Schiaffi, violenza e solo abiti neri: abusi e Islam imposto dai genitori a una giovane friulana
La ragazza, con madre italiana convertita, vittima del patrigno rinviato a giudizio. Ora maggiorenne vive con i nonni e non ha voluto costituirsi parte civile: «Vuole solo dimenticare e sta cercando di ricostruirsi una vita»
PORDENONE. Le accuse mosse dalla Procura sono pesantissime: violenza sessuale aggravata nei confronti della figliastra, dai 14 ai 17 anni, e maltrattamenti, in cui gli inquirenti hanno incluso schiaffi, insulti, minacce di morte e l’imposizione della religione e dei costumi islamici. Il patrigno, un 44enne musulmano originario del Maghreb, difeso dall’avvocato Luca Spinazzè, è stato rinviato a giudizio dal gup Monica Biasutti. Il processo comincerà dinanzi al tribunale collegiale presieduto dal giudice Iuri De Biasi il 12 luglio.
La madre della ragazza, una 39enne italiana convertita all’Islam, ha invece patteggiato un anno e quattro mesi per la sola ipotesi di maltrattamenti. Il pm Federico Facchin ha contestato alla madre di non aver impedito al marito di maltrattare l’adolescente e di averle imposto, come il marito, la lettura dei versetti del Corano, le preghiere e il digiuno rituali e l’abbigliamento consono.
Niente velo per la ragazza, ma solo maglie con le maniche lunghe, abiti neri, pantaloni lunghi. Vietate le minigonne e gli abiti scollati. La giovane, ora maggiorenne, non ha voluto costituirsi parte civile. «Vuole solo dimenticare e sta cercando di ricostruirsi una vita», ha precisato l’avvocato Daniela Vaccher, già sua curatrice e adesso legale. Vive con i nonni materni, mentre la mamma e il patrigno sono ritornati nel Maghreb. La nonna, in particolare, l’ha sempre sostenuta e ha reso dichiarazioni agli inquirenti, riferendo di aver notato lividi sulla nipote. La nonna non aveva mai accettato il genero musulmano e lui peraltro non aveva mai riconosciuto la ragazza come sua figlia, perché non era sua.
L’avvocato Spinazzè, che assiste il patrigno, ha messo in evidenza il contesto familiare conflittuale in cui è maturata la denuncia della ragazza. Non è un mistero che l’adolescente e il patrigno non andassero d’accordo. «Il mio assistito nega sia i maltrattamenti che gli abusi: non ci sono mai stati, né ci sono le prove –, ha precisato Spinazzè – la ragazza non è mai stata costretta a professare la fede islamica. È come se fossero stati accusati dei genitori cattolici di aver imposto il loro credo a una ragazza solo perché l’hanno invitata a pregare o ad andare in chiesa».
«Il patteggiamento – ha spiegato dal canto suo l’avvocato Silvio Albanese, che difende la madre – è stata una scelta di economia processuale, per evitare lo stress: trovandosi in Africa, non avrebbe potuto seguire il processo. Fermo restando che la mia cliente ritiene di non essere colpevole di nulla. La figlia non è stata maltrattata, ne le è stata imposta una religione. Semplicemente non ha ricevuto una educazione occidentale, ma improntata alla fede musulmana».
L’accusa si fonda sulla testimonianza della ragazza, che ha confermato le vicende anche nell’incidente probatorio il 28 aprile 2017, sugli atti raccolti dai carabinieri e le dichiarazioni testimoniali. La ragazza è stata allontanata dalla famiglia dopo la segnalazione della scuola e alla madre è stata tolta la potestà genitoriale. L’adolescente si è confidata in quarta superiore con le compagne di classe e con gli insegnanti. «Ha sofferto molto – ha concluso l’avvocato Vaccher – per il trauma subito. Ora sta cercando di superare questa vicenda e di continuare la sua vita, con tutto il dolore che ne deriva. Di fatto, ha perso la madre e i fratellastri, tutti emigrati in Africa e qui in Italia è rimasta da sola»
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