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Oltre un milione di famiglie in povertà per le spese mediche

I dati del Crea dell’ateneo di Tor Vergata: «Pochi fondi pubblici, Italia ai livelli dei Paesi dell’Est». L’alternativa è rinunciare alle cure o rimandare gli esami. Al Sud scende l’aspettativa di vita

3 minuti di lettura

Di fronte alla salute gli italiani sono sempre più poveri e diseguali, con oltre un milione di famiglie in difficoltà economiche per le spese sanitarie e un’aspettativa di vita in salute al Sud e tra i redditi bassi sempre più distante da quella di chi vive al Nord o che se la passa meglio. Effetto di una politica di definanziamento della sanità pubblica che ci accomuna più ai Paesi dell’Est che al blocco di quelli occidentali. Anche se per qualità delle cure restiamo ai vertici europei.

A tastare il polso del sistema sanitario italiano è il 13° Rapporto del Crea sanità, l’istituto di ricerca dell’Università Tor Vergata di Roma. Dal 2009 la spesa pubblica per la sanità è scivolata verso Est. Spendiamo il 31,3% in meno di quanto non facciano i Paesi del blocco occidentale. Una forbice raddoppiata dal 2000, perché se da noi il finanziamento pubblico ha marciato a un passo inferiore all’1% di incremento annuo, tra le nazioni fondatrici dell’Ue il passo è stato del 3,6% l’anno. E così è cresciuta la spesa privata, arrivata a lambire i 40 miliardi di euro.

Tutto ciò con conseguenze spesso drammatiche per i bilanci familiari e per le diseguaglianze sociali e territoriali. In tutto, il problema dei costi sanitari è stato accusato da quasi un milione e centomila famiglie. La quota di queste che ha avuto problemi economici senza dover dichiarare bancarotta è in media di circa il 6%. Ma se in Piemonte sono meno del 3% e in Trentino Alto Adige appena sopra al 2, in Calabria ad aver avuto problemi è oltre il 12% delle famiglie, in Sicilia il 10 e in Sardegna il 9%. Il Sud è generalmente più in difficoltà, ma hanno avuto problemi anche in Umbria, con poco meno del 10% e in Liguria con oltre il 7% di famiglie costrette a subire disagi economici.

Stesso discorso vale per chi è finito sotto la soglia di povertà per curarsi attingendo alle proprie tasche, fenomeno che riguarda oltre 350 mila nuclei familiari. Un dramma che impatta solo sullo 0,5% delle famiglie piemontesi e ancor meno sui nuclei lombardi. Ma basta scendere lungo lo stivale per trovare il 4% e oltre della Basilicata o il 3,6% della Calabria. Ci si impoverisce o, in alternativa, si rinuncia alle cure. Circa il 17% delle famiglie, poco meno di 4 milioni e mezzo, ha cercato di risparmiare rinviando a tempi migliori una visita o un accertamento. Ma in questi numeri includono anche oltre un milione e centomila nuclei che hanno annullato qualsiasi appuntamento sanitario.

Gli effetti si riflettono sullo stato di salute degli italiani, cha varia in rapporto a dove si risiede. Così, svela il rapporto, nel Sud a 65 anni si hanno mediamente davanti a sé tre anni di vita in meno che nel resto d’Italia. E se al Nord in media si può sperare di vivere in buona salute fino a 60 anni, nel meridione l’aspettativa scende a 55 anni, toccando il minimo di 52 in Calabria. Altri dati dell’Osservatorio italiano della salute rilevano che al Sud l’aspettativa di vita è tornata ai livelli dell’immediato dopoguerra, con Campania e Sicilia su valori uguali rispettivamente a Bulgaria e Romania, mentre nelle Marche e a Trento si hanno davanti gli stessi anni di vita degli svedesi.

Aver voluto stringere sempre più i cordoni della borsa quando si è trattato di investire sul servizio sanitario ha generato diseguaglianze sociali, perché se la coperta del pubblico si ritira non tutti possono compensare rivolgendosi al privato. Uno studio condotto un anno fa da Istituto superiore di sanità, Aifa, Agenas e Istituto per il contrasto delle malattie nella povertà, ha evidenziato che con un reddito superiore alla media si cominciano ad accusare i primi acciacchi a 70 anni.

Mentre chi ha bassi redditi inizia a stare meno bene tra i 60 e i 64 anni. Colpa anche dei super-ticket, gli italiani meno istruiti ricorrono meno spesso a visite specialistiche ed esami diagnostici, compromettendo diagnosi precoci e prevenzione.

Insomma, di fronte alla malattia non siamo tutti uguali. Eppure la nostra sanità pubblica con quelle poche risorse che ha riesce a fare bene. Anzi, il servizio sanitario nazionale è ancora un’eccellenza europea. Pur con le marcate differenze territoriali e sociali in fatto di aspettativa di vita siamo secondi solo alla Spagna e per l’aspettativa senza disabilità ci sopravanza solo la Svezia. Da noi a 65 anni si può sperare di vivere quasi altri 10 anni senza avere limitazioni nelle attività quotidiane. Un dato tra i migliori in Europa.

Per i tumori l’Italia ha una mortalità inferiore alla media europea e va meglio anche in fatto di mortalità evitabile, mentre in caso di infarto i nostri tassi di sopravvivenza sono i migliori del mondo occidentale. Forse con queste performance varrebbe la pena di tornare a investire nella sanità pubblica, mettendo gli italiani sullo stesso piano quando si tratta di salute.

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