Il governo traballa, ma non cade: nemmeno sul caso Siri. Non è la prima volta che le due anime dell'esecutivo si trovano sulle rispettive barricate, anche se le frizioni sono in sensibile aumento e questo, quando manca meno di un mese alle Elezioni Europee, è un segnale quanto meno sospetto. Ma in ogni caso sia sul fronte 'giallo' pentastellato che su quello 'verde' leghista ci sono ampie rassicurazioni sul contratto che va rispettato. In proposito Luigi Di Maio ha scelto un esempio per simboleggiare l'unità d'intenti del governo che non cadrà perché "Matteo Salvini non è Clemente Mastella".

Citazione infelice, almeno per il diretto interessato che ha risposto in maniera stizzita al vicepremier sponda M5S, decisamente infastidito dall'essere stato tirato in ballo. "L'onorevole Di Maio continua a mettermi dentro alla vicenda che riguarda il sottosegretario Siri. In tutta franchezza, gli voglio dire che mi ha davvero rotto le p...", ha detto l'ex ministro della giustizia senza mezzi termini.

Il 'caldo inverno' del 2008

Il riferimento di Di Maio va ovviamente a quel caldo inverno (in parlamento fu caldissimo) del 2008, quando il premier Romano Prodi si presentò al Senato per un voto di fiducia al suo governo. Se alla Camera non c'erano stati problemi in quanto l'esecutivo di centrosinistra godeva ancora di un’ampia maggioranza grazie al premio attribuito alla coalizione con più voti (il famoso Porcellum), il vero ostacolo da superare era l'aula di palazzo Madama, dove la maggioranza di governo già risicata due anni prima in occasione del voto, era ormai venuta meno.

Tra coloro che affossarono l'esecutivo ci furono i senatori dell'Udeur di Clemente Mastella che del governo era stato guardasigilli fino a pochi giorni prima. La storia ha tramandato che la motivazione della spallata furono i guai giudiziari che avevano coinvolto la moglie di Mastella, Sandra Lonardo, finita ai domiciliari per un'accusa di concussione.

Nella stessa inchiesta, si seppe poco dopo, era indagato lo stesso Mastella. Le dimissioni furono accettate da Romano Prodi il giorno successivo. Poco più di un mese dopo, le accuse a suo carico caddero, mentre gli arresti domiciliari erano già stati revocati a fine gennaio. Ad essere sinceri la vicenda giudiziaria fu la goccia che fece traboccare ed andare in frantumi un vaso piuttosto fragile, le frizioni tra l'Udeur ed il resto della maggioranza erano in atto da mesi, il partito di Mastella si opponeva ad una riforma elettorale di tipo maggioritario che sarebbe stata una mannaia per i piccoli partiti.

Dunque i parlamentari dell'Udeur, dopo aver concesso l'appoggio esterno, si trovarono dinanzi al 'niet' dell'esecutivo alla richiesta di un documento di solidarietà nei confronti dei Mastella. Da qui la decisione di non votare la fiducia al governo Prodi che chiuse dunque la sua seconda esperienza a Palazzo Chigi. Con il senno del poi, numeri alla mano, l'Udeur non fu l'unico responsabile della caduta.

'Di Maio dimostra ancora una volta poca conoscenza dei fatti'

Il ripasso di storia è ovviamente necessario per entrare nel cuore della vicenda che, ad ogni modo, Clemente Mastella ha voluto rammentare al vicepremier. "Io ritenevo di essere innocente, ma mi dimisi comunque. I verdetti hanno poi restituito la dovuta dignità al sottoscritto ed alla mia famiglia - ribadisce Mastella - e vorrei anche ricordare che il mio partito uscì distrutto da quella vicenda.

Inoltre - aggiunge - l'onorevole Di Maio, anche per ragioni anagrafiche, dimostra ancora una volta poca conoscenza dei fatti: i nostri voti non determinarono la caduta del governo perché i contrari furono 161 contro 156 a favore ed i senatori dell'Udeur erano in tre di cui uno votò a favore". Mastella consiglia al leader del M5S di "trovare altri argomenti per discutere con il suo collega leghista, gli italiani iniziano ad essere stufi di una vicenda che sta danneggiando il nostro Paese sia dal punto di vista interno che da quello internazionale".