31 maggio 2019 - 07:31

Fondi per l’Isis, scoperta la centrale: «Ai ragazzi servono armi»

Somalo con casa a Cinisello in manette per terrorismo. L’accusa: inviava contanti alle milizie nel Corno d’Africa. Le intercettazioni: aiuti ai fratelli. La difesa: tradotto male

di Federico Berni

Fondi per l'Isis, scoperta la centrale: «Ai ragazzi servono armi»
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Forse trascinato dal bieco entusiasmo, o comunque dalla voglia di dare enfasi al momento, il giovane al telefono si lascia scappare una frase compromettente: «Dobbiamo comprare armi, munizioni e pallottole per i nostri ragazzi che combattono. Bisogna mettere insieme 100 su 100». È il 12 settembre 2018 e Rashiid Dubad, 22 anni, somalo residente a Cinisello Balsamo, parla via cellulare con un connazionale di un anno più vecchio di lui. Stanno discutendo di guerre e scontri in atto nel loro Paese d’origine «per i pozzi d’acqua», di faide per prendersi le «chiavi del territorio», delle mosse per controllarlo. Ma, soprattutto. discutono della necessità di inviare quanto più denaro possibile ai «fratelli». Ora, a quasi otto mesi di distanza da quella conversazione intercettata dai poliziotti della Digos di Bologna, Rashiid Dubad è stato prelevato dalla sua abitazione di via Marconi, a Cinisello Balsamo, e portato in stato di fermo al carcere a Monza (anche se potrebbe essere trasferito al reparto di massima sicurezza in un altro penitenziario) con l’accusa di terrorismo relativa al presunto finanziamento di organizzazioni armate attive nel Corno d’Africa (Al Shabab e Isis, attive tra Somalia ed Etiopia). Il 22enne avrebbe fatto da «collettore di denaro» attraverso l’antico metodo «Hawala», in concorso con altri due ragazzi: il connazionale 23enne con cui parlava al telefono lo scorso autunno (attualmente irreperibile in Germania), e il 22enne etiope Said Mahamed, residente a Torino. Nella stessa inchiesta, il pm della Dda bolognese Antonella Scandellari ha emesso decreto di fermo per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina anche verso Cabdiqani Osman, 29 anni, somalo (coinquilino a Cinisello di Rashiid Dubad) e Isidiin Ahmed, etiope, classe 1997, abitante in zona Stazione Centrale. Quest’ultimo filone riguarda presunte attività volte a favorire il transito di somali ed etiopi verso il nord, passando per Brennero e Svizzera.

Gli accertamenti della Digos del capoluogo emiliano partono dalla figura del giovane attualmente in territorio tedesco, e di un altro somalo (Mohsin Ibrahim Omar, attualmente indagato per terrorismo internazionale a Bari). I due sono approdati in Italia nel 2016 nelle coste del trapanese poi si sono spostati nella zona Forlì. Ma soprattutto sarebbero risultati legati ad Abu Hamza, ritenuto un militante di spessore del sedicente Stato Islamico, arrestato il 25 maggio 2017 in territorio somalo. Dal primo dei due immigrati, gli inquirenti sono risaliti ai contatti con Dubad Rashiid, il somalo di Cinisello, immigrato regolare (lavora come addetto alle pulizie) difeso d’ufficio dall’avvocato Gianluca Paglino, considerato personaggio di «elevata caratura criminale» e diventato figura principale dell’inchiesta. È accusato di aver inviato ogni mese somme per centinaia di dollari ed euro a gruppi armati somali, attraverso la Hawala, una sorta di sistema di «money transfer» clandestino che permette il trasferimento di denaro «cash» senza lasciare tracce. Rashiid è stato trovato in possesso di quattro telefoni cellulari (sequestrati) e in effetti le chiamate intercettate del somalo di Cinisello sono molte.

Una volta si presenta come «il ragazzo dei soldi». Un’altra spiega che «i gruppi attivi nella raccolta dei soldi sono negli Stati Uniti, in Canada, in Germania». E aggiunge: «Noi abbiamo dei numeri dove si possono fare i versamenti. In Europa il nostro referente è una donna che sta in Finlandia, e lei raccoglie tutto il denaro in Europa». In un’altra occasione si irrita col suo interlocutore che gli chiede in modo sfacciato al telefono: «Come stanno quelle persone che si occupano di trasferimenti di soldi?». Si discute inoltre di «faide», di guide spirituali, di vittime e contrasti tribali. E poi quella frase sul bisogno di «armi e munizioni per i ragazzi che combattono. Parole che l’indagato, secondo quanto appreso, contesta nel significato attribuito alle stesse dagli investigatori, sostenendo si tratti di un errore di traduzione.

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