16 febbraio 2019 - 08:14

La rete dei custodi di Cesare Battisti: il balordo, la vivandiera e il covo

Ecco i nuovi particolari che raccontano la progressione della caccia al terrorista, sulla quale ha lavorato anche la Procura di Milano, e culminata nell’arresto in Bolivia

di Andrea Galli

L’arrivo del terrorista Cesare Battisti all’aeroporto di Ciampino dopo la cattura in Bolivia L’arrivo del terrorista Cesare Battisti all’aeroporto di Ciampino dopo la cattura in Bolivia
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I nuovi documenti in possesso del Corriere hanno come intestazione la scritta «Ubicacion de Cesare Battisti, analisis de llamadas». Grazie alle indagini sui tabulati delle chiamate su cellulari e telefoni fissi, svelano la completa progressione della caccia al terrorista, catturato sabato 12 gennaio a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. I documenti sono una mappa sugli spostamenti e i fiancheggiatori del latitante. L’arresto è avvenuto nel quartiere di Urbari, che un mese prima aveva già attirato la curiosità degli investigatori.

Le chiamate a Carlos

I giorni 3, 4 e 5 dicembre, un tale Carlos, che vive in quello stesso quartiere ed era «sorvegliato», insieme a decine d’altri sospettati, dai poliziotti boliviani, aveva ricevuto telefonate da un numero. Fin dall’inizio, in largo anticipo anche rispetto alle analisi di alcuni specialisti italiani, chi seguiva in strada le tracce di Battisti (la squadra formata da poliziotti boliviani e agenti italiani dell’Interpol), era sicuro del suo trasferimento dal Brasile alla Bolivia. Mancavano però basi dalle quali partire dal punto di vista operativo. Mancava una localizzazione geografica: d’accordo, la Bolivia; ma dove esattamente? Gli investigatori (sulla ricerca ha indagato anche la Procura di Milano ordinando controlli telematici) avevano isolato quel numero che aveva agganciato Carlos. E il numero portava verso una miriade di cellulari, sparsi in tutta la Bolivia, cellulari che si sono rivelati inutili ai fini dell’inchiesta, e che, anzi, a volte hanno perfino depistato. Ma poi Carlos è stato contattato da un noto pregiudicato di Santa Cruz de la Sierra. Il nome di quel pregiudicato è Pablo Mauricio Severigne Romero, il quale intorno a Natale ha cominciato a frequentare Urbari, dove c’era l’ultimo covo di Battisti.

L’avallo della mala

In un luogo come Santa Cruz de la Sierra, centrale negli snodi del traffico di cocaina e soggetta al controllo della mala, era impensabile che un latitante, per di più uno «mediatico» e straniero, potesse arrivare senza una precedente preparazione che presupponeva la richiesta di un permesso. Ugualmente, una volta in Bolivia, il terrorista non avrebbe mai potuto muoversi senza comprare l’appoggio e la protezione di delinquenti locali. Il suo «cuneo» nella criminalità organizzata boliviana è stato proprio Severigne Romero, entrato e uscito di galera a un ritmo vorticoso per truffe e lesioni. Dovrebbe essere stato Severigne Romero a procurare il Pick up di colore bianco a bordo del quale Battisti ha lasciato, nella seconda metà di novembre, San Ignacio de Velasco, una cittadina boliviana di 50mila abitanti non lontana dal confine con il Brasile. La cittadina è stata il primo approdo del terrorista, che quand’è stato trasferito a Santa Cruz de la Sierra ha ricevuto una sistemazione in un’anonima casa a due piani in avenida 15 de Agosto, una strada poco battuta, e ha ricevuto una guardia del corpo e una vivandiera.

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Subito dopo il confine

La guardia del corpo è stata Jose Coimbra, un altro balordo. Quanto alla vivandiera, di nome Maristelle, rappresenta una figura utilizzata anche dalle nostre mafie, in particolare la camorra. Una donna che «bada» a un latitante dà meno nell’occhio, a maggior ragione se, come successo con Maristelle, è lontana dai circuiti criminali e in passato non è entrata nei file delle forze dell’ordine. Maristelle è stata pagata per garantire la pulizia negli alloggi di Battisti, che ha anche usufruito di abitazioni riconducibili a politici, e per cucinare pranzi e cene a base di carne e pesce al terrorista, pur se lui, nell’intera permanenza a Santa Cruz de la Sierra, ha preferito la pizza, sempre in compagnia di numerose bottiglie di birra. Fra i ristoranti, ricorreva la pizzeria Sahara. Battisti ha telefonato per ordinare o prenotare un posto, senza delegare — sarebbe stata un’azione più prudente e tattica — a Maristelle. Pensava, il latitante, fermato da uno sbirro boliviano che girava in macchina con la figlia, che l’avrebbero protetto fino alla fine. Era stato nella capitale La Paz per incontri con alti funzionari e preparava il passaggio in Venezuela su un piccolo aereo. Sarà un caso, ma il giorno dopo l’arresto, gli onesti e coraggiosi agenti boliviani sono stati messi in ferie a oltranza. Non pare come premio.

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