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Giacomo Galardini·12 aprile 2019

Razzismo, ecco tutta la differenza tra l'Italia e il Regno Unito

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Come tutti i grandi problemi della nostra epoca, pensare che il razzismo sia un problema circoscritto solo alla nostra realtà nazionale è un errore di valutazione: purtroppo è una piaga che si è radicata in tutto il mondo, soprattutto nel calcio, lo sport mediatico per eccellenza.

Una precisazione d’obbligo, visto che nel 2019 in Italia ci sono ancora individui che gioiscono puntando il dito verso le altre nazioni quando spregevoli episodi di razzismo accadono negli altri paesi, come ad autoassolversi o a fare di tutta l’erba un fascio.


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I casi di ieri avvenuti in Europa League sono purtroppo solo gli ultimi di una sfilza di riprovevoli episodi che – grazie alla buona volontà anche del giornalismo sportivo – sono venuti alla luce.

In primis i tifosi del Chelsea che hanno avuto la geniale idea di immortalarsi mentre cantano in un bar di Praga cori offensivi contro la punta del Liverpool Salah (e contro tutti i musulmani), per chiudere con il genio che si è postato su Snapchat mentre ulula insulti razzisti contro il difensore del Napoli Koulibaly.

Non è un caso che Inghilterra sia salita alla ribalta delle cronache di razzismo con diversi episodi ultimamente: basti pensare alla star del Manchester City Sterling, offeso per tutta la partita da un sessantene in prima fila, oppure al caso Aubameyang, che si è visto scagliare contro una banana dagli spalti nel match con il Tottenham, solo per citarne alcuni.

Ebbene, la differenza tra l’Italia e il Regno Unito riguardo a questi episodi? In entrambi i casi si diramano comunicati di ferma indignazione sui siti delle società, ci sono nette condanne da parte degli organi di stampa, volano multe comminate dagli organi di controllo calcistico.

L’unica differenza sta nel fatto che in Italia tutto torna come prima, mentre in Inghilterra, i tifosi vengono individuati con le telecamere e vengono banditi a vita da tutte le manifestazioni sportive con un bel DASPO.

E non solo negli stadi o tramite l’identificazione dei profili social dal quale partono gli insulti, ma anche grazie al riconoscimento facciale, come è successo ai tifosi del Chelsea al bar di Praga.

Tolleranza zero, pene severe e lotta senza quartiere e con ogni mezzo: solo così potremo mettere all’angolo l’inciviltà di questi miseri individui. Speriamo che i vertici del calcio italiano ne prendano atto, e che lo facciano al più presto.