Se per certe questioni la verità resta di per sé relativa e quindi non definitiva, non bisogna comunque disimpegnarsi a un'osservazione minima delle sue parti.

Ultimamente, ad esempio, si è parlato abbastanza frequentemente della guerra in Siria ma, a causa della disinformazione, dell'insicurezza della verità e un po' di una sorta di menefreghismo indotto, si pensa alle questioni medio-orientali sempre come qualcosa che ci è molto estraneo.

Un estraniamento questo da contestare, dal momento che l'Italia è indagata di export illecito di armi nello Yemen.

Ed è da contestare soprattutto perché in mezzo a questi conflitti che non denunciando alimentiamo, ci sono esseri umani. E per questo in fondo dovremmo sentire nei loro confronti un senso di appartenenza e responsabilità.

Ma, basandoci su fonti empiriche e procedendo con più ordine, cerchiamo di fare un po' di chiarezza: chi è coinvolto? Perché? Quando è iniziato questo conflitto e come si è propagato? Quanti e quali sono i conflitti? Qual è l'effetto dell'instabilità? E, in maniera speciale, cosa possiamo fare?

Chi è coinvolto?

In uno scenario di guerre, schieramenti e interessi intrecciati, è tanto facile confondere le parti in gioco, quanto stabilire con certezza cosa davvero accade in Siria.

Questo perché è davvero raro avere un coinvolgimento diretto o quantomeno una mediazione affidabile sul campo, anche a causa delle distorsioni e delle omissioni di molti media ufficiali. Cercheremo quindi, per motivi di un'iniziale comprensione, di individuare nel modo più schematico possibile - e magari anche ingenuo - due schieramenti.

Da un lato, la coalizione occidentale, America - Francia - Inghilterra, appoggiata dal resto dell'Europa (Italia compresa) ma non militarmente e proclamando una pace a parole. A questo schieramento vanno poi aggiunte altre minoranze parallele, interne al medio Oriente, tra cui Arabia Saudita, Israele, Turchia, e insomma le monarchie del Golfo, che, anche indirettamente, sono alleate a questo schieramento.

Dall'altro lato, la coalizione orientale, Russia - Siria (di Assad) - Iran, che riunite contro comuni nemici, con i loro accordi commerciali si scambiano materia prime e armi. A quest'altro schieramento vanno aggiunte, in parallelo, le altre minoranze interne e potenze con cui mantengono contatti anche solo commerciali.

Quando e come sono iniziati i conflitti?

La situazione in Siria inizia a farsi trepidante il 22 febbraio 2011, quando un gruppo di ragazzini scrive sui muri della scuola alcuni slogan di protesta contro il regime siriano. Queste proteste, poi diffuse in manifestazioni e cortei, vennero represse dal regime di Assad. Per contro si formarono, tra i ribelli e i protestanti, l'Esercito libero siriano, per difendere i manifestanti, e le prime milizie jihadiste, tra cui i movimenti islamisti sunniti paramilitari terroristici, al-Qaeda, nel 2012, e al-Nusra, che pure facevano opposizione politica e ideologica ad Assad.

Da qui si scatenerà una guerra civile in Siria, tuttora in atto, tra le varie controparti ribelli e il regime di Assad - e ognuna delle due parti si schiererà, per interessi comuni, come abbiamo visto, con la coalizione occidentale o con quella orientale, potenze che ancora non volevano rinunciare del tutto ad esercitare la propria influenza in medio Oriente.

La ribellione siriana del 2011 confluisce nell'insieme di sommovimenti contro i regimi di tutto il medio Oriente, in quella che viene definita Primavera araba, diffusasi infatti anche in Tunisia, Egitto, Marocco, Giordania, Libia, Yemen e altre monarchie del Golfo Arabico.

Molte di queste proteste sono sfociate talora in guerre civili ancora oggi in corso tra ribelli e regime, o si sono arrese a quest'ultimo.

E dopo alcuni mesi di iniziale protesta mossa da comuni ideali di libertà e democrazia, pressoché tutti gli schieramenti ribelli si sono ammansiti o traviati, anche a causa dell'entrata in scena delle grandi potenze.

I diversi conflitti (d'interessi)

Data la presenza di più parti, vi sono conflitti per interessi geo-economici, per il co-possesso dei giacimenti di petrolio e di gas, che si intersecano con gli interessi geo-politici, per la lotta alla predominanza territoriale e quindi politica e ideologica, delle singole fazioni.

- Una guerra civile in Siria tra il dittatore Bashar al-Assad (con regime laico e filo-sovietico) e le controparti ribelli (finanziate logisticamente anche dai rapporti commerciali con l'Occidente, e quindi anche indirettamente filo-occidentali).

Fanno parte dei ribelli: l'Esercito libero siriano (ELS); l'autoproclamato califfato islamico di Iraq e Siria (ISIS), che a sua volta si scontra con lo stesso ELS; e Israele, che invece ha interessi a non far espandere l'Iran (sostenitore del Partito anti-Israele di Hezbollah). Questa è la guerra presa ad alibi dalle grandi potenze per intromettersi in questi territori e, accordandosi con essi, accaparrarsi le materie prime (assicurandosi quindi il primato nella gerarchia internazionale)

- La guerra civile tra Arabia saudita (sunnita) e Yemen (sciita). L'Arabia, finanziata logisticamente in modo indiretto dall'America, cerca di instaurare nel vicino Yemen un governo filo-saudita per indebolire l'Iran, grande nemica di entrambi i paesi.

Mentre dall'altra parte c'è la resistenza yemenita, guidata dalla forza sciita degli Huthi (armata da Russia e Cina), che pure combatte una guerra interna con la stessa repubblica ufficiale dello Yemen, guidata dal presidente sunnita Hadi (armata invece dagli stessi sauditi, secondo la logica per cui il nemico del mio nemico è mio amico).

- La guerra propugnata dai Curdi (YPG), una popolazione senza fisica unità nazionale, che vuole l'indipendenza, e pertanto combatte contro qualsiasi gruppo intenzionato a portare la guerra nelle zone a maggioranza curda (in particolare quelle nel Nord della Siria), ma soprattutto contro la vicina Turchia. Questo perché la Turchia, spinta da progetti nazionalistici, vuole riunire tutta la Siria del Nord, Curdi compresi, sotto la propria bandiera.

Ma, data la volontà d'indipendenza Curda, ha luogo quest'altra guerra nel Nord della Siria, in cui nessuna potenza si schiera coi Curdi: nessuno vuole uno stato così indipendente, laico, anti-fondamentalista, accusato persino - la scusa è buona - di arruolamento di minori, e di alcuni crimini di guerra. Ma soprattutto nessuno vuole intaccare gli accordi di business tra Europa e Turchia riguardo i migranti. Esteri

I fatti più recenti

La guerra in Siria, di cui si è parlato negli scorsi giorni, riguarda perlopiù singolarmente il conflitto tra il dittatore Assad e i suoi oppositori/ ribelli. In particolare la questione verte sull'immoralità e l'illegalità di un presunto attacco chimico (vietato secondo accordi internazionali in casi di guerra) sulla popolazione, avvenuto il 7 aprile 2018 presso Douma, che avrebbe provocato almeno 100 morti e più di 1000 feriti: il principale accusato (da America, Francia e Inghilterra) è Assad.

E allora Usa, Francia e Inghilterra, dopo qualche giorno, il 13 aprile 2018, decidono di bombardare per tutta risposta tre punti in Siria: un laboratorio scientifico a Damasco, che era sospettato di produrre armi chimiche; quello si dice fosse un sito di conservazioni di armi chimiche, e una base militare, entrambi a Homs.

L'intervento militare perpetrato dalle tre nazioni occidentali è giustificata dalla pubblica opinione per i suoi principi di azione: moralità e giustizia. Ma la situazione è stata efficacemente descritta dalla giornalista Jenan Moussa, in un post molto d'impatto su Twitter: "L'Occidente può dire di aver agito. La Russia può dire che il bombardamento è stato minimo e che non ha bisogno di reagire.

Entrambe le parti hanno salvato la faccia."

In ogni caso, le tre nazioni occidentali si giustificano dicendo che i bombardamenti di risposta erano circoscritti e mirati, e che non erano per nulla volti a un rovesciamento del regime di Assad - come invece accusa la Russia che, nel caso si ripetessero attacchi, si dice pronta a intervenire -, ma avevano il solo scopo di limitare la capacità del suo arsenale chimico. Ma di queste armi chimiche non è neanche stata accertata la presenza, finora, dagli ispettori ONU, in indagine sul campo.

E così le potenze occidentali decidono di ergersi a difensori dei diritti umani e delle minoranze ribelli, vestendosi con abiti da giustiziere pubblico, e passando sopra le competenze dell'ONU di mediare la pace e la difesa dei diritti.

Ma ogni attacco, per quanto possa essere mirato, non può mai escludere con certezza il coinvolgimento di civili. Ogni attacco, intenzionale o incidentale, è macchiato di colpevolezza. La colpevolezza di decidere delle sorti degli uomini.

Ma noi, che siamo lontani, che siamo nullità nei disegni politici internazionali, che non sentiamo la gravità di questi conflitti sulla pelle, siamo altrettanto colpevoli. Colpevoli di non condannare queste guerre interessate e ipocritamente condotte in base a barcollanti principi, di un nuovo imperialismo colonialista.

Tra finta democrazia, dittature mostruose e oppositori indottrinati

Analizzando ognuna delle controparti, ci si chiede chi sia davvero la parte democraticamente interessata al bene dei popoli e quale quella dittatoriale.

Meglio imporre la pace con una guerra di facciata, oppure lasciare che la guerra in Siria si svolga secondo un proprio corso? Probabilmente nessuna delle due risposte è corretta. Ma finanziare una guerra per poi imporsi come garanti della pace, sicuramente, non è molto umanitario. Anzi, è abominevole e ipocrita.

E, dall'altra parte, nemmeno è facile sradicare quel governo dittatoriale e repressivo quale è il governo di Assad, perché è la società stessa che in primis è repressiva, rigida, dittatoriale (di fatti la libertà intellettuale è praticamente vietata), ma soprattutto perché un regime dittatoriale è più comodo da gestire: si fa la volontà di un solo uomo (che spesso è in accordi con altri uomini in rapporti internazionali).

E neanche è detto che quei nemici del regime siano poi così innovatori e democratici: tanto per fare un esempio, i jihadisti islamici sostenitori della guerra santa, forti di una errata interpretazione del Corano, sono fondamentalisti fanatici.

L'effetto di tale instabilità è pertanto normalmente quello di alimentare i perpetui conflitti, e di crearli laddove si impongono gli interessi di pochi o di molti. Ma cosa più importante, ricordiamo che questi conflitti coinvolgono civili, che si vedono costretti in bombardamenti che non capiscono, non vogliono, non condividono. Molti di essi fuggono dai loro paesi - ma dove, se vengono rimbalzati da un paese all'altro? E quelli che restano vengono stremati dagli esiti luttuosi della guerra: distruzione, povertà, malattie, mancanza di servizi, troncamento di canali umanitari per il soccorso. E il loro lutto avviene dentro. La morte della speranza.

A chi (non) dare ragione?

In situazioni del genere, non esiste giudice. Nelle guerre, nessuno ha ragione e nessuno vince. Ma poiché in queste politiche regna un relativismo dei valori, tutto è consentito.

E se siamo arrivati a questo punto, c'è davvero bisogno di fermarsi a pensare. Non si possono anteporre interessi privati al bene comune. Non ci si può disinteressare del resto del mondo, specialmente se siamo noi a cambiarlo. E' un appello a tutti. E' un appello ai nostri principi di responsabilità verso il mondo. Non lo consumiamo con guerre e sfruttamenti. Possiamo cambiarlo. Possiamo leggere, scrivere, denunciare, protestare, firmare appelli contro le violenze. Facciamo valere la nostra libertà intellettuale e di azione. Ma, più di ogni cosa, facciamo in modo che il cambiamento inizi da dentro, da noi stessi.