Nel contesto siriano, l'alleanza quasi innaturale tra Turchia, Russia e Iran continua a procedere a braccetto. Sabato 28 aprile, durante un incontro tra i ministri degli Esteri di questi paesi, Sergej Lavrov ha accusato gli USA di voler dividere la Siria, di voler modellare il Medio Oriente secondo i propri interessi e di aver bombardato il paese, senza alcun rispetto per il diritto internazionale. Ha dichiarato, inoltre, che gli ultimi strike missilistici americani hanno aggravato seriamente la situazione sul campo.

Il meeting di ieri aveva l'obiettivo di preparare il terreno in vista del prossimo 'round' dei negoziati di Astana, che si terranno in maggio nella capitale kazaka.

Lavrov ha, infine, avvertito che Russia, Iran e Turchia saranno i custodi dell’unità siriana. I tre ministri sono concordi sulla necessità di intensificare gli aiuti umanitari in Siria, cooperando con tutti all'ONU e attraverso altre organizzazioni internazionali (come la Croce rossa internazionale) ed hanno condannato gli attacchi con armi chimiche, rivendicano però la necessità di condurre indagini serie per cercare di individuare i veri autori dell'attacco chimico del 7 aprile che ha causato in risposta il bombardamento americano, inglese e francese.

La (scomoda) posizione turca

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, alleato dell'Occidente nel quadro della NATO, ha criticato il supporto americano alle milizie curde in Siria.

“Oggi, gli americani sostengono gruppi terroristici, e questo deve finire!”. La Turchia, infatti, considera la milizia curda come un’estensione del partito curdo dei lavoratori (PKK), un gruppo paramilitare quantomeno controverso che agisce in Turchia con metodi talvolta giudicati terroristici.

Dal punto di vista di Cavusoglu, le milizie curde in Siria hanno avuto un ruolo chiave nel sostegno allo Stato islamico (in quanto avversarie di Assad).

In realtà i curdi si sono opposti sia al regime che alle forze islamiste. Probabilmente, quindi, l’affermazione del ministro turco è una forzatura, ed è altresì evidente come Ankara abbia ben poco a cuore la causa curda, che minaccia non solo l'integrità territoriale siriana ed irachena, ma anche quella della Turchia stessa.

In Turchia infatti, i curdi sono più di 14 milioni, vale a dire quasi il 20% della popolazione. Ecco dunque spiegata l'impossibilità di Ankara di rispettare i tradizionali schemi da guerra fredda, che vedeva il blocco NATO compatto in opposizione al blocco Russia.

Qualche scricchiolio

Tuttavia, in merito alle soluzioni della crisi, il cosiddetto gruppo di Astana, non è così compatto. Assad non è una priorità per la Turchia. Ankara infatti accetterebbe un avvicendamento al potere a Damasco, pur di garantire l'unità siriana. Mentre per la Russia, questa è una precondizione impossibile da accettare.

Più preoccupanti per la tenuta del gruppo di Astana sono le ambizioni iraniane, che vanno ben oltre la pacificazione della Siria.

L’Iran mira infatti alla costituzione della cosiddetta mezzaluna sciita, che garantirebbe un’influenza (egemonica secondo l’Occidente) su Siria, Libano e Iraq. Aumentando così la forza persiana in chiave anti-occidentale oltre che anti-sunnita. Per contro, Putin ha bisogno di una Siria in salute e saldamente alleata, fondamentale come sbocco al Mediterraneo e come bastione contro una temuta (e per niente inedita) infiltrazione della jihad nel Caucaso.