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Mai quanto nel XXI secolo le rotte della geopolitica vanno in parallelo a quelle del commercio e delle forniture di sistemi d’arma. E il caso dell’avvicinamento di Israele a un modus vivendi coi Paesi arabi non fa eccezione.

Nelle ultime giornate si rincorrono da più parti le voci secondo cui l’asse sotterraneo tra Tel Aviv e l’Arabia Saudita potrebbe conoscere un’estensione con il dispiegamento nel territorio del regno di sistemi missilistici di difesa antiaerea come l’Iron Dome o il Barak Er, realizzati nello Stato ebraico, in sostituzione dei Patriot statunitensi prossimi a essere rischierati in Australia. Washington, anche in virtù del recente accordo Aukus, enfatizza la priorità dell’Indo-Pacifico ma vuole rafforzare l’assetto creato nel contesto mediorientale durante la fase finale dell’amministrazione Trump e, nonostante tutti gli screzi che Joe Biden e i sauditi hanno avuto in questi mesi, Riad rimane giocoforza un partner fondamentale la cui sinergia con Tel Aviv è strategica agli occhi della superpotenza.

Washington sarebbe pronta a mediare la possibilità che un’alleanza ritenuta impossibile solo alcuni anni fa diventi strategicamente operativa temendo che l’Arabia Saudita possa, dopo il ritiro dei Patriot, rivolgersi agli S-400 russi come fatto in passato dalla Turchia. Breaking Defense, citando fonti israeliane, sottolinea che un’accelerazione di un dialogo rimasto a lungo a bassi livelli della catena diplomatica è stata dovuta alle inquietudini saudite per il timore che un ritiro dei Patriot esponga Riad a attacchi asimmetrici come quello condotto nel 2019 da droni provenienti dallo Yemen alle sue raffinerie nel Sud del Paese, di fronte a cui il Paese si scoprì estremamente vulnerabile.

A marzo uno dei più affermati analisti strategici israeliani, il docente del Tel Aviv University’s Institute for National Security Studies Yoel Guzansky, ha dichiarato che a suo avviso la vendita del sistema Iron Dome all’Arabia Saudita avrebbe garantito a Israele la possibilità di capitalizzare l’evoluzione del contesto geopolitico dettata dagli Accordi di Abramo e dal parallelo sviluppo delle dinamiche mediorientali, in cui Riad e Tel Aviv vedono nell’Iran e nei suoi alleati i comuni rivali strategici di riferimento. Guzansky, scrivendo su Globes, ha sottolineato come questa mossa potrebbe aumentare la proiezione strategica di Israele e contribuire a reagire alle mosse iraniane con un contenimento militare in profondità. L’idea di una mossa del genere, di cui si è parlato per la prima volta da fonti saudite già nel 2018, non è stata criticata nemmeno da Haaretz e dalla stampa più istituzionale e potrebbe concretizzarsi nel periodo di gestione del governo di larga coalizione di Naftali Bennett.

Per Israele la mossa di contribuire alla difesa del Regno potrebbe aiutare a far approvare nei settori più resistenti del governo egemonizzato dal partito del principe ereditario Mohammad bin Salman quel disgelo sostanzialmente definitivo dei rapporti bilaterali che permetterebbe, sul lungo periodo, di estendere il perimetro degli Accordi di Abramo. La fornitura di tecnologia militare a Riad farebbe cadere ogni ambiguità sull’impossibilità di un’affinità tra Tel Aviv e le monarchie del Golfo, specie dopo che in fin dei conti Israele, salvo alcune fasi di più esplicita criticità, non si è opposta al rafforzamento militare del suo più stretto partner locale, gli Emirati Arabi Uniti, e al loro acquisto degli F-35 a stelle e strisce già operanti nelle sue forze aeree.

Il “grande gioco” del Medio Oriente è dunque in movimento e Washington guarda le spalle dei suoi alleati, con Joe Biden che ibrida le mosse di Trump (che ha riannodato la relazione speciale con Tel Aviv e Riad) e Obama (fautore della delega di alcune responsabilità locali agli alleati col leading from behind) per puntare con insistenza sul contenimento della Cina liberando risorse, assetti militari e personale per il ricollocamento nell’Indo-Pacifico. E dato che i tempi per un riavvicinamento diplomatico esplicito tra Riad e Tel Aviv non sono ancora maturi, data la natura peculiare dell’Arabia Saudita come potenza di riferimento dell’Islam sunnita, gli States mirano a raggiungere questo risultando utilizzando la leva della diplomazia militare e securitaria. Una voce a cui Israele presta sempre molto ascolto. E che va nell’interesse anche del Trono delle Spade di Riad.