Giornata interlocutoria al Colle con il presidente Mattarella che ha toccato con mano la distanza abissale tra i partiti. Come preannunciato da giorni Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno rivendicato il loro diritto di incassare il mandato perlustrativo alle Camere, pur non avendo già in partenza le potenzialità per calamitare una maggioranza reale in Parlamento. Il Capo dello Stato si è limitato ad ascoltare tutti gli attori in gioco ben sapendo che la partita delle consultazioni è destinata a protrarsi nelle prossime settimane. Ciò che Mattarella vorrebbe evitare, infatti, è che si proceda per tentativi sterili che sgretolerebbero la credibilità di un Paese sotto osservazione.

Di Maio ha formalizzato la sua proposta annunciata davanti alle telecamere: un contratto sui temi blindato da condividere con il partito (Lega o Pd) che accetterà il ruolo di partner di governo. Una sorta di contentino rispedito al mittente senza tentennamenti. Se dire sì a una subalternità acclarata ai Cinquestelle è considerato impensabile, il via libera a Di Maio premier è impossibile. Quest’ultimo scoglio invalicabile ha raffreddato la “corrispondenza di amorosi sensi” con Salvini che, forte di un Centrodestra unito e compatto, ha rilanciato la sua sfida per Palazzo Chigi. Sviluppi che hanno fatto tornare il sorriso a Silvio Berlusconi stretto all’angolo dall’assedio del M5S.

La rivincita di Silvio

Il vero vincitore morale del primo walzer di consultazioni al Colle è senza dubbio Berlusconi. L’ex Cavaliere finito al centro dell’aut aut lanciato da Di Maio a Salvini (“governiamo insieme ma Forza Italia resta fuori” ndr) non solo si è regalato la presidenza del Senato con l’elezione della Casellati, ma ha avuto la prova non scontata della fedeltà del nuovo leader del Centrodestra.

Salvini ha incassato infatti le avance del capo grillino senza mai pensare un solo secondo di abbandonare Berlusconi al suo destino. Sarebbe stato fin troppo facile sfruttare la scia di governo disegnatagli da Di Maio e accomodarsi sulla poltrona del ministero dell’Interno. La guerra dei veti ha bloccato sul nascere un’intesa che persino i sondaggi certificavano come gradita all’elettorato.

Un azzardo da parte di Salvini? Forse. In realtà il capo del Carroccio è convinto che presto si tornerà alle urne e, proprio in tal senso, dire sì ora a un compromesso significherebbe azzerare la scalata per certi versi clamorosa al timone del Centrodestra. Lo stesso auspicio snocciolato ieri da Giorgia Meloni nel corso del faccia a faccia con Mattarella: “Piuttosto che sostenere un nuovo governicchio Gentiloni per dare una nuova legge elettorale al Paese, preferiamo tornare subito alle urne”.

Il PD non si muove

A confermare il suo ruolo d’opposizione a un futuro governo è stato il PD. Il segretario reggente Maurizio Martina ha ribadito a Mattarella la scelta votata all’unanimità nella scorsa Direzione.

L’esito elettorale per noi negativo - ha affermato dinanzi alla platea dei cronisti assiepati al Quirinale - non ci consente di formulare ipotesi di governo che ci riguardino in coerenza con il programma che abbiamo presentato agli elettori”. Tutto o niente potrebbe cambiare il prossimo 21 aprile quando al Nazareno l’Assemblea nazionale sceglierà il successore del dimissionario Matteo Renzi. Se dovesse spuntarla il fronte governista guidato a fari spenti da Dario Franceschini, infatti, il Capo dello Stato avrebbe a disposizione all’improvviso una sponda amica decisiva per la costruzione del nuovo governo. Chi si è reso invece disponibile a sostenere il M5S con i suoi pochi deputati e senatori è stato Liberi e Uguali.

Siamo disponibili a sostenere tutte quelle che forze politiche a eccezione del Centrodestra - ha annunciato Pietro Grasso - che hanno nel loro programma i temi che per noi sono essenziali”. Sulla stessa lunghezza d’onda del PD si è espressa Emma Bonino, leader di Più Europa: “Chi ha l’onore della vittoria, ha l’onere del governo”.