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Quel patto contro violenza e regimi siglato tra Giovanni Paolo II e Ratzinger

giovanni paolo ii ratzinger

Aleteia / Mgr Joseph Ratzinger © Grzegorz Jakubowski/GettyImages

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 16/01/19

Due Istruzioni hanno saldato il pensiero dell'allora pontefice e del Prefetto. Ma in Argentina gli intelllettuali e Bergoglio avevano una visione diversa

Nel 1975, Paolo VI pubblicò l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi nella quale si dice chiaramente che «la violenza non è né cristiana, né evangelica», e che «i cambi bruschi e violenti delle strutture saranno ingannevoli, inefficaci in loro stessi e sicuramente non conformi alla dignità del popolo».

In seguito, Giovanni Paolo II ben supportato dal prefetto della Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger (il futuro papa Benedetto XVI), si pronuncerà ancora in forma più diretta sulle virtù e gli errori dottrinali di quell’epoca.

Un vero e proprio “patto” tra i due che si concluse con l’emissione di due documenti ad opera della Congregazione per la Dottrina della Fede, avallati da Wojtyla. A riportarli sono Javier Cámara e Sebastián Pfaffen in Gli anni oscuri di Bergoglio” (Ancora editrice).

San Giovanni Paolo II
AFP/EAST NEWS
La sua passione per le lingue straniere lo ha portato a studiare Filosofia. Tutti i suoi scritti sono caratterizzati da un linguaggio molto preciso, e una delle sue più note opere filosofiche è “Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano”.

Giustizia e tiranni

Attraverso la Istruzione su alcuni aspetti della “Teologia della Liberazione(1984), la Chiesa confermerà le sue critiche verso i sistemi totalitari, la tirannia dei nuovi processi tecnologici, l’esigenza di giustizia e l’opzione preferenziale per i poveri che incarnano le comunità ecclesiali di base che vivono nella vera comunione con la Chiesa Universale.

Ma dichiara anche che «non si può restringere il campo del peccato al cosiddetto peccato sociale». Indica che «non si può neanche focalizzare il male principale unicamente nelle strutture»; respinge la «autoredenzione dell’uomo attraverso la lotta di classe» che propone l’ermeneutica marxista e che suppone che «c’è verità solo nella e per la prassi partitica».

La violenza

Così come si pronuncia contraria a una società fondata sulla violenza (dei ricchi contro i poveri come la controviolenza rivoluzionaria): «il ricorso sistematico e deliberato alla violenza cieca, da qualsiasi lato venga, deve essere condannato». Il documento aggiunge anche che «la violenza genera violenza e degrada l’uomo», insegna che «è un’illusione mortale credere che le nuove strutture per loro stesse daranno origine a un uomo nuovo», e finalmente sostiene che «la lotta di classi (…) aggrava la miseria e le ingiustizie».




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La rivoluzione

Nella Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione (1986) si include anche una dichiarazione che, alla luce della storia, è una profezia: coloro che alimentano «il mito della rivoluzione, non solamente alimentano l’illusione che l’abolizione di una situazione iniqua sia sufficiente di per sé a creare una società più umana, ma favoriscono anche l’avvento al potere di regimi totalitari».

Ratzinger
© CPP/CIRIC
Card. Joseph Ratzinger (2002)

La redenzione

Il papa polacco e il futuro pontefice tedesco riconobbero che, per la Chiesa, «la liberazione non può riferirsi a una liberazione di natura principalmente ed esclusivamente politica», ma di «redenzione», e conclusero che «esiste una moralità dei mezzi».

Questa lettura teologica e filosofica, si legge ancora in “Gli oscuri di Bergoglio“,è riuscita a far richiudere le ferite ma anche ad aprirne altre, e nella sua imposizione corse in alcune occasioni il rischio di sembrare molto europea, ed estranea ad alcune realtà latinoamericane molto singolari per la vita della fede e il compromesso evangelico.


PAUL VI JOHN PAUL II

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Più cultura popolare e meno sociologia

Come scrisse il giornalista e scrittore Alver Metalli,  «in Argentina si era formato un nucleo, una linea teologica, che poneva l’accento sull’esistenziale, sulla religiosità e sulla cultura popolare. Vale a dire, più nella storia che nella sociologia. Formavano parte di quel nucleo, tra gli altri, gli argentini Lucio Gera, Gerardo Farrell e Carlos Scannone, nomi noti e frequentati tanto da Bergoglio, quanto dal filosofo uruguaiano Alberto Methol Ferré».

Il pensiero di Bergoglio

Tutti, prosegue Metalli, «avevano in comune l’accento sul tema della religiosità popolare, dei poveri, della cultura, della storia latinoamericana, e sviluppavano un approccio molto più comprensivo della realtà nazionale e, di conseguenza, entravano in conflitto con la teologia della liberazione subordinata all’ermeneutica marxista. Jorge Bergoglio si identificava con questa linea teologica e di pensiero». Da quel pensiero si svilupperà la “Teologia del Popolo” che sarà un caposaldo nella visione del futuro Papa Francesco.


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