono, ci si calzano, e fanno molte cose con le pelli: capanne, suole, vestiti e corde; con le ossa fanno pugnali; con nervi e capelli, del filo; con corna, stomaco e vescica, dei bicchieri; con lo sterco, fanno il fuoco». E così

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BUFFALO BILL, NOME CON CUI ERA CONOSCIUTO WILLIAM FREDERICK CODY. INCISIONE DEL 1890.

rimase finché, a metà del diciannovesimo secolo, le Grandi Pianure vennero invase da migliaia di coloni di origine europea che resero impossibile la vita dei locali e in particolare la loro economia basata sulla caccia al bisonte. I coloni occuparono un numero sempre maggiore di terre per convertirle all’agricoltura e all’allevamento bovino, restringendo a mano a mano il territorio in cui pascolavano quegli animali. Inoltre il bestiame importato dall’Europa portava con sé delle malattie alle quali i bisonti americani non erano preparati.

Uccisioni industriali Oltre a ciò, l’esercito statunitense promosse lo sterminio dei bisonti come parte della strategia volta a sottomettere le tribù autoctone: eliminando gli elementi fondamentali per la loro sopravvivenza li avrebbero costretti a rinchiudersi nelle riserve. Nel 1869 il generale Sherman dichiarò che il modo più rapido per costringere gli indiani a insediarsi nelle riserve era quello di mandare nelle pianure dieci reggimenti di soldati con l’ordine di sparare ai bufali finché questi fossero divenuti troppo pochi per mantenere i “pellerossa”. Tuttavia lo sterminio non venne portato a termine dai soldati, bensì da esperti cacciatori di bisonti. Alcuni erano al soldo delle compagnie


QUESTA FOTO scattata verso la metà

ALAMY / CORDON PRESS

degli anni settanta del XIX secolo mostra un’impressionante piramide di crani di bisonti, usati come fertilizzante.

ferroviarie, che compravano la carne per dare da mangiare ai loro lavoratori. Per esempio William Frederick Cody, noto come Buffalo Bill, uccise più di quattromila bisonti tra il 1867 e il 1868, i due anni in cui fu assunto dalla Union Pacific Railroad. Ancor più importante fu lo sviluppo, a partire dal 1870, di un’industria conciaria di pelli di bisonte, usate per le cinte dei macchinari e per gli stivali. Al fine di venire incontro alla crescente domanda, migliaia di pistoleri si dedicarono alla caccia di questi animali. Armati

di fucili a lunga gittata (i preferiti erano gli Sharp), si appostavano a centocinquanta metri dai branchi e sparavano ai polmoni degli animali abbattendoli con un solo colpo. Ogni cacciatore eliminava tra i venticinque e i cinquanta bisonti al giorno, quanti ne potevano scuoiare i membri della sua squadra. In seguito le pelli venivano mandate in treno alle fabbriche nell’est del Paese. Il bisonte americano fu praticamente sterminato in appena dieci anni. Se nel diciottesimo secolo ce n’erano circa trenta milioni

di esemplari, nel 1889 ne rimanevano solo 541. Paradossalmente fu lo stesso Buffalo Bill ad avvertire che bisognava proteggere l’animale perché si stava estinguendo. Con il tempo i programmi di protezione e di reintroduzione hanno permesso di salvaguardare il bisonte. Oggi ne esiste circa mezzo milione di esemplari, anche se solo quindicimila di questi pascolano liberi per i parchi nazionali degli Stati Uniti. —Fernando Martín Pescador STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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EVENTO STORICO GAETANO BRESCI spara

al re Umberto I al termine di una cerimonia sportiva tenutasi a Monza. Incisione di L’illustrazione italiana.

La vendetta di Gaetano Bresci Convinto che il re d’Italia fosse il responsabile ultimo della repressione delle proteste dei lavoratori, nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci lo uccise all’uscita da una cerimonia

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l 29 luglio 1900 il re d’Italia Umberto primo si recò a Monza per presiedere la cerimonia di chiusura di un concorso ginnico. Attorno alle dieci e trentacinque di sera il monarca decise di andarsene: mentre saliva a bordo della sua carrozza accompagnato da alcuni militari, improvvisamente un uomo si erse tra la folla e gli sparò uccidendolo. Il regicida si chiamava Gaetano Bresci. Originario di Prato, tessitore di professione, era rientrato da poco dagli Stati Uniti, dov’era emigrato qualche anno prima. Bresci era

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un anarchico convinto e rivendicò la sua azione non appena arrestato: «Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio». Il desiderio di vendetta dell’anarchico toscano veniva da lontano. Lavorando sin da giovanissimo in uno stabilimento tessile aveva conosciuto i turni massacranti, le angherie e la mancanza di garanzie cui erano soggetti i lavoratori. Bresci era parte attiva degli scioperi organizzati dalla sezione anarchica di Prato e nel 1892, poco più che ventenne, era stato condannato a quindici giorni di

carcere per oltraggio alla forza pubblica e rifiuto d’obbedienza. Per gli “anarchici pericolosi” come Bresci la vita non era facile, soprattutto dopo le leggi eccezionali emanate dal governo Crispi nel 1894 e la repressione dei moti popolari in Sicilia e Lunigiana. Migliaia gli oppositori erano stati assegnati al domicilio coatto, una misura preventiva che implicava l’obbligo di dimora in una determinata località. A Bresci era toccata l’isola di Lampedusa, dove era rimasto fino alla fine del 1896 quando, per effetto


ALINARI / CORDON PRESS

EVENTO STORICO

LA CAVALLERIA dell’esercito

di Bava Beccaris in un viale di Milano nel 1898.

MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

DALLO SCIOPERO ALLA TRAGEDIA

ed orgoglioso di onorare la disciplina, l’abnegazione e il valore» delle truppe guidate dal generale, cui aveva conferito un’alta onorificenza. Il fatto aveva suscitato un risentimento tale nell’anarchico da portarlo alla pianificazione del regicidio. Alla fine di febbraio 1899 Vendicare il popolo Bresci aveva acquistato una rivoltella Nel maggio 1898 era giunta una notizia della ditta Harrington&Richardson e che aveva impressionato fortemente il cominciato a esercitarsi nel tiro a segno. tessitore. I cannoni dell’esercito italiano Ai primi di maggio aveva lasciato la agli ordini del generale Fiorenzo Bava fabbrica, ritirato le somme dovute e Beccaris avevano sparato sulla folla, in- acquistato un biglietto per Le Havre sorta per chiedere la riduzione del prez- sul piroscafo Gascogne, col quale era zo del pane, provocando un’ottantina di partito da New York alla volta dell’Eumorti e centinaia di feriti. Il 5 giugno il ropa il 17 maggio del 1900. Giunto insieme ad alcuni compare Umberto primo si era mostrato «lieto gni a Parigi col proposito di visitare l’Esposizione universale, Bresci si era Il re si congratulò con dedicato in quei giorni alla sua passione per la fotografia. Il 6 giugno era i responsabili del massacro rientrato in Italia, destinazione Prato, dei lavoratori milanesi per incontrare i pochi famigliari rimasti; nei giorni successivi era stato a Bologna, Piacenza, Milano e infine MONETA DA CINQUE LIRE CON L’EFFIGIE DI UMBERTO I.

di un’amnistia ricevuta proprio da re Umberto primo, era stato rimesso in libertà. Ma come tanti anarchici, considerati“malfattori”, alla fine aveva deciso di emigrare. Nell’inverno del 1897 si era imbarcato da Genova per New York sul piroscafo Columbia, stabilendosi a Paterson, nel New Jersey. Nella “città della seta”, dove lavorava soprattutto manodopera italiana immigrata, Bresci aveva trovato impiego nella ditta Hamil&Booth dove percepiva una paga di 14 dollari a settimana con cui manteneva la moglie Sophie Knieland e la piccola Maddale-

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IL 6 MAGGIO 1898 i lavoratori di Milano diedero vita a una protesta contro i bassi salari e la carestia. La tensione crebbe e il giorno seguente fu dichiarato in città lo sciopero generale. Nella convinzione che si trattasse di un oscuro complotto di elementi estremisti, il governo diede carta bianca al generale Bava Beccaris per ristabilire l’ordine. E questi lo fece attraverso una sanguinosa repressione.

na. Il resto del tempo lo trascorreva all’hotel Bertoldi’s, dove gli appartenenti ai circoli anarchici discutevano di problematiche di lavoro e di emancipazione sociale. Dall’Italia, intanto, non arrivavano buone notizie.

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EVENTO STORICO

TOMBA DEL RE

AKG / ALBUM

Umberto I nel Pantheon di Roma costruita su disegno di Giuseppe Sacconi.

Monza, dove era arrivato il 27 luglio. La sera del 29 il regicida si confuse tra la folla del Parco reale che attendeva festante il re Umberto primo al termine della premiazione di alcuni atleti. Intorno alle ventidue e trentacinque, mentre il sovrano risaliva sulla carrozza insieme al suo seguito, all’improvviso tre colpi sparati da distanza ravvicinata lo raggiunsero al petto, a

un polmone e al collo. Dopo alcuni attimi di smarrimento la folla cercò di raggiungere l’attentatore per linciarlo, ma i carabinieri riuscirono a sottrarlo alle percosse. Trasportato in una sala della Villa reale, il re sarebbe morto di lì a poco. «Questa è l’ora del dolore», commentò il 30 luglio il Corriere della Sera; Il Messaggero parlò di «mano vigliacca di un volgare assassino»,

UNA MORTE SOSPETTA L’APPARENTE SUICIDIO DI BRESCI suscitò da

subito molti dubbi: perché il detenuto disponeva di un asciugamano quando il regolamento carcerario lo vietava? Come avrebbe potuto impiccarsi con le catene ai piedi e una sorveglianza continua? LA MORTE DI BRESCI SU LE PETIT JOURNAL. 1901. WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

mentre Il Giorno apostrofò Bresci come «uno sciagurato che si deve, pel decoro del genere umano, credere un pazzo». Tutti i quotidiani uscirono listati a lutto a eccezione del socialista L’Avanti! che, pur sostenendo che il diritto alla vita «è sacro; chiunque vi attenta merita condanna», asseriva: «Col crescere degli errori del governo e del malcontento, crescono le follie e i delitti», additando come responsabili «il governo Pelloux e la folla reazionaria». Le manifestazioni popolari al grido di “viva Savoia” e “morte agli assassini” si accompagnavano alla richiesta di ripristino della pena capitale (in vigore in Italia fino al 1889) avanzata da alcuni senatori. Tra gli anarchici emigrati si moltiplicarono attestati di solidarietà a Bresci. Più cauto fu invece l’atteggiamento degli italiani residenti in patria, anche frutto di un’indiscriminata “caccia all’anarchico”.


Difendere la libertà di opinione

SCENA del processo a Bresci nel tribunale di Milano, in un’illustrazione sul quotidiano francese Le Petit Journal.

L’AVVOCATO di Bresci ne appro-

Il processo si celebrò il 29 agosto 1900 in una Milano blindata per il timore d’insurrezioni. Rinchiuso prima a Monza e poi a Milano, a Bresci venne assegnato d’ufficio l’avvocato Luigi Martelli. Dopo il rifiuto del leader socialista Filippo Turati scelto dall’imputato, Martelli venne affiancato dall’avvocato ed ex anarchico Francesco Saverio Merlino. Nella requisitoria il procuratore generale Francesco Ricciuti cercò di bollare il gesto di Bresci come frutto di pura criminalità, commesso «da gente senza patria che minaccia di ricacciarci nelle peggiori epoche barbariche», aggiungendo che lo stesso «cammino dell’anarchia nel mondo è tracciato da atrocissimi delitti». Al contrario, l’arringa di Merlino mirava a dimostrare il “fattore politico”del gesto: «C’è stato chi [Bresci] ha creduto […] di opporre alla violenza del Governo la violenza privata». E aggiungeva: «Il regicidio

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

fittò per denunciare le pratiche repressive dello stato. Nel suo intervento sottolineò come fosse necessario che chi aveva «opinioni contrarie al vigente ordinamento dello stato» potesse farle valere «per mezzo della propaganda pacifica». E poco più avanti affermava: «Per impedire il delitto non vi è che un solo metodo: la libertà per tutte le opinioni. Quando negate libertà a certe opinioni […] inducete la minoranza ad uscire anch’essa dal terreno della legalità».

non può essere un principio anarchico [ma] è stato praticato da tutti gli altri partiti politici». La sentenza, in applicazione dell’articolo 117 del codice penale, sembrò a tutti scontata. A Bresci toccò la pena massima dell’ergastolo con sette anni d’isolamento, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il pagamento delle spese, la perdita del diritto di far testamento e il sequestro dell’arma. «La vostra condanna mi lascerà indifferente […] Io mi appello soltanto alla prossima rivoluzione», furono le sue ultime parole.

Un prigioniero scomodo Rinchiuso per cinque mesi a San Vittore a Milano, ai primi di dicembre Bresci prese il mare da La Spezia per raggiungere il reclusorio di Portolongone sull’isola d’Elba, dove sarebbe rimasto poche settimane. Il 23 gennaio del 1901 giunse nella prigione definitiva: il penitenziario di Santo Stefano,

nei pressi dell’isola di Ventotene. Il 22 maggio il suo corpo penzolerà legato a un asciugamano dalla finestra della cella. Secondo la versione ufficiale si tratterà di suicidio. Ma tra i detenuti circolerà sempre un’altra verità. Sarà Sandro Pertini, che a Ventotene era stato confinato durante il fascismo, a darle voce istituzionale nel 1947: «Bresci è stato percosso a morte, poi hanno appeso il cadavere all’inferriata della sua cella di Santo Stefano». —Matteo Dalena Per saperne di più

SAGGI

L’anarchico che venne dall’America Arrigo Petacco. Mondadori, Milano, 1969. Gaetano Bresci. Tessitore, anarchico e uccisore di re Massimo Ortalli. Nova Delphi, Roma, 2011. Seta e anarchia. Teoria e prassi degli anarchici italiani a Paterson Stefania Mazzone. Rubbettino, Soveria Mannelli, 2018.

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LA FOTO DEL MESE

I CANNONI DI MONTMARTRE IL 18 MARZO 1871 il governo francese, che si era arreso ai prussiani e stabilito a Versailles, mandò i soldati a impadronirsi dei cannoni collocati sulle colline di Parigi, perché i cittadini – sostenuti dalla milizia, la Garde National – non accettavano la resa della Francia. L’operazione fu un fallimento: il popolo difese i “propri” cannoni (pagati con una sottoscrizione popolare); la resistenza più forte si verificò a Montmartre. Fu l’inizio della rivolta, poi del governo della Comune, soffocati nel sangue due mesi dopo. Nella foto, uno dei cannoni di Montmartre, sorvegliato da due membri della Garde National. Si trovava all’angolo tra rue des Rosiers (oggi rue du Chevalier-de-la-Barre) e rue de la Bonne, da dove venne scattata la foto: le case sullo sfondo si trovano a nord di Parigi. Tale luogo ormai non esiste più, e al suo posto sorge una cappella della basilica del Sacré-Cœur. BRIDGEMAN / ACI

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V I TA Q U OT I D I A N A

Fantasmi e spettri nell’antica Grecia Se non si rispettavano i necessari riti funebri, gli spiriti dei morti potevano tornare a terrorizzare i vivi vita che si recavano a visitarle, come nel caso di Ulisse.

Apparizioni spettrali

Gli spiriti dei morti non erano costantemente confinati nell’ade, ma avevano la possibilità di tornare nel mondo dei vivi. Quando non si osservavano correttamente i riti funebri, anche se per semplice ignoranza, le anime non trovavano riposo e andavano dagli umani a reclamare ciò che era loro dovuto o a esigere vendetta. È quanto avveniva per esempio con i cadaveri che non ricevevano una vera e propria INVOCAZIONE del sepoltura: le anime di questi ataphoi fantasma della moglie di Periandro. Litografia di – in greco,“senza tomba”– vagavano J. R. Weguelin pubblicata e apparivano per richiedere che i loro su The Graphic nel 1892. corpi fossero sotterrati come, sempre nell’Odissea, fa uno dei compagni di Ulisse, Elpenore. In una situazione simile si trovavano le vittime di morte violenta chi era morto senza gloria in combat(biothanatoi) o prematura (ahoroi): chi timento, i suicidi, i bambini che avevaera stato assassinato impunemente, no visto la loro vita troncata… In tutti questi casi si produceva una rottura non solo dell’ordine della natura ma anche delle leggi divine. Nella letteratura antica ci sono molte storie di fantasmi di persone uccise che tornano a FIGLIO DI ZEUS e della pleiade Maia, il meschiedere giustizia. Plutarco racconta il saggero degli dei Ermes era conosciuto anche caso di Cleonice, una fanciulla di cui come Psicopompo, “accompagnatore delle si era invaghito il generale spartano anime”. Infatti una delle sue principali funzioni Pausania. Costretta a trascorrere la era quella di guidare l’anima (in greco, psyché) notte nella stanza del generale, Cledel defunto nel regno dell’ade. onice fece accidentalmente cadere ERMES IN UN FRAMMENTO DI COLONNA. BRITISH MUSEUM, LONDRA. una lucerna. Pausania si svegliò di soprassalto e, credendola una nemica,

AKG / ALBUM

ERMES PSICOPOMPO

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BRIDGEMAN / ACI

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l primo incontro con i fantasmi della letteratura occidentale si trova probabilmente in un episodio dell’Odissea di Omero in cui l’eroe Ulisse scende nell’oltretomba (ade) per conoscere il proprio futuro. Le anime dei morti accorrono all’invocazione di Ulisse in un vortice confuso di ombre e si abbeverano del sangue del montone precedentemente sacrificato dall’eroe. Il racconto omerico ben illustra la concezione che gli antichi avevano dei fantasmi. Questi erano considerati la manifestazione visibile degli spiriti dei morti, un’apparizione incorporea che Omero definisce “ombre”. Allo stesso tempo, pur dimorando in un luogo descritto come oscuro e lontano, le anime conservavano ancora un legame soprannaturale con il mondo dei vivi, in quanto avevano la capacità di profetizzare gli eventi futuri e potevano anche interagire e comunicare con le persone ancora in


V I TA Q U OT I D I A N A

la uccise trafiggendola con la spada. In seguito lo spirito della giovane non lasciò più riposare il generale; ogni notte gli appariva in sogno adirata pronunciando questi versi: «Vieni a scontare il supplizio che attende gli uomini colpevoli d’ingiuria». Angosciato, Pausania si recò dall’oracolo di Eraclea e fece invocare lo spirito della fanciulla. Il fantasma rispose alla sua chiamata annunciandogli che i suoi mali sarebbero cessati solo se fosse tornato a Sparta. Una variante di queste apparizioni è quella del morto riconoscente, una figura che in epoca medievale sareb-

Periandro di Corinto e il fantasma infreddolito ERODOTO racconta una curiosa storia a proposito del tiran-

no Periandro di Corinto, vissuto nel VII secolo a.C. Volendo sapere dove un suo ospite aveva lasciato una certa somma di denaro, decise di chiederlo allo spirito di sua moglie Melissa, che lui stesso aveva ucciso. A questo scopo inviò dei messaggeri presso la popolazione dei tesprozi per parlare con l’oracolo dei morti. «Melissa apparve dichiarando di non voler indicare il luogo in cui il denaro giaceva, perché era nuda e aveva freddo». Periandro ordinò al-

lora a tutte le donne di Corinto di recarsi presso un certo tempio, dove le fece spogliare. Quindi «ammassò le vesti in una fossa e le bruciò invocando Melissa. Fatto ciò, mandò una seconda volta a consultare l’oracolo e l’ombra della donna gli rivelò dov’era il denaro dell’ospite».

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V I TA Q U OT I D I A N A

INCANTESIMI CONTRO I FANTASMI NELL’ANTICA GRECIA gli spiriti

BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

dei morti potevano tornare nel regno dei vivi di loro spontanea volontà. Così avveniva per esempio in occasione dell’importante ricorrenza delle Antesterie, che si celebrava ogni anno in onore di Dioniso nel mese di antesterione (ovvero a cavallo tra febbraio e marzo). Si credeva che durante i tre giorni di festa gli spiriti dei morti popolassero la città. Per scongiurare le apparizioni dei fantasmi la popolazione ateniese si procurava dei rametti di biancospino. HYDRIA PROBABILMENTE DECORATA CON UN RITUALE DELLE ANTESTERIE. VI SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM.

be diventata protagonista di diverse leggende. Cicerone ne offre la più antica testimonianza della letteratura classica, anche se probabilmente riprende la sua storia dai greci: «Questo si diceva di Simonide: una volta vide uno sconosciuto morto a terra e lo seppellì. Più tardi, quando stava per imbarcarsi, il morto gli apparve per avvertirlo di non farlo, perché se fosse salpato sarebbe perito in un naufragio. Simonide allora tornò sui suoi

passi, mentre quelli che s’imbarcarono trovarono la morte». In alcuni casi i fantasmi erano associati a uno spazio specifico, come per esempio una casa. I rumori notturni, gli oggetti volanti e la rovina di una tenuta potevano essere causati dalla presenza degli spiriti degli antichi abitanti che avevano subìto una morte violenta. Nella letteratura si possono trovare vari esempi di storie simili. Plutarco racconta il caso di un tale Damone che fu ucciso dai suoi nemici nel ginnasio di Cheronea. In seguito «per molto tempo si succedettero delle apparizioni di fantasmi e si udivano dei

Atenodoro affittò una casa ritenuta infestata dove si udivano «rumori di ferraglia e clangore di catene» UNO SPIRITO APPARE AD ATENODORO. INCISIONE DI H. JUSTICE FORD. 1900 CA.

ALAMY / ACI

lamenti, fino a quando le porte delle terme non furono murate. Ancora oggi coloro che vivono nelle vicinanze dicono che lì si vedano dei fantasmi e si sentano voci terrificanti».

Una casa maledetta La più nota di queste storie è contenuta in una lettera di Plinio il Giovane indirizzata a un patrizio romano. Dopo aver chiesto al suo interlocutore se credeva ai“racconti”sulle apparizioni o se li considerava semplici superstizioni, Plinio narra un episodio accaduto ad Atene, che costituisce la più antica testimonianza scritta giunta fino ai nostri giorni della leggenda delle case infestate: «C’era ad Atene una casa ampia e spaziosa, ma malfamata e funesta. Nel silenzio della notte si poteva udire un rumore di ferraglia e […] un clangore di catene». E prosegue: «Quindi appariva un fantasma, un vecchio macilento e dall’a-


DEA / ALBUM

SCHELETRO CON L’ISCRIZIONE «CONOSCI TE STESSO». MOSAICO ROMANO. MUSEO NAZIONALE ROMANO, ROMA.

spetto trasandato, con la barba lunga e i capelli ispidi. Aveva ceppi ai piedi e scuoteva le catene che gli cingevano le mani». Gli inquilini non riuscivano a dormire e finivano per ammalarsi e morire, così la casa fu abbandonata. Quando il filosofo Atenodoro arrivò ad Atene e venne a sapere quello che si diceva della casa, decise di affittarla. Di notte, mentre scriveva, iniziò a sentire «rumori stridenti di ferraglia e scuotersi di catene». Alla fine apparve il fantasma e con un dito gli fece cenno di seguirlo. Poi, trascinando pesantemente le sue catene, si diresse verso il cortile, dove improvvisamente scomparve. Il filosofo segnò il punto con delle foglie e il giorno dopo andò dai magistrati a richiedere che scavassero in quel punto. Furono trovate delle catene e tra di esse «delle ossa ormai nude e consumate dal tempo e dalla terra». I resti furono seppelliti a spese dello

stato e «una volta date le giuste esequie a quelle spoglie mortali, la casa fu liberata dal fantasma». Non erano solo le case a essere infestate, ma anche i terreni, come per esempio i campi di battaglia. I teatri di guerra sono sempre stati considerati spazi privilegiati per le manifestazioni soprannaturali, essendo il paradigma di un luogo di morte. Nella piana di Maratona, scenario della famosa battaglia tra greci e persiani, ai tempi di Erodoto si sentiva ancora il fragore delle armi e dei cavalli che si scontravano in combattimento.

Fenomeni onirici? Gli intellettuali greci e romani cercarono di trovare spiegazioni razionali al fenomeno dei fantasmi. Platone, Aristotele o Epicuro disquisirono sulla teoria della formazione d’immagini nella nostra mente a partire da oggetti reali. In questo senso il mondo dei sogni è un altro elemento centrale nella

spiegazione delle visioni soprannaturali. Alcuni autori antichi sostenevano che le apparizioni in sogno potevano essere provocate dagli stessi defunti, poiché per loro il sogno costituiva una cornice propizia per manifestarsi solo a chi volevano. Nemmeno Platone o Aristotele escludevano la possibilità che le anime trovassero negli stati di sonno una via di comunicazione con il mondo terreno. Altri, come Cicerone, consideravano le apparizioni oniriche un’espressione psichica da spiegare attraverso l’interpretazione: non erano quindi un fenomeno reale ma il prodotto dell’attività mentale del dormiente. —Alejandra Guzmán Almagro Per saperne di più

SAGGI

La morte nel mondo greco: da Omero all’età classica M. Serena Mirto. Carocci, Roma, 2007.

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MAPPA DEL TEMPO

La resa di Torino: memorie di un assedio storico

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el 1640, nel pieno della Guerra dei trent’anni (16181648), Torino divenne terreno di scontro tra Francia e Spagna. Un anno prima la città era stata occupata da Tommaso di Savoia, nobile e militare piemontese sostenitore della monarchia spagnola. Tuttavia i francesi avevano mantenuto il controllo della cittadella. Nel maggio dello stesso anno un esercito transalpino guidato da Harcourt e Turenne accerchiò la città che, nonostante l’arrivo dei rinforzi ispanici, dovette arrendersi dopo quasi tre mesi di assedio. Questa mappa dell’evento fa parte del cosiddetto Theatrum Sabaudiae, una sorta di lussuoso atlante dei domini sabaudi, che comprendevano l’odierna Savoia francese e il Piemonte, e la cui capitale era proprio Torino. L’elaborazione dell’opera iniziò nel 1657 su iniziativa di Cristina di Borbone – la principessa francese (sorella di Luigi tredicesimo) che aveva assunto la reggenza del ducato di Savoia in nome del figlio Carlo Emanuele secondo –, anche se venne pubblicata solo nel 1682 dalla tipografia dell’incisore e cartografo olandese Joan Blaeu.

Baluardi e linee d’assedio In realtà quella qui accanto è la copia di una mappa pubblicata nel 1643, opera del pittore e incisore Giovenale Boetto, a sua volta basata su un disegno di Michele Antonio Raynero. La carta 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

mostra una prospettiva zenitale della città e delle forze attaccanti. Com’era consuetudine nelle mappe di questo tipo, tutti gli elementi geografici d’interesse militare – fiumi, vie di comunicazione, rilievi, eccetera – sono rappresentati molto fedelmente. All’interno della cinta muraria si possono distinguere tre spazi: la città vecchia di forma quadrangolare 1, la cittadella pentagonale 2 e la città nuova 3. La mappa non illustra l’impianto urbanistico ma vuole rappresentare soprattutto la fortificazione perimetrale di tipo bastionato: mura con baluardi, fossato e strutture sporgenti. L’esercito assediante eresse una linea di contravvallazione 4 – che includeva la cittadella controllata dal suo contingente – per isolare la capitale e procedere a bombardarla. Gli spagnoli resistevano nella città vecchia e nella città nuova, aspettando l’arrivo dei rinforzi. Per prevenire questa evenienza, i francesi costruirono una linea di circonvallazione 5, simile a quella di contravvallazione, che aveva lo scopo di proteggerli dalle minacce esterne tramite trincee, ridotte e guarnigioni. I francesi assunsero il controllo del ponte principale sul Po 6 , quindi avanzarono fino a occupare con le loro postazioni le alture da cui l’artiglieria nemica avrebbe potuto colpirli. A quel punto la capitolazione della città era solo questione di tempo. —Germán Segura

DEA / ALBUM

Questa mappa di Torino durante l’assedio del 1640 è caratteristica della cartografia militare del seicento


MAPPA DEL TEMPO

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DATO S TO R I CO

DEAGOSTINI PICTURE LIBRA

RY/SCALA, FIRENZE

Il secolo d’oro del presepe napoletano

MUSICISTA SUONA UN FLICORNO. FIGURA DEL PRESEPE DELLA REGGIA DI CASERTA.

Nel settecento a Napoli scoppiò la passione per l’allestimento del presepe nel periodo di Natale, un’arte raffinata che conquistò anche i re

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l presepe ebbe origine nell’ambito religioso, tuttavia con il tempo si arricchì di elementi profani, determinando così vere e proprie opere d’arte. Le sue prime forme furono pittoriche, come lo stucco raffigurante la natività nella catacomba di Priscilla a Roma (terzo secolo circa). Successivamente si passò alla rappresentazione plastica della nascita di Gesù prima nelle chiese e poi anche nelle abitazioni private. Esistono riferimenti al presepe già nel Medioevo: per esempio, comunemente si ritiene che san Francesco di Assisi sia stato l’“inventore” del presepe vivente. Nel 1223, il frate chiese a papa Onorio terzo di poter allestire

una rappresentazione della natività a Greccio, vicino Rieti. Così, dopo aver ricreato la mangiatoia in una grotta, stabilì che dovevano essere presenti solo un bue e un asino ma non persone che interpretavano la “sacra famiglia”. La notte di Natale fu celebrata l’eucaristia sopra un altare portatile, davanti a una folla di fedeli accorsa con le fiaccole accese. Il biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, scrisse che improvvisamente sarebbe comparso un bambino, che il santo abbracciò commosso. La tradizione del presepe è oggi diffusa nella maggior parte dei Paesi dove si pratica il cattolicesimo, seppur con diverse varianti legate alle

FOTO SCALA, FIRENZE

PRESEPE DI TERRACOTTA REALIZZATO DA GUIDO MAZZONI PER LA CATTEDRALE DI MODENA ALLA FINE DEL XV SECOLO.

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tradizioni locali. In Italia, tra i tipi più diffusi vi è quello napoletano. Secondo la tradizione la prima forma moderna si deve a san Gaetano da Thiene, che nel 1534 concepì un allestimento dove i personaggi vestivano gli abiti tipici dei popolani del tempo. Tra la fine del cinquecento e il seicento si passò dalle precedenti statue in pietra ad altre più leggere, spesso con giunture snodabili e con abiti di stoffa, oltre che di dimensioni sempre più ridotte.

La Napoli del tempo Il secolo d’oro del presepe napoletano fu però il settecento, quando la rappresentazione si svincolò dall’iconografia religiosa tradizionale per ambientare la natività nella Napoli del tempo. Dunque, alla mangiatoia iniziarono a essere affiancati scorci della quotidianità che animava le vie cittadine; alla “sacra famiglia” si aggiunsero pescivendoli, fruttivendoli e osti. Si cominciarono anche a mescolare epoche diverse (frequente era la presenza dei ruderi romani, che spesso sostituivano la grotta) e a inserire elementi esotici. Tra i pastori (termine con cui sono conosciute le statuine del presepe) ricorrenti vi era Benino – il pastorello addormentato – Armezio – uno più anziano – e un terzo che esprimeva meraviglia. Altra figura ricorrente era una donna chiamata Stefania, alla quale, secondo una tradizione popolare, era stato vie-


IL PRESEPE ALLA REGGIA

GIANNI DAGLI ORTI / AURIMAGES

Il presepe attualmente esposto in una sala della Reggia di Caserta fu l’ultimo allestimento dei Borbone, nel 1844. La “sacra famiglia” è appena riconoscibile tra la moltitudine di personaggi vestiti con gli abiti tipici del settecento.

tato di vedere la Madonna in quanto nubile. Stefania aveva quindi preso una pietra e l’aveva avvolta in un panno per fingersi madre, ma improvvisamente la pietra si era trasformata in un bimbo vero, che fu chiamato Stefano e divenne poi il primo martire della Chiesa. Ciccibacco (o Cicci Bacco) il beone, invece, era rappresentato insieme a delle botti di vino. Alcuni personaggi erano collegati alla Cantata dei pastori (conosciuta anche con il titolo Il vero lume tra le ombre), opera teatrale del drammaturgo Andrea Perrucci portata in scena ancora oggi. Solitamente i pastori avevano teste e arti in terracotta policroma, cartapesta o legno e occhi

in vetro, mentre il corpo presentava un’anima in fil di ferro modellato per permettere i movimenti. In questo periodo esplose una vera e propria moda tra gli aristocratici, che iniziarono ad allestire presepi nelle proprie case. La messa in scena doveva essere pronta qualche giorno prima di Natale e spesso veniva smontata il 2 febbraio, in occasione della Candelora. Era prassi visitare gli allestimenti nelle chiese e nelle abitazioni private, dove le famiglie facevano a gara per realizzare quello più bello e innovativo. Gli stessi sovrani borbonici furono contagiati da questa passione. Si racconta, per esempio, che Carlo terzo ogni anno

realizzava gli allestimenti e si divertiva a sistemare personalmente i pastori in un presepe che occupava diverse stanze della Reggia di Caserta. Invece sua moglie, la regina Maria Amalia, confezionava gli abiti delle figure insieme alle sue dame di compagnia. Ogni volta che il re iniziava un nuovo allestimento il popolo ne veniva informato tramite proclami, perché era considerato un vero e proprio evento. Il presepe piaceva anche ai nobili stranieri: nel 1734 la contessa Visconti della Pieve, viceregina d’Austria, incuriosita dalla fama dei presepi di un nobile partenopeo, coinvolse le sue dame e le sue guardie del corpo in una visita. Tra gli estimatori non mancavano gli intellettuali: per esempio, lo scrittore tedesco Wolfgang Goethe che, nel 1787, durante una tappa napoletana del suo viaggio in Italia lo paragonò a un palcoscenico. Ma c’era anche chi non lo apprezzava, come l’architetto della Reggia di Caserta, Luigi Vanvitelli, che lo definiva “una ragazzata”. La pratica di allestire grandi presepi presso le dimore nobiliari e dei ricchi borghesi proseguì fino ai primi dell’ottocento, quando iniziarono a essere maggiormente apprezzati i piccoli presepi (spesso consistenti nella sola natività contenuta in campane di vetro) e si diffuse la pratica del collezionismo dei pastori d’antiquariato. ALESSANDRA PAGANO STORICA DELL’ARTE

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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O P E R A D ’A R T E

anonimo

(15 87)

Il libro delle comete Risale alla fine del XVI secolo un manoscritto ricco di eleganti illustrazioni e dedicato alle comete che, secondo un’antica e usuale interpretazione dei fenomeni astrali, annunciavano disastri imminenti va nella biblioteca dell’Università di Kassel, in Germania, e la seconda nel Warburg Institute di Londra. Il testo, basato sul Liber de significatione cometarum del 1238, descrive la materia delle comete, il legame con i pianeti e il loro significato a seconda della forma, del colore e della posizione. L’edizione di Kassel contiene tredici illustrazioni, in cui sono rappresentate dieci comete, due piogge di stelle e un parelio (un fenomeno ottico atmosferico per cui intorno al sole appaiono altri dischi meno luminosi). Ogni cometa ha un nome speciale, in relazione al colore (Rosa e Argentum, per esempio) e alla forma (Scutella, da “scudo”).

e giallo, e ha una coda meravigliosa. Sotto il suo terrificante auspicio compare una città devastata dalle fiamme, mentre le persone fuggono dal fuoco che avanza incontrollato. Il chiarore delle fiamme illumina il paesaggio, e lo scintillio della cometa si riflette sulle nuvole. Nel libro questi corpi celesti sono rappresentati come ornamento del paesaggio e apportano alla scena un carattere più poetico che premonitorio di una sventura particolare. Per esempio la cometa Rosa, dal volto sorridente, sembra contemplare l’umanità con aria benevola. Il terrore che ispirarono le comete portò a studiarle con tanto di datazioni, descrizioni e classificazioni. Presagi di disastri Nel 1577 l’avvistamento della Grande L’aspetto di queste comete è a volte Cometa provocò scalpore in Europa e fantasioso, come quello della cometa attirò l’interesse di astronomi come il Veru (o Verù), che ha la forma di una danese Tyge Brahe. Questi confermò spada. Tre di esse non hanno coda, e che si trattava di un fenomeno celeste tutte mostrano una grandezza smisu- avvenuto oltre la luna e non di un fenorata rispetto al paesaggio. Mentre de- meno atmosferico, come fino ad allora scrive la cometa, l’autore ne indica pure avevano creduto numerosi scienziati e il significato. Per esempio racconta che anche l’autore di Des comettes, estraneo quando la cometa Aurora compare a ai progressi della scienza astronomica. Oriente con la testa bassa e la coda alta La sua opera è un meraviglioso gioiello ci saranno siccità, incendi o guerre. che parla di superstizioni millenarie. Nell’illustrazione che lo riguarda (e —Montserrat Villar che si vede sulla destra), l’astro è rosso l’illustrazione sulla sinistra mostra un parelio, fenomeno ottico dovuto alla rifrazione della luce solare: su un determinato tipo di nuvole si ha l’illusione che il sole si riproduca e moltiplichi in numerose macchie luminose. Il testo spiega che il giorno dopo la morte di Giulio Cesare «si mostrarono tre soli in Oriente, che man mano divennero uno», un segnale premonitore dell’unificazione dell’impero.

UNIVERSITÄTSBILIOTHEK KASSEL

UNIVERSITÄTSBILIOTHEK KASSEL

P

er millenni si attribuì alle comete un carattere profetico di morte e di devastazione. Questa funesta caratteristica non si perse neppure nell’Europa del tardo Rinascimento, e lo testimoniano un’infinità di scritti e di testi illustrati. Il libro Des comettes et de leurs signifiances generales et particulieres (Delle comete e dei loro significati generali e particolari) ne è un chiaro esempio. Quest’opera di autore sconosciuto venne pubblicata nel 1587. Sebbene da un più di un secolo fosse stata inventata la stampa a caratteri mobili, fu comunque scritta e illustrata a mano. Se ne conservano due copie leggermente diverse, anche se probabilmente elaborate da una stessa persona che scriveva e disegnava: la prima si tro-



CLEOPATRA E CESARIONE

Questo rilievo scoperto in una chiesa copta mostra il giovane Tolomeo XV davanti alla dea Iside, con la corona blu khepresh sul capo e in mano alcuni strumenti musicali chiamati sistri. Musée des Beaux-Arts, Lione. Alla pagina seguente, busto di Cleopatra VII. Neues Museum, Berlino. FOTO : ALAMY / ACI

CESARIONE EL SANTUARIO BIBLOS, LA CIUDAD DEL PAPÍRO

DE DELFOS

IL FIGLIO DI CESARE E CLEOPATRA 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


Dopo il soggiorno di Giulio Cesare in Egitto, Cleopatra partorì un bambino che chiamò Cesarione, il “piccolo Cesare”. Potenziale erede di un vasto impero, il giovane principe finì per essere una tragica vittima della lotta per il potere a Roma MIREIA MOVELLÁN LUIS INVESTIGADORA DE LA UNIVERSIDAD COMPLUTENSE DE MADRID

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GIULIO CESARE E CLEOPATRA

Cesare aiutò Cleopatra a conquistare il trono e tra i due nacque una storia d’amore, come illustrato in quest’olio di Pietro da Cortona. 1637. Musée des Beaux-Arts, Lione. TEMPIO DI HORUS A EDFU

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el 48 a.C. Giulio Cesare si recò in Egitto per imporre l’ordine di Roma sul regno dei Tolomei. Il generale romano depose il faraone Tolomeo tredicesimo provocando una disperata ribellione dei suoi sostenitori ad Alessandria. Una volta pacificata la città, Cesare confermò sul trono la sorella e moglie del monarca deposto, Cleopatra settima, che sposò un altro dei suoi fratelli, Tolomeo quattordicesimo. In segno di gratitudine la giovane regina, appena ventunenne, invitò Cesare, che aveva trent’anni più di lei, a una crociera sul Nilo a bordo di un lussuoso palazzo galleggiante. Nei due mesi successivi l’illustre ospite ebbe modo di scoprire le bellezze dell’Egitto

e di apprezzare il fascino di Cleopatra. Ben presto tra i due nacque un’intensa relazione passionale. Quando Cesare lasciò le terre del Nilo, Cleopatra era incinta del frutto del loro incontro. La regina non fece nulla per nascondere le origini del figlio, che nacque nel 47 a.C. Anzi, proclamò apertamente la paternità del generale romano assegnando al neonato il nome di Tolomeo Cesarione, cioè “piccolo Cesare”. I sacerdoti egiziani, dal canto loro, assicuravano ai fedeli che in realtà il dio Amon si era incarnato nel più potente uomo di Roma per generare quel bambino. La sontuosa corte di Alessandria aveva quindi un nuovo principe di origine divina. Alla fine del 46 a.C., su invito di Giulio Cesare, Cleopatra andò a Roma con il fi-

LA FINE DI UNA DINASTIA

47 a.C.

46 a.C.

Nasce ad Alessandria d’Egitto il figlio di Cesare e Cleopatra, chiamato Tolomeo Filopatore Filometore Cesare.

Accompagnata dallo sposo-fratello Tolomeo XIV e dal figlio Cesarione, la regina Cleopatra visita Giulio Cesare a Roma.

PRISMA

/ ALBUM

C R O N O LO G I A

BUSTO DI UN RE TOLEMAICO IN BASALTO NERO. FORSE TOLOMEO XII O TOLOMEO XV. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK.

NICO TONDINI / GETTY IMAGES

JOSSE / SCALA, FIRENZE

Questo tempio tolemaico dell’Alto Egitto dedicato al dio falco fu completato nel 57 a.C. sotto il regno del padre di Cleopatra, il faraone Tolomeo XII.


15-03-44 a.C.

Luglio 44 a.C.

34 a.C.

30 a.C.

Mentre Cleopatra si trova ancora a Roma, Giulio Cesare viene assassinato in senato. La regina rientra in Egitto con la famiglia.

Tornata in patria, Cleopatra trama l’assassinio di Tolomeo XIV e incorona suo figlio Cesarione con il nome di Tolomeo XV.

Marco Antonio riconosce ufficialmente Cesarione come figlio ed erede di Giulio Cesare e coreggente d’Egitto.

Ottaviano completa la conquista dell’Egitto. Cleopatra si suicida e il vincitore ordina l’esecuzione di Cesarione. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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El destino hijos Cesarione, ilCleopatra dio salvatore

RILIEVO DEL MAMMISI DI ARMANT. DESCRIPTION DE L’ÉGYPTE.

ADDITINCTIUM ARMANT, neiNOBITAT pressi divolum, Luxor, c’era ex excea un

grande nonsequ tempio iaeptaturem dedicato alla acea divinità et prasolare nienda Montu. que dendips Cleopatra aernatem fece costruire ditibus all’interno atur sim delipici complesso idel maunvoluptas piccolo santuario, am, suntilofficiemammisi ne(luogo et distdel laudictorum parto), in cui verum lei stessa faccatem era venerata et eiusdae. sottoRiate formaminti di Hathor doluptatum e suo figlio lant Cesarione que maionseque nelle vestinon di Harpra, pos alit ovvero odigenis il dioet solare porrum Horus. quam Gli que egittologi dolor rest, fecero quatat delle fugia copiequid particolareggiate qui ommodistota dei rilievi peri optati dell’edificio as unti prima occus cheetfosse et fugitae distrutto sinulla nel XIX volendia secolo. po IN DITINCTIUM UNO DI QUESTINOBITAT si vedonovolum, due dee exidenexcea tiche, nonsequ con testa iaeptaturem di vacca eacea sedute et pra su un nienda divano, queche dendips allattano aernatem due bambini ditibus anch’essi atur sim uguali. ipici Gli idelstudiosi ma voluptas identificano am, sunt i piccoli officiecon Harpra-Cesarione. ne et dist laudictorum Come osserva verum faccatem l’egittologa et Joyce eiusdae. Tyldesley: Riate minti «In undoluptatum periodo in cuilant si attendeva que maionseque con ansia non l’arrivo posdialit un odigenis salvatore,et Cesarione porrum venne quam al que mondo dolorinrest, un modo quatatchiafugia ramente quid qui divino». ommodistota peri optati a

GIULIO CESARE CON CORONA D’A LLORO Aureo coniato nel 44 a.C. nella Gallia Cisalpina. Sul recto appare l’effigie di Giulio Cesare con una corona d’alloro per commemorarne la proclamazione a dictator perpetuus.

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42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

glio e tutto il fasto del suo seguito. I romani erano attoniti. A infastidirli non era tanto il fatto che Cesare, noto seduttore, avesse avuto una relazione con Cleopatra, quanto piuttosto che questa fosse arrivata a Roma in compagnia del secondo marito Tolomeo quattordicesimo e Cesare l’avesse ricevuta con tutti gli onori ufficiali in una delle sue ville suburbane, gli Horti Caesaris (attualmente tra Monteverde e Trastevere), in qualità di alleata di Roma. Si diceva che durante gli incontri con i notabili romani “l’egiziana” (com’era stata sprezzantemente ribattezzata Cleopatra) tenesse sempre in braccio quel pargolo così simile a Giulio Cesare. Marco Antonio, luogotenente del dittatore, dichiarò al senato che questi aveva riconosciuto il figlio di fronte ai suoi più intimi amici. Da parte sua, Cesare non si curava di smentire quelle voci; anzi, non era per niente preoccupato dal fatto che il bambino si chiamasse Cesarione. L’alleanza tra Roma e l’Egitto rappresentava l’inizio di un ambizioso progetto imperiale che prevedeva anche un possibile

trasferimento dalla capitale ad Alessandria, e Cesare era consapevole che la sostenibilità a lungo termine di tale piano avrebbe potuto essere garantita solo dal suo unico erede – aveva avuto anche una figlia, Giulia, che aveva sposato Pompeo ed era morta di parto. Affinché il suo piano potesse realizzarsi, Roma doveva cessare di essere formalmente una repubblica. Ciò spinse Cesare ad accrescere ulteriormente i suoi già vastissimi poteri rendendo vitalizia la carica di dittatore (dictator perpetuus). Da quel momento in poi all’uomo forte di Roma fu concesso praticamente tutto, persino d’installare una statua dell’amante Cleopatra accanto a quella della dea Venere nel nuovo foro che aveva fatto costruire. Iniziarono anche a circolare pettegolezzi su una presunta nuova gravidanza della regina.

Un coreggente di tre anni La situazione cambiò bruscamente in seguito all’assassinio di Cesare da parte dei sostenitori del vecchio regime repubblicano nelle famose idi di marzo del 44 a.C. Cleopatra fu spiacevolmente sorpresa quando scoprì

ILLUSTRAZIONE: VALOR-LLIMÓS ARQUITECTURA

SCIENCE MUSEUM / AGE FOTOSTOCK


TEMPIO DI VENERE A ROMA

Il santuario si trovava in fondo alla piazza del foro di Cesare (che era lunga 160 m e larga 75 m). Situato su un alto podio, aveva otto colonne nella parte anteriore e nove sui lati, tutte di stile corinzio. All’interno, oltre a numerose opere d’arte e alla statua di culto della divinità, Cesare fece collocare una scultura in bronzo dorato raffigurante Cleopatra. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


TEMPIO DI HATHOR A DENDERA

Per legittimare suo figlio e ratificarlo come suo coreggente ed erede, Cleopatra fece incidere nel tempio di Dendera un rilievo che raffigura lei e Cesarione (sulla sinistra) davanti alla dea Hathor e al figlio Ihi (sulla destra).

NIGEL WESTWOOD / ALAMY / ACI


fatto che era il frutto dell’appassionata storia d’amore tra Cleopatra e il dittatore. Ma a Roma Ottaviano non riconobbe le origini del nuovo re d’Egitto, e molto opportunamente l’ex amministratore e uomo di fiducia di Giulio Cesare, Gaio Oppio, pubblicò un libro in cui sosteneva che la paternità vantata da Cesarione era falsa. Si trattava di un avviso a Cleopatra: con i nuovi signori di Roma avrebbe dovuto muoversi con cautela.

CLEOPATRA SCIOGLIE UNA PERLA NELL’ACETO DAVANTI A MARCO ANTONIO. OLIO DI GÉRARD DE LAIRESSE. 1700 CIRCA. PETERHOF, SAN PIETROBURGO.

AKG / ALBUM

MARCO ANTONIO

Nel corso di una cerimonia Antonio (sotto) riconobbe pubblicamente Cesarione come figlio di Cesare ed erede al trono d’Egitto. Busto. Musei vaticani, Roma.

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che Cesare nel suo testamento aveva nominato dei tutori per un “eventuale” figlio naturale e aveva designato suo erede il nipote Ottaviano, senza riconoscere Cesarione. In questa situazione confusa Cleopatra decise di rientrare in gran fretta in Egitto con il bambino, intuendo che le loro vite erano in pericolo. Una volta giunta ad Alessandria, la regina fece avvelenare il fratello Tolomeo quattordicesimo e nominò coreggente Cesarione, nonostante avesse solo tre anni. Da quel momento il figlio assunse il nome ufficiale di Tolomeo quindicesimo Cesare e gli appellativi di Filopatore (che ama il padre) e Filometore (che ama la madre), affinché nessuno più dubitasse del

Nel 34 a.C. Marco Antonio confermò Cleopatra sul trono d’Egitto e proclamò Cesarione “re dei re”

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46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Le speranze di Cleopatra si rinfocolarono nel momento in cui apparve al suo orizzonte Marco Antonio, il politico che in quegli anni stava contendendo a Ottaviano il controllo di Roma. Quando Antonio la fece chiamare a Tarso nell’autunno del 41 a.C., la regina capì che doveva giocarsi accortamente le sue carte per il bene del suo regno e del figlio. Come già era avvenuto con Giulio Cesare, Cleopatra ebbe una relazione con Antonio durante una crociera. Antonio trascorse l’inverno del 41-40 a.C. in Egitto; da quel momento i destini delle due figure sarebbero stati legati. Dalla loro unione nacquero due gemelli che furono identificati con delle divinità astrali: Alessandro Helios (il Sole) e Cleopatra Selene (la Luna). In seguito la regina ebbe un altro figlio con Marco Antonio, che chiamò Tolomeo Filadelfo. Nel frattempo Cleopatra espanse i suoi domini in Siria meridionale, a Cipro e in Africa settentrionale. Grazie alla strategia materna Cesarione si ritrovava a essere coreggente di un territorio sempre più vasto. Il momento di maggior gloria per Cleopatra arrivò durante una cerimonia tenutasi nel ginnasio di Alessandria nel 34 a.C., quando Marco Antonio confermò la regina sul trono d’Egitto e conferì a Cesarione il titolo di “re dei re”. Ma soprattutto riconobbe ufficialmente quest’ultimo come figlio legittimo di Giulio Cesare. Antonio mirava in questo modo a colpire le pretese politiche di Ottaviano presentandolo come un semplice usurpatore di fronte a quell’adolescente egizio nelle cui vene scorreva il sangue del dittatore. Antonio si occupò anche dei figli avuti con Cleopatra, che furono elevati al rango di altezze reali. Alessandro Helios fu nominato sovrano dei regni di Armenia, Media e Partia, in previsione di una loro futura conquista.

DEA / ALBUM

Un colpo contro Ottaviano


STELE DI CALLIMACO

Questa stele di granito scoperta nel tempio di Karnak fu scolpita in onore di Callimaco. L’iscrizione menziona Cleopatra e Cesarione. Museo egizio, Torino. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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I QUATTRO FIGLI DI CLEOPATRA Dopo la morte di Cesarione i suoi fratelli furono trasferiti a Roma. Qui si perdono le tracce dei due maschi. Di Cleopatra Selene si sa invece che sposò il re di Mauritania. CLEOPATRA ebbe quattro figli: uno con

AKG / ALBUM

CESARIONE. STATUA DI GRANITO ROSA CHE RAPPRESENTA IL FIGLIO DI CESARE E CLEOPATRA CON IL COPRICAPO NEMES. MUSEO NAZIONALE ROMANO, ROMA.

Giulio Cesare e tre con Marco Antonio. Dopo aver fatto giustiziare Cesarione, Ottaviano portò gli altri con sé a Roma come prigionieri e li fece sfilare in catene davanti al popolo in una pomposa parata trionfale. Poi l’uomo forte di Roma consegnò i tre bambini alla sua virtuosa sorella Ottavia affinché li educasse adeguatamente insieme ad altri giovani membri della famiglia imperiale. Della figlia femmina, Cleopatra Selene, si sa che sposò Giuba II, re di Numidia e poi della Mauritania, con cui ebbe diversi figli. Si ritiene che il suo corpo sia sepolto accanto a quello del marito nel mausoleo che la nuova dinastia mauritana fece costruire a Tipasa (Algeria). Non si sa invece nulla del destino degli altri due fratelli di Cleopatra Selene: il gemello Alessandro Helios e Tolomeo Filadelfo. Gli storici credono che i bambini non raggiunsero l’età adulta.


KENNETH GARRETT / GETTY IMAGES

CLEOPATRA SELENE E ALESSANDRO HELIOS, FIGLI DI MARCO ANTONIO E CLEOPATRA. STATUA IN PIETRA CALCAREA RAFFIGURANTE I DUE GEMELLI PROTETTI DA SERPENTI. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.


Aspecto físico L’aspetto dediCesarión Cesarione L’IMMAGINE più antica di Cesarione

proviene da alcune monete coniate a Cipro nel 44 a.C., quando era ancora un bambino tra le braccia della madre. Ciononostante esistono delle rappresentazioni scultoree successive nei musei di varie città del mondo (come per esempio Il Cairo, New York o la stessa Alessandria) in cui Cesarione appare con il tipico copricapo egizio e indossa un gonnellino shenti secondo l’iconografia tradizionale dei faraoni. TUTTE LE STATUE evidenziano i tratti

tondeggianti e marcatamente giovanili del soggetto, così come le folte ciocche che spuntano dalla chioma fluente e i grandi occhi aperti che sembrano scrutare con curiosità, ma anche con impotenza, lo svolgersi degli eventi.

TESTA DI UNA STATUA ATTRIBUITA A CESARIONE. L’IMMAGINE È STATA SCATTATA DURANTE UNA MOSTRA A LOS ANGELES. ZUMA PRESS / ALAMY / ACI

Il verso di questa moneta d’argento reca la scritta Aegypto capta (Egitto conquistato) in riferimento alla vittoria di Ottaviano. Staatliche Museen, Berlino.

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Tutto questo era troppo per Ottaviano, che dichiarò guerra all’Egitto e riuscì a sconfiggere Cleopatra e Antonio nella battaglia di Azio, al largo delle coste greche (31 a.C.). Consapevole dell’importanza di mettere innanzitutto in salvo Cesarione, Cleopatra riparò in gran fretta ad Alessandria e inviò il figlio a sud accompagnato dal suo tutore. I due risalirono il Nilo fino al villaggio di Copto (oggi Qift), non lontano da Tebe. Da qui partivano le rotte carovaniere che attraversavano il deserto orientale in direzione del porto commerciale di Berenice, sulle sponde del mar Rosso. Cesarione sapeva che quelle terre apparentemente inospitali, abitate da tribù selvagge di cavernicoli (i cosiddetti “trogloditi”), rappresentavano la sua unica via di fuga. Di qui avrebbe potuto lasciare l’Egitto e raggiungere via mare l’Arabia, o addirittura l’India, dove sarebbe stato sicuramente accolto come figlio di Cleopatra. E forse, un giorno, avrebbe potuto fare ritorno in patria e rivendicare il trono dei suoi antenati. Cesarione si trovava ancora in quella zona quando venne a sapere

dell’ingresso delle truppe romane ad Alessandria e del suicidio di Marco Antonio e di sua madre. Le circostanze raccomandavano una rapida fuga, ma il suo tutore gli fece credere che Ottaviano avrebbe avuto pietà di lui e gli avrebbe permesso di mantenere il suo regno. Di fatto, Ottaviano aveva davvero preso in considerazione l’idea di salvare la vita del giovane, ma uno dei suoi uomini di fiducia lo convinse del contrario: non era auspicabile che ci fossero in giro troppi “cesari”. E così Cesarione fu giustiziato non appena arrivato ad Alessandria, nell’agosto del 30 a.C. Il sogno di un faraone egizio-romano scomparve tragicamente e l’antico regno tolemaico fu ridotto a una provincia di Roma. JUAN PABLO SÁNCHEZ FILOLOGO CLASSICO

Per saperne di più

ROMANZI

Cleopatra Colleen McCullough. BUR, Milano, 2008. SAGGI

Cleopatra Ernle Bradford. Rusconi, Milano, 1994. Cleopatra S. Walker, S.A. Ashton. Il Mulino, Bologna, 2016.

ALBUM

L’EGITTO CONQUISTATO DA OTTAVIANO


CLEOPATRA E IL VINCITORE

Rinchiusa nel suo palazzo di Alessandria, Cleopatra chiese a Ottaviano un colloquio. Le fonti differiscono su quanto avvenne in seguito. Secondo Plutarco, Cleopatra lo implorò che risparmiasse la vita a lei e ai suoi figli. Cassio Dione riferisce invece di una regina determinata che cerca di sedurre il giovane Ottaviano. Olio del Guercino. XVII secolo. Musei capitolini.


AGRIPPINA L’A U G U S TA C H E V O L E V A R E G N A R E

La bisnipote del divino Augusto non volle attenersi al ruolo secondario che la società romana imponeva alle donne. Per questo, dopo aver sposato il proprio zio, l’imperatore Claudio, si propose di conquistare la corona per il figlio Nerone, che però finì per ucciderla


AGRIPPINA MINORE

Occhi grandi e a mandorla, fronte insolitamente stretta incorniciata da onde o ricci, labbra carnose e mento deciso: cosĂŹ veniva rappresentata Agrippina nei ritratti ufficiali. Busto in marmo. Museo Archeologico Nazionale, Napoli. DEA / ALBUM


AUGUSTO 27 a.C. 14 d.C.

AGRIPPA

TIBERIO 14-37

GIULIA

AGRIPPINA

LIVIA

DRUSO

ANTONIA MINORE

GERMANICO

MAGGIORE

GNEO DOMIZIO ENOBARBO

AGRIPPINA MAGGIORE

NERONE 54-68

LA FAMIGLIA GIULIO-CLAUDIA

I cinque Cesari di questa dinastia imperiale facevano parte di una complessa rete di parentela, come si può notare in questo albero genealogico semplificato.

CLAUDIO 41-54

OTTAVIA

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MESSALINA

BRITANNICO

isnipote del divino Augusto (fondatore dell’impero), nipote di Tiberio e figlia del grande Germanico, sorella di Caligola, moglie di Claudio, madre di Nerone... Questa era Agrippina minore, la matrona più famosa di Roma. Riuscì ad abbattere gli ostacoli che l’avrebbero voluta relegata in casa, ad occuparsi delle questioni domestiche, come ci si aspettava delle donne "virtuose" e, ancora giovane, raggiunse la dignità di Augusta, ponendosi sullo stesso piano del marito. Gli storici antichi – nessuno dei quali suo contemporaneo – intravidero nella rilevanza politica di Agrippina una crepa nella struttura patriarcale su cui si basava la società romana, e quindi le furono ostili. Associarono la sua condotta a quella, stereotipata, delle donne ribelli che non si sottomettevano alle regole sociali, e così le sue

CRISTIANO FRONTEDDU / ALAMY / ACI

CALIGOLA 37-41

azioni vennero presentate come frutto dell’irrazionalità, di una sessualità sfrenata, di una mancanza di scrupoli e di una smisurata ambizione. Agrippina è passata alla storia con questo pesante fardello. Solo ora la si comincia a considerare sotto una luce diversa.

Genitori famosi Donna dalla forte personalità, Agrippina ricevette una solida educazione e scrisse delle memorie in cui, secondo lo storico Tacito, che poté consultarle, «lasciò ai posteri ricordi della vita e delle sventure della sua famiglia».

15 d.C.

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TUTTO PER IL FIGLIO

Agrippina minore nasce nella guarnigione militare di Ara Ubiorum, in Germania. È figlia di Germanico e di Agrippina maggiore, nipote di Augusto.

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37 d.C.

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CAMMEO DELL’IMPERATORE CLAUDIO. KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, VIENNA. BP

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Muore Tiberio. Gli succede Caligola, fratello di Agrippina. Alla fine dell’anno la donna dà alla luce Nerone, figlio di Gneo Domizio Enobarbo.


IL PALATINO

Sul colle Palatino si ergevano le residenze degli imperatori. Vista delle rovine del Palatino dal circo Massimo, il più importante ippodromo del mondo romano.

La perdita di tale documento priva della sua voce per lasciarla alla mercé delle parole altrui. Non abbiamo dubbi sulla sua intelligenza, determinazione, forza e ricca esperienza nella corte imperiale, in seno alla quale crebbe e dove il suo carattere si temprò nel dolore. Agrippina nacque in un accampamento militare sulle sponde del Reno dalla coppia più popolare e amata di Roma: Germanico, nipote e figlio adottivo dell’imperatore Tiberio, nonché candidato alla successione, e Agrippina maggiore, la nipote favorita di Augusto. Una coppia il cui futuro venne spezzato in modo drammatico quando la piccola aveva soltan-

to quattro anni: il padre morì avvelenato in Siria, un crimine che la madre attribuì allo stesso Tiberio, preoccupato per la crescente popolarità di Germanico in seno all’esercito. Indipendentemente dalla sua responsabilità nel crimine, l’imperatore Tiberio negò al figlio adottivo gli onori di un funerale pubblico. La vedova, l’indomita Agrippina, giunse dall’Asia con le ceneri del marito e lo fronteggiò apertamente. Con grande dignità tenne in mano l’urna con le ceneri e, in compagnia dei figli e di una numerosa folla di cittadini afflitti, attraversò in silenzio le strade di Roma sino al mausoleo di Augusto. Qui depose

49 d.C.

54 d.C.

Agrippina sposa suo zio, l’imperatore Claudio. Porta a Roma Seneca, che era in esilio, e lo nomina precettore di Nerone. L’anno dopo riceve il titolo di Augusta.

Muore l’imperatore Claudio, forse dopo aver mangiato un piatto di funghi, avvelenati per ordine di Agrippina. Lo stesso giorno l’esercito e il senato acclamano imperatore Nerone.

L’ULTIMO DEI GIULIO-CLAUDI

Dopo aver dato alla luce Nerone, Agrippina consacrò la sua vita a ottenere il potere imperiale per il figlio. Busto dell’imperatore Nerone. Musei Capitolini, Roma.

59 d.C. Dopo essersi salvata in mare, Agrippina viene uccisa nella sua villa di Bauli da alcuni sicari mandati da Nerone. Il suo cadavere viene bruciato in tutta fretta nello stesso luogo. BRI

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MAUSOLEO DI AUGUSTO

quel che restava del marito. Tiberio non le perdonò mai un simile affronto e tramò la sua vendetta. Pochi anni dopo fece assassinare i suoi due figli maggiori e la esiliò in un’isola, dove la donna morì d’inedia. La giovane Agrippina minore visse tali orrori, che la turbarono e lasciarono nel suo cuore una traccia indelebile, con affranta impotenza. Decise dunque di non sfidare il potere e di tutelarsi nella discrezione del matrimonio.

Sopravvissuta a Caligola

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Con l’ascesa al trono imperiale del fratello Caligola – che avrebbe aiutato Tiberio a scendere nel regno delle ombre – Agrippina decise di farsi vedere. E in effetti una delle prime raffigurazioni che abbiamo di lei compare su una moneta coniata tra il 37 e il 41 d.C. Sul recto possiamo vedere il volto di Caligola; sul rovescio le sorelle Drusilla e Livilla rappresentano Concordia e Fortuna mentre Agrippina, appoggiata a una colonna, incarna Securitas, la dea della sicurezza e della forza dell’impero. L’imperatore coprì le tre sorelle di onori e le incluse nelle preghiere ufficiali; perfino i consoli concludevano le loro proposte al senato con la formula: «Che sia felice e fortunato per Gaio Cesare e per le sorelle». La vita MA

LE TRE SORELLE DI CALIGOLA Durante il suo governo Caligola fece coniare monete in cui lui compariva sul recto, mentre sul rovescio figuravano le tre sorelle Agrippina, Drusilla e Livilla. Museo archeologico nazionale, Siena.

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DEA / AGE FOTOSTOCK

AGRIPPINA MAGGIORE SBARCA A BRINDISI CON LE CENERI DELLO SPOSO GERMANICO. GAVIN HAMILTON. XVIII SECOLO. TATE MUSEUM.

TATE, LONDRA / RMN-GRAND PALAIS

Al centro dell’immagine compare il mausoleo di quest’imperatore, dove furono sepolti vari membri della sua famiglia. A sinistra, vicino al Tevere, si può vedere il Museo dell’Ara Pacis.

di Agrippina iniziava una fase di fulgore e di popolarità, culminata a ventidue anni con la nascita del suo unico figlio maschio, Nerone. Il padre era Gneo Domizio Enobarbo, il quale morì quando il bambino aveva appena tre anni. Agrippina sapeva quanto fosse importante un erede maschio e decise di ottenere per lui gli onori imperiali. Un’ambizione legittima la sua, giustificata dalla straordinaria nobiltà della sua stirpe e dall’abitudine delle matrone romane di affaccendarsi in favore dei propri parenti. A ciò si aggiungeva una forte vocazione personale per la politica. In una società che relegava le donne nella sfera domestica, era impensabile che Agrippina potesse ambire a cariche per sé: avrebbe dovuto soddisfare le sue brame indirettamente, cioè attraverso Nerone. Un compito arduo e pericoloso. Caligola cadde gravemente malato e, appena guarì, dette inizio a una sanguinosa fase di eliminazione dei rivali che ricordava i tempi peggiori di Tiberio. Forse Agrippina si accorse del pericolo, ma comunque non riuscì a schivarlo. Forse, suggeriscono alcuni stori-


NATA IN GERMANIA

COLONIA AGRIPPINA

MOSAICO A TEMA DIONISIACO SCOPERTO IN UNA VILLA ROMANA DI COLONIA FONDATA IN ONORE DI AGRIPPINA. RÖMISCHGERMANISCHES MUSEUM, COLONIA.

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BPK / SCALA, FIRENZE

ur con le sue luci e le sue ombre, la fase in cui Agrippina intervenne nelle questioni pubbliche fu tranquilla, prospera e segnata dal buon governo. Uno dei suoi meriti, quando era già Augusta, fu quello di fondare una colonia romana in Germania, nel villaggio dov'era nata il 6 novembre del 15 d.C. La fondazione di una città era un evento straordinario e di gran prestigio, di cui mai una donna si era resa protagonista nel mondo romano. Il nome assegnato al nuovo centro fu Colonia Claudia Augusta Ara Agrippinensium. Si tratta dell’attuale e florida città di Colonia, la cui popolazione supera oggi il milione di abitanti, e che è la quarta città tedesca per grandezza.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UN TEMPIO PER IL DIVINO CLAUDIO

Sul Celio, vicino al luogo dove si sarebbe eretto il Colosseo, Agrippina fece costruire un tempio in onore del marito defunto. Il complesso fu distrutto dall’incendio del 64 d.C. Sopra queste righe, vista del Foro romano, con il Colosseo in fondo a sinistra. ALAMY / CORDON PRESS


ci, cospirò contro il fratello e venne scoperta. A ogni modo, accusata di condotta immorale, fu condannata all’esilio. Un anno dopo l’assassinio di Caligola cominciarono nuove stragi e violente sommosse. Lo zio paterno, Claudio, prese il potere. Rievocò la condanna della nipote e le permise di tornare a Roma. Rimasta vedova, Agrippina sposò il ricco Gaio Sallustio Passieno Crispo.

Matrimonio imperiale Otto anni più tardi fu Claudio a diventare vedovo e si mise a cercare una nuova moglie. A quei tempi Agrippina era rimasta vedova per la seconda volta ed era indiscutibilmente la candidata di maggior rango nonché l’ultima sopravvissuta della famiglia. Giovane, bella e dai modi "onesti", aveva tra i molti meriti quello di aver condotto con sé il figlio, «un nipote di Germanico, per davvero degno della condizione imperiale». Sempre sagace, Agrippina impose come condizione delle proprie nozze il fatto che Nerone sposasse Ottavia, figlia minore dell’imperatore. Era innegabile che il matrimonio tra Claudio e Agrippina, celebrato nel 49 d.C., convenisse a entrambi. La nuova ed energica imperatrice infondeva entusiasmo e rispetto; emanava una spontanea autorità, e ciò dava i suoi frutti. Con abilità e tatto stabilì una relazione serena con il senato, impose a corte ordine e modera60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

METROPOLITAN MUSEUM / SCALA, FIRENZE

BRIDGEMAN / ACI

ROMA BRUCIA Rappresentazione dell’incendio di Roma del 64 d.C. Hubert Robert (1733-1808). Musée des Beaux-Arts Andre Malraux, Le Havre, Francia.

zione e risolse assieme al marito le questioni dell’impero. Si meritò il titolo di Augusta, che l’accostava per dignità e autorità all’imperatore, al cui fianco si presentava in pubblico – un comportamento inedito – senza per questo venir biasimata dai contemporanei. Una volta un re britanno e la sua famiglia furono esposti in catene per le strade della città e conclusero il percorso davanti a Claudio. Seduto su un trono sopra un podio e circondato dai pretoriani, l’imperatore si commosse nel sentire il discorso del condannato, perdonò lui e la famiglia e li liberò. Loro ringraziarono prima Claudio e poi anche Agrippina, che si trovava in un palco non lontano. Anni dopo Tacito se ne sarebbe scandalizzato: «Era un fatto nuovo, aberrante rispetto alle vecchie tradizioni, che una donna sedesse dinnanzi alle insegne militari romane». La sua esperienza di vita, segnata dai crimini di cui erano stati vittime numerosi parenti, amici e membri della propria famiglia (solo una sorella morì per cause naturali) spinse Agrippina a pianificare per tempo l’ascesa al potere del figlio.


MORTE DI BRITANNICO

DUE MADRI IN LOTTA

Pochi mesi dopo la morte del padre Claudio, Britannico fu avvelenato durante un banchetto, sicuramente dietro ordine di Nerone. Incisione di Alexandre Denis Abel de Pujol. XIX secolo.

MESSALINA E AGRIPPINA

Nel suo primo discorso davanti ai senatori Nerone manifestò subito il proposito secondo il quale, diversamente da quanto sperava la madre, Agrippina non sarebbe rimasta al suo fianco nel governo dell’impero. Non lo avrebbero certo permesso i suoi consiglieri, Seneca e Burro, a suo tempo nominati precettori da Agrippina e divenuti ormai potenti: credevano che il posto di una donna fosse la casa e che pure l’Augusta Agrippina dovesse adeguarsi a tale condizione. Tuttavia, anziché incassare il colpo, questa cercò invano d’intervenire nelle questioni di stato o almeno di esercitare la propria influenza sul figlio diciassettenne. Intuiva che Nerone correva dei rischi, perché trascurava i propri doveri da imperatore e, invece di occuparsi della moglie, con cui avrebbe dovuto procreare un erede, si dava al piacere con una liberta. Agrippina non si fece

L’IMPERATORE CLAUDIO

Agrippina sposò lo zio Claudio quando questi rimase vedovo di Messalina dopo averla fatta giustiziare per alto tradimento. Sotto, testa in bronzo dell’imperatore. British Museum.

SCALA, FIRENZE

Voleva che ciò accadesse senza lotte intestine e senza violenza. Una previsione importante, poiché anche Claudio aveva un figlio maschio, anche se più giovane: Britannico. Agrippina mise quindi a punto un sistema efficace: presentarlo a poco a poco, tramite piccoli gesti di grande valore simbolico, come il successore prescelto. Nerone compariva in pubblico con la coppia d’imperatori, fu colmato di cariche e omaggi, sposò la figlia di Claudio e venne adottato legalmente dall’imperatore. In tal modo Nerone acquisì maggiore prestigio del figlio biologico di Claudio e la sua priorità nella successione era assicurata. Un’azione politica che Britannico non dovette digerire troppo bene. Anche se la salute di Claudio era pessima, in molti ne attribuirono la morte ad Agrippina, che avrebbe ordinato di avvelenarlo per paura che ci ripensasse e respingesse Nerone quale erede. Non ne abbiamo prove ma, a ogni modo, la donna agì con una tale intelligenza che, poche ore dopo la morte di Claudio, Nerone fu riconosciuto imperatore dall’esercito e dal senato.

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a più temibile nemica di Agrippina fu l’imperatrice Messalina. Sposata con Claudio, aveva già una figlia quando venne assassinato l’imperatore Caligola. Nella confusione che ne seguì, la guardia pretoriana trovò Claudio nascosto dietro una tenda e lo proclamò imperatore. Pochi giorni dopo Messalina diede alla luce un figlio, Britannico, l’unico discendente maschio del divino Augusto. Ma il popolo romano preferiva Nerone al figlio di Messalina e lo manifestò a gran voce durante i Ludi Sæculares, giochi celebrati ogni cento anni per invocare prosperità e libertà per il popolo romano. Per Agrippina il pericolo era immenso, e ciò che salvò lei e Nerone fu un grave errore di Messalina: si espose troppo con il nuovo amante Gaio Silio e per questo, informato dal liberto Narciso, Claudio la condannò a morte. Agrippina poté quindi sposare Claudio e conquistare l’impero per sé e per Nerone.


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AGRIPPINA, ALLA PARI DEI CESARI ella città di Afrodisia, nell’attuale Turchia, si ergeva in epoca romana il cosiddetto Sebasteion, un enorme complesso dedicato alla dea Afrodite e agli imperatori della dinastia giulio-claudia. Il santuario venne iniziato nel 20 d.C., durante il governo di Tiberio, e la sua edificazione si protrasse sino al regno di Nerone, nel 60 d.C. Finanziato dalle più ricche famiglie della città, il Sebasteion era decorato con bei rilievi in marmo di eccellente qualità – il materiale era stato portato da una vicina cava – che rappresentavano temi associati agli dei, ai miti e agli imperatori coevi, mostrati quali eroi e in compagnia di diversi membri della famiglia imperiale. I due che vediamo qui (esposti dal 2008 in una nuova sala del Museo di Afrodisia) dimostrano l’importanza che la propaganda ufficiale assegnava ad Agrippina, rappresentata sullo stesso piano del marito Claudio e del figlio e futuro imperatore Nerone.

Agrippina e il marito, l’imperatore Claudio – ritratto in un nudo eroico e vestito solo con un mantello e una corona sul capo –, sono esaltati come coppia imperiale. Gli sposi si tengono la mano, posa che a Roma simboleggiava la concordia coniugale. AGRIPPINA INCORONA NERONE 2

Con in mano una cornucopia, simbolo di abbondanza e di prosperità, Agrippina posa sulle tempie del figlio una corona d’alloro, investendolo del potere imperiale. Il nuovo imperatore indossa vesti militari, e ha posato l’elmo a terra per essere incoronato.

1. MARTIN SIEPMANN / ALBUM. 2. PAUL WILLIAMS / ALAMY / ACI

CLAUDIO E AGRIPPINA 1


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LA BARCA AFFONDA

La nave che trasportava Agrippina dalla villa di Nerone alla propria affondò. Tuttavia, Nerone non aveva considerato che la madre era un’eccellente nuotatrice. Olio di Gustav Wertheimer. XIX secolo.

UN REGALO LETALE PER LA MADRE Dopo diversi tentativi infruttuosi di uccidere la madre, Nerone pensò di assassinarla usando una barca truccata perché affondasse nel golfo di Napoli. Sotto, rappresentazione di una barca su una moneta coniata ad Alessandria durante l’impero di Nerone. The National Maritime Museum, Haifa.

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scrupoli nel criticare il figlio, e ben presto ne nacquero accese dispute. La tensione tra i due ormai giunta a un livello intollerabile, si aggravò quando Nerone fece assassinare Britannico durante un banchetto.

CULTURE IMAGES / ACI

ANTONIO BUSIELLO

PAVIMENTO IN MOSAICO DI UNA VILLA SOMMERSA NEL GOLFO DI NAPOLI, A BAIA, DOVE SI TROVAVA NERONE QUANDO FECE ASSASSINARE LA MADRE.

Tradita dal figlio Ancora prima che scadesse il primo anno sul trono, Nerone ordinò quindi ad Agrippina di stabilirsi fuori dalla residenza imperiale, e senza scorta. Lei tornò nell’ombra, ma stavolta le tenebre non erano così fitte da permetterle di scomparire e di difendersi dall’odio del figlio. La sua esistenza era per l’imperatore un giogo dal quale voleva liberarsi. Con il pretesto di una riconciliazione Nerone la invitò a cena in una delle sue ville costiere e in quell'occasione si mostrò più che affettuoso. Dopodiché le offrì una barca perché tornasse comodamente a casa, e lei accettò serena. Durante il viaggio l'imbarcazione si sfasciò e Agrippina cadde in acqua, ma riuscì a raggiungere la riva a nuoto. Angosciato per il fallimento del piano e spronato dai suoi consiglieri, Nerone mandò dei sicari nella villa dove la donna si era rifugiata. Agrippina non voleva accettare che il suo stesso figlio avesse intenzione di ucciderla ma, davanti

all’evidenza, mostrò con un gesto drammatico il ventre ai criminali perché la colpissero lì dove aveva portato in grembo Nerone. Per coprire il matricidio Nerone e i consiglieri si accordarono su una versione scellerata: Agrippina aveva cercato di uccidere l’imperatore e, non riuscendo nell'intento, si era tolta la vita. E perché risultasse più convincente, le ascrissero ogni sorta di crimini: dissero che aveva «sperato di dividere con lui il potere, di far giurare nel nome di una donna le coorti pretorie» e che voleva trascinare nel degrado il popolo di Roma e il senato. Così si concluse, nel 59 d.C., l’avventura esistenziale e politica dell’Augusta Agrippina: senza onori funebri, con la reputazione distrutta. Perfino il giorno del suo compleanno venne dichiarato nefasto. ISABEL BARCELÓ CHICO SCRITTRICE. AUTRICE DEL LIBRO MUJERES DE ROMA. HEROÍSMO, INTRIGAS Y PASIONES

Per saperne di più

SAGGI

Io, Agrippina Andrea Carandini. Laterza, Roma-Bari, 2018. Nerone Edward Champlin. Laterza, Roma-Bari, 2010.


CENERI DI AGRIPPINA

IL PRESUNTO SEPOLCRO

TOMBA DI AGRIPPINA QUESTE ROVINE PRESSO BACOLI SONO CONOSCIUTE CON TALE NOME, MA S’IGNORA SE L’IMPERATRICE VENNE DAVVERO SEPOLTA QUI.

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ISTOCK / GETTY IMAGES

er sincerarsi della morte della madre, Nerone si spostò dalla villa di Baia a quella di Agrippina a Bauli, a breve distanza. Gli schiavi della casa erano fuggiti e dovette trovarla così come l’avevano uccisa i sicari. Per cancellare le tracce del crimine, mobili e vesti vennero impilati all’esterno così da formare una pira. Sopra, distesa su un triclinio a mo’ di letto funebre, fu arsa l’Augusta Agrippina. Il suo liberto Mnestere non volle sopravviverle e si tolse la vita mentre le fiamme ancora ardevano. Le ceneri di Agrippina furono sepolte vicino alla strada che unisce Baia e Miseno. A Bacoli si conservano delle rovine note come tomba di Agrippina, anche se pare non lo fosse davvero.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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NERONE E IL CADAVERE DI AGRIPPINA el 1887 Arturo Montero y Calvo presentò un quadro intitolato Nerón ante el cadáver de su madre Agripina (Nerone davanti al cadavere della madre Agrippina), oggi proprietà del Museo del Prado e in deposito al Museo de Jaén. Rappresenta il momento in cui Nerone osserva il cadavere della madre dopo averne ordinato l’uccisione. Così raccontano gli storici antichi, tra i quali Svetonio in Vite dei Cesari: «Sarebbe accorso per vedere il cadavere, avrebbe palpato le sue membra, criticato alcune parti del suo corpo, elogiato altre e di tanto in tanto, preso dalla sete, avrebbe bevuto. Tuttavia […] non poté mai, né allora né in seguito, far tacere i rimorsi».


MUSEO NACIONAL DEL PRADO, CONSERVATO AL MUSEO DI JAÉN


ALLEGORIA DELLA PESTE

BPK / SCALA, FIRENZE

La morte, rappresentata con le ali e in sella a un cavallo nero, colpisce gli esseri umani con delle frecce simboleggianti l’epidemia. Tavoletta di Biccherna, Siena. 1437. Staatliche Museen, Berlino.

68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


LA PESTE NERA

LA RINASCITA DOPO LA CATASTROFE I sopravvissuti alla strage causata dalla peste che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1353 si dedicarono al difficile compito della ricostruzione

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UN PORTO MEDIEVALE

L’espansione del commercio nel XIV secolo contribuì alla diffusione della peste. Miniatura del XV secolo. Bodleian Library, Oxford. IL CANAL GRANDE DI VENEZIA

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a peste nera e il suo impatto sull’Europa occidentale sono rimasti incisi nella memoria di generazioni di europei, sia attraverso i resoconti degli eventi, che ancor oggi trovano spazio nei manuali scolastici, sia tramite la nuova e macabra iconografia con cui a partire da allora s’iniziò a rappresentare la morte. L’arrivo dell’epidemia nel vecchio continente non fece che rafforzare i pregiudizi sugli ultimi secoli del Medioevo, un’epoca che nell’immaginario collettivo è diventata sinonimo di caos, sporcizia e arretratezza. Ma in realtà la catastrofe che spazzò via tra un terzo e la metà della popolazione del continente fu in gran parte il risultato dei

STRADA DELLA MORTE

70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

progressi compiuti dalla società medievale. La morte nera raggiunse infatti l’Europa attraverso le reti commerciali che già dalla fine dell’undicesimo secolo univano Europa e Asia, e che ebbero la loro massima espressione nella politica commerciale di due città-stato come Genova e Venezia, i cui interessi si estendevano dal Medio Oriente all’Europa settentrionale. L’attività quotidiana dei porti del Mediterraneo o delle dinamiche città anseatiche del Baltico e del mare del Nord, e la caotica vitalità che animava fiere, mercati e strade cittadine erano il riflesso di un mondo molto più connesso di quanto potrebbe sembrare a prima vista. E che proprio per questo motivo si ritrovò

1347-1348

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LA MORTE NERA arriva a Costantinopoli e si diffonde in Grecia, Calabria e Sicilia. Poi raggiunge i Balcani, la Francia, il nord d’Italia e Spagna e il sud dell’Inghilterra.

LA PESTE colpisce l’Europa

centrale, parte della Polonia e arriva in Scandinavia. Si diffonde nel centro dell’Inghilterra, in Irlanda e nel sud della penisola iberica.

BUENA VISTA IMAGES / GETTY IMAGES

ORONOZ / ALBUM

Furono le navi di Genova e Venezia, due città commerciali per eccellenza, a trasportare la peste dalle coste del mar Nero fino ai porti del vecchio continente.

1350 L’EPIDEMIA continua la sua

progressione attraverso l’Europa e i Paesi Bassi. Subiscono il contagio gran parte di Germania e Danimarca e le coste di Polonia, Svezia e Scozia.


1351-1353 ANCHE la Germania orientale

e il resto della Polonia soccombono alla malattia, che prosegue la sua diffusione in Russia espandendosi a Mosca e nelle regioni limitrofe.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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UN OSTACOLO ALLA RIPRESA DEMOGRAFICA

1347 1348 1349 1350 1351 1352-1353

STRAGE DI FANCIULLI

ORONOZ / ALBUM AKG / ALBUM

LA PESTE NON DEVASTÒ l’Europa solo tra il 1347 e il 1351, ma vi s’installò stabilmente. Anche se non tornò più ad attaccare con la virulenza dei primi anni, accompagnò costantemente le società europee fino alla sua definitiva eradicazione nel XIX secolo. Già solo in quello che restava del XIV secolo il continente vide accendersi nuovi focolai della malattia nel 1366, nel 1374 e nel 1400. Il secondo di questi episodi fu soprannominato la “peste dei bambini”: gran parte delle vittime infatti erano minori, che insieme agli anziani rappresentavano il gruppo più vulnerabile al contagio. Quindi ogni nuovo scoppio di peste non solo decimava la popolazione del continente, ma ostacolava ogni possibilità di ripresa demografica, poiché colpiva le nuove generazioni.

1346

Il quadro di Giovanni Baleison mostra un carro con i cadaveri di due bambini, e una madre con il figlio morto in grembo. 1481. Chapelle Saint-Sébastien, Venanson.

INGHILTERRA di il mondo era drasticamente cambiato. Improvvisamente nelle principali città europee iniziarono a verificarsi migliaia di decessi inspiegabili. Mentre i cadaveri in attesa di sepoltura si accatastavano nelle fosse comuni, la strage di contadini svuotava anche le campagne. La morte non risparmiava nessuna classe sociale, dai lavoratori edili fino ai rappresentanti più altolocati degli ambienti aristocratici. Perfino le famiglie reali vedevano con stupore come la peste portava via senza pietà i loro cari.

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Santiago

GALLO Lisbona

PORTO

Come si può comprendere il profondo impatto che ebbe la peste nera su un’intera generazione? In quel periodo venne prodotta una grande quantità d’immagini che dimostravano una nuova sensibilità nei confronti della morte, improvvisamente rappresentata ovunque tramite la figura di uno spoglio scheletro. Negli affreschi, nelle miniature dei manoscritti e nelle ballate la triste mietitrice con la falce in mano stroncava indiscriminatamente la vita di contadini,

Bristol

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G OLF O DI BIS CA GLIA

La danza della morte

MERCATO DEL GRANO. MINIATURA ITALIANA DEL XV SECOLO. BIBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA, FIRENZE. ORONOZ / ALBUM

Dublino

IRLANDA

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM. FOTO: RAMON MANENT / ALBUM

particolarmente esposto agli effetti devastanti della malattia. Le origini della peggiore epidemia di peste della storia si situarono nel centro delle regioni asiatiche. Partita dall’India settentrionale e dalle steppe dell’Asia centrale, la peste superò i suoi tradizionali confini ambientali e raggiunse l’Europa proprio grazie al dinamismo commerciale dell’epoca. La porta d’ingresso fu la Crimea: nel 1347 gli abitanti della città di Caffa in fuga dai mongoli portarono la malattia a Messina e in altre città del Mediterraneo. A partire da quel momento la morte nera si diffuse senza controllo in tutto il continente sfruttando le reti del traffico marittimo e stradale e le intense attività commerciali su piccola scala. La peste sbarcò in Europa nel 1347; solo cinque anni più tar-

Santander

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Siviglia Guadalquivir Cadice GRANADA Alm Ceuta Fez


L’ABBRACCIO MORTALE DELLA PANDEMIA

LA PESTE NERA, RAFFIGURATA NEL LIBRO DELLE ORE DEL CONVENTO DI SANTA CHIARA. BERNAT MARTORELL. 1430-1435. ARXIU HISTÒRIC DE LA CIUTAT, BARCELLONA.

LA PESTE NERA che colpì tutta Europa in una serie di ondate mortifere proveniva dalla Crimea, dove nel 1346 si erano registrati i primi casi. Nell’ottobre del 1347 alcuni galeoni salpati dalle coste del mar Nero e diretti in Sicilia portarono l’epidemia a Messina. Nel 1348, dopo essere state espulse dal porto di Genova, alcune navi infette raggiunsero le coste francesi e spagnole ampliando l’area di contagio. La peste seminò morte e distruzione in tutto il continente arrivando a mietere la vita di più di un terzo dei suoi abitanti.

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Il Cairo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL TRIONFO DELLA MORTE

Con quest’olio Pieter Bruegel il Vecchio dimostra come la morte non risparmia nessuno, neppure il paesaggio. 1562 circa. Museo del Prado. ALBUM



IN FUGA DALLA PESTE

Questa miniatura del XV secolo illustra un episodio del Decameron, i cui dieci protagonisti raccontano delle storie per sfuggire alla terribile realtà che li circonda. Bibliothèque de l’Arsenal, Parigi.

artigiani, badesse e magnati, e in alcuni casi persino degli stessi regnanti. Le cosiddette “danze della morte” sono forse l’espressione più elaborata di questa nuova sensibilità plasmata dalla tragedia. Nell’immaginario si sarebbe sviluppato un modo molto concreto di raffigurare la morte e i suoi effetti, che avrebbe travalicato i confini del mondo medievale per trovare alcune delle sue manifestazioni più significative nel sedicesimo secolo con le opere di Hans Holbein il Giovane e di Pieter Bruegel il Vecchio.

Opportunità di fortuna Parallelamente alla presenza costante di quest’ombra scura, l’intera società si ritrovò a essere attraversata da una nuova tendenza

La peste raggiunse Tortosa (Tarragona) nel 1348. Qualche anno prima, nel 1331, era stata consacrata la cattedrale di Santa Maria (nell’immagine).

vitalista e gioiosa. Dopo il primo focolaio del 1347 la peste colpì gli europei in molte altre occasioni. Chi sopravvisse alle diverse epidemie iniziò a dedicarsi a una celebrazione della vita che poteva assumere le forme più svariate. L’opera che forse ha lasciato maggiormente il segno, per la sua bellezza e il suo tono volutamente naïf e seducente, è il Decameron di Giovanni Boccaccio. La trama è nota: per sfuggire all’epidemia di peste che infuria a Firenze dieci giovani si ritirano in una villa di campagna. Nei dieci giorni successivi le sette donne e i tre uomini che compongono il gruppo raccontano a turno delle storie in cui s’intrecciano comicità, filosofia, erotismo e arguzia, dando vita a un meraviglioso affresco dell’epoca. Mentre il mondo crolla attorno a loro, i personaggi fantasticano sui piaceri della vita e sulle possibilità offerte da una nuova società. Dopo la strage iniziale la peste portò con sé non solo disgrazie ma anche nuove opportunità. Prima del diffondersi dell’epidemia l’Europa si trovava al culmine di un SCULTORI RAPPRESENTATI NEL RILIEVO ALLA BASE DELLA NICCHIA DEI QUATTRO SANTI CORONATI. ORSANMICHELE, FIRENZE. AKG / ALBUM

MANUEL COHEN / AURIMAGES

JOSSE / SCALA, FIRENZE

LA CATTEDRALE DI TORTOSA


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IL TRIONFO DELLA MORTE QUESTO AFFRESCO, oggi esposto nella Galleria regionale della Sicilia di palazzo Abatellis (Palermo), fu dipinto intorno al 1450 da un maestro anonimo per decorare il cortile di palazzo Sclafani, sempre a Palermo. In quegli anni l’edificio fu trasformato in un ospedale in cui si curavano le vittime delle epidemie di peste, come quelle scoppiate in città nel 1422 e nel 1437. Il dipinto, che segue i canoni del genere noto come “trionfo della morte”, offriva ai malati una lezione morale che dava senso alla loro sofferenza. Lo scheletro della morte avanza con un arco in pugno, in sella a un cavallo bianco anch’esso scheletrico. In basso, le cataste dei cadaveri di chi è stato colpito dalle frecce della morte, metafora della peste. Sono tutti re, vescovi e persone di alto rango. Sulla sinistra, un gruppo di persone umili prega per sfuggire all’epidemia. In basso a destra, una donna e un uomo colpiti anch’essi dai dardi della peste cercano di guarire con l’aiuto dei loro cari. In alto a destra, rappresentazione di un’atmosfera idillica con dame, cavalieri e musicisti intorno a una fontana.

TRIONFO DELLA MORTE. AFFRESCO ANONIMO. 1450 CIRCA. GALLERIA REGIONALE DELLA SICILIA, PALERMO. 78 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SCALA, FIRENZE

In alto a sinistra, un uomo tiene al guinzaglio due mastini, forse simbolo delle passioni triviali.


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LA PESTE E LA GUERRA CAVALCANO INSIEME

ciclo di espansione. La popolazione del continente cresceva da generazioni a un ritmo considerevole, ma le risorse non erano aumentate di pari passo. I sintomi di esaurimento si potevano scorgere già prima dello sbarco della morte nera sulle coste europee: dalla fertilità decrescente dei terreni arati ai cicli di cattivi raccolti, fino alla spirale di fallimenti bancari che si verificarono in alcune regioni all’inizio del quattordicesimo secolo. Anche le crisi di sussistenza furono una costante per tutto il corso del secolo. Da questo punto di vista la peste arrivò nel peggior momento possibile, quando il vecchio continente era densamente popolato e mal nutrito. Una volta passato l’inferno degli anni 1347-1351 e seppelliti i morti, lo scenario cambiò significativamente. Le città si lasciarono alle spalle le immagini dei cadaveri accatastati e il terrore collettivo (quegli anni

Questa miniatura delle Grandi cronache di Francia ricostruisce la battaglia di Crécy dell’agosto del 1346, quando gli arcieri inglesi distrussero la cavalleria francese.

ORONOZ / ALBUM ERICH LESSSING / ALBUM

LA PESTE IN CAMPAGNA

Con la diminuzione della popolazione, chi restava nei campi poteva ottenere concessioni dai signori. Miniatura di Les Très Riches Heures du Duc de Berry. Musée Condé, Chantilly.

videro un proliferare incessante dei testamenti) per aprirsi alla nuova atmosfera di opportunità. La manodopera scarseggiava e la carenza di lavoratori qualificati comportava una costante rinegoziazione dei contratti e un conseguente aumento dei salari. Le oligarchie urbane si trovarono in difficoltà: i vari tentativi dei governi di limitare le retribuzioni e tenere sotto controllo il lusso indicano che, dopo la peste, il problema delle città non era tanto la lotta alla povertà o alla stagnazione ma la gestione delle nuove forme di ricchezza.

Fortune inattese Oltre all’aumento dei salari, l’ondata di morti causata dall’epidemia ebbe un altro effetto inaspettato sul piano economico: l’accumulo della ricchezza da parte dei superstiti. Chi aveva perso i parenti, vicini o lontani, iniziò a ricevere le eredità dei defunti. In campagna come in città si registrò una concentrazione della proprietà, e le borse si riempirono di soldi come mai prima d’allora. In una società ancora scossa dall’impatto della tragedia che l’aveva devastata, quest’i-

COPPA RIVESTITA DI DIASPRO GRIGIO E ORO. XV SECOLO. PALAZZO PITTI, FIRENZE.

AKG / ALBUM

DEA / ALBUM

L’ARRIVO DELLA PESTE in Europa coincise con le prime fasi della Guerra dei cent’anni. Mesi prima che la malattia sbarcasse a Messina, inglesi e francesi avevano già incrociato le spade a Crécy, la prima battaglia campale del conflitto, che si risolse a favore degli inglesi. Seguirono quelle di Poitiers nel 1356 e di Agincourt nel 1415. La peste e la guerra cavalcarono fianco a fianco per tutto il XIV secolo. La catastrofe causata dall’epidemia andò a sommarsi alle devastazioni provocate dai combattimenti. Nella seconda metà del XIV secolo, sui campi di battaglia francesi, scozzesi, italiani, castigliani e aragonesi, si registrò un’escalation senza precedenti delle lotte tra le potenze europee, che aggravarono gli effetti della crisi demografica.

SCONTRO CAMPALE


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RINGRAZIAMENTO

Costruzione di una chiesa. Maestro di Ávila. XV secolo. Scena di un quadro dedicato a san Michele, cui si attribuiva la fine di un’epidemia di peste scoppiata a Roma nel VI sec.

ORONOZ / ALBUM

CHIESA DI SAN ROCCO

L’abbandono dei campi Nelle campagne la grande strage favorì le aspettative dei contadini. Sebbene avesse avuto un impatto maggiore sugli ambienti urbani, l’epidemia ebbe delle ricadute importanti anche sul settore agricolo perché provocò lo spopolamento delle aree rurali e l’esodo verso le città. Data la grande quantità di terreni abbandonati, i contadini sopravvissuti si trovarono a disporre di nuovi campi, molti dei quali avevano meno obblighi feudali rispetto a quelli su cui già lavoravano. Dalla seconda metà del quattordicesimo fino a gran parte del quindicesimo secolo si registrarono tensioni tra i contadini, sempre più consapevoli dei loro diritti di proprietà e riluttanti a farsi carico delle pretese signorili, e un’aristocrazia fondiaria che vedeva il suo stile di vita compromesso dalla diminuzione del reddito proveniente dai 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

possedimenti agricoli. La nuova situazione generatasi nelle campagne non passò inosservata agli investitori urbani, che intravidero nell’acquisto di terreni un’opportunità di guadagno. Questi cambiamenti esacerbarono le tensioni sociali. In tutta Europa si rimettevano in discussione i vecchi rapporti di potere come dimostravano le proteste degli artigiani della lana fiorentini, dei contadini catalani, dei membri dei movimenti antifiscali inglesi o delle jacquerie (sollevazioni antifeudiali) francesi. E anche in ambito religioso non mancavano le aspirazioni al rinnovamento con l’emergere di proposte mendicanti e rigoriste. Una volta che il caos originato dalla peste nera si fu assestato, la fisionomia del paesaggio europeo si ritrovò profondamente cambiata. ALBERTO RECHE ONTILLERA UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA. ISTITUTO DI STUDI MEDIEVALI

Per saperne di più

SAGGI

La morte nera. Storia dell’epidemia che devastò l’Europa nel Trecento John Hatcher. Bruno Mondadori, Milano, 2010. La peste nera e la fine del Medioevo Klaus Bergdolt. Piemme, Segrate, 2002. ROMANZI

La morte nera Candace Robb. Piemme, Segrate, 2005.

PIERE BONBON / ALAMY / ACI

niezione di denaro si concretizzò in un aumento del lusso senza precedenti: l’arte suntuaria (cioè l’arte della lavorazione di oggetti preziosi), l’oreficeria e le feste di corte costituirono diverse manifestazioni di questo fenomeno, così come il nuovo modo di concepire il lavoro e gli affari.

Alla fine del XV sec. fu eretto a Venezia un tempio dedicato al protettore degli appestati. La cupola e l’abside sono originali; il resto è stato ristrutturato nel XVIII secolo.


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LA LEGGENDA DI SAN ROCCO la peste nera portò alla nascita di nuove forme di culto religioso come quella dedicata a san Rocco, il protettore degli appestati. Nato a Montpellier alla fine del XIII secolo o all’inizio del XIV secolo, Rocco si dedicò alla cura dei malati di peste che incontrò durante un pellegrinaggio a Roma. La leggenda narra che finì per contrarre lui stesso la malattia e si ritirò a vivere in una grotta, finché non fu guarito da un angelo. Mentre cercava di fare ritorno a Montpellier, Rocco fu arrestato in territorio lombardo con l’accusa di essere una spia. Venne rinchiuso in una prigione, dove morì. Il santo divenne famoso come protettore dalla peste e il suo culto si diffuse ampiamente nel corso di tutta l’Età moderna. È ad esempio il patrono della città di Santiago de Compostela fin dal 1518, anno in cui la città fu colpita da un’epidemia di peste e i suoi abitanti invocarono il santo in loro aiuto. La figura di san Rocco è stata oggetto di varie rappresentazioni artistiche. Qui vediamo il santo in un’opera di un maestro tedesco della metà del XV secolo.

1 SAN ROCCO Il santo è raffigurato alla maniera di un pellegrino, con bastone, copricapo e mantello. Sulla gamba sinistra è visibile il bubbone causato dalla malattia.

2 IL C ANE Quando si rese conto di aver contratto la malattia, san Rocco si ritirò nella foresta, dove si nutriva con le pagnotte che il cane di un ricco signore gli portava quotidianamente.

FINE ART IMAGES / ALBUM

3 L’ANGELO La guarigione definitiva di San Rocco avvenne con l’apparizione di un angelo, che qui è raffigurato mentre cauterizza la ferita del santo.

LA GUARIGIONE DI SAN ROCCO. OPERA CONSERVATA PRESSO IL MUSEO DI BELLE ARTI DEL LONTANO ORIENTE DI CHABAROVSK (RUSSIA).


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UNA VISIONE ROMANTICA

Nel XIX secolo Gustave Doré ricostruì la marcia dei giovani attraverso la Germania: nell’immagine portano il bastone pastorale, cantano e innalzano uno stendardo. Alla pagina seguente, croce processionale francese del XIII secolo. INCISIONE: GRANGER / AURIMAGES. CROCE: ALBUM


LA CROCIATA DEI FANCIULLI UN ’AV VE NTU R A ME D I E VAL E Nel 1212 due giovani pastori guidarono i rispettivi movimenti di bambini che speravano di liberare la Terra Santa, un episodio tra storia e leggenda ancora poco conosciuto


L’ANNUNCIAZIONE

Il suo appello alle crociate contro i catari e gli almohadi portò alla nascita del movimento dei fanciulli. Sotto, il papa e san Francesco in un dipinto di Taddeo Gaddi. XIV secolo. DEA / ALBUM

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el 1212 s’incrociarono le strade di tre pastori. Due di loro lo erano in senso proprio: un giovane francese di nome Stefano e un ragazzo tedesco chiamato Nicola. L’altro era papa Innocenzo terzo, che con il suo vincastro conduceva il grande gregge del mondo cristiano sulla“retta via”. Innocenzo, che aveva passato i cinquant’anni, era preoccupato che i nemici della sua Chiesa potessero distruggerla. A suo avviso alcuni di essi la danneggiavano dall’interno, come gli eretici catari del sud della Francia. Altri la minacciavano dall’esterno, come avveniva in Terra Santa, dove nel 1187 i musulmani avevano sbaragliato gli eserciti crociati occupando Gerusalemme e impossessandosi della reliquia della Vera Croce su cui era morto Gesù. Più vicino, a sud dei Pirenei, la gigantesca ombra del califfato almohade si proiettava sui cinque regni cristiani della penisola iberica. Innocenzo non era rimasto impassibile di fronte al pericolo.

Nel 1204 aveva organizzato una crociata per recuperare Gerusalemme (ma gli avidi partecipanti avevano preferito conquistare la ricca Costantinopoli piuttosto che dirigersi verso la Città Santa). Nel 1209 ne aveva avviata un’altra contro i catari (che s’impantanò nelle terre del conte di Tolosa, presunto protettore degli eretici). E nel 1211 aveva chiamato a una nuova crociata, questa volta contro gli almohadi.

Gli innocenti Nella primavera del 1212 Innocenzo ravvivò quel fervore battagliero ordinando che si organizzassero predicazioni, processioni e litanie per promuovere la partecipazione alle crociate contro i catari e gli almohadi. A Roma tali cerimonie si svolsero il 16 maggio, mentre in Francia ebbero luogo intorno al 20 dello stesso mese, come accadde per esempio a Chartres. La predicazione ebbe una conseguenza del tutto inattesa nelle regioni settentrionali della Francia e della Germania, che ormai da un secolo erano una fucina di volontari per le crociate. Fino ad allora erano stati dei soldati di professione ad assumersi il compito di contenere i nemici della cristiani-

LEROY ARTHUR / AGE FOTOSTOCK

INNOCENZO III, PAPA NEL 1212

DEA / GETTY IMAGES

Un angelo annuncia la nascita di Gesù ai pastori, che saranno i primi ad adorarlo. Rilievo del fonte battesimale della chiesa di San Giovanni in Fonte, Verona. XII secolo.


CATTEDRALE DI CHARTRES

La predicazione delle crociate promossa da Innocenzo III suscitò un gran fermento spirituale nella regione di Chartres, dove già nel 1146 si era tenuto un concilio per preparare la seconda crociata.


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tà e riconquistare i luoghi santi. Ma avevano fallito dove faceva più male: a Gerusalemme. Ora, tra lo stupore generale, a incaricarsi della missione sarebbero stati quegli individui che sembravano i meno adatti a un tale compito: una moltitudine di ragazzi (pueri) e ragazze (puellae) il cui obiettivo non era né la Spagna né il sud della Francia, bensì Gerusalemme.

Sopra, sigillo di Filippo II Augusto. Sovrano di Francia dal 1180 al 1223, Filippo partecipò alla terza crociata nel 1191 insieme al re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone.

La crociata di Stefano Secondo il Chronicon Universale dell’anonimo di Laon, nel giugno del 1212, «un fanciullo di nome Stefano, pastore proveniente dal villaggio di Cloyes, nei pressi della città di Vendôme, disse che il Signore gli era apparso con le sembianze di un umile pellegrino e gli aveva dato del pane e delle lettere per il re di Francia». Probabilmente Stefano era andato a Chartres per partecipare alle cerimonie di predicazione della crociata promosse dal papa, visto che Cloyes apparteneva alla diocesi di Chartres e distava dalla città solo una settantina di chilometri. Senza pensarci due volte, Stefano andò alla ricerca del sovrano francese Filippo secondo, che si era stabilito nella famosa abbazia benedettina di Saint-Denis. L’arrivo del pastorello e dei suoi seguaci coincise con la fiera del Lendit, che si svolgeva a Saint-Denis ogni anno dal secondo mercoledì di giugno al 24 dello stesso mese e a cui partecipavano mercanti provenienti da tutta Europa. In quei giorni si registrava la maggior affluenza di pellegrini nell’abbazia, all’interno della cui basilica erano sepolti i re di Francia. Stefano si presentò in mezzo a quel trambusto «con la sua compagnia di pastori». Secondo l’anonimo cronista, «era seguito da quasi trentamila persone provenienti da diverse zone della Gallia», che riconoscevano quel «santo

SYLVAIN SONNET / CORDON PRESS

IL MONARCA FRANCESE

fanciullo Stefano» come loro maestro e guida. Secondo la Barnwell Chronicle (Cronaca di Barnwell), i bambini dichiaravano di dover andare a recuperare la Vera Croce. Puntavano insomma a raggiungere Gerusalemme. Si può immaginare lo stupore del monarca di fronte a quella moltitudine di ragazzi esaltati che innalzavano sopra le loro teste centinaia di croci e bandiere cantando con Stefano: «Dio nostro Signore, glorifica la Cristianità!

Il re di Francia rimandò a casa le migliaia di giovani radunatisi a Saint-Denis BATTAGLIA DI HATTIN. LA SCONFITTA CRISTIANA COMPORTÒ IL PASSAGGIO DELLA VERA CROCE NELLE MANI DEL SALADINO. FINE ART / ALBUM 90 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


BASILICA DI SAINT-DENIS

Nel 1212 la corte di Filippo II Augusto risiedeva nell’abbazia di Saint-Denis, di cui faceva parte questo grande tempio dove fu sepolto il re, come anche i suoi predecessori e successori.

Dio nostro Signore, lascia che la Vera Croce venga a noi!». Ma il re non si fece impressionare. Non si sa se ricevette Stefano o lesse le sue lettere, di cui ignoriamo il contenuto. Ma, secondo l’anonimo di Laon, il sovrano consultò i teologi dell’Università di Parigi in merito a «quella fiumana di bambini» e questi gli chiesero di rimandarli a casa. Così fece, e la vicenda si chiuse «con la stessa semplicità con cui era iniziata». Non stupisce la decisione dei teologi di respingere quella peculiare crociata: non era stata convocata dalla Chiesa e minacciava di sfuggire al suo controllo; era inoltre capeggiata da un pastore analfabeta che si riteneva il portatore di un mandato proveniente né più né meno che da Cristo. Molti dei cronisti ecclesiastici, che scrissero

FU DAVVERO UNA CROCIATA DI BAMBINI? SECONDO ALCUNI studiosi la crociata dei fanciulli non fu dav-

vero tale. Nel 1977 lo storico olandese Peter Raedts ha evidenziato che il termine latino pueri (plurale di puer) non designava solo chi era giovane in termini di età, ma anche coloro che erano “piccoli” in termini sociali, che appartenevano cioè agli strati più bassi della popolazione. Altri hanno sottolineato che, sebbene nel movimento ci fossero adulti (uomini, donne e anziani la cui presenza è citata nelle fonti), il termine pueri si riferiva a maschi di meno di 15 anni, l’età legale per il matrimonio, e che nelle fonti viene usato anche il termine infantes, inequivocabilmente connesso alla fanciullezza. Secondo altri ancora, invece, l’idea che il movimento fosse composto solo da bambini apparve dopo la sua conclusione.


ORONOZ / ALBUM

NAVE MERCANTILE DEL XIII SECOLO

Miniatura delle Cantigas de Santa María, San Lorenzo de El Escorial. Marsiglia e Genova, le mete dei bambini francesi e tedeschi, erano i due principali porti del Mediterraneo.

quando il movimento si era ormai spento, ritennero ovvio il fallimento proprio perché non era stato ispirato da Dio. I pueri vennero anzi sospettati di eresia, quando non di peggio: per il monaco Matthew Paris, che scrisse più di vent’anni dopo gli eventi, Stefano era un impostore, un messo di Satana responsabile di aver condotto quei fanciulli alla morte. Che fine fecero dunque i bambini e il loro capo? Il seguito della vicenda non è chiaro, anche se molto probabilmente la maggior parte di loro se ne tornò a casa. Ma una certa tradizione, non scevra da elementi mitici, sostiene invece che cercarono di recarsi a Gerusalemme, come scrisse il monaco Alberico delle Tre Fontane nel suo Chronicon. Secondo questa versione tardiva degli eventi, un gran numero di pueri avrebbe raggiunto Marsiglia seguendo il loro pastore. Questi viaggiava a bordo di un carro coperto da una tenda per proteggersi dal sole e si circondava di giovani di classe nobile, che si erano uniti al movimento e formavano la sua corte privata. Stefano e quella folla di bambini riuniti nel porto di Marsiglia confidavano nella divina provvidenza per raggiungere la Terra Santa. L’aiuto di Dio parve materializzarsi in due mercanti, tradizionalmente conosciuti come Ugo il Ferreo e Guglielmo il Porco, che misero a disposizione dei bambini sette navi. I ragazzi s’imbarcarono entusiasti, solo per scoprire poco dopo gli orrori del mondo. Alberico racconta che due delle navi affondarono a causa di una tempesta vicino all’isola di San Pietro, di fronte alle coste della Sardegna, mentre

FRED FROESE / GETTY IMAGES

i passeggeri delle altre cinque imbarcazioni furono consegnati dai due infidi mercanti ai pirati musulmani dell’Africa settentrionale. Le bambine e i bambini della Lorena finirono schiavi nei campi, nelle botteghe, nei palazzi e negli harem dei “nemici della fede”. Al di là di questa fantasiosa sequenza di eventi, sembra che alcune bande di pueri francesi avessero effettivamente raggiunto la Renania mendicando e pregando. La loro presenza in quella zona potrebbe essere stata

I fanciulli francesi imbarcatisi a Marsiglia furono venduti come schiavi STEFANO, SUL SUO CARRO, GUIDA LA MARCIA DEI BAMBINI. INCISIONE DEL XIX SECOLO. UIG / ALBUM

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GERUSALEMME, LA CITTÀ SANTA

La spianata delle moschee vista dal monte degli Ulivi. Obiettivo finale della crociata dei fanciulli, Gerusalemme ritornò solo brevemente in mani cristiane tra il 1229 e il 1244.

all’origine di un altro pellegrinaggio infantile, più grande di quello francese e guidato anch’esso da un giovane pastore, Nicola, proveniente dalle campagne che circondavano la prospera Colonia. Anche lui, come Stefano, diceva di aver ricevuto un mandato divino.

La predicazione di Nicola Secondo gli annali dell’abbazia di Schäftlarn, «un fanciullo di nome Nicola radunò una moltitudine di bambini e donne con i quali un angelo gli aveva ordinato di recarsi a Gerusalemme per salvare la croce del Signore». I suoi seguaci affluirono a Colonia nei primi quindici giorni di maggio del 1212 muniti di bisaccia e bastone dei pellegrini. Portavano con sé delle croci, probabilmente

DAI BAMBINI AGLI INNOCENTI NELLA SUA cronaca scritta intorno al 1232, Alberico delle Tre

Fontane racconta che papa Gregorio IX fece costruire sull’isola di San Pietro la chiesa dei Novelli Innocenti per rendere omaggio ai giovani crociati morti anni prima durante il naufragio delle due navi partite da Marsiglia. Secondo Alberico, i corpi dei piccoli riportati a riva dal mare furono depositati nella chiesa stessa, dove potevano essere ossequiati dai pellegrini. In tal modo quell’ambigua crociata di contadini giovani e poveri veniva messa in collegamento con un culto preesistente: quello dei santi innocenti, i bambini fatti uccidere da re Erode. Il cronista Richer di Senones paragonò questi ultimi ai ragazzi tedeschi morti di fame durante il viaggio verso il mare: una fine più dolorosa della spada, poiché l’inedia uccide al termine di sofferenze atroci.


Mosè attraversa il mar Rosso alla guida degli israeliti. Miniatura della Bibbia di san Luigi, conservata presso la cattedrale di Toledo. Nicola di Colonia credeva che il mare si sarebbe aperto davanti a lui come aveva fatto con Mosè. ORONOZ / ALBUM

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che li avrebbe rispediti in patria. Centinaia o migliaia di loro, delusi dal fallimento, non fecero mai più ritorno a casa. Gli artigiani e i commercianti di Genova, così come di altre dinamiche città industriali dell’Italia settentrionale, avevano bisogno di grandi quantità di manodopera a buon mercato e furono ben lieti di proporre ai pueri di fermarsi a vivere lì. La crociata tedesca dei bambini, che era iniziata come un movimento pregno di fervore religioso, si risolse in una prosaica migrazione di lavoratori. Molti di quei giovani pellegrini si stabilirono per sempre a sud delle Alpi. In Renania la rabbia e il dolore dei genitori, che non avevano potuto impedire alla loro progenie di andarsene, si sfogarono contro il padre di Nicola, che venne impiccato per aver incitato alla predicazione il figlio. Di quest’ultimo, non si seppe mai più nulla.

L’esempio dei più piccoli Si è detto che quel movimento non può essere considerato una vera e propria crociata in quanto non fu il papa a convocarlo. Ma è innegabile che alcuni dei partecipanti avevano formulato i voti dei crociati, la cui validità era riconosciuta dalla Chiesa stessa. Ne è una testimonianza il fatto che nel 1220 papa Onorio terzo liberò da quei voti un «povero studente» di nome Otto. La Chiesa avrebbe inoltre utilizzato l’esempio della dedizione totale dei bambini per caldeggiare una nuova crociata, la quinta, che venne promossa a partire dal 1213. Come disse allora un predicatore parigino, la cristianità chiamata a prendere la croce era come una pianta irrorata dalla fede. Se ogni cristiano era parte di questa pianta nutrita dalla linfa vitale di Cristo, quelli più vicini alla terra (e a Cristo stesso) erano proprio «quei piccoli innocenti» che avevano preso la croce l’anno prima. E che avrebbero dovuto rappresentare per tutti un modello. ENRIQUE MESEGUER STORICO

Per saperne di più

ROMANZI

La crociata dei bambini M. Schwob. SE, Milano, 1988. SAGGI

La crociata dei fanciulli F. Cardini, D. Del Nero. Giunti, Firenze, 1999.

DARYL BENSON / GETTY IMAGES

UN ESEMPIO PER NICOLA

simili a quella di Nicola: l’emblema del giovane pastore era la croce tau, oggetto di particolare venerazione da parte dei francescani in quanto associata alla povertà e all’umiltà caratteristiche del loro ordine. Come nel caso francese, anche i pueri tedeschi venivano visti con profonda diffidenza dalle gerarchie ecclesiastiche: «Erano degli sciocchi che avevano preso la croce senza riflettere», si legge negli annali dell’abbazia di Marbach. Né la lontananza da Gerusalemme né le profondità del mare sembravano rappresentare un ostacolo per Nicola. Il ragazzo riteneva infatti che, quando avessero raggiunto le sponde del Mediterraneo, le sue acque si sarebbero aperte, com’era accaduto a Mosè durante la fuga degli ebrei dall’Egitto. Lui e i suoi seguaci avrebbero raggiunto Gerusalemme camminando sul fondale marino senza neppure bagnarsi i piedi. Nicola si mise dunque a capo dell’enorme comitiva, la cui presenza fu registrata nella città renana di Spira il 25 luglio di quell’anno. Le tappe del viaggio dei pueri tedeschi verso il mare trovano infatti riscontro nella documentazione dell’epoca, a differenza di quanto avvenne ai loro contemporanei francesi. Da Spira i bambini marciarono verso sud e attraversarono le Alpi, in un’odissea le cui difficoltà rasentano l’inimmaginabile. Spossati dalla fame, dal caldo e dalla fatica, molti conclusero la loro vita in qualche tomba anonima sul ciglio della strada o decisero di tornare a casa. I superstiti raggiunsero Piacenza a fine agosto. Avevano percorso quasi settecento chilometri in un mese. Da Piacenza peregrinarono altri centocinquanta chilometri fino al porto di Genova, dove arrivarono in più di settemila. Qui il loro viaggio giunse al termine: nonostante le preghiere, infatti, il mare si rifiutò di aprirsi davanti a loro. Forse qualcuno, spinto dal desiderio di raggiungere Gerusalemme, arrivò fino a Brindisi. Altri probabilmente si recarono a Marsiglia. Altri ancora potrebbero essere arrivati a Roma ed essere stati ricevuti da Innocenzo terzo,


MOSCHEA DI IBN TULUN, IL CAIRO

Secondo la tradizione, fu il sultano d’Egitto al-’Adil a comprare la maggior parte dei bambini francesi che i due mercanti traditori di Marsiglia avevano venduto come schiavi ai pirati musulmani dell’Africa settentrionale.


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1212 Marcia di Stefano di Cloyes e dei suoi seguaci verso Marsiglia.

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1251 Contadini e pastori sotto uno stendardo con l’agnello e la croce attaccano gli ebrei (Bourges) o sfidano la nobiltà (Bordeaux).

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Per un centinaio d’anni la predicazione delle crociate suscitò un forte entusiasmo popolare nel nord della Francia e in Germania. Ciò portò alla nascita di vari movimenti spontanei costituiti da persone umili, il cui scopo era strappare Gerusalemme ai musulmani. La crociata dei bambini fu il primo di essi.

1320 I contadini che aspirano a combattere l’islam in Spagna commettono atrocità anche contro gli ebrei e vengono repressi dagli eserciti reali.

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Il mondo sarà dei poveri Questi movimenti popolari avevano diverse caratteristiche in comune. Sorsero nella zona tra la Normandia e la Renania e furono di breve durata: sbocciavano intorno a Pasqua e si concludevano in estate. Nacquero e si svilupparono ai margini della Chiesa che li guardò con sospetto o li condannò, ed erano formati da gente umile.

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I capi della crociata dei bambini erano due pastori, Stefano di Cloyes e Nicola di Colonia. Altri due movimenti simili guidati da adulti furono le cosiddette “crociate dei pastori” (pastoureaux, nel francese dell’epoca) del 1251 e del 1320. Nel Medioevo, infatti, i pastori rappresentavano il livello più basso della società rurale. L’esaltazione reli-

giosa era alimentata da personaggi che sostenevano di essere in contatto diretto con Dio, come Stefano e Nicola o il Maestro d’Ungheria. Nel 1251 quest’ultimo sostenne di aver ricevuto dalla Madonna l’ordine di radunare i pastori: sarebbero stati loro, gli umili, a recuperare i luoghi santi, poiché l’orgoglio dei nobili aveva disgustato Dio.


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1212 I fedeli di Nicola di Colonia giungono a Genova e vengono dispersi. Molti restano a vivere in Italia e non tornano più in patria.

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CROCIATE POPOLARI Aree dove la predicazione delle crociate suscitò un intenso fervore popolare Crociata dei bambini (1212):

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Movimenti documentati Movimenti incerti o mitici

Crociata dei pastori (1251) Crociata dei pastori (1320) Scontro armato con truppe della nobiltà o della corona Attacchi contro gli ebrei

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

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IL ROMANZIERE DI LONDRA

Fotografia di Charles Dickens alla scrivania. Nella pagina seguente la copertina di Le avventure di Oliver Twist illustrata da George Cruikshank con diversi episodi del romanzo. BRITISH LIBRARY / ALBUM. COPERTINA: SCALA, FIRENZE

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LA LONDRA DI

CHARLES DICKENS Nelle sue opere Charles Dickens lasciò la testimonianza di una città in cui convivevano un’estrema ricchezza e una miseria che, come lui stesso confessò a un giornalista, «si spinge ben oltre l’umana comprensione»

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essuno meglio di Charles Dickens riuscì a cogliere i due volti della Londra della sua epoca. Un volto raggiante, che avanzava a grandi passi verso il futuro, e un altro oscuro, fatto di povertà e sfruttamento minorile. Dickens non era nato a Londra, bensì a Portsmouth. Quando aveva dieci anni i genitori, John ed Elizabeth, si erano trasferiti in una casetta di mattoni gialli in Bayham Street, a Camden, allora nella periferia di Londra. L’edificio, come gli altri del quartiere, era piccolo ma nuovo. Oltre ai genitori e ai quattro fratelli, vi vivevano anche un parente della madre e un servitore. John Forster, buon amico e biografo di Dickens, descrisse Camden come «la parte più povera della periferia», ma ciò non corrispondeva al vero. Nel 1822 Camden era un quartiere abitato dalla classe media, in questo caso da bottegai e da liberi professionisti con le rispettive famiglie. Forster si lasciò probabilmente suggestionare dal mondo dickensiano, come del resto succede anche a noi: vengono subito in mente bambini poveri, sporchi e affamati, fabbriche terribili e strade sudicie. Quel lato fosco sarebbe entrato ben presto nella vita di Dickens, ma non era ancora giunto il momento.

Il volto oscuro di Londra

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LA CITTÀ PIÙ GRANDE DEL PIANETA Londra in cui arrivò Dickens nel 1822, a dieci Lvoltaaanni, non era la stessa che vide per l’ultima nel 1870, quand’era ormai cinquantottenne.

MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK

Alla fine del 1823 la famiglia Dickens si trasferì al numero 4 di North Gower Street, vicino Euston, in una casa più grande e più centrale. Nel nuovo quartiere le strade erano pavimentate e la vita più cara. I Dickens avevano ormai sei figli ed erano sempre a corto di denaro. In David Copperfield, forse il romanzo più autobiografico dello scrittore, compare il personaggio di Wilkins Micawber, modello di uomo povero ma ottimista, il quale crede sempre che in qualche modo riuscirà a sbarcare il lunario. Ebbene, per creare tale personaggio Dickens s’ispirò proprio a suo padre, John. È famosa la battuta di Micawber: «Entrate annue 20 sterline, uscite annue 19 sterline, 19 scellini e 6 pence, uguale felicità! Entrate annue 20 sterline, uscite annue 20 sterline, 0 scellini e 6 pence, uguale miseria!». In poco tempo la realtà della famiglia Dickens cominciò a orientarsi verso la seconda parte dell’equazione. In qualsiasi epoca,

Da poco più di un milione di abitanti era passata a quasi quattro, l’area urbana era cresciuta a dismisura e gli omnibus, i treni, la metro, l’illuminazione pubblica, il sistema di fognature e i rinnovamenti urbanistici ne avevano cambiato il volto. Tuttavia, le strade mantenevano un contrasto tra povertà e ricchezza senza paragoni con le altre città dell’Europa occidentale.


Il terreno del romanziere

BRIDGEMAN / ACI

La zona evidenziata in questa cartina del 1862 indica i luoghi di Londra presenti nelle opere di Dickens. Tranne rare eccezioni lo scrittore ignorò il sud del Tamigi, occupato da magazzini, banchine e terreni fangosi e inutilizzati. I luoghi più ricorrenti sono Westminster (non a caso Dickens iniziò la sua carriera come corrispondente al parlamento) e la cattedrale di Saint Paul. LONDRA A VISTA D’UCCELLO DA SAINT PAUL, CON LA ZONA BORGHESE DELLA CITY IN PRIMO PIANO E L’AREA POVERA E INDUSTRIALE DELL’EAST END IN FONDO.

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UNA GUARDIA MOSTRA A UNA FAMIGLIA IN VISITA A NEWGATE LE MASCHERE FUNEBRI DI CRIMINALI FAMOSI LÌ GIUSTIZIATI. QUANDO IL CARCERE CHIUSE, OGNI CALCO VENNE VENDUTO A CINQUE STERLINE.

ma soprattutto ai tempi dello scrittore, Londra era una città accogliente per i ricchi e dura per i poveri. Ai primi offriva infiniti divertimenti e le ultime meraviglie della tecnologia come il treno, la metropolitana, il telegrafo e l’elettricità, innovazioni che sarebbero entrate tutte nella vita di Dickens. Invece i poveri erano costretti a giornate lavorative di dodici ore per salari che a volte non bastavano neppure per pagare un letto e un pasto frugale. E fu così che Dickens conobbe il lato oscuro di Londra: per far fronte ai crescenti debiti della famiglia, appena compiuti i dodici anni fu tolto dalla scuola e dalla sua serena vita da ragazzino della classe media per essere mandato a lavorare in una fabbrica, dove guadagnava sei scellini a settimana. Poco dopo il padre fu arrestato per un debito di quaranta sterline e dieci scellini, e la famiglia dovette abbandonare la casa in North Gower Street. Il piccolo rimase da solo in una stanzetta vicino alla fabbrica, mentre il resto della famiglia andò a vivere nel carcere di Marshalsea, un edificio lugubre a quattro chilometri di distanza, sulle sponde del Tamigi e vicino al London Bridge. Marshalsea era l’incubo di tutti i debitori della città.

L’ombra del carcere Nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo un debitore rimaneva in prigione fino all’estinzione del debito. Le prigioni non erano pubbliche, bensì private, ragion per cui i galeotti dovevano pagarsi il soggiorno; in tal modo il costo del proprio mantenimento si sommava al debito che aveva causato l’arresto. Se si era poveri, come nel caso dei Dickens, anche la famiglia del debitore si trasferiva spesso nel carcere pur di risparmiare. I prigionieri convivevano stipati in piccole celle, nelle quali entravano fino a dodici persone. Non c’è da stupirsi che morissero d’inanizione o di malattie, e che il freddo d’inverno (ovviamente non c’era il riscaldamento) o il caldo d’estate avessero la meglio su di loro.

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esperienza della prigione non era estranea L’ a molti londinesi. Oltre al carcere per debitori di Marshalsea, si poteva finire in quello

FOTO: BRIDGEMAN / ACI

Improvvisamente il piccolo Charles Dickens si vide privato della sua infanzia tranquilla e conobbe in prima persona l’esperienza del lavoro minorile

PRIGIONI CHE ACCETTAVANO VISITE di Newgate, che ai tempi di Dickens cominciò ad accogliere i condannati a morte: lì Oliver Twist incontra un Fagin in attesa di essere impiccato. Dickens era stato di persona a Newgate: nel 1836 aveva già descritto una visita alla prigione in una serie di suoi bozzetti, Schizzi di Boz, poiché due volte a settimana il carcere apriva al pubblico.


LA PRIGIONE DI NEWGATE ALLA FINE DEL XIX SECOLO. L’ULTIMA ESECUZIONE AVVENNE NEL 1902, ANNO IN CUI FU DISTRUTTA. SULLO SFONDO, LA CATTEDRALE DI SAINT PAUL.

NEL 1872 G. DORÉ PUBBLICÒ ASSIEME A W. B. JERROLD LONDON. A PILGRIMAGE (LONDRA. UN PELLEGRINAGGIO), DOVE MOSTRAVA LA VITA DEGLI EMARGINATI, COME QUESTI GALEOTTI DI NEWGATE OBBLIGATI A CAMMINARE IN CERCHIO.

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INFANZIA SFRUTTATA

Poiché Marshalsea era una prigione privata, i carcerati più danarosi avevano accesso a un bar, a un ristorante, a un emporio e potevano pure allontanarsi durante il giorno. Ma per la stragrande maggioranza la prigione per debiti era un pozzo dal quale risultava difficile uscire. In un altro dei romanzi di Dickens, Little Dorrit (La piccola Dorrit), per esempio, il personaggio di William rimane tanto a lungo a Marshalsea che i figli crescono dentro il carcere.

Londra non c’era niente di più economico A della manodopera infantile, e Dickens l’aveva provato sulla propria pelle. Al pari di Oliver Twist, parecchi bambini e bambine erano costretti a lavorare in cambio di un miserrimo vitto. Altri erano venduti o affittati dalle famiglie, oppure venivano abbandonati e dovevano cavarsela da soli. A Londra erano moltissimi i piccoli che si affannavano per qualche scellino: si pensa che ve ne fossero tra i dieci e i ventimila impegnati in lavori da strada. Pulivano scarpe, raccoglievano gli escrementi dei cavalli (tutti i giorni ce n’erano a tonnellate per le strade della città), portavano i bagagli dei passeggeri di treni e omnibus, consegnavano le merci dei negozi, trasportavano telegrammi, vendevano giornali, fiammiferi o fiori. Durante la bassa marea i mudlarks (ragazzini di strada) cercavano monete o qualsiasi resto di una qualche utilità nel fango del Tamigi. Chi lavorava come spazzacamino moriva di asfissia o per le “verruche da fuliggine”, nome popolare dato al cancro che si sviluppava dalle ferite sul lavoro.

Un segno indelebile

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LUSTRASCARPE IN UNA FOTOGRAFIA SCATTATA NEGLI ANNI SETTANTA DEL XIX SECOLO.

FOTO: BRIDGEMAN / ACI

Molto spesso i prigionieri si affidavano ai famigliari perché raccogliessero il denaro utile a recuperare la libertà. Charles contribuì come meglio poté lavorando nella fabbrica Warren’s Blacking, che si trovava a Hungerford Stairs, tra lo Strand e il fiume (si sarebbe poi spostata a Covent Garden), e che produceva lucido per scarpe. L’esperienza risultò traumatica. Lui stesso confessò che, finché non venne demolita la fabbrica, non ebbe il coraggio di tornare nel luogo in cui era iniziata la sua schiavitù. «Per molti anni, se dovevo passarci vicino, attraversavo la strada». Le lunghe giornate di dieci ore gli lasciarono un segno indelebile: «Non ci sono parole per esprimere l’agonia della mia anima […] Mi sentivo umiliato e trafitto dal dolore». Ebbe comunque fortuna perché il suo lavoro, che consisteva nel chiudere ed etichettare i vasetti di lucido per scarpe, era uno dei più leggeri della fabbrica. David Copperfield racconta il senso di abbandono che provò lo stesso Dickens: «Io conosco adesso abbastanza del mondo da aver quasi perduto la capacità di rimaner molto sorpreso di qualcosa, eppure mi sorprende ancora oggi come io possa essere stato buttato via così facilmente in una così tenera età, un bambino con eccellenti abilità e con forti capacità d’osservazione, svelto, impetuoso, delicato e presto danneggiato fisicamente e mentalmente; mi sembra incredibile che qualcuno abbia fatto mai qualcosa a mio favore. Ma nessuno l’ha fatto e io diventai a dieci anni un piccolo garzone». A Londra lo sfruttamento minorile, nelle fabbriche e in ogni sorta di lavoro, era all’ordine del giorno. E fino al 1833 il governo non avrebbe proibito l’assunzione di bambini con meno di nove anni. Negli anni seguenti il padre entrò e uscì più volte da Marshalsea ma per fortuna, quando


FIAMMIFERAIA CHE VENDE FIAMMIFERI LUCIFER. INCISIONE DI RICHARD BEARD. 1840.

NEWSBOY, O STRILLONE, IN ATTO DI VENDERE THE TIMES. INCISIONE. 1862.

CORRIERE IMPIEGATO DALLE POSTE PER CONSEGNARE TELEGRAMMI. FOTO DEL 1899.

UN GIOVANE SPAZZACAMINO CON GLI ATTREZZI DEL MESTIERE. INCISIONE DI R. BEARD. 1862.

MUDLARK CON I PIEDI NEL FANGO DEL FIUME. INCISIONE DI R. BEARD. 1862.

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LA CITTÀ DEI POVERI

Scattata verso il 1900, questa fotografia anonima racconta di case umide e lugubri: in una sola stanza poteva lavorare, mangiare e dormire un’intera famiglia. BRIDGEMAN / ACI

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LOREM LORME LOOREM STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Charles lavorava già da un anno nella fabbrica, insistette perché lasciasse il lavoro e tornasse a scuola. Tuttavia, tre anni più tardi il ragazzo abbandonò la scuola definitivamente perché John non poteva più pagargliela. Grazie a un conoscente della madre entrò a lavorare come copista in uno studio di avvocati, Ellis & Blackmore. Aveva quindici anni e lo stipendio, all’inizio di dodici scellini a settimana, sarebbe presto salito a trenta. Il denaro gli permise di esplorare i divertimenti che Londra offriva ai giovani. Per la prima volta si concesse di andare a teatro, di mangiare fuori ogni tanto e di conoscere a fondo la città.

Alla scoperta dell’altra Londra

A 15 anni Dickens lasciò la scuola perché il padre non poteva più pagargli la retta e cominciò a lavorare in uno studio di avvocati 108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BRIDGEMAN / ACI

Dickens poté quindi prendere dimestichezza con tutta la zona dei tribunali e della City. Attorno a Holborn, Fleet Street, lo Strand e Chancery Lane si trovavano le molte associazioni professionali degli Inns of Court, dove dal Medioevo vivevano, studiavano e lavoravano gli avvocati della città e dove lo stesso Dickens risiedette per qualche tempo. Erano il centro dell’attività legale di Londra e offrivano anche l’alloggio ai propri membri. Lo scrittore li descrisse in The Posthumous Papers of the Pickwick Club (Il circolo Pickwick) come «strani fabbricati, vasti, intricati, barocchi, con gallerie e corridoi». Gli Inns, così come la giurisprudenza e le figure degli avvocati, sarebbero comparsi in modo ricorrente nei suoi romanzi. Lo scrittore definì spesso Lincoln’s Inn Fields Square un luogo cupo, anche se oggi è un angoletto tranquillo dove ancora si vedono circolare gli avvocati con le ventiquattrore, diretti ai tribunali. Nella discreta Portsmouth Street Dickens era solito passare davanti a un piccolo negozio, già allora considerato il più antico di Londra e oggi ubicato nello stesso, identico posto. Si tratta di Old Curiosity Shop, dal quale avrebbe preso ispirazione per The Old Curiosity Shop


LA METROPOLI DEI RICCHI

Verso il 1885 Regent Street, una delle strade principali della Londra borghese, aveva quest’aspetto. I palazzi a sinistra formano il Quadrant, una zona con molti esercizi commerciali aperti al pubblico.

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(La bottega dell’antiquario). Gray’s Inn, un altro degli Inns, compare sia in David Copperfield sia in Il circolo Pickwick. Nell’ultimo e incompiuto romanzo The Mystery of Edwin Drood (Il mistero di Edwin Drood), si fa riferimento alla silenziosa piazza dello storico Staple Inn, a Holborn, «che trasmette al calmo pedone la sensazione di avere cotone nelle orecchie e suole di velluto ai piedi». Poiché Dickens aveva avuto modo di apprendere la stenografia, iniziò a collaborare come reporter per i giornali. Contemporaneamente pubblicò dei piccoli affreschi su Londra con lo pseudonimo di Boz, gli Sketches by Boz (Schizzi di Boz). Poco dopo, nel 1836, uscirono a puntate alcuni capitoli del suo primo romanzo, Il circolo Pickwick, che narrava le avventure di un gruppo di amici in campagna. Qui comparve il personaggio di Sam Weller, un servitore cockney originario dei bassifondi dell’East End, con una conoscenza enciclopedica di Londra – ovviamente al momento della presentazione sta pulendo gli stivali del padrone con un lucido che «avrebbe fatto rodere dall’invidia l’amabile signor Warren». Con la comparsa di Weller le vendite del testo salirono alle stelle. Dickens aveva scoperto che ai suoi lettori interessava Londra, e che Londra garantiva un più che discreto guadagno. E quasi subito divenne straordinariamente famoso.

Passeggiate notturne

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MISERIA AL CHIUSO O ALL’APERTO ase malridotte con i buchi delle finestre Cquattordici coperti da stracci e giornali [...] bambine di e quindici anni senza scarpe, con i

FOTO: BRIDGEMAN / ACI

Lo scrittore girovagò indefesso per le strade della capitale britannica, assorbendo come una spugna le realtà di Londra. Era solito percorrere tra gli otto e i quaranta chilometri al giorno a un ritmo, come racconta lui stesso, di più di sette chilometri all’ora. Oggi queste distanze sembrano sbalorditive, eppure i londinesi dell’epoca camminavano molto più dei nostri contemporanei. Parecchie delle escursioni di Dickens, inoltre, erano notturne, perché lo scrittore soffriva d’insonnia. In una lettera del 1863 raccontava che, mentre stava lavorando al suo libro, di notte copriva addirittura tra i sedici e i ventiquattro chilometri. Si muoveva a nord del fiume (a sud del Tamigi ancora c’erano poco più che magazzini), da Charing Cross e Covent Garden – allora limitrofi a Saint Giles, un quartiere di vizio e delinquenza – fino a

capelli scarmigliati e grandi soprabiti bianchi come uniche vesti, bambini di tutte le età con cappotti di ogni taglia o senza niente». Nel 1835 Dickens firmava con il nome di Boz questa descrizione di una rookery – un quartiere di poveri, ladri e prostitute – vicino a Covent Garden. Tuttavia la sorte peggiore era quella di chi non aveva un tetto sopra la testa.


QUESTUANTI IN UN ASILO PER POVERI IN PIENO INVERNO. UN TESTO DI DICKENS ACCOMPAGNAVA L’OLIO DI SAMUEL LUKE FILDES QUANDO VENNE ESPOSTO PER LA PRIMA VOLTA, NEL 1874.

VENDITORI DI SCARPE E BAMBINI AFFOLLANO LA STRADA, RISCHIANDO DI ESSERE INVESTITI. NEL 1872 GUSTAVE DORÉ DIPINSE QUEST’ILLUSTRAZIONE DI SEVENS DIALS A COVENT GARDEN.

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Whitechapel passando per la City: era quello il cuore della Londra dickensiana. Non dobbiamo immaginarlo a spasso per Londra con indosso una seria finanziera nera. Al contrario, era solito portare vestiti dai vividi colori e dal taglio audace, perché il suo senso della moda e il suo carattere rispondevano più a quelli dell’Età della reggenza – in cui vigevano i colori brillanti e i dandy – che a quelli del periodo vittoriano. Per Dickens le passeggiate erano fonte d’ispirazione, e Londra era la sua “lanterna magica” personale. Se non riusciva a camminare, veniva colto da un profondo senso d’inquietudine.

Il miglior conoscitore di Londra

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LA PIAGA DELLA PROSTITUZIONE Londra del XIX secolo la prostituzione Ncheella assunse dimensioni inquietanti. Si diceva agli inizi degli anni sessanta del secolo

FOTO: BRIDGEMAN / ACI

Lo scrittore padroneggiava tutti i quartieri della città «con la precisione di un conduttore di taxi». Covent Garden era la zona del mercato nonché il centro del florido traffico del vizio; Drury Lane, poco distante, era invece sinonimo di povertà e sporcizia, mentre Lowther Arcade, ad appena qualche centinaio di metri, era il luogo preferito dai più abbienti per le compere. Era questa la natura di Londra: due realtà opposte potevano trovarsi l’una di fianco all’altra, ma non si sarebbero mai mescolate. L’agile passo non impediva a Dickens di notare ogni dettaglio e d’inciderlo nella propria prodigiosa memoria. Un contemporaneo scrisse che, se gli si fosse dato il nome di una qualsiasi strada di Londra, sarebbe stato capace di dire «tutto ciò che c’era, quale fosse ognuno dei suoi negozi, come si chiamasse il proprietario dell’emporio e quante bucce di arance si trovassero sul marciapiede». La sua era una Londra in fermento, con strade stracolme di gente e continui lavori pubblici, perché la città si trasformava costantemente, si modernizzava e s’ingrandiva. Se nel 1800 poteva contare su un milione di abitanti e circa 136mila case, alla fine del secolo contava su 6,5 milioni di abitanti e più di sei milioni di case. Un simile ritmo faceva sì che a fine ottocento buona parte della Londra dickensiana già non esistesse più, mentre ancora oggi si può visitare, al numero 48 di Doughty Street, la casa in cui lo scrittore visse negli anni trenta del diciannovesimo secolo e dove redasse alcuni dei suoi capolavori, come Oliver Twist (Le avventure di Oliver Twist) e The Life and Adventures of Nicholas Nickleby (Nicholas Nickleby). È oggi la sede del Charles Dickens Museum. Altri

ci fossero 80mila prostitute, la decima parte delle quali aveva meno di quindici anni. La povertà spingeva queste bambine a concedersi agli uomini, in un’epoca in cui l’età legale del consenso per i rapporti sessuali era fissata a dodici anni (quattordici a partire da fine anni settanta dell’ottocento), e in una città dove i poveri si sposavano a tredici-quattordici anni.


GEORGE CRUIKSHANK, ILLUSTRATORE DI DICKENS, FIRMA QUEST’INCISIONE CON LA DIDASCALIA «DALLA LIQUORERIA AL BALLO, LA RAGAZZA POVERA È CONDOTTA A UNO STATO CHE SFOCIA NELLA MISERIA».

RAGAZZE ABBANDONATE. INCISIONE DI ÉMILE BAYARD. 1862. LE RAGAZZINE COSTRETTE ALLA PROSTITUZIONE CADEVANO FACILMENTE PREDA DI CERTI BORGHESI.

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Terra di malattie Nel 1852 la rivista satirica Punch pubblicò l’incisione Una corte per il re Colera, in cui comparivano bambini dei bassifondi intenti a giocare nell’immondizia. Nel 1853 le precarie condizioni igieniche favorirono il diffondersi della malattia.

La città più oscura Il clima e le emissioni dei camini si alleavano per creare una nebbia talmente densa da consentire il lavoro dei link-boys, ragazzini che portavano una lanterna per far luce a chi camminava, e perfino a chi andava a cavallo o viaggiava sulle carrozze.

AMBIENTI PARTICOLARI a città che Dickens ritrasse nei suoi romanLvanguardia zi era la capitale della nazione più all’adel pianeta, eppure tutto ciò non si rifletteva in una quotidianità che era irta di ostacoli, segnata dal buio o dalla nebbia contrastati con difficoltà dalle luci a gas o dai linkboys: compaiono, per esempio, quando Scrooge si affaccia alla finestra in Canto di Natale. Non solo: Londra era insalubre per la presenza di esercizi commerciali come il mercato di Smithfield, che Dickens descrisse vividamente in Le avventure di Oliver Twist. FOTO: BRIDGEMAN / ACI, ECCETTO DESTRA IN ALTO: MARY EVANS / AGE FOTOSTOCK

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Strade poco adatte alle passeggiate La scena del 1865 mostra gli effetti dello scioglimento della neve, che si mescola al fango e allo sterco di cavallo. Alla destra dell’immagine vediamo dei bambini che si guadagnano qualche penny spazzando la strada perchÊ possano passarvi le persone.

Uomini... e animali Il bestiame occupava la parte centrale di Londra: a 600 metri dalla cattedrale di Saint Paul si trovava il mercato della carne di Smithfield, una vasta spianata dove si vendevano decine di migliaia di maiali, pecore e teste di bovini.

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IL PALAZZO DEL GIN. ILLUSTRAZIONE DI GEORGE CRUIKSHANK PER L’ARTICOLO “LE LIQUORERIE” DI DICKENS, IN SCHIZZI DI LONDRA DI BOZ. 1835.

luoghi sono rimasti uguali, come le campane che svegliano Scrooge in A Christmas Carol (Canto di Natale) dopo la visita dei tre spiriti del Natale passato, presente e futuro. Sono le campane dell’orologio di Saint Dunstan-inthe-West, in Fleet Street. Hanno avuto una sorte migliore i pub, i ristoranti e le osterie che tanto frequentò lo scrittore. Molti locali citati nei romanzi o nella sua corrispondenza esistono ancora oggi. Proprio davanti al luogo in cui si ergeva l’antica fabbrica Warren si trova ancora il suo ristorante favorito, Rules. Il bar di The George Inn, che nomina in La piccola Dorrit, oggi è un pub. Quanto a questi ultimi, uno dei suoi preferiti era Ye Olde Cheshire Cheese, vicino a Fleet Street. Il pub compare in A Tale of Two Cities (Racconto di due città) e ha un pedigree letterario invidiabile, perché lo bazzicavano anche Samuel Johnson e William Butler Yeats. In Our Mutual Friend (Il nostro comune amico) compare un altro pub aperto ancora oggi: The Grapes, a Limehouse, nella zona est di Londra. La città omaggiò il suo grande scrittore seppellendolo nel Poets’ Corner dell’abbazia di Westminster, sotto una semplice lapide in marmo nero. Lì riposa un uomo che conobbe in prima persona la Londra più crudele, quella del lavoro infantile, della povertà e del carcere per debiti, ma che visse pure, grazie alla ricchezza derivata dalla fama, la Londra più opulenta, edonista e moderna. A volte bastava attraversare una strada per passare dal lusso più estremo alla più sofferta emarginazione, e parte del successo di Dickens si deve al fatto che permise ai suoi contemporanei, ai benestanti, di visitare quell’altra città in cui non si azzardavano, o non potevano, entrare. Ed è questo l’invito allettante che, in tutti i suoi romanzi, ancora oggi Dickens offre ai suoi lettori.

Per saperne di più

TESTI

Trilogia di Londra Charles Dickens. 3 vol. Mattioli 1885, Fidenza, 2016. David Copperfield Charles Dickens. Mondadori, Milano, 2019. Le avventure di Oliver Twist Charles Dickens. Mondadori, Milano, 2019. INTERNET

https://bit.ly/2Hp7cjB (mappa dei luoghi londinesi presenti nei romanzi di Dickens)

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FOTO: BRIDGEMAN / ACI, TRANNE IN ALTO A SINISTRA: HERITAGE / ALBUM

JOAN ELOI ROCA AUTORE DI GUÍA LITERARIA DE LONDRES (2012)

EVADERE DALLA REALTÀ

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el 1835 Charles Dickens firmò con lo pseudonimo Boz l’articolo “Le liquorerie”, nel quale narrava che i migliori locali si trovavano vicino alle zone più povere di Londra. «Bere gin è uno dei grandi vizi inglesi, ma [...] finché non miglioreremo le case dei poveri, o convinceremo uno sventurato morto di fame a non cercare sollievo nell’oblio momentaneo delle sue disgrazie [...] le liquorerie aumenteranno in numero e sfarzo».


LA BOTTIGLIA DI CRUIKSHANK. 1847. LA BORGHESIA ATTRIBUIVA L’ALCOLISMO ALLA SCARSA FIBRA MORALE DEI LAVORATORI, NON ALLE LORO DURE CONDIZIONI DI VITA.

UN’OSTERIA. INCISIONE DI GUSTAVE DORÉ, COMPARSA COME ILLUSTRAZIONE DI UN ALTRO LIBRO SU LONDRA, LONDRES, OPERA DELLO SCRITTORE FRANCESE LOUIS ÉNAULT. 1876.

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GRANDI ENIGMI

Émile Zola, la morte sospetta di un romanziere Diventato la bestia nera dei nazionalisti francesi per la sua difesa del capitano Dreyfus, Zola morì in circostanze misteriose essere una spia dei tedeschi e condannato alla degradazione e alla deportazione sull’Isola del Diavolo, nella Guyana francese. In un clima di crescente nazionalismo e antisemitismo, si trattava di un’evidente persecuzione in quanto ufficiale ebreo nelle forze armate francesi. Nonostante l’innegabilità dell’innocenza del capitano, solo la confessione di colui che aveva manipolato le prove aveva costretto le autorità a scagionarlo. Pubblicato nel 1898 “J’accuse” denunciava pubblicamente i persecutori di Alfred Dreyfus. L’articolo costò a Zola la condanna alla galera e la fuga a Londra, durata un anno.

Tuttavia, da quel momento divenne anche l’esponente di spicco in Francia contro l’estrema destra, che non accettava la riabilitazione del capitano ebreo.

Archivio e riapertura Le circostanze della morte di Zola furono subito identificate: dopo alcuni mesi trascorsi in campagna, il 28 settembre era tornato nella sua residenza parigina insieme alla moglie Eleonore Alexandrine, e la mattina dopo era stato trovato asfissiato dall’ossido di carbonio emanato dal caminetto ostruito. È possibile ricostruire con esattezza come si svolsero gli eventi di quella notte perché la

DOPPIA VITA SPOSATO DAL 1870 con Eleonore Alexandrine Meley, Zola iniziò nel 1888 una relazione con Jeanne Rozerot, una ragazza di poco più di vent’anni. Fino alla morte lo scrittore avrebbe condotto una doppia vita: pur restando sposato con Alexandrine, formò una famiglia parallela con Jeanne, da cui ebbe due figli riconosciuti come eredi dalla moglie. ÉMILE ZOLA E JEANNE ROZEROT INTORNO AL 1895. LEEMAGE / PRISMA ARCHIVO

COSTA / BRIDGEMAN / ACI

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a tragica morte di Émile Zola”. Così il 30 settembre 1902 titolava in prima pagina il quotidiano Le Figaro. La notizia apparve su tutti i giornali francesi e internazionali: a sessantadue anni era scomparso il più celebre e stimato romanziere di Francia. Era stato l’ultimo della triade dei grandi che comprendeva Gustave Flaubert e Alphonse Daudet, nonché il giornalista che pochi anni prima aveva scosso le fondamenta della repubblica francese con l’articolo “J’accuse”. In questo scritto Zola aveva difeso il capitano alsaziano di origine ebraica Alfred Dreyfus, accusato di

moglie sopravvisse: il giorno prima i coniugi Zola erano stati avvertiti di un problema alla canna fumaria del caminetto che tirava male, ma non se ne erano curati e si erano ritirati a letto alla solita ora lasciando le braci accese. La mattina, inquieti per l’assenza di Eleonore Alexandrine, di solito la più mattiniera, i domestici avevano aperto la porta della camera da letto e avevano trovato entrambi i coniugi esanimi: il corpo del grande


MORTE DI ÉMILE ZOLA

Questo disegno ricostruisce il momento in cui i domestici entrano nella camera da letto dei coniugi e trovano il corpo senza vita dello scrittore.

RITORNO FATALE IL GIORNO prima dei tragici eventi Émile Zola e la

ULLSTEIN BILD / GETTY IMAGES

moglie erano rientrati nella loro dimora parigina dopo aver trascorso tre mesi in campagna. La casa era molto fredda, così lo scrittore aveva chiesto ai domestici di accendere il camino della stanza da letto. Un’operazione che gli sarebbe risultata fatale.

LA CAMERA DA LETTO DEI CONIUGI ZOLA ERA PIUTTOSTO AMPIA. FOTO SCATTATA ATTORNO AL 1895.

scrittore era ancora tiepido sul pavimento mentre sua moglie, sdraiata sul letto, respirava appena. La ricostruzione avrebbe spiegato che Émile, intontito, si era alzato per aprire la finestra, ma era svenuto prima di raggiungerla ed era crollato sul pavimento. Era stato proprio questo gesto che lo aveva condannato a morte perché il gas tossico si era depositato a terra mentre la moglie si era salvata protetta dall’altezza del letto.

La polizia accorse la mattina del 29 settembre e, nonostante diverse prove empiriche indicassero che le condizioni nella stanza non fossero tali da giustificare un’asfissia (il caminetto non era completamente ostruito), decise di archiviare il caso come morte accidentale perché gli indizi ufficiali facevano supporre così. Fu solo nel 1953 che il dossier venne riaperto, quando una serie di accuse formali apparve sul quotidiano Li-

bération. Erano passati pochi mesi dalle celebrazioni per il cinquantenario della morte dello scrittore e la redazione aveva ricevuto la lettera di un farmacista in pensione, Pierre Hacquin, che sosteneva di conoscere la verità sulla morte di Émile Zola. Pierre Hacquin raccontò al giovane giornalista Jean Bedel che, durante la sua militanza giovanile nell’estrema destra, aveva familiarizzato con uno spazzacamino di nome Henri Buronfosse

il quale, dopo molti anni di amicizia e battaglie politiche comuni, gli aveva confessato di essere stato l’assassino di Zola. I fatti si sarebbero svolti in questo modo: Buronfosse e un suo compagno si sarebbero introdotti sul tetto dell’abitazione di Zola mascherandosi da operai che lavoravano nell’edificio accanto, avrebbero tappato il suo camino e l’avrebbero disostruito la mattina dopo, cosa che spiegherebbe la difficoltà della polizia a STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI ENIGMI

LA STAMPA CONTRO ZOLA FIN DAL MOMENTO della pub-

blicazione di “J’accuse” Zola era finito nel mirino dei gruppi ultranazionalisti e dei loro quotidiani. A partire da allora subì continue minacce e fu vittima di una costante campagna di diffamazione sui giornali più conservatori. Rabbiose colonne di opinione lo presentavano come un traditore, gli venivano dedicate canzoni e opuscoli diffamatori e le caricature delle riviste lo ritraevano come il re dei maiali. Henri Lebourgeois fece una serie di trentadue disegni satirici in cui lo scrittore appariva come un illuminato, un pazzo, un buffone o un uomo dai costumi sessuali disinvolti.

ricostruire le condizioni dell’asfissia in una stanza dal camino solo parzialmente ostruito. Nel 1953 Buronfosse era già morto da tempo e per il giornalista Bedel non fu possibile verificare la sua versione. Quindi dovette affidarsi a un’inchiesta circostanziale che confermò i dettagli della storia, dai lavori

AKG / ALBUM

IN QUESTA CARICATURA DI HENRI LEBOURGEOIS, ZOLA METTE LA SUA FAMA AL SERVIZIO DELLE POTENZE STRANIERE PER DENIGRARE L’IMMAGINE DELLA FRANCIA.

nell’edificio adiacente a quello di Zola, alla professione di Buronfosse e le sue idee estremiste, testimoniate dalla sua partecipazione attiva all’organizzazione politica nazionalista e antisemita la Lega dei patrioti. Negli anni duemila il professor Alain Pagès, uno specialista di Zola dell’Università della Sorbona, recuperò la tesi dell’omi-

cidio e fece ulteriori ricerche, che rivelarono un dettaglio suggestivo: a partire dal 1903, cioè l’anno dopo la morte di Zola, il nome di Henri Buronfosse compariva nelle liste elettorali preceduto da altri due nomi propri: Charles ed Émile. Tuttavia, il suo atto di nascita non ne aveva che uno, Henri. L’aggiunta del nome Charles era spiegabile come

La morte di Zola fu celebrata da organizzazioni e giornali dell’estrema destra francese INVITO DEL 1908 A UN EVENTO CONTRO ÉMILE ZOLA. MANSELL / GETTY IMAGES

un tributo al nonno materno, ma lo spazzacamino era un figlio illegittimo e non conosceva suo padre, tantomeno il suo nonno paterno. Il nome Émile inserito proprio a ridosso della morte di Émile Zola, si riferiva a lui? E se fosse stato così, si trattava forse di un segno di pentimento, perché voleva solo dargli una lezione e la cosa gli era sfuggita di mano, o era la rivendicazione dell’esecuzione “del traditore della patria”? Pagès aiutò anche a contestualizzare gli eventi per capire fino a che punto la situazione fosse infervo-


HERCULES MILAS / ALAMY / ACI

IL PANTHEON, mausoleo delle personalità illustri della storia francese. Qui furono sepolti i resti di Zola nel 1908.

rata in quegli anni segnati dalla decadenza della Belle Époque e dall’insorgere di un nazionalismo esasperato che avrebbe sconvolto il ventesimo secolo. La morte di Zola fu salutata a festa dai suoi nemici: “Un fatto naturalista: Zola asfissiato” titolò gioioso La Libre Parole, con un gioco di parole sul movimento letterario, il naturalismo, di cui Zola era l’esponente di spicco. Altri giornali della stessa corrente insinuarono il suicidio. I coniugi Zola erano stati così a lungo bersaglio di minacce che la vedova Eleonore Alexandrine aveva inizial-

mente chiesto al capitano Dreyfus di non partecipare ai funerali del marito. Lei stessa non contestò mai la versione ufficiale della morte accidentale.

Assenza di prove Forse, il riassunto della vicenda più accurato è quello fatto dal professor Henri Mitterand, uno degli specialisti internazionali dell’opera di Émile Zola: «La presunzione del crimine di un fanatico è solida» ma, a distanza di più di un secolo e con tutti i personaggi della vicenda morti da tempo, «manca la prova materiale

che permette di passare dal sospetto all’evidenza»; ormai occorre accettare che la morte di Émile Zola resterà «un mistero della storia che non diminuisce la grandezza dell’uomo». Lo scrittore ha lasciato dietro di sé un corpus di romanzi che sono testimonianze vivide della Parigi ottocentesca: accanto alle immagini di grandi centri commerciali alla moda e di signore imbellettate ci sono le storie di prostitute che cercano la scalata sociale e quelle di operai afflitti dall’alcolismo e dalla miseria. Al suo funerale una delegazione di minatori del

Denain seguì il feretro scandendo “Germinal! Germinal!”, il titolo del romanzo che aveva per la prima volta raccontato la loro vita e dato voce alle loro battaglie. Sei anni dopo, nel 1908, le sue spoglie venivano trasferite al Pantheon, la tomba dei grandi uomini e delle grandi donne di Francia. —Giorgio Pirazzini Per saperne di più J’accuse Émile Zola. La vita felice, Milano, 1994. Les énigmes de l’histoire de France Jean-Christian Petitfils. Perrin, Parigi, 2018.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Cipro: le statue in terracotta di Agia Irini Tra il 1927 e il 1931 una missione svedese ritrovò a Cipro vari resti archeologici dell’antichità: quelli di Agia Irini si distinguono tra tutti

che potesse colmare le carenze degli studi sull’antichità cipriota. Decise di offrire il ruolo al giovane Gjerstad, che accettò pur ammettendo la sua ignoranza della storia locale: «Non sapevo assolutamente nulla dell’archeologia di Cipro e per questo ho accettato senza pensarci troppo. Ero attratto dall’ignoto». Entusiasta di questa opportunità, Gjerstad iniziò a visitare i musei e gli scavi preliminari di alcuni siti. Convinto della necessità di portare avanti delle ricerche

1927

1928-1929

o

nicosia

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Agia Irini

M

Inizia l’intervento della spedizione svedese a Cipro guidata tra gli altri da Gjerstad.

er

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metodiche e sistematiche, al rientro in Svezia cercò finanziamenti per organizzare una spedizione archeologica sull’isola. Il progetto ricevette le donazioni di anonimi cittadini, così come il contributo dello stato svedese attraverso il principe ereditario Gustavo Adolfo. Dal canto suo Pierides si occupò di agevolare le pratiche amministrative e i permessi necessari, permettendo in questo modo alla missione svedese di prendere avvio.

Dal Neolitico a Roma I lavori iniziarono ufficialmente nel settembre del 1927. La squadra era composta dagli archeologi Einar Gjerstad, Alfred Westholm ed Erik Sjöqvist, e dall’architetto John Lindros. L’obiettivo era studiare diversi siti per stabilire una chiara cronologia del-

La spedizione effettua scavi a Idalion e Kition. Ad Agia Irini vengono rinvenute duemila figure in terracotta.

AKG / ALBUM

A

partire dal diciannovesimo secolo si succedettero a Cipro varie missioni archeologiche straniere per studiare lo sviluppo storico dell’isola. Tra queste spicca la spedizione svedese (1927-1931) guidata da Einar Gjerstad, grazie alle cui ricerche Cipro iniziò a occupare un posto di rilievo nel panorama archeologico internazionale. L’idea di una missione iniziò a prendere forma nel 1923, quando Gjerstad raggiunse l’isola su invito di Loukis Z. Pierides, console svedese e membro del Consiglio archeologico di Cipro. I due si erano conosciuti per caso in Grecia qualche tempo prima. Pierides cercava un archeologo ben preparato

la storia cipriota, che fino ad allora risultava molto problematica a causa della mancanza di rigore degli scavi precedenti. La missione si concluse nel 1931. Anche se l’intervento a Ci-

1931

2009

La missione si conclude dopo anni di proficuo lavoro. Svezia e Cipro si spartiscono i reperti.

STATUA PROVENIENTE DAL SANTUARIO DI APOLLO-RESHEF A IDALION. 450 A.C. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

LE FIGURE in terracotta ritrovate ad Agia Irini sono esposte in una sala del Museo archeologico di Cipro a Nicosia.

Iniziano i lavori della nuova spedizione svedese a Cipro, che scava nel sito di Hala Sultan Tekke.

ALAMY / ACI


GRANDI SCOPERTE

LA SQUADRA DEI QUATTRO completi della missione furono pubblicati in un’opera di svariati volumi. L’intervento della spedizione svedese interessò circa ventun siti sparsi per tutta l’isola, alcuni dei quali spiccavano per la loro rilevanza storica e la qualità dei risultati offerti, come nel caso di Idalion, che era stata la capitale ufficiale dei dieci antichi regni di Cipro. Gli scavi della squadra svedese in questo sito cominciarono nell’estate del 1928

MEDELHAVSMUSEET, STOCKHOLM

pro durò solo quattro anni, i risultati raggiunti furono impressionanti. Tra le rovine dell’antichità riportate alla luce c’erano i resti di necropoli, di fortezze, di un palazzo reale e di un teatro risalenti a periodi che vanno dal Neolitico fino all’epoca romana. Furono rinvenute ceramiche, statue, depositi votivi e armi. Particolare interesse suscitò il ritrovamento di duemila sculture presso il santuario di Agia Irini. I risultati

QUESTA FOTOGRAFIA realizzata nel 1930 mostra i quattro membri della spedizione svedese a Cipro nel campo della missione. Da sinistra a destra, l’architetto John Lindros e gli archeologi Alfred Westholm, Erik Sjöqvist e Einar Gjerstad.

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GRANDI SCOPERTE

PRIMA DELLA MISSIONE SVEDESE il patrimonio archeologico cipriota fu oggetto di diversi saccheggi,

ALAMY / ACI

come quello perpetrato dall’italo-americano Luigi Palma di Cesnola, che in qualità di console statunitense a Cipro spedì migliaia di reperti al Metropolitan Museum di New York. Tra questi spicca uno splendido sarcofago del V secolo a.C. proveniente dall’antica Amatunte.

con l’individuazione di una fortezza e un annesso luogo di culto risalenti alla tarda Età del bronzo. Alcuni resti sottostanti permisero inoltre di ricostruire l’esistenza di un palazzo reale di epoca precedente. Furono trovate offerte votive, armi e oggetti personali vincolati al santuario, così

come una targa in bronzo con un’iscrizione da cui fu possibile stabilire che il complesso era dedicato a una dea assimilata alla greca Atena. Di grande rilevanza fu anche lo studio di Kition (l’odierna Larnaca), che fu la più importante città fenicia dell’isola. In questa zona i ricercatori svedesi cominciarono a scavare nel 1929 e trovarono delle testimonianze di un san-

tuario dedicato a Melqart, il dio protettore di Kition. Ciononostante la scoperta di maggior rilievo effettuata della spedizione svedese fu senz’altro quella di Agia Irini, uno dei principali luoghi di culto di Cipro.

Centinaia di figure Gli scavi ad Agia Irini presero avvio nel 1929. Fu individuato un santuario della fine del periodo cipriota ge-

Nel santuario di Idalion furono trovate delle offerte votive e una targa in bronzo con un’iscrizione CARRO IN TERRACOTTA. AGIA IRINI, 625-500 A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO DI CIPRO, NICOSIA. AKG / ALBUM

ometrico (900-750 a.C.) rimasto in uso fino al 480 a.C. e suddiviso in piccole stanze affacciate su un grande cortile con un altare in pietra. Il tutto era circondato da un muro che delimitava lo spazio sacro, o temenos. Oltre a portare alla luce la struttura dell’edificio, la squadra rinvenne nei pressi dell’altare un gran numero di figure in terracotta, alcune quasi a grandezza naturale. Interpretate come offerte a una divinità, rappresentano quasi tutte personaggi maschili, ad eccezione di due sculture femminili, e sembrano provenire da uno stesso laboratorio, il che te-


LE TERRECOTTE di Agia Irini

MEDELHAVSMUSEET, STOCKHOLM

fotografate al momento della loro scoperta, nel 1929. Oggi sono esposte al Museo archeologico di Cipro a Nicosia.

stimonierebbe l’esistenza di un legame tra alcuni gruppi di artigiani e il santuario. Nel 1931, alla conclusione degli scavi, Cipro e Svezia firmarono un accordo che stabiliva una suddivisione degli oggetti ritrovati che evitasse di separare quelli provenienti da uno stesso sito. Si trattava di un accordo pionieristico in quanto fino ad allora gli scavi privati avevano sottratto a Cipro molti dei suoi beni archeologici. In ogni caso agli scandinavi andarono quasi due terzi dei reperti, che avrebbero costituito il nucleo iniziale del Museo delle antichità del Mediter-

raneo e del Vicino Oriente di Stoccolma. In Svezia i risultati della spedizione furono seguiti con estremo interesse dal grande pubblico, così come dal principe ereditario Gustavo Adolfo. Il futuro monarca visitò Cipro nel 1930 partecipando per alcuni giorni ai lavori della missione in veste di archeologo. Incoraggiato dall’interesse dimostrato dal sovrano, Gjerstad pubblicò nel 1933 Ages and days in Cyprus, un libro in cui descrive lo sviluppo degli scavi accompagnandolo con numerosi aneddoti e con il racconto dei suoi intensi rapporti con i ciprioti,

ai quali lo legò sempre un profondo sentimento di amicizia. È il caso di Toulis Souidos, un greco-cipriota che venne considerato il “quinto membro” della squadra in virtù del supporto logistico fornito.

Metodi scientifici La spedizione svedese fu la prima missione archeologica a effettuare scavi sull’isola utilizzando una metodologia scientifica, e questo le permise di ottenere dei risultati che costituirono un grande progresso per lo studio della storia cipriota. Il lavoro di questa prima squadra gettò le basi per-

ché altri archeologi svedesi potessero organizzare delle nuove missioni di ricerca sull’isola. Attualmente esiste un legame tra i due Paesi grazie ai membri della nuova spedizione svedese a Cipro, diretta da Peter M. Fischer, che lavora nel sito di Hala Sultan Tekke ed è animata da quegli stessi ideali scientifici che furono promossi da Gjerstad e dai suoi colleghi. —Lucía Avial-Chicharro Per saperne di più Ages and days in Cyprus E. Gjerstad. Astrom Editions, Göteborg, 1980. Storia di Cipro R. Aprile. Argo, Lecce, 2007.

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L I B R I E M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA ROMANZO STORICO

L’enigmatico Hieronymus Bosch a Venezia

A Tito Giliberto

VENEZIA 1493, L’ARTISTA E IL DIAVOLO Albatros, 2019; pp. 174; 12,90¤

ll’alba dell’Età moderna l’Italia cominciò a subire il fascino dell’onirico. Nel Veneto del sedicesimo secolo ciò si tradusse in una straordinaria proliferazione di opere che avevano come soggetti sogni allucinati e paesaggi fantastici popolati da creature mostruose. Tra le opere ascrivibili a questo genere si trovano quelle del “pittore di mostriciattoli” per eccellenza, Hieronymus Bosch (1450 ca.–1516). Dell’artista fiammingo sono

conservate nella città lagunare La visione dell’aldilà, il Trittico di santa Liberata e il Trittico degli Eremiti, tutte provenienti dalla collezione del cardinale Domenico Grimani. Queste opere hanno portato una nutrita schiera di studiosi a ipotizzare la presenza del pittore fiammingo a Venezia negli anni a cavallo tra quindicesimo e sedicesimo secolo. A questa tradizione si lega anche il giornalista e scrittore Tito Giliberto, secondo il quale «prima o poi in laguna

passavano tutti, forse anche Bosch». Il fatto che per un certo periodo il cosiddetto “pittore degli orrori” non compaia nei registri della sua città, Hertogenbosch, ha permesso a Giliberto di costruire un’ipotesi credibile per un giallo ambientato nella Venezia del Rinascimento. Secondo l’autore, i committenti delle opere di Bosch chiedevano all’artista soggetti raccapriccianti e in grado di diffondere quel senso di paura che avrebbe reso più agevole l’opera di controllo sociale e il dominio dei governanti. In tal senso, gli orrori e le esecuzioni raffigurati preannunciavano la conquista e la sottomissione degli stati italiani alla Francia e al Sacro romano impero.

STORIA MODERNA

BATTERI, PIÙ MORTALI DI OGNI GUERRA NEL CORSO dei secoli virus, batteri e altri agenti pa-

togeni hanno fatto più morti delle armi. Devastanti e misteriose pestilenze come quella che nel 430 a.C. colpì Atene, uccidendo circa centomila persone, oltre un terzo della popolazione cittadina. Secondo la biologa e autrice Barbara Gallavotti, si tratta di «numeri impressionanti» di gran lunga superiori al numero di vittime del conflitto di quello stesso periodo tra Atene e Sparta per la supremazia sull’Ellade. Fu vaiolo, tifo, peste o febbre emorragica? Il «terribile omicida biologico» non è stato ancora identificato ma, spiega l’autrice, «i microbi delle epoche passate aiutano a comprendere ciò che potrebbe accadere oggi». Barbara Gallavotti

LE GRANDI EPIDEMIE Donzelli, 2019; pp. 195; 14 ¤

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Gabriella Airaldi

IL PONTE DI ISTANBUL UN PROGETTO INCOMPIUTO DI LEONARDO DA VINCI Marietti, 2019; pp. 96; 10 ¤ UN PONTE è da sempre con-

siderato la quintessenza della comunicazione e degli scambi. Il sultano ottomano Bayezid ne avrebbe voluto uno che collegasse la capitale

Costantinopoli al quartiere di Pera-Galata, snodo cruciale dei commerci nell’area. In una lettera partita da Genova il 3 luglio del 1502, Leonardo Da Vinci si fece avanti: «Io, vostro servo, ho saputo della vostra intenzione di fare costruire un ponte da Galata a Stambul, ma non siete riusciti a farlo perché non avete trovato un esperto. Io ne sono capace». Largo quaranta braccia, rialzato rispetto all’acqua settanta braccia e lungo seicento, il ponte di Leonardo non vedrà mai la luce. Secondo l’autrice, «dopo Leonardo toccherà a Michelangelo essere interpellato, ma dovranno passare ancora tre secoli prima che si realizzi un ponte stabile tra Pera e Costantinopoli».


ARTE ORIENTALE

Guerriere con kimono e katana

O

nna-bugeisha è la donna guerriera giapponese che impugnando spade, alabarde, pugnali, archi e frecce, nel corso di otto secoli di storia non ha disdegnato di scendere in battaglia pronta, se necessario, a darsi la morte. A partire dall’epoca Kamakura (1185-1333) le donne giapponesi si svincolano dai ruoli spirituali all’interno delle dottrine buddhista e confuciana «per rispondere ai bisogni del loro gruppo, familiare o sociale, e alla propria salvaguardia, anche con l’uso della forza, delle armi, dell’audacia». A dirlo è Daniela Crovella, curatrice di una mostra che intende omaggiare la figura della donna guerriera in Giappone. Attraverso armi origi-

STAMPA XILOGRAFICA. 1847-52, collezione privata.

nali, corazze decorate di armature della scuola Myochin, dipinti su rotoli verticali, kimono e altri utensili, la mostra cerca di risalire ad antiche storie di donne, abitanti di villaggi

collegati a monasteri, che combattevano per mantenere la propria indipendenza, identità e soprattutto i propri beni. In molte famiglie di classe samurai l’istruzione marziale femminile

venne mantenuta anche nel periodo denominato “della grande pace Tokugawa”, cioè il Periodo edo (1603). Nella stessa epoca si mantenne in vita anche l’uso di portare il medesimo pugnale che in passato serviva per recidere la giugulare dei nemici. A raccogliere l’eredità delle donne guerriere nella cultura giapponese contemporanea sono stati i media, creatori di icone manga e anime quali Lady Oscar, Sailor Moon e molti altri personaggi dei quali la mostra offre una vasta collezione di oggetti e disegni. GUERRIERE DAL SOL LEVANTE MAO, Torino Fino all’1 marzo 2020 www.maotorino.it

ARTE E CULTURA MATERIALE

Il pane tra sacro e quotidiano

È

l’antico e rinomato pane di Matera, città delle abitazioni scavate nella roccia chiamate Sassi, a ispirare una mostra sulla storia figurativa dell’alimento. Il tema del pane, cibo per il corpo ma anche nutrimento dell’anima per i suoi usi eucaristici, rivive in una selezione di dipinti delle Gallerie degli Uffizi di Firenze esposti a Matera, Capitale europea della cultura 2019. Diverse versioni seicentesche dell’Ultima cena come quelle di Leandro Bassano o Luisa Maria Vitelli si affiancano a tavole

imbandite come quella dell’artista olandese Jan Steen, ai campi di rigoglioso grano ritratti da Arturo Tosi e a nature morte come quelle di Francisco Barrera o della bottega di Diego Velázquez. Sotto forma di semplice tozzo oppure di pagnotta alta e dalla forma irregolare come quella materana, il pane è elemento cardine delle tavole di ieri e di oggi. IL PANE E I SASSI Fondazione Sassi, Matera Fino al 10 gennaio 2020 www.fondazionesassi.org

DIEGO VELÁZQUEZ E BOTTEGA, Natura morta, 1615-1620

circa, olio su tela, Gallerie degli Uffizi, Firenze.

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GLI INDICI 2019

GRANDI STORIE

Indici 2019 Storica National Geographic Altre civiltà Atapuerca, i primi europei I guerrieri di Xi’an I nuraghi, preziosi simboli di un’antica civiltà I tesori del passato visti in 3D La scrittura in Mesopotamia Le linee di Nazca Ötzi, l’uomo dei ghiacci Vichinghi, gli eroi delle saghe scandinave

Roma e civiltà italiche n. 128, p. 44 n. 130, p. 58 n. 129, p. 38 n. 121, p. 64 n. 121, p. 36 n. 128, p. 88 n. 124, p. 44 n. 123, p. 80

Vicino Oriente Çatal Hüyük, la prima città della storia Dario III, l’ultimo re achemenide I sumeri e l’architettura di fango Il santo sepolcro L’arca dell’alleanza

n. 123, p. 44 n. 127, p. 42 n. 125, p. 46 n. 122, p. 42 n. 126, p. 28

Egitto Cleopatra. Una vita in lotta per il potere n. 120, p. 20 Gli architetti delle piramidi n. 127, p. 28 I geroglifici, la scrittura degli enigmi n. 128, p. 26 I saggi di Napoleone n, 124, p. 24 Il grande ministro di Hatshepsut: Senenmut n. 122, p. 28 Il libro dei morti. In viaggio verso l’aldilà n. 130, p. 40 Iside, la dea egizia che attraversò il Mediterraneo n. 123, p. 28 Nella tomba di Tutankhamon n. 119, p. 20 Pepi II. La fine dell’Antico regno n. 125, p. 32 Traffico di mummie n. 121, p. 20

Grecia Aristotele e il mistero della vita Filippo II, il regicidio di Ege I miti di Dioniso Il Minotauro , il mostro del labirinto La battaglia di Maratona La Biblioteca di Alessandria Macchine da guerra Paideia. L’educazione nell’antica Grecia Pirati nell’antichità Salomone e la regina di Saba 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DEA / ALBUM

n. 122, p. 62 n. 123, p. 56 n. 124, p. 60 n. 127, p. 56 n. 128, p. 62 n. 125, p. 62 n. 126, p. 44 n. 120, p. 54 n. 121, p. 50 n. 119, p. 40

Cesare contro Farnace Diocleziano, l’imperatore che abdicò Essere un cittadino romano Galla Placidia, l’imperatrice intransigente Il circo romano La dittatura di Silla La Siria romana in 3D: Gerasa La villa dei papiri Le legioni danubiane Marco Licinio Crasso, l’uomo più ricco di Roma Roma va in vacanza Strade romane, le arterie dell’impero

n. 125, p. 78 n. 128, p. 74 n. 126, p. 58 n. 124, p. 74 n. 127, p. 70 n. 130, p. 78 n. 120, p. 34 n. 122, p. 74 n. 120, p. 70 n. 123, p. 68 n. 119, p. 54 n. 129, p. 54

Medioevo Carlo Magno contro i sassoni n. 124, p. 86 Catari. La nascita di un’eresia n. 121, p. 88 Cattedrali romaniche, l’era del risveglio europeo n. 129, p. 70 Hastings. Normanni contro sassoni n. 119, p. 68 L’altro volto di Lucrezia Borgia n. 125, p. 106 L’eccezionale viaggio di Marco Polo n. 126, p. 72 L’era dei cavalieri n. 127, p. 86 La nascita della banca n. 122, p. 92 La Roma dei pellegrini n. 120, p. 86 Magellano ela circumnavigazione del pianeta n. 130, p. 90

Età Moderna Caccia alle streghe in Scozia Il duomo di Firenze Il tracollo dell’Isola di Pasqua L’affare dei veleni a Versailles Le geisha dell’antico Giappone Leonardo da Vinci, gli ultimi anni di un genio Sir Francis Drake, il corsaro della regina Viaggo nella Istanbul ottomana Vilcabamba. Il regno perduto degli inca

n. 130, p. 106 n. 119, p. 82 n. 125, p. 88 n. 128, p. 104 n. 126, p. 88 n. 123, p. 98 n. 129, p. 90 n 127, p. 102 n. 120, p. 102

Età contemporanea Cuba 1898: la prima guerra mediatica Beethoven. La musica della rivoluzione

n. 124, p. 102 n. 122, p. 102


RUBRICHE

Jules Verne, lo scrittore visionario La nascita della mafia Orient Express. L’arte di viaggiare in treno Viaggi immaginari sulla Luna

n. 119, p. 102 n. 126, p. 104 n. 121, p. 102 n. 129, p. 104

Personaggi straordinari Artemisia Gentileschi, “pittora”tra gli uomini n. 120, p. 8 Cecil Rhodes, il re dei diamanti n. 123, p. 10 Christine de Pizan, la prima scrittrice della storia n. 127, p. 10 Cristina Trivulzio di Belgioioso n. 125, p. 10 Florence Nightingale, la madre delle cure moderne n. 121, p. 8 James Brooke, il rajah bianco del Borneo n. 128, p. 10 I fratelli Grimm, collezionisti di fiabe n. 129, p. 12 Il Barone Rosso, padrone dei cieli n. 130, p. 14 La falsa principessa che voleva diventare zarina n. 122, p. 8 La principessa Berenice n. 124, p. 10 Mesmer: il mago del magnetismo animale n. 119, p. 8 Oscar Wilde, processo a un provocatore n. 126, p. 8

Evento storico 1842, l’anno del disastro in Afghanistan Il metro: la rivoluzione dei pesi e delle misure La più grande truffa della storia Fillossera, l’apocalisse del vino in Europa James Cook sulle tracce del transito di Venere Migranti stagionali nell’Europa del seicento O.K. Corral, la sparatoria più famosa della storia Werther e l’emulazione del suicidio per amore

n. 129, p. 20 n. 123, p.16 n. 121, p. 14 n. 127, p. 16 n. 130, p. 26 n. 122, p. 16 n. 126, p. 14 n. 125, p. 18

Vita quotidiana Balie, la cura degli infanti nell’antica Roma Donne al lavoro nel Medioevo Il cinema, l’avvento del grande schermo Il fascino delle droghe in Grecia e a Roma In guardia! Nasce la scherma femminile La dieta egizia: birra, legumi, frutta e pane La rivoluzione dei grandi magazzini La scuola degli scribi La tortura del corsetto Ricevere visite durante la Belle Époque Santiago, il pellegrino raggiunge la meta

n. 125, p. 26 n. 119, p. 16 n. 129, p. 32 n. 128, p. 20 n. 122, p. 22 n. 123, p. 22 n. 126, p. 20 n. 120, p. 16 n. 124, p. 18 n. 127, p. 22 n. 130, p. 34

Opera d’arte Gargantua, la caricatura di re Luigi Filippo I vasi cinesi della dinastia Yuan Il Cancionero cordiforme Il sarcofago delle fatiche di Ercole Vertunno, ritratto vegetale di Rodolfo II

n. 129, p. 28 n. 125, p. 24 n. 124, p. 22 n. 123, p. 20 n. 122, p. 20

Grandi invenzioni La matita, una penna cancellabile La prima macchina calcolatrice La scrivania Wooton, un ufficio in casa Nasce la bottiglia di vetro moderna

n. 129, p. 10 n. 130, p. 12 n. 124, p. 8 n. 125, p. 8

Mappa del tempo La Galleria delle carte in Vaticano La mappa dell’Africa di Rigobert Bonne

n. 130, p. 38 n. 125, p. 30

Grandi enigmi I khevsur, gli ultimi crociati del Caucaso Il diamante blu Il fantasma dell’Opera, un mito del feuilleton Il mistero della morte di Napoleone La terra piatta e il mito dell’oscuro Medioevo Lo ius primae noctis Lo strano caso di Marie Lafarge Ludovico II: la strana morte del “re pazzo” Peter Stumpp: tutti contro l’uomo lupo Vampiri, uno scherzo della natura?

n. 128, p. 118 n. 123, p. 118 n. 129, p. 118 n. 126, p. 120 n. 130, p. 120 n. 122, p. 120 n. 125, p. 122 n. 124, p. 120 n. 119, p. 118 n. 127, p. 118

Attualità La vita dei cani scozzesi nell’Età della pietra n. 130, p. 8 Ricreata la birra egizia n. 129, p. 9 Studio delle mummie al Museo egizio di Torino n. 127, p. 8 Un palazzo sotto le acque n. 130, p. 10

Grandi scoperte I Campanari e la rivelazione del mondo etrusco I kurgan congelati della cultura di Pazyryk I segreti della capitale perduta di Ani Il tesoro della dea gatta di Bubasti Kilwa, l’epoca dorata dei sultani shirazi La villa romana di Carranque Le barche di Marsala Le statuette che sedussero la Belle Époque Teyuna, la città perduta degli indigeni tairona Timgad, la grande città romana del nord Africa Xochicalco, il simbolo del Messico preispanico

n. 128, p. 122 n. 127, p. 122 n. 119, p. 122 n. 130, p. 124 n. 123, p. 124 n. 126, p. 124 n. 122, p. 124 n. 121, p. 122 n. 124, p. 124 n. 120, p. 122 n. 129, p. 122

Data Storica Il calcio nella Firenze del Rinascimento n. 129, p. 18 Il marciapiede, una reinvenzione del XVIII secolo n. 130, p. 30 L’Inghilterra crea l’imposta sul reddito n. 128, p. 24 Le pasquinate n. 124, p. 16

Animali nella storia Il gorilla, una scoperta mirabolante Il mammut, il re degli animali nell’Era glaciale L’ornitorinco, l’animale più strano del mondo La balena nella mitologia: feroce e diabolica La nascita del purosangue inglese Le api, una benedizione per i romani Risa e peccato, la scimmia nel Medioevo

n. 125, p. 16 n. 120, p. 26 n. 128, p. 16 n. 121, p. 18 n. 119, p. 14 n. 129, p. 30 n. 130, p. 22

Foto del mese Lo sfruttamento del lavoro minorile Il ristorante automatico Presenze ultraterrene

n. 122, p. 14 n. 129, p. 36 n. 130, p. 32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero LE ULTIME SCOPERTE A POMPEI

CESARE ABBATE / AP IMAGES / GTRES

GRAZIE a un ambizioso progetto finanziato in parte dall’Unione Europea, negli ultimi anni a Pompei si sono registrati importanti ritrovamenti. Tra questi, alcune ville decorate con splendidi affreschi e mosaici come la casa dei Delfini, una sontuosa dimora scoperta nella cosiddetta “regio V” del sito. Gli scavi stanno inoltre facendo luce su come le vittime dell’eruzione trascorsero le loro ultime ore di vita.

LE PIÙ LIBERE DEL MONDO ANTICO NELL’EGITTO FARAONICO

le donne avevano gli stessi diritti e obblighi degli uomini. Non dovevano sottostare alla tutela del padre o del marito – come invece avveniva a Roma o in Grecia – e nonostante nella pratica si dedicassero spesso alla cura della casa, in teoria avevano accesso a impieghi tradizionalmente riservati agli uomini. Anche se il loro status cambiò significativamente durante l’antico Egitto, quasi sempre furono molto più libere delle donne greche e romane. AKG / ALBUM

La statua della Libertà In occasione del centenario della loro indipendenza, il 4 luglio 1876, gli Stati Uniti ricevettero dalla Francia un regalo che in poco tempo sarebbe divenuto il loro simbolo: la statua della Libertà, la dea benevola che accoglie gli stranieri in fuga da tirannide e povertà.

Machiavelli, cronista del potere Al servizio della Repubblica di Firenze in qualità di segretario della Seconda Cancelleria, una sorta di ambasciatore, Niccolò Machiavelli fu protagonista e al tempo stesso vittima delle lotte per il potere dell’Italia rinascimentale.

L’oro degli inca Nel 1524 Hernando Pizarro partì da Panama alla conquista del regno di Birú. Dopo aver sconfitto gli inca, s’impossessò del più grande tesoro in oro nella storia della conquista dell’America. L’oro infatti costituiva un elemento fondamentale nella cosmovisione inca.


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