5 marzo 2019 - 11:43

«Famiglia, droga e povertà», il manifesto di don Mario Delpini

Crociata contro la droga, soluzioni per la città dei poveri: sono questi i temi che stanno a cuore all’arcivescovo di Milano. «Al Consiglio comunale ho rilanciato la proposta di un’alleanza tra le istituzioni per dire che abbiamo a cuore il bene della città»

di Giampiero Rossi

L’arcivescovo Mario Delpini (Omnimilano) L’arcivescovo Mario Delpini (Omnimilano)
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Una crociata contro la droga, soluzioni per la città dei poveri («Per i ricchi ci sono già»), attenzione alla famiglia e all’Europa. Sono questi i temi che stanno a cuore all’arcivescovo Mario Delpini. Nell’estate 2017 si era presentato come «don Mario» e proprio a partire dal nome si era definito «inadeguato» all’incarico scelto per lui da papa Francesco. Da allora Delpini non ha mutato atteggiamento e ha continuato a non cercare i riflettori mediatici. Però di passi e gesti in città ne ha compiuti, al punto da essere indicato dal sindaco Beppe Sala come il suo «alleato». E dopo lo sferzante Discorso di Sant’Ambrogio, in cui con sottile sarcasmo ha sollecitato la politica a «tornare a pensare», è stato invitato in Consiglio comunale dove ha rilanciato la proposta avanzata sin dal suo insediamento: un alleanza civica per il bene della città.

Monsignor Delpini, dopo il Discorso di Sant’Ambrogio ha avuto diverse occasioni per incrociare il sindaco, che la indica come suo alleato. Come vive questo versante «politico» del suo ruolo di arcivescovo?
«Tradizionalmente il Discorso ispira incontri sul territorio. Al Consiglio comunale ho rilanciato la proposta di un’alleanza tra le istituzioni per dire che abbiamo a cuore il bene della città. D’altra parte io sarò qui per un certo tempo, vedremo gli eventuali sviluppi. Intanto noi continuiamo a costruire rapporti nel tentativo di creare legami».
Per esempio con le istituzioni civili?
«Il mio alleato è la città. L’idea di una collaborazione tra le istituzioni non dovrebbe essere di vertice, cioè, tra sindaco e arcivescovo, ma bisogna tornare a interagire sul territorio, a livello di quartiere, di parrocchie, di scuole. Noi abbiamo intenzione di fare incontri in tutti i municipi, perché la chiesa può mettere a disposizione la sua presenza capillare».
Lei, anche in Consiglio comunale, ha voluto segnare una differenza di vedute sul tema della famiglia.
«La famiglia è un ammortizzatore importante in tutte le politiche sociali. Tanti problemi della città — le solitudini, le fragilità — troverebbero nella famiglia un sostegno».
Su questo, però, lei e il sindaco avete opinioni divergenti. Sala dice che le famiglie sono tante e diverse.
«In questi anni la legislazione italiana ed europea ha privilegiato l’individualismo, e devo dire che anche tra i cristiani i legami sono più deboli. Io però dico che è giusto rispettare le scelte individuali, ma la famiglia è un’altra cosa. Questo, però, è un dibattito che non è mai stato affrontato e quindi ognuno può chiamare famiglia quello che vuole, quasi fosse un titolo onorifico. Ma ripeto: una buona famiglia è un bene per la società».
Un tema molto divisivo è quello dell’immigrazione. La spaccatura si sente anche tra i cattolici?

«Su questo anche diversi preti sono a disagio perché constatano che tanti cattolici sposano la linea degli slogan e non ragionano in base alla realtà, ai dati che definiscono la questione con lungimiranza. Su questo tema, peraltro, gli slogan sono facili e il risultato è un pasticcio. Così come lo è l’accoglienza: persone che potrebbero lavorare e invece sono costrette a stare due anni lì ad aspettare... Dopodiché trovo sbagliato, anzi assurdo identificare i migranti con i barconi, perché in realtà è un mondo che comprende tante cose, si tratta di cinque milioni di persone che vivono vite diverse tra loro, molti lavorano al nostro fianco, abitano da tempo nelle case accanto alle nostre».
Quali sono, oggi, i riferimenti politici dei cattolici della diocesi?
«Da quando non c’è più il partito cattolico la politica è un elemento di contrapposizione e quindi si evita di parlarne. Ma sono convinto che adesso ci troviamo in una stagione in cui la ripresa di un dibattito non condurrebbe più a uno scontro ma sarebbe un’occasione di crescita. Per esempio sono molto preoccupato per il futuro dell’Europa. E credo che i cattolici italiani dovrebbero avere qualcosa da dire sull’Europa che vogliono, o almeno cominciare a parlarne».
Vorrebbe una maggiore partecipazione dei cattolici alla politica attiva?
«I cristiani in politica ci sono, ma non sempre identificabili come tali. Per questo mi sono permesso di raccomandare la ripresa di un dibattito nelle parrocchie. E in diocesi c’è l’idea di fare scuole di formazione politica per i giovani, perché è bene che i cristiani non siano soltanto impegnati ma anche preparati».
Qual è la sua idea su Milano?

«Ci sono due città parallele: una ricca che cresce e una povera che è sempre alle prese con i suoi problemi, per i quali non percepisco percorsi risolutivi. Chi abita quella parte di città continua a stare male. Insomma, non si vede una soluzione per i problemi dei poveri, mentre si vedono quelle per i problemi dei ricchi».
Ritiene insufficienti le iniziative messe in campo finora?

«È una realtà. Non bastano le cure palliative. Anche la Chiesa interviene, per esempio attraverso la Caritas, ma non risolve i problemi. È un pronto soccorso».
Da cosa bisognerebbe partire?
«Trovo intollerabile che si debba vivere con l’incubo di trovarsi la casa occupata e mi chiedo se esista un vero piano per i problemi abitativi. E che cosa si può fare contro le dipendenze? I preti chiedono che si parli di droga nelle parrocchie, perché loro assistono a scene drammatiche per le strade. Ecco: vorrei radunare i preti che se ne sono occupati e lanciare una crociata, con i pretoriani che scendono in campo contro la droga. Bisogna restituire speranza ai giovani. Troppi, tra loro, non ne hanno: il lavoro e le difficoltà fanno paura e allora scelgono di dimenticarsi di essere al mondo. Questa è la malattia da combattere».

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