Sconvolgente il fatto denunciato in Germania, nella scuola elementare “Paul-Simmel” di Berlino, dove una bambina, dopo essere stata affiancata da un compagno di classe che le ha espressamente chiesto quale religione professasse, è stata picchiata.

Il colpevole di questo ingiurioso fatto è un gruppo di bambini musulmani che, indignati, non hanno saputo rispettare la differenza culturale che intercorre tra persone diverse in un paese civilizzato. Eppure coloro che hanno umiliato la piccola davanti a tutti, sono figli di immigrati musulmani.

In relazione a questo grave fatto sono intervenuti prima il preside della scuola elementare, che vorrebbe inserire dei servizi di sorveglianza per limitare avvenimenti di questo tipo, e poi un professore di una scuola berlinese.Quest’ultimo, aprendosi al quotidiano Berliner Zeitung, ha denunciato che, il 70% degli alunni della scuola elementare, sono figli di immigrati.

Il problema di fondo, a suo modo di vedere, è quello che riguarda i bambini musulmani che sono influenzati dal “fanatismo” religioso e che, prima di saper leggere e scrivere, hanno imparato a dividere (in modo estremamente errato) il mondo in: musulmani (credenti)-non musulmani (miscredenti).

Il “mobbing religioso” e la sua degenerazione

Il “mobbing religioso” è quella pratica che induce un gruppo di persone, o un singolo, ad avere atteggiamenti e comportamenti aggressivi nei confronti di persone con vedute contrastanti. In tal caso, questo piano di diversità è quello religioso e, evidentemente, colpisce (più di tutti) i credenti musulmani.

La responsabile della comunità ebraica di Berlino, infatti, è tornata a parlare a riguardo dei comportamenti “antisemiti”: sono sempre, in maggior numero, le persone attaccate perché ebree e, come afferma proprio Deidre Berger, le donne sono le più colpite.

I musulmani, parafrasando le parole della segretaria, vedono nella radicalizzazione un motivo di coesione che li rende più sicuri e uniti in quanto appartenenti a un gruppo che ha sperimentato e tuttoggi subisce l’esclusione e l’emarginazione.

Preoccupante, però, in questo caso di cronaca, è l’età dei colpevoli: bambini di soli 7 anni.

In che modo un ragazzino può essere spinto ad agire così se non sotto l’impulso degli educatori? Con che valori potrà crescere un bimbo che fin da piccolo discrimina “il diverso”? Inoltre vi è un quesito essenziale: “come creare un clima disteso, di pace, se gli insegnamenti sono di questo genere?”

Gli autori del fatto sono i figli di persone immigrate in Germania.

Questi ultimi sono i primi, però, a richiedere di non essere discriminati e lamentano il fatto di essere trattati come “diversi”. Effettivamente non solo in Germania si sono verificati casi di questo genere: musulmani che, con atteggiamenti discriminatori, maltrattano gli appartenenti alle altre etnie si sono presentati anche in Francia (solo per fare un esempio).

Non può essere un discorso generale perché, con i luoghi comuni non si sono mai individuati i veri disagi, ma è evidente che, una problematica strutturale e di fondo, ci sia. Se a soli 7 anni essi hanno maltrattato una coetanea, l’educazione di base è, senza ombra di dubbio, carente. Coloro che si lamentano di essere discriminati sono i primi che insegnano come prendere le distanze, in modo radicale, da etnie o religioni diverse.

Un passo decisivo, invece, dovrebbe venire prima di tutto da loro.

Finché ci si barricherà dietro i pregiudizi, fino al giorno nel quale si combatteranno le cosiddette guerre di “religione” e fino a quando la “xenofobia” riguarderà tutti i livelli e gli strati della società, le condotte ed i comportamenti degli uomini di tutte le età, saranno questi. Infatti, i bambini, nella loro innocenza, sono soltanto lo specchio di pensieri e punti di vista errati che acquisiscono dai genitori e dalle comunità alle quali appartengono.