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Parla il sociologo: "Quando i genitori sono incapaci di accettare distacco e autonomia"

Intervista a Stefano Allievi, sociologo ed esperto di pluralismo culturale e religioso

2 minuti di lettura

UDINE. «Le seconde generazioni subiscono la fascinazione della secolarizzazione, il distacco dalle pratiche dei genitori. Non solo dalle pratiche religiose, ma anche da quelle culturali di vario genere, persino dalle abitudini quotidiane». Stefano Allievi, sociologo ed esperto di pluralismo culturale e religioso, ha all’attivo decine tra saggi e libri dedicati al radicamento dell’Islam nel nostro Paese. E due dedicati in maniera specifica all’integrazione delle donne.

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Giovani donne che alzano la testa e si oppongono a padri che vorrebbero imporre una vita con l’Islam come stella polare.La settimana scorsa l’episodio di Vercelli, ora la vicenda di Pordenone. Senza contare le decine di precedenti, anche con esito tragico. Ce n’è abbastanza per preoccuparsi?
«C’è una fascia d’età in cui giustamente i ragazzi e le ragazze iniziano a manifestare autonomia di scelta e nei processi decisionali. Laddove ci sono famiglie particolarmente direttive per motivi religiosi, ma non solo per quelli, si innescano i primi conflitti. Soprattutto le religioni neo-arrivate, che si trovano in situazione di minoranza culturale, vivono come privazione il fatto che i figli non siano più credenti o praticanti».

Cosa scatta nella mente dei “vecchi”?
«C’è un’idea di tradimento della comunità. Nella maggior parte dei casi alla base c’è una conflittualità familiare: qualche litigio e finisce lì. In altri casi il “normale” conflitto generazionale legato alla libertà di scelta diventa in qualche modo un conflitto culturale vero e proprio, in cui il genitore vede minato il senso di appartenenza della comunità. E in realtà magari la comunità non si interessa al caso, è semplicemente un sentimento soggettivo di inadeguatezza».

A Pordenone si sarebbe arrivati alla violenza, addirittura sessuale.
«Questo è un caso atipico e ha cause scatenanti legate a quel nucleo familiare specifico. Le violenze sono problematiche, ma è paradossale che sconfinino nel campo sessuale. Nessuna religione, tantomeno l’Islam, suggerisce di mettere correttivi di questo genere. Anzi: è una grave violazione dell’etica islamica. Figuriamoci: un padre, che fa subire una violenza di qualsiasi genere. Qua siamo nella perversione individuale, che travalica ogni ragionamento di tipo religioso o sociologico».

C’è una questione di genere? Ci sono cioè donne che si piegano alla volontà dell’amato, abbracciando la religione islamica?
«Non direi, anzi. Nella maggior parte dei Paesi musulmani vige una regola per cui un maschio non-musulmano non può sposare una musulmana: loro sono in qualche modo forzosamente costretti a una conversione di facciata che perlopiù si traduce in nulla, nel senso che fai finta, ti sposi, e finisce lì. Per le donne quest’obbligo non esiste: moltissime si convertono prima di essersi innamorate. Il matrimonio con un musulmano in molti sensi è una conseguenza della conversione. Non c’è nessun vincolo, nessuna forzosità, se non quella che esiste in tutte le coppie: la personalità più forte convince l’altro sulle scelte che possono essere di tutti i tipi, dalla squadra da tifare, al partito da votare, alle persone da frequentare fino alla religione da abbracciare. E non c’è dunque nessuna specificità islamica, in questo senso».

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