L’alleanza che lega Italia e Azerbaigian non è circoscritta alla mera sfera energetica, sebbene il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP, Trans-Adriatic Pipeline) costituisca indubbiamente il più importante frutto della loro collaborazione. Perché il loro sodalizio, le cui origini risalgono all’epoca della Serenissima, è esteso e profondo in ogni settore strategico, dal commercio agli investimenti e dalle infrastrutture all’agroalimentare, e va gradatamente ramificandosi in nuove aree, come il turismo e la ricostruzione del Karabakh.

Un altro ambito rilevante in cui Roma e Baku cooperano profittevolmente da anni, con l’appoggio esterno del Vaticano, è quello della promozione del dialogo interreligioso, interculturale e intercivilizzazionale. E nei giorni scorsi, in occasione del G20 delle religioni – ospitato dall’Italia, più precisamente a Bologna –, i due Paesi hanno potuto mostrare ai Grandi dell’arena internazionale la loro visione per il mondo.

Il G20 delle religioni

Il Forum interreligioso del G20, eloquentemente intitolato “Il tempo della guarigione: pace tra le culture, comprensione tra le religioni”, ha avuto luogo a Bologna dal 12 al 14 settembre. Organizzato nel quadro della presidenza italiana del G20, il Forum ha trasformato Bologna nel temporaneo crocevia delle grandi religioni e delle grandi civiltà, attraendo politologi, ricercatori e diplomatici da tutto il mondo e venendo arricchito dagli interventi delle più alte cariche italiane – Sergio Mattarella, Mario Draghi e Luigi di Maio – e di alcuni dei pesi massimi mondiali della fede – come papa Francesco, Cirillo di Mosca e tutte le Russie e Bartolomeo di Costantinopoli.

Alcuni hanno partecipato fisicamente all’evento, come Draghi, mentre altri hanno delegato a dei portavoce la lettura dei loro messaggi, come Francesco e Cirillo, ma tutti, in entrambi i casi, hanno voluto enfatizzare la centralità rivestita dalle culture, dalle religioni e dalle civiltà, ovvero dalle identità, all’interno del cammino lungo e tortuoso verso la pace mondiale.

La presenza dell’Azerbaigian

L’Azerbaigian ha preso parte al Forum con una delegazione capeggiata da Anar Karimov, titolare del Ministero della Cultura, e da Allahshükür Hummat Pashazade, Gran Muftì del Caucaso, membro di spicco del Congresso islamico mondiale e copresidente del Consiglio interreligioso della Comunità degli Stati Indipendenti.

I due, accompagnati dai capi delle comunità cristiana ed ebraica dell’Azerbaigian, hanno colto l’occasione per parlare a presenti e ascoltatori dell’agenda interreligiosa della presidenza Aliyev. Agenda che gode del sostegno del Vaticano, il campione dell’ecumenismo per eccellenza, come dimostrano i vari accordi di cooperazione bilaterale siglati negli ultimi vent’anni, i viaggi apostolici dei Papi nella terra del fuoco, da Giovanni Paolo II (2002) a Francesco (2016), e i periodici incontri in terra romana tra presidenti azerbaigiani e pontefici – il primo risale al 1997, l’ultimo all’anno scorso.

L’intervento di Karimov è stato focalizzato sulle iniziative di carattere ecumenico inaugurate dalla presidenza nei tempi recenti, come la cosiddetta “Peace for Cultura” – patrocinata, tra l’altro, dall’Alleanza delle Civiltà (Nazioni Unite) e dall’Organizzazione del Mondo Islamico per l’Educazione, le Scienze e la Cultura (Organizzazione di Cooperazione Islamica) –, e ha incluso dei passaggi relativi al clima di pace sociale e coesistenza pacifica che caratterizza il multiculturale Azerbaigian.

Ultimo, ma non meno importante, Karimov ha profittato dei minuti a propria disposizione per sensibilizzare il pubblico sulla questione dei siti culturali e religiosi della nazione azerabaigiana – come moschee, teatri e gli edifici del passato – che le forze armate armene hanno vandalizzato, dissacrato e, in molti casi, distrutto nel corso della ventennale occupazione del Karabakh. Siti come le moschee di Agdam, l’Hiroshima del Caucaso, delle quali sono rimaste soltanto macerie e tracce di violazione, e che gli operai azerbaigiani ricostruiranno nel prossimo futuro.

L’appello del Gran Muftì del Caucaso

L’intervento del Gran Muftì del Caucaso, lo sceicco Pashazade, ha sottolineato l’importanza di concepire eventi come il Forum interreligioso del G20, cioè che incoraggino “le persone ad unirsi attorno alle buone azioni, a porre fine ai conflitti, al terrorismo, alla violenza, alla discriminazione razziale e religiosa, a celebrare la pace e la tranquillità, a prendersi cura di rifugiati, sfollati interni, migranti, a garantire la libertà di religione, a proteggere i bambini e diritti delle donne, oltre ad altre questioni importanti”. Eventi che, in un’epoca di nuove guerre di religione e perdita di fede, ricordano quanto sia “importante della collaborazione tra lo stato e la religione”, essendo quest’ultima capace di contribuire al superamento delle “gravi conseguenze del disastro del Covid-19 e del cambiamento climatico”.

Ringraziando i capi della Cristianità, cioè Francesco, Cirillo e Bartolomeo, per il loro attivismo nel campo della promozione del dialogo tra fedi e civiltà, il Gran Muftì del Caucaso ha poi voluto ricondividere “i numerosi avvertimenti di Sua Santità Papa Francesco alla comunità mondiale sull’interconnessione del coronavirus e del cambiamento climatico e la loro minaccia globale per tutta l’umanità”.

Prendendo atto della diffusione globale di “minacce ideologiche e pratiche come la xenofobia, l’islamofobia, la cristofobia e l’antisemitismo, che sono tra i principali ostacoli alla stabilità e alla sicurezza internazionali”, lo sceicco Pashazade ha invitato “i leader politici, sociali e religiosi [del mondo] ad aumentare gli sforzi congiunti e a rafforzare il dialogo globale per prevenire queste minacce distruttive”.

Un passaggio particolarmente interessante dell’intervento del Gran Muftì del Caucaso ha riguardato il ruolo dell’informazione nella contemporaneità. Ruolo che teoricamente dovrebbe aiutare l’Uomo, guidandolo nel mare mosso delle bufale e delle postverità, ma che, al contrario, è ostaggio di forze divisive che incitano all’odio, promuovono la guerra e i genocidi, conducendo alla sedimentazione nelle opinioni pubbliche di ideologie dell’odio, come “l’atteggiamento disumano nei confronti dei problemi dei migranti”.

Le religioni hanno e avranno un ruolo crescentemente centrale in questi tempi di guerre, terrorismo e divisione, perché, ha spiegato lo sceicco Pashazade, sono chiamate a “condannare risolutamente tutte le forme e le manifestazioni di terrore, incitamento all’odio e xenofobia, in particolare gli atti di terrore contro i credenti nelle chiese, moschee, sinagoghe e negli altri templi”, nonché “ad alzare la voce per protestare contro la profanazione dei simboli religiosi e di santità”. 

Dopo aver reiterato “che né l’ebraismo, né il cristianesimo, né l’islam giustificano l’uccisione umana, il terrore e l’umiliazione”, il Gran Muftì del Caucaso ha dedicato gli ultimi passaggi ai successi dell’Azerbaigian nella difesa dei “propri diritti sovrani”, come palesato dal ripristino della “propria integrità territoriale [nel Karabakh]”. E riprendendo il discorso di Karimov sui luoghi di interesse culturale e religioso per la nazione azerbaigiana che sono stati demoliti e/o gravemente lesi negli anni dell’occupazione armena, il Gran Muftì ha comunicato ai presenti che “sono attualmente in corso i lavori di ricostruzione nelle terre liberate, [che] i templi di diverse confessioni religiose che sono stati danneggiati in questi territori saranno restaurati e [che] ne verranno costruiti di nuovi”.

Perché in Azerbaigian, ha concluso il capo religioso, “tutte le religioni e le organizzazioni religiose sono uguali davanti alla legge” e “sono state create pari condizioni per esprimere credenze religiose e culti, e per svolgere riti religiosi e cerimonie per tutte le confessioni religiose”. Parole, ma soprattutto gesti, che spiegano perché l’insospettabile Baku sia stata al centro del Forum interreligioso del G20 e sia l’alleato principale del Vaticano in Caucaso meridionale.