Due naufragi in una notte: 18 vittime al largo dell'isola di Lesbo, almeno 15 a Citera, nel sud della Grecia. I superstiti: "Abbiamo visto come sono morti". Per l'UNHCR, i viaggi della speranza dei migranti stanno diventando sempre più pericolosi
Al mattino, il mare al largo di Citera - al sud del Peloponneso, in Grecia - ha trascinato lontano il relitto dell'imbarcazione in cui, lo scorso mercoledì notte, hanno perso la vita almeno 15 migranti.
Ottanta di loro si sono salvati, aggrappandosi agli scogli, o sono stati tratti in salvo dalle squadre di soccorso.
Ora possono raccontare quello che di terribile è accaduto.
Abdul Ghafar Amur, migrante afghano, racconta:
"La sicurezza di essere salvo è arrivata circa due o tre ore dopo. Durante tutte questo tempo, la maggior parte delle donne è morta e poi è toccato a giovani e anziani. Non abbiamo potuto fare nulla per loro. Li abbiamo visti morire".
L'Agenzia dell'Onu per i Rifugiati (UNHCR) rileva un cambiamento del tipo di migrazione, rispetto ad anni fa: i "viaggi della speranza" (e, al tempo stesso, della disperazione) diventano sempre più pericolosi.
Spiega Shabia Mantoo, portavoce dell'UNHCR:
"I dati, dal 2015, sono in diminuzione. Tuttavia, i viaggi stanno diventando più pericolosi. Stiamo vedendo salire il bilancio delle vittime. Nel 2021, con 120.000 arrivi, abbiamo avuto circa 3.200 persone morte o disperse su quelle rotte. Questi viaggi sono sempre più mortali".
Nella stessa notte di mercoledì scorso 5 ottobre, altre 18 persone hanno perso la vita al largo dell'isola greca di Lesbo, vicino alla Turchia: 16 donne africane, un uomo e un ragazzo.
Per entrambi i naufragi, le cause sono state state il maltempo e il forte vento lungo la costa del Mar Egeo.