Non c’è fenomeno sociale più discusso che il razzismo, facendolo risalire, la plurima parte delle volte, all’olocausto ed al genocidio nazista. Dopo di quello si tende sempre a dare per scontato che questa piaga sociale, questa tracotanza individuale di un popolo nei confronti di un altro, sia scomparsa. Eppure continuano ad essere presenti, latentemente e sommessamente, all’interno di comunità o della società in generale, episodi di razzismo che non vengono quasi mai portati alla luce e che rimangono molto spesso chiusi in loro stessi.

L’episodio di Akala

Nel 1988, all’età di cinque anni, Akala rincasa dopo un ennesimo giorno di scuola, pieno di rabbia. Sua madre si accorge dello stato d’animo del bambino, il quale, titubante e quasi reticente spiega alla madre l’accaduto: aveva ricevuto un insulto razzista da un altro bambino che lo aveva definito in modo dispregiativo. Il problema fu come Akala stesso iniziò la frase: ”mamma, il bambino bianco” e non finì la frase: qualcosa nel volto della mamma stava cambiando, e già a quella tenera età Akala capì che la relazione con sua madre stava cambiando per sempre.

Sua madre era appunto bianca, di origine scozzese. Akala stava riportando un evento razzista avvenutogli senza tener conto del fatto che ne stava commettendo lui stesso uno nei confronti di sua madre.

Da quel giorno, ci spiega Akala, il suo rapporto con la madre cambiò completamente e da essere un rapporto madre-figlio normale, divenne un rapporto, come lui stesso definisce, madre bianca e figlio nero.

Razzismo e psicanalisi

Ora tentiamo di effettuare una possibile eziologia per il razzismo rifacendoci alle teorie psicoanalitiche, così da poter capire cosa alberghi nell’inconscio delle persone i cui comportamenti sfociano in atti razzisti.

Quello che forse dovremmo analizzare dovrebbe essere il rapporto interpersonale che intercorre tra l’Io individuale di una persona che chiameremo X e l’Io individuale della persona che chiameremo χ (chi greco). Come potremo notare le due lettere sono quasi identiche, ma la loro fonetica cambia.

Appaiono nello stesso modo, ma in fondo, sono diverse.

Trasponiamo allegoricamente questo concetto all’essere umano: dobbiamo pensare il rapporto che lega ognuno di noi come quello che intercorre tra la X ed il χ, ossia, un rapporto nel quale ognuno guarda l’altro soffermandosi esclusivamente allo strato superiore, ed è così che sembriamo tutti uguali l’un l’altro, poiché ci identifichiamo effettivamente in un’altra persona, riconosciamo noi stessi nell’altra persona, e facciamo combaciare i nostri Io, pur avendo differenze di base esplicite. Ma cosa accade quando incontriamo un altro Io con il quale non riusciamo ad identificarci?

Accade che lo misconosciamo, ossia, non lo rendiamo tale da poterlo identificare come entità somigliante, e quindi amica.

Pensateci un attimo: quando siamo tra persone che ci somigliano ci accorgiamo solo della scrittura della persona, ma quando ci troviamo accanto ad una persona diversa, che anche molto spesso giudichiamo, salta all’occhio immediatamente anche quella differenza latente che intercorre tra una X ed un χ. Tutto questo potrebbe avvenire inconsciamente anche in quelle persone che operano in maniera razziale: misconoscono l’altra persona di colore diverso, poiché condivide con loro spazi ed oggetti, insomma qualsivoglia materialità e non, che dovrebbe essere relegata a lei ed al suo spazio, nel quale sono compresi anche quegli Io identificati.

Ecco perché tutto questo vituperio: non tutti riescono ad identificare una persona di colore diverso come se fosse una persona in quanto tale, poiché abituato a ritenere tali esclusivamente coloro che fanno parte della sua pelle, e quando gli si presenta una persona differente dalla “normalità”, inconsciamente si attiva quel meccanismo che fa trasparire gli elementi differenziali tra l’Io X e l’Io χ.

Ma tutto questo non straripa soltanto quando osserviamo persone di colore differente dal nostro (ricordandoci che, viceversa, questo potrebbe valere anche per loro) ma anche quando notiamo comportamenti o persone che vestono in particolar maniera o che, in generale, non rispettano il bon ton: in noi si attiva un meccanismo inconscio che sembra non voler identificare come un Io collettivo quella persona.

Spiegato in parole povere, siamo tutti individuali, siamo tutti Io, ognuno diverso dall’altro, e viviamo in una società che ne è un compendio, identificabile quindi come un Noi, e quando si notano delle persone che attuano diversamente da questo Noi, automaticamente le differenze che comunque intercorrono anche tra tutti gli Io del Noi, risaltano all’esterno.