«Attraversando la Libia di notte, non hanno visto niente. Chilometri e chilometri di nulla. Lo sfascio del dopoguerra, le distruzioni ai bordi delle strade, le divisioni del conflitto sono stati allontanati dal loro sguardo e dai loro ricordi. Si sono ritrovati sulla costa, raccolti in massa per essere imbarcati alla prima occasione buona, come dopo aver attraversato una bolla. Un tunnel buio, privo di spettri. Quando, molto tempo dopo la grande strage, qualcuno chiede loro com’era la Libia, quali fossero gli effetti del conflitto, nessuno dei sopravvissuti sa rispondere con esattezza. Quando proprio devono dir qualcosa si limitano ad accennare: l’abbiamo vista solo di notte. Il viaggio culminato nel terribile naufragio del 3 ottobre 2013 ha avuto inizio molto prima. Non giorni, ma mesi prima. Eppure ogni istante che lo precede sembra essere stato risucchiato nelle viscere del mare, assieme al relitto in secca sul fondale». Il viaggio è quello intrapreso da più di 500 persone verso l’Europa. Per la maggior parte di loro culminato, come ricorda Alessandro Leogrande in questo passaggio de La frontiera nel «terribile naufragio del 3 ottobre 2013», dove nelle viscere del mare di Lampedusa ci finirono 368 persone. Perlopiù eritree, in fuga dalla dittatura di Afewerki. Un naufragio che, per dirla sempre con le parole di Leogrande, «ha lacerato le coscienze di molti», senza però risolvere molto. Perché i morti in mare continuano ad esserci. E perché, se sulla spinta di quella tragedia nacque l’operazione Mare Nostrum, che pur con tutti i suoi limiti qualche vita in mare la salvava, da lì in poi non si è andati a migliorare, tutt’altro. L’escalation negativa ha visto la meno efficace missione Triton e poi il nulla, salvo la criminalizzazione delle Ong rimaste in mare a salvare persone. Accompagnata dai decreti Minniti-Orlando prima e Salvini poi. Tenere viva la memoria di quella tragedia, e partire da lì per riflettere sul tema delle migrazioni è un’operazione essenziale, che il Comitato 3 Ottobre porta avanti ormai da 5 anni con la “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, in programma anche quest’anno con una 3 giorni (1-3 ottobre) di eventi a Lampedusa, nella quale, come ricorda Tareke Brhane, presidente del Comitato, «non basta piangere quei morti, c’è bisogno di sensibilizzare società civile e istituzioni sul tema della migrazione». E Tareke non è una voce neutra in materia. Eritreo, rifugiato in Italia dal 2005 («sono arrivato qui sui barconi anche io» ricorda), con esperienze da mediatore culturale per diverse associazioni (nonché medaglia per l’attivismo sociale 2014), assieme al Comitato ha realizzato un fitto programma di eventi per la 3 giorni, fatto di workshop tematici, tavole rotonde e una marcia in ricordo delle vittime. Coinvolgendo rifugiati, associazioni impegnate in prima linea sul tema delle migrazioni (Amnesty, Msf, Save the children, Unhcr, Dac - Diritti al cuore onlus, la lista è molto lunga) ma soprattutto le scuole, con studenti e insegnanti provenienti da tutt’Italia e non solo. Studenti e insegnanti che proprio il 2 ottobre saranno impegnati in incontri curati dalle Ong per approfondire i diversi aspetti del fenomeno migratorio. «Abbiamo sempre cercato di investire nei giovani - racconta Tareke - anche perché, per quella che è la nostra esperienza, una parte di loro, parlando di migrazione, non sa bene di cosa si tratta. E dall’ignoranza può nascere l’indifferenza o peggio ancora il razzismo. I giovani sono il futuro. Per questo è importante dialogare con loro». E i loro in questione sono studenti di 16-18 anni, provenienti da scuole di tutt’Italia (14 istituti presenti) ma anche dalla Francia. Dialogare con i studenti quindi, ma anche coinvolgerli in tutto il programma della manifestazione, compresa quella tavola rotonda dove, oltre a rifugiati, esperti del settore delle varie associazioni e rappresentati istituzionali, ci saranno appunto anche insegnati e studenti. «Che avranno voce su tutto - prosegue Tareke - perché il nostro obiettivo è quello di metterli nella condizione di capire e approfondire i vari argomenti. E, da parte nostra, essere pronti ad ascoltarli e a rispondere alle loro domande». Lavoro di coinvolgimento e ascolto dei giovani che, chiediamo, può essere considerato come un antidoto rispetto a episodi di razzismo sempre più frequenti? «Assolutamente si - risponde - e lo abbiamo visto anche dalle reazioni dei ragazzi. Quando ci fu la questione dell’Aquarius, tante di quelle scuole che erano state da noi tornarono a Lampedusa per protestare, conobbero alcuni rifugiati e rimasero in contatto con loro. Esperienza che, oltretutto, gli ha permesso di aprire gli occhi su una realtà che spesso non viene raccontata come si deve». Realtà che è ben conosciuta dalle tante associazioni che saranno presenti a Lampedusa per gli eventi della Giornata e che vedranno poi nella tavola rotonda un momento per fare rete tra loro. «Noi affrontiamo il tema della migrazione a 360 gradi - spiega Tareke - coinvolgendo associazioni, studenti, rifugiati, giornalisti ma anche il governo, di cui negli anni passati c’è stata sempre una presenza durante la Giornata della Memoria. Quest’anno invece ancora non sappiamo se ci sarà qualcuno». Quello stesso governo, autore del Decreto sicurezza e immigrazione sul quale il parere di Tareke è chiaro: «Non si può fare la guerra a persone abituate a subire minacce o che provengono loro stesse da guerre. Ci vogliono soluzioni a lungo termine che coinvolgano anche i rifugiati stessi, per metterli nelle condizioni di dare il loro contributo, solo così riusciremo ad andare avanti. Un po’ come è successo a me. Arrivato anni fa sui barconi ora sono un attivista. Diversamente butteremo solo soldi e risorse senza produrre nessuna sicurezza, anzi, avremo l’esatto contrario». Per evitare il quale, il Comitato 3 Ottobre, oltre ad organizzare l’evento in ricordo della strage del 2013, porta avanti attività per favorire aperture di corridoi umanitari, ingressi legali e sicuri e garantire accoglienza. «Perché - come ricorda Tareke - bisogna mettere in condizione chi arriva di entrare regolarmente». Idee quanto mai attuali e da non dimenticare. Proprio come la strage del 3 ottobre 2013. Ancora (purtroppo) attuale e assolutamente da non dimenticare.

«Attraversando la Libia di notte, non hanno visto niente. Chilometri e chilometri di nulla. Lo sfascio del dopoguerra, le distruzioni ai bordi delle strade, le divisioni del conflitto sono stati allontanati dal loro sguardo e dai loro ricordi. Si sono ritrovati sulla costa, raccolti in massa per essere imbarcati alla prima occasione buona, come dopo aver attraversato una bolla. Un tunnel buio, privo di spettri. Quando, molto tempo dopo la grande strage, qualcuno chiede loro com’era la Libia, quali fossero gli effetti del conflitto, nessuno dei sopravvissuti sa rispondere con esattezza. Quando proprio devono dir qualcosa si limitano ad accennare: l’abbiamo vista solo di notte. Il viaggio culminato nel terribile naufragio del 3 ottobre 2013 ha avuto inizio molto prima. Non giorni, ma mesi prima. Eppure ogni istante che lo precede sembra essere stato risucchiato nelle viscere del mare, assieme al relitto in secca sul fondale».

Il viaggio è quello intrapreso da più di 500 persone verso l’Europa. Per la maggior parte di loro culminato, come ricorda Alessandro Leogrande in questo passaggio de La frontiera nel «terribile naufragio del 3 ottobre 2013», dove nelle viscere del mare di Lampedusa ci finirono 368 persone. Perlopiù eritree, in fuga dalla dittatura di Afewerki. Un naufragio che, per dirla sempre con le parole di Leogrande, «ha lacerato le coscienze di molti», senza però risolvere molto. Perché i morti in mare continuano ad esserci. E perché, se sulla spinta di quella tragedia nacque l’operazione Mare Nostrum, che pur con tutti i suoi limiti qualche vita in mare la salvava, da lì in poi non si è andati a migliorare, tutt’altro. L’escalation negativa ha visto la meno efficace missione Triton e poi il nulla, salvo la criminalizzazione delle Ong rimaste in mare a salvare persone. Accompagnata dai decreti Minniti-Orlando prima e Salvini poi.

Tenere viva la memoria di quella tragedia, e partire da lì per riflettere sul tema delle migrazioni è un’operazione essenziale, che il Comitato 3 Ottobre porta avanti ormai da 5 anni con la “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, in programma anche quest’anno con una 3 giorni (1-3 ottobre) di eventi a Lampedusa, nella quale, come ricorda Tareke Brhane, presidente del Comitato, «non basta piangere quei morti, c’è bisogno di sensibilizzare società civile e istituzioni sul tema della migrazione». E Tareke non è una voce neutra in materia. Eritreo, rifugiato in Italia dal 2005 («sono arrivato qui sui barconi anche io» ricorda), con esperienze da mediatore culturale per diverse associazioni (nonché medaglia per l’attivismo sociale 2014), assieme al Comitato ha realizzato un fitto programma di eventi per la 3 giorni, fatto di workshop tematici, tavole rotonde e una marcia in ricordo delle vittime. Coinvolgendo rifugiati, associazioni impegnate in prima linea sul tema delle migrazioni (Amnesty, Msf, Save the children, Unhcr, Dac – Diritti al cuore onlus, la lista è molto lunga) ma soprattutto le scuole, con studenti e insegnanti provenienti da tutt’Italia e non solo. Studenti e insegnanti che proprio il 2 ottobre saranno impegnati in incontri curati dalle Ong per approfondire i diversi aspetti del fenomeno migratorio.

«Abbiamo sempre cercato di investire nei giovani – racconta Tareke – anche perché, per quella che è la nostra esperienza, una parte di loro, parlando di migrazione, non sa bene di cosa si tratta. E dall’ignoranza può nascere l’indifferenza o peggio ancora il razzismo. I giovani sono il futuro. Per questo è importante dialogare con loro». E i loro in questione sono studenti di 16-18 anni, provenienti da scuole di tutt’Italia (14 istituti presenti) ma anche dalla Francia. Dialogare con i studenti quindi, ma anche coinvolgerli in tutto il programma della manifestazione, compresa quella tavola rotonda dove, oltre a rifugiati, esperti del settore delle varie associazioni e rappresentati istituzionali, ci saranno appunto anche insegnati e studenti. «Che avranno voce su tutto – prosegue Tareke – perché il nostro obiettivo è quello di metterli nella condizione di capire e approfondire i vari argomenti. E, da parte nostra, essere pronti ad ascoltarli e a rispondere alle loro domande».

Lavoro di coinvolgimento e ascolto dei giovani che, chiediamo, può essere considerato come un antidoto rispetto a episodi di razzismo sempre più frequenti? «Assolutamente si – risponde – e lo abbiamo visto anche dalle reazioni dei ragazzi. Quando ci fu la questione dell’Aquarius, tante di quelle scuole che erano state da noi tornarono a Lampedusa per protestare, conobbero alcuni rifugiati e rimasero in contatto con loro. Esperienza che, oltretutto, gli ha permesso di aprire gli occhi su una realtà che spesso non viene raccontata come si deve». Realtà che è ben conosciuta dalle tante associazioni che saranno presenti a Lampedusa per gli eventi della Giornata e che vedranno poi nella tavola rotonda un momento per fare rete tra loro.

«Noi affrontiamo il tema della migrazione a 360 gradi – spiega Tareke – coinvolgendo associazioni, studenti, rifugiati, giornalisti ma anche il governo, di cui negli anni passati c’è stata sempre una presenza durante la Giornata della Memoria. Quest’anno invece ancora non sappiamo se ci sarà qualcuno». Quello stesso governo, autore del Decreto sicurezza e immigrazione sul quale il parere di Tareke è chiaro: «Non si può fare la guerra a persone abituate a subire minacce o che provengono loro stesse da guerre. Ci vogliono soluzioni a lungo termine che coinvolgano anche i rifugiati stessi, per metterli nelle condizioni di dare il loro contributo, solo così riusciremo ad andare avanti. Un po’ come è successo a me. Arrivato anni fa sui barconi ora sono un attivista. Diversamente butteremo solo soldi e risorse senza produrre nessuna sicurezza, anzi, avremo l’esatto contrario». Per evitare il quale, il Comitato 3 Ottobre, oltre ad organizzare l’evento in ricordo della strage del 2013, porta avanti attività per favorire aperture di corridoi umanitari, ingressi legali e sicuri e garantire accoglienza. «Perché – come ricorda Tareke – bisogna mettere in condizione chi arriva di entrare regolarmente». Idee quanto mai attuali e da non dimenticare. Proprio come la strage del 3 ottobre 2013. Ancora (purtroppo) attuale e assolutamente da non dimenticare.