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Serracchiani se n’è andato con un saluto ebraico di pace

Le ultime parole pronunciate alla soccorritrice prima del tentativo di rianimarlo La moglie Caterina: «Ai bambini ha trasmesso la passione per il disegno»

Vera Mantengoli
1 minuto di lettura



Le sue ultime parole sono state «Shalom, ma nishma», il saluto ebraico che significa «Ciao, come stai?», ma letteralmente anche «Pace». Se n’è andato così, mercoledì scorso a Venezia, Giorgio Serracchiani, 49 anni appena compiuti, padre di due bimbi di 10 e 7 anni, marito di Caterina Vignaduzzo e architetto da 20 anni del Padiglione Israele della Biennale di Venezia.

morte improvvisa

Residente a Padova, ma spesso per lavoro a Venezia, città dove aveva studiato allo Iuav e conosciuto la moglie, è morto all’improvviso alla Trattoria Rivetta di San Marco. Aveva appena scambiato qualche parola con una conoscente israeliana, quando si è allontanato per sedersi al tavolo con un amico ed è crollato. Soltanto domani si saprà la data dell’autopsia, predisposta dal pm di turno Raffaele Incardona.

mai problemi di salute

Amici e familiari non riescono a capacitarsi di come possa essere successo, soprattutto perché Giorgio Serracchiani era un atleta che praticava pugilato e karate e non aveva mai avuto nessun problema di salute. Ora di lui manca tutto. La sua presenza, la sua voce e la sua capacità di far star bene chi gli era vicino: «Passavamo le serate con i bambini a ridere per qualsiasi cosa e ad ascoltare musica rock», racconta la moglie, stravolta da questi giorni che sembrano irreali. «Ci facevamo grandi scorpacciate di film di Miyazaki. Ai bambini è riuscito a trasmettere la passione per il disegno». La storia d’amore tra i due inizia sui banchi dell’università di Venezia, quando erano studenti: «Era un grande amico dal primo anno», ricorda Caterina. «Ci piacevano le stesse cose, i libri, l’arte, la Venezia di Ruskin, quella di Corto Maltese, di Thomas Mann e anche la Mostra del Cinema, i film di Wim Wenders. Così siamo cresciuti insieme».

architetto geniale

Serracchiani, architetto considerato geniale dal commissario del Padiglione Israele Arad Turgeman, aveva come punti di riferimento Mies Van Der Rohe e Tadao Ando. Gli amici lo ricordano come una persona con un cuore e una cultura immensi, sempre pronto a mettersi in gioco. Aveva un grande interesse per la cultura ebraica. La donna con la quale ha scambiato le sue ultime parole è anche la prima che ha cercato di soccorrerlo con la respirazione bocca a bocca si chiama Avivit Hagby, è israeliana, ma ormai vive a Venezia. «Lo conoscevo da tanto tempo di vista», racconta Hagby, che è anche soccorritrice. «Mi ha colpito che le sue ultime parole fossero un saluto in ebraico con la parola pace. Abbiamo cercato di fare di tutto. Per me è stata un’emozione fortissima che sto ancora adesso metabolizzando e che racconterò alla sua famiglia».—



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