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La Cassazione: Rifate il processo al consigliere islamico di Pordenone

Per i giudici non ci sono prove che il consigliere islamico sia stato coinvolto nell’arruolamento di jihadisti

1 minuto di lettura

AZZANO DECIMO. Sonora bocciatura dalla Cassazione per la motivazione con la quale Corte d’assise d’appello di Venezia ha condannato l’ex consigliere del centro islamico di Pordenone Ajhan Veapi, 41 anni, macedone già residente ad Azzano Decimo, per un suo presunto concorso con lo sloveno Rok Zavbi, nell’orbita dell’imam bosniaco Bilal Bosnic, nell’arruolamento di due bellunesi nelle fila dell’Isis in Siria.

I giudici della Suprema corte l’hanno definita «in parte lacunosa e in parte incongrua», rilevando pure insanabili contraddizioni. Processo in appello da rifare, dunque, per Veapi, che dal febbraio 2016 è in carcere. Qual è stato il ruolo del consigliere islamico azzanese nella vicenda? La Cassazione, accogliendo i motivi di ricorso del difensore Stefano Pietrabon, ha osservato che i giudici d’appello non hanno chiarito nulla circa i rapporti fra Veapi e Zavbi, né hanno precisato quale sarebbe stato il contributo causale di Veapi all’arruolamento di Ismar Mesinovic e Munifer Karamaleski, realizzato da parte di Bosnic.

Non basta, secondo i giudici, l’invito a tenere conferenze alla moschea di Pordenone (invito al quale la difesa ha attribuito una valenza neutra). Non rileva nemmeno il fatto che Bosnic abbia attraversato il confine a bordo dell’auto dell’imputato, visto che prima aveva viaggiato invece sul veicolo di uno straniero non meglio identificato. Le conversazioni intercettate dagli inquirenti si prestano a interpretazioni alternative. La Cassazione ha sottolineato come sia stato dimostrato che Veapi si è recato solo una volta a casa di Bosnic nei Balcani fra l’altro con il solo Mesinovic, mentre quest’ultimo e Karamaleski erano tornati più volte a incontrare l’imam e pure Zavbi in Slovenia prima di partire per la Siria

I giudici hanno peraltro posto una questione di diritto. Nella sentenza è stata ipotizzata un’opera di indottrinamento da parte di Veapi nei confronti dei due futuri terroristi.

La Suprema corte ha osservato che, anche qualora tali condotte fossero provate, dimostrerebbero più un concorso del Veapi nella decisione assunta dagli arruolati. Concorso penalmente irrilevante poiché i fatti si collocano nel 2013, ovvero due anni prima che entrasse in vigore la normativa che ha introdotto tale fattispecie di reato. I giudici hanno valorizzato pure una circostanza messa in luce dall’avvocato Pietrobon: in occasione della visita di Bosnic alla moschea di Pordenone (per la difesa era stato solo invitato da Veapi per tenere sermoni in un contesto religioso, scevri da finalità di radicalizzazione islamica), Veapi ha accompagnato negli uffici della Digos in Questura l’imam bosniaco.

Se davvero l’imputato fosse stato consapevole di concorrere in un piano delittuoso, avrebbe evitato di mostrarsi in compagnia di Bosnic. Spetterà ora a una nuova sezione della Corte di assise di appello di Venezia «colmare le accertate incongruenze e lacune motivazionali», rileggendo gli elementi a disposizione.

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