Dopo il fallimento dell’esploratrice Elisabetta Casellati non è andata certo meglio a Roberto Fico, bloccato all’angolo di un ring sul quale il Partito Democratico non è ancora salito. I segnali di apertura lanciati e colti rispettivamente da Luigi Di Maio e Maurizio Martina non sono serviti infatti a ingranare il cosiddetto forno rimasto (virtualmente) aperto. La distanza è rimasta siderale, come era facilmente prevedibile, perché il recente passato fatto di accuse e veleni contrapposti non poteva essere cancellato con la mera necessità di dare un governo al Paese.

Se non altro la missione affidata da Sergio Mattarella al presidente della Camera ha aperto uno spiraglio impensabile al Nazareno. Guai però a parlare di apertura: il corteggiamento del M5S ha sortito al momento l’effetto di riaccendere una lotta fratricida interna che si era interrotta soltanto con le dimissioni formali di Matteo Renzi. L’ex segretario era e resta l’azionista di maggioranza di un Pd fortemente orientato a rovesciare il tavolo intorno al quale intende sedersi l’attuale reggente Maurizio Martina. Un ostacolo che appare insormontabile e contro il quale il fronte dei dialoganti sarà costretto a battersi nella Direzione straordinaria del partito convocata urgentemente il prossimo tre maggio.

Proprio in considerazione di ciò Fico potrebbe chiedere e ottenere dal Colle un nuovo slittamento.

Il contrattacco di Renzi

I margini per strappare un sì unanime del PD, è bene chiarirlo, restano minimi. Nel suo silenzio assordante Renzi è uscito dal cono d’ombra all’interno del quale si era celato. All’ammiccamento di Martina al M5S, il senatore di Scandicci ha risposto con la pioggia di tweet dei suoi fedelissimi.

Tanto è bastato per porre sulla graticola il segretario reggente che, salvo clamorosi colpi di scena, potrebbe essere defenestrato già dopo la Direzione nazionale. Ieri l’ultimo colpo di teatro portato in scena direttamente da Renzi nella sua Firenze: nel corso delle celebrazioni del 25 aprile ha avvicinato i concittadini e, a mo’ di sondaggista, ha chiesto loro un’opinione sulla potenziale intesa con Di Maio.

Le risposte prontamente riprese dalle telecamere (appostate non a caso a pochi metri) hanno avuto un comune denominatore: “Noi un governo con il M5S non lo vogliamo”. Un sentiment negativo confermato del resto anche da chi, di rilevazioni, se ne occupa per davvero. Allessandra Ghisleri, fondatrice dell’Istituto Euromedia Research, ha sottolineato come soltanto un elettore del PD su cinque sia favorevole a un’apertura del dialogo con i Cinquestelle. La base democratica nonostante scissioni e dimissioni, insomma, resta fortemente a trazione renziana.

Salvini passa all’incasso

Spettatore interessato al tentativo di matrimonio combinato tra M5S e PD è il Centrodestra. Matteo Salvini, dopo aver rotto con Di Maio, si è appostato sulla riva del fiume nell’attesa che "passi il cadavere" del suo ex interlocutore privilegiato.

La vittoria in Molise e il bis probabile in Friuli Venezia Giulia, hanno rinvigorito la sua leadership in ottica nuove elezioni politiche. Se dovesse naufragare anche il tentativo esplorativo del presidente Fico, infatti, non ci sarebbe altra strada che tornare alle urne nel breve periodo. In quel caso, sondaggi alla mano, M5S e Centrodestra si affronterebbero in un virtuale ballottaggio che relegherebbe a un ruolo irrilevante tutti gli altri partiti a cominciare dal PD. Lo spettro del fallimento non spaventa Renzi che, anzi, intende utilizzarlo come monito contro coloro che stanno lavorando per il sì a Di Maio. “Tra il governo e il muro - avrebbe affermato Renzi secondo un’indiscrezione pubblicata da Il Giornale - io scelgo il muro e cioè le elezioni.

Tanto io in Parlamento torno, Franceschini non so”. Proprio l’ex ministro dei Beni Culturali è considerato dall’ex segretario il regista della giravolta e, di conseguenza, si è trasformato nel prossimo nemico da sconfiggere. Altro che governo: si va verso un nuovo rinvio che anticiperà lo stop definitivo alla partita.