Torna l’incubo del terrorismo in Belgio: altri tre morti durante la mattinata del 29 maggio a Liegi. Le vittime sono due poliziotte di 53 e 45 anni e uno studente di pedagogia di 22 anni. L’ identità delle due donne, entrambe madri, e del giovane, che avrebbe dovuto laurearsi per diventare insegnante nel giro di poche settimane, sono state rese pubbliche, dopo poche ore dall'accaduto, dal sindaco della città e dal capo della polizia che esprimono il loro cordoglio. Il ministro degli interni belga si è espresso sul fatto con queste parole: “I nostri pensieri sono con le vittime di questo atto orribile.

Stiamo lavorando per stabilire il quadro di che cosa sia accaduto esattamente”.

Una dinamica tutta da accertare

Secondo le ricostruzioni l’attentatore, Benjamin Herman, era un cittadino francese originario di Rochefort. L’uomo sarebbe stato fermato dalle poliziotte per un controllo di routine e, armato di coltello, le avrebbe assalite infliggendo diversi colpi non letali. In un secondo momento avrebbe sottratto l’arma di ordinanza ad una delle due agenti e avrebbe esploso dei colpi, uccidendole. Avrebbe poi rivolto l’arma contro lo studente che si trovava in auto sparandogli. Successivamente, Herman si sarebbe spostato nell'atrio di un liceo, il Leonie de Waha, e avrebbe preso in ostaggio la segretaria.

Sarebbe seguito poi uno scontro a fuoco con gli agenti PAB (peloton anti-banditisme) in cui l’uomo è stato ucciso solo dopo aver ferito quattro agenti. Durante lo scontro, secondo alcune testimonianze, l’uomo avrebbe gridato più volte “Allah Akbar” prima di essere colpito a morte: è quindi quasi accertato che si tratti di un crimine a scopo terroristico.

Ad Herman lunedì era stato concesso un permesso di uscita dal carcere di Lantin in cui era rinchiuso per reati minori. Gli altri detenuti lo definivano un individuo emarginato e violento, mentre dalle sue perizie psicologiche emergeva una mente “instabile” e un uomo con una gioventù difficile alle spalle. È ancora da stabilire, però, se la radicalizzazione sia avvenuta all'interno del carcere o in altra sede.

La psicologia delle masse

Atti come quello di ieri a Liegi hanno lo scopo di infondere terrore in grandi gruppi di popolazione e di creare un clima di instabilità e sfiducia nelle forze dell’ordine. Ma perché una grande massa di persone reagisce allo stesso modo ad atti di questo genere? La spiegazione di questo effetto si trova negli studi condotti da Gustave Le Bon, raccolti nell'opera “Psicologia delle folle”. Secondo la sua visione, la folla non è semplicemente un grande gruppo di persone riunite in uno stesso luogo, bensì è uno stato d’animo comune, un momento in cui il singolo individuo perde le sue caratteristiche per acquistarne di nuove, conformi a quelle dell’anima collettiva. La massa agisce attraverso un inconscio collettivo tramite il quale l'individuo si sente de-responsabilizzato e viene privato dell'autocontrollo, rendendo le folle facilmente influenzabili da fattori esterni, come persone carismatiche o eventi che scuotono profondamente la società (un attentato terroristico, per esempio).

In parole povere, una grande massa agisce allo stesso modo seguendo le pulsioni inconsce, primordiali, affidandosi quindi all'Es (secondo la teoria freudiana) ed eliminando le istanze censoree dell’Io e del Super-Io, creando panico generale e instabilità. È importante quindi che le masse vengano sciolte tramite l’informazione e l’azione delle istituzioni. In questo modo non possono cedere agli atti intimidatori di gruppi che hanno tutto l’interesse nel destabilizzare i già deboli equilibri tra varie etnie e religioni.