Messo in rotta l'Isis, la situazione in Siria continua ad essere tragica. La guerra continua e i bombardamenti anche. In Ghouta orientale, vicino Damasco, in pochi giorni si sono toccate le 500 vittime civili secondo i dati dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. Se a Ghouta l'offensiva è portata avanti dal regime di Assad, un nuovo fronte di guerra si è aperto nei pressi di Afrin, ad opera della Turchia di Erdogan che vuole il nord della Siria, attaccando i curdi.

Il conflitto in breve

Dal 2011, anno in cui è nata la rivolta popolare contro il regime di Bashar al-Assad, figlio di Hafez al-Assad che aveva preso il potere con un colpo di stato nel 1970, la Siria si trova sotto il fuoco degli oppositori al regime e dei loro alleati internazionali (tra cui Usa, Francia e Gran Bretagna) e della spietata repressione del regime di Assad, sostenuto dalla Russia.

Il conflitto ha coinvolto anche i paesi confinanti, soprattutto dal punto di vista dello scontro religioso. La famiglia Assad fa parte della comunità religiosa alawita, una branca dello sciismo minoritaria in Siria. Così l'Iran sciita sostiene il governo insieme ad altri paesi come Iraq e Afghanistan. La Turchia, invece, sostiene i ribelli, insieme ai paesi sunniti come Qatar e Arabia Saudita.

A fine 2011 nasce l'Esercito Siriano Libero (FSA, Free Sirian Army) e da questo momento da semplici manifestazioni di protesta si passa a un vero e proprio scontro armato. L'FSA riesce a conquistare alcuni territori in Siria. Nel frattempo ad esso si unisce il Fronte al-Nusra, branca siriana di al-Qaida e dello Stato Islamico dell’Iraq (ISI, a cui manca la S perché ancora il territorio siriano non è stato conquistato), costituito da fondamentalisti sunniti che vogliono rovesciare Assad e creare uno stato islamico.

Esercito e Fronte inizialmente collaborano, anche se il secondo comincia a caratterizzarsi per violenti attacchi a stampo terroristico. Il Fronte nel 2013 conquista la città di Raqqa. Nel 2014, l'FSA si oppone al Fronte, mentre nel nord-est sono i curdi a combattere. Nel 2014 viene proclamata la nascita del califfato islamico, comprendente i territori conquistati dai jihadisti dell'Isis in Iraq e in Siria.

Nel 2015, i ribelli appoggiati dagli Usa, riescono a riconquistare Raqqa, diventata capitale del califfato.

L'Onu approva il cessate il fuoco

Gli scontri da allora non sono mai cessati, anzi, di particolare brutalità risultano essere stati gli attacchi fatti dal regime di Assad, anche con l'utilizzo di armi chimiche. Negli ultimi giorni l'Osservatorio nazionale siriano (Ong) ha accusato il governo di aver utilizzato delle armi chimiche, in particolare gas cloro, sulla zona di Ghouta Est, cosa che era già avvenuta il 4 aprile scorso a Khan Sheikhoun, nonostante il regime abbia sempre negato il suo coinvolgimento.

"Diversi civili hanno avuto sintomi di soffocamento, un bimbo è morto", afferma la Ong.

Dal 19 febbraio le forze governative siriane hanno cominciato l'assedio a Ghouta, controllata dalle forze ribelli e che già nel novembre era stata bloccata dal regime impedendo ogni accesso alla zona, avviando una grande operazione di bombardamenti.

Una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'ONU ha stabilito una tregua umanitaria in Siria a partire da oggi. Questa risoluzione prevede delle "pause umanitarie", ovvero che per almeno 30 giorni venga rispettato il cessate il fuoco per cinque ore al giorno, dalle 9 alle 14, che consenta ai civili di abbandonare le zone colpite dai bombardamenti e di permettere gli aiuti umanitari.

La risoluzione è stata approvata anche dalla Russia di Putin, che fino ad ora aveva posto il veto a qualsiasi decisione delle Nazioni Unite riguardante il regime di Assad, suo alleato. Esenti dal cessate il fuoco saranno però gli attacchi contro l'Isis, al Qaida, al Nusra e altri gruppi affiliati ai terroristi. Mosca chiede che la tregua sia rispettata anche su altri fronti, come Afrin.

Il silenzio internazionale di fronte al nuovo fronte di guerra in Siria

Ad aggravare la situazione è ciò che succede dal 20 febbraio nella zona di Afrin, luogo controllato dai curdi. Abbiamo quì un faccia a faccia tra Erdogan e Assad. Le forze turche, con il sostegno dell'Esercito siriano libero, hanno avviato l'operazione "Ramo d'ulivo", con lo scopo di liberare il territorio dai curdi dell'Unità di protezione popolare (sigla YPG).

I curdi sono importanti alleati degli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato Islamico, ma anche la Turchia, e questa operazione rischia di rompere gli equilibri internazionali. In realtà i curdi hanno garantito la protezione della popolazione nella zona oltre alla stabilità, ma Erdogan non ha mai avuto particolare simpatia per loro, presenti anche a sud della Turchia, dove si sta verificando una vera e propria guerra interna. Il Kurdistan, in realtà, è una nazione ma non uno stato indipendente, che si divide tra il sud-est della Turchia, Iran, Iraq, Armenia e nord-est della Siria. Il Kurdistan iraqueno ha assunto sostanziale indipendenza, e dallo scoppio della guerra anche quello siriano ha assunto autonomia politica.

L'intento della Turchia, dunque, sembra essere il massacro della popolazione curda e del suo sogno.

Nel frattempo, pare che Assad abbia deciso di muoversi in sostegno dei curdi, allo scopo di ristabilire il controllo del regime su quella parte di territorio. Una critica nasce dal fatto che non ci siano state molte discussioni riguardo questo nuovo massacro, nessun hashtag o manifestazione di vicinanza a livello internazionale, e poca informazione sui media su questa nuova violazione della Carta delle Nazioni Unite.

Non si sa quanto durerà l'assedio turco ad Afrin, ma Erdogan ha affermato che la Turchia non si fermerà fin quando il "lavoro non sarà finito". Ma chi può sapere davvero se le mire del leader turco non vadano oltre?