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“L’antisemitismo non è solo razzismo, ma è anche razzismo.”

una riflessione sull’antisemitismo e sul suo legame con i razzismi

Nel settembre 1938 Vittorio Emanuele III firmava le leggi "per la difesa della razza", che anticiparono la pagina più buia della storia italiana e insieme del mondo, che restò a guardare lo sterminio del popolo ebraico. Oggi, che sono trascorsi ormai 83 anni da quel momento, c’è ancora molto bisogno di interrogarsi su come quell’odio possa essere stato possibile, fino a portare l’uomo a distruggere un altro uomo, donna, bambino, solo perché ebrei, solo “per la colpa di essere nati”. Ci si chiede sempre cosa avremmo fatto noi di fronte a quel male, se avremmo difeso, salvato, ignorato… o forse, orribilmente, odiato anche noi? Ci si domanda cosa si possa fare in questo tempo per commemorare e onorare la memoria di quelle vittime, per cui nessuna ammenda sarà mai abbastanza.

Questo dialogo non può che prendere in considerazione la situazione attuale dell’antisemitismo nel nostro Paese e nel mondo, che risulta tutt’altro che rassicurante. L’odio contro gli ebrei è un male ancora strisciante, che ha trovato nuova forza nel messaggio online, immediato e infinitamente replicabile. Sono tornati in modo amplificato vecchi stereotipi mai scomparsi, - come quello dell’ebreo cosmopolita che tiene tra le mani le sorti del mondo - che in questo momento storico provano a colmare attraverso l’odio la paura diffusa di non avere più il controllo delle proprie vite. Il 2019 ha registrato un record di crimini d’odio rivolti contro gli ebrei, il 2020 non ha visto una diminuzione delle cifre e il 2021 sta andando nella medesima direzione. Come possiamo oggi contrastare l’antisemitismo? Che rapporto c’è fra questo odio ed altre forme di odio e razzismi?

Sul rapporto tra antisemitismo e razzismo si è esposto, aprendo un ampio dibattito nel mondo ebraico e non, il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid. Cercando di interpretare questa crescente ondata di antisemitismo e il suo rapporto con altri fenomeni di razzismo e xenofobia nel mondo, Lapid ha espresso un punto di vista che apre una problematizzazione della questione. Riportiamo qui alcuni dei punti salienti del suo discorso, in particolare quelli esposti nella sua analisi apparsa su Haartez Is antisemitism racism? (L’antisemitismo è razzismo?), nella quale ha cercato di chiarire lo speech pronunciato sul tema al Global Forum for Combating Antisemitism, che aveva scatenato molte reazioni critiche.

“Gli antisemiti non erano solo nel ghetto di Budapest. Gli antisemiti erano commercianti di schiavi che gettavano schiavi in ​​catene nell'oceano. Gli antisemiti erano hutu in Ruanda che massacravano i tutsi. Gli antisemiti sono fanatici musulmani che hanno ucciso più di 20 milioni di altri musulmani nell'ultimo decennio. […] Gli antisemiti sono chiunque perseguiti le persone non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono. Per come sono nati. L'antisemitismo non è il nome dell'odio, è il suo cognome. L'Olocausto è il fenomeno finale dell'odio. È l'esempio di ciò che accade all'odio quando nessuno gli resiste.” “La lotta non è tra antisemiti ed ebrei, la lotta è tra antisemiti e chiunque crede in valori come l'uguaglianza, la giustizia e l'amore umano.”, ha dichiarato Lapid al GFCA.

Su Haartez Lapid si è così espresso: “Come ebrei, come membri della seconda e terza generazione dopo l'Olocausto, come israeliani, non dobbiamo ignorare il fatto che negli ultimi anni il mondo ha perso l’interesse nel discutere dell'Olocausto (dando anche origine a un nuovo termine: Shoah fatigue, ovvero stanchezza della Shoah). Questo processo ci ha quindi messo sulla difensiva. La paura che questa parte unica e traumatica della nostra storia venga offuscata e ignorata ci ha portato a chiedere sempre più conforto e ammissioni dal mondo invece di intensificare il nostro impegno nella guerra contro il razzismo. Di ogni genere. Questo non è il modo giusto per farlo.
Ciò che sta causando insofferenza è il fatto che l'Olocausto sia arrivato a mancare di contesto. Se esso non fa parte della lotta contro il razzismo, non si può fare molto altro che offrire solidarietà. C'è un limite al numero di volte e al numero di anni in cui il mondo continuerà a condividere il nostro dolore. Dobbiamo cambiare il nostro approccio e fare dell'Olocausto una lezione globale riguardo a tutte le manifestazioni di razzismo. Se la memoria dell’Olocausto diventa il motore principale della guerra contro il razzismo globale, non porterà a un'erosione della consapevolezza sulla tragedia ebraica. Al contrario. La evidenzierà e le conferirà potere morale. Ecco perché credo che in realtà non vi sia alcuna contraddizione fondamentale tra le due prospettive. E inoltre, si completano a vicenda: l'antisemitismo è senza dubbio un fenomeno unico nella storia umana, ma può esistere solo in un mondo in cui il razzismo non è stato sradicato. “L’antisemitismo, dichiara Lapid, non è solo razzismo, ma è anche razzismo. ‘La sua esistenza nel mondo rappresenta un pericolo per il mondo stesso. Come ha scritto Elie Wiesel: ‘Chi odia un gruppo finirà per odiare tutti e, alla fine, odiare se stesso’”.

Continua Lapid: “Troppi tra noi sono preoccupati che la battaglia contro il razzismo ci impegni a una restrittiva etica della tolleranza. Per come la vedo io, non è un limite ma un vantaggio. Se l'antisemitismo è razzismo, Israele deve essere in prima linea nella lotta contro il razzismo. Abbiamo bisogno che l'opposizione al razzismo faccia parte della nostra politica in ogni campo: militare, diplomatico e civile. La lotta al razzismo deve far parte delle nostre considerazioni nella scelta dei nostri amici nel mondo, nel modo in cui affrontiamo il conflitto israelo-palestinese, nel modo in cui ci relazioniamo con le minoranze che vivono tra di noi. Dobbiamo anche abbassare il livello di isteria di fronte alle critiche. Forse ogni antisemita si opporrebbe alla politica israeliana nella Striscia di Gaza, ma non tutti coloro che si oppongono alla politica israeliana a Gaza sono antisemiti.”

Nel suo editoriale, Lapid cerca anche di rispondere a una domanda cruciale di questa riflessione: “L’antisemitismo è un fenomeno unico o è parte di un più ampio fenomeno di razzismo e xenofobia?

“Ci sono due risposte accettabili per questa domanda”, dice. “Quella tradizionale è che l'antisemitismo è un caso unico nella storia dell'umanità. Definirlo razzismo elude la portata del fenomeno e la continuità storica della sua presenza. Gli antisemiti non odiano gli ebrei nello stesso modo in cui gli hutu odiavano e uccisero i tutsi in Ruanda, e nemmeno come i nazisti odiavano e uccidevano i rom o gli omosessuali. Nel mio discorso, ho causato un malinteso sul fatto che i motivi di tutti questi omicidi siano identici, a mio avviso. Questa colonna è un'opportunità per chiarirmi: non tutti gli odi omicidi sono simili. Quello che intendevo affermare era che c'è una profonda base razzista per qualsiasi attacco violento contro altre persone solo perché estranee, e che nessuno ha diritto esclusivo al dolore […].”

“Se vogliamo che il mondo continui a fronteggiare attivamente l'odio per gli ebrei – e soprattutto l'odio per gli ebrei che vivono in Israele – dobbiamo uscire dal nostro isolamento.”, conclude Lapid. “Dobbiamo arruolare il mondo occidentale per stare al nostro fianco, per dare alla battaglia contro l'antisemitismo un contesto contemporaneo – non separando la memoria dell'Olocausto da tutte le tragedie che il razzismo ha causato, ma mettendola in realtà al vertice di tale discussione.”

Anche la storica Anna Foa si è espressa su Moked in merito a questo dibattito. Riferendosi alla copertina de La difesa della razza del 5 agosto 1938 ha detto: “La copertina non è solo antisemita, è razzista: l’ebreo è oggetto, come la nera, di razzismo. Certo, sappiamo che i due termini hanno delle differenze, che antisemitismo e razzismo non sono la stessa cosa. Ma sappiamo anche dei loro strettissimi nessi.”

Tutte queste considerazioni non pretendono di dare una risposta univoca alle domande che ci poniamo oggi sull’antisemitismo e sul razzismo, ma vogliono aprire un dibattito che coinvolga opinioni diverse, che aiuti la riflessione.

In questo momento storico in cui vediamo madri affidare i propri figli a un estraneo pur di sperare di salvarli, in cui ogni giorno leggiamo di persone pronte a rischiare la vita pur di intraprendere un viaggio al di là del confine del Paese dove sono nate, dovremmo ricordarci di quegli ebrei che cercavano disperatamente una via d’uscita e che invece venivano riconsegnati al proprio carnefice. Questa memoria potrebbe, dovrebbe, renderci disponibili verso chi oggi fugge, meno indifferenti di fronte alla sofferenza dell’altro. “Una disperazione che ho già visto, le porte che si chiudono, gli aerei che partono e ti lasciano a terra, il mondo che si chiude. La paura dell'altro che si amplifica. So cosa significa: anch'io trovai una frontiera chiusa, era quella della Svizzera che rispedì indietro me e mio padre condannandoci al campo di sterminio.”, ha dichiarato la Senatrice Liliana Segre.

La memoria del male estremo è di fronte a noi quando guardiamo il dolore dell’altro, di chi è considerato diverso e pericoloso, ci chiede non solo di non dimenticare, ma anche di non permettere che l’odio, il razzismo in qualsiasi sua forma, distruggano altre vite. La Shoah diventa allora il più grande monito che l’umanità possiede per conoscere fino a dove il male può arrivare e quanto ognuno di noi abbia la responsabilità di far sì che non accada. Ed anche il punto di partenza del contrasto a tutti i razzismi.

21 settembre 2021

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