Le parole di Robert Fiske descrivono bene la situazione che si sta vivendo in Siria. Una terra devastata dalla guerra, che non sta vedendo vincitori, ma solo vinti. C’è stato un nuovo sospetto di attacco chimico, con gas cloro, ai danni dell’enclave ribelle del Ghouta orientale; lo denuncia il servizio sanitario gestito dai ribelli dove diciotto persone hanno riportato sintomi da esposizione al gas e un bambino è morto. Ovviamente le voci sono state smentite subito sia da Damasco che dalla Russia. Ci piace pensare di esserci evoluti, di essere sopra alle altre specie, ma l’ultimo secolo ha dimostrato invece la nostra mostruosità.

L’aggressività su larga scala fa sicuramente parte della natura umana, la storia dice così, non si può scappare. La guerra è poi diventata una forma di aggressività istituzionalizzata, legittimata dalle parti contrapposte. Quando pensiamo alle guerre i due esempi lampanti sono quelle mondiali, ma ne esistono molte altre: dai signori della guerra in Cina, nella prima metà del ‘900, fino alle guerre civili in Nigeria, Congo e Sudan nella seconda metà, e potrei proseguire con altre decine di esempi.

Psicologia della guerra

Alla base di qualsiasi guerra o conflitto vi è una struttura psicologica di appoggio costituita dalle credenze e dai vissuti del popolo. Se questa architettura è scadente o addirittura non c’è, il leader userà la propaganda per crearne una in tempi di guerra: sia i soldati che le persone a casa hanno bisogno o di tenere alto il morale o di vedere nella guerra l’unica soluzione.

A livello economico-politico limitarsi a considerare la guerra solo come volontà di soggetti violenti e individualisti non avrebbe senso; ci sono classi sociali che, consapevoli di una loro condizione di inferiorità si affidano a guerre e colpi di stato per raggiungere una propria realizzazione, anche quando la “ricompensa” non è tanto economica ma più psicologica: si illudono spesso di poter cambiare le cose.

Il narcisismo di guerra

Secondo lo psicoanalista e sociologo tedesco Erich Fromm alcune guerre nascono da una “ferita inferta” al narcisismo sociale di uno stato. La caratteristica del narcisista sta nel suo modo di risolvere il problema che ha con il mondo, ossia andando a sostituire quest’ultimo con sé stesso. Di conseguenza la caratteristica del gruppo narcisistica è nel bisogno dei membri di identificarsi con il leader: i suoi successi diventeranno i loro successi e godranno come se fosse stati loro ad ottenere la vittoria.

Tornando al primo punto della “ferita inferta”: l’unica risposta che si può dare al narcisismo sociale quando viene offeso è la distruzione dell’offensore, in modo da eliminare l’offesa subita; una tale idea è possibile vederla nella passata rielezione del presidente Bush. Bush aveva adottato la linea politica della cosiddetta “guerra preventiva” che di per sé un portava un guadagno alle lobbystiche dell’economia statunitense, ma serviva più come effetto sul narcisismo della popolazione americana.

Freud e Einstein

Due tra i massimi pensatori della storia, Sigmund Freud e Albert Einstein, nel 1932 ebbero uno scambio epistolare dove esploravano le ragioni della guerra; la serie di lettere è ora racchiusa in un volume dal titolo "Perché la guerra?".

I due riuscirono ad accordarsi solo su due punti: il fatto che gli uomini sono dipendenti da un istinto di conservare e unificare ma allo stesso tempo da un istinto di distruggere e odiare. Questi due istinti sono dipendenti l’uno dall’altro e non possono esistere separatamente, e tutta la vita va ricondotta a queste due forze. Il secondo punto, riguarda invece una possibilità di rimedio alla guerra; i due pensavano che le brutalità dei conflitti potessero essere fermate solo creando una classe superiore di pensatori indipendenti da ogni stato, di alta moralità, dotati di capacità di leader, quindi di facile comprensione sia per gli intellettuali sia per le masse ispirate e fedeli solo alla ragione; possibilità ovviamente utopica per i due autori.